Chi siamo
SEMPRE SORPRENDENTE: ALCUNE FIGURE PERIFERICHE DELLA BIBBIA
Partecipa Joseph H.H. Weiler, Presidente Istituto Universitario Europeo. Introduce Stefano Alberto, Docente di Teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
STEFANO ALBERTO:
Buongiorno, benvenuti a tutti voi a quello che ormai possiamo definire un appuntamento tradizionale del Meeting, dove tradizionale non ha neanche lontanamente la sfumatura di scontato, ripetitivo. Diciamo invece che l’esperienza di questo incontro con Joseph Weiler, che non ha bisogno di presentazioni, ormai è dieci anni che viene al Meeting, ci offre la possibilità di affrontare quello che è il testo più decisivo per la vita di ciascuno di noi, il testo della Bibbia, come è veramente, una realtà viva attraverso la quale la grande presenza ci interpella, ci introduce sempre nuovamente, mi auguro sempre più profondamente, alla radice della realtà, attraverso il significato vero della realtà. Abbiamo avuto l’anno scorso, vi ricordate, le due lunghe sessione su uno dei punti, forse il punto più vibrante, più bruciante, il processo a Gesù. Quest’anno cambiamo completamente scenario e vedete che il titolo scelto da Joseph ha già dentro nell’aggettivo e nell’avverbio qualche cosa di intrigante: “sempre sorprendente” – quindi, aspettiamoci grandi sorprese – e “alcune figure periferiche della Bibbia”. Periferico, che cosa vuol dire? Non è appena la risonanza con il tema del Meeting, vuol dire probabilmente figure non conosciutissime, non centralissime: ma quello che credo apparirà anche non senza qualche colpo a sorpresa, qualche iniziale contraddizione, è che nel grande disegno storico della salvezza niente e nessuno è periferico. Come sapete, non siete qui appena come spettatori, Joseph si è abituato a farvi interagire, quindi quello a cui partecipiamo non è appena una lezione, non vuole esserlo, è un momento in cui impariamo insieme, guidati da lui. Voglio dirvi che per essere qui al Meeting, per questo momento che è quello a cui Joseph tiene veramente, lui è venuto non da Riccione ma da Singapore, e finito questo incontro tornerà a Singapore, per dire che tutto quello che viviamo con la leggerezza che nasce dalla gratuità e dall’amicizia vera ha dentro una condizione che non dimentica neanche per un istante, che il cammino al Destino in cui non siamo mai lasciati da soli è una cosa seria. Lascio subito la parola a Joseph con tanta gratitudine.
JOSEPH H. H. WEILER:
Mille grazie, don Pino, e benvenuti tutti. Ha ragione, ieri era un dazio che dovevo pagare per avere il permesso di fare la lezione. Allora, voi sapete che nella tradizione ebraica ci sono mille leggi, regole, quello che si può fare e quello che si non può fare, mangiare, non mangiare, eccetera, e anche la legge etica. Però la vita è più importante di tutto: se si rischia la vita si viola il Sabato, anzi, è proibito osservare il Sabato se si rischia la vita di qualcuno. Tre dei miei cinque figli sono nati il sabato, è stata una bella esperienza guidare verso l’ospedale. Però ci sono tre cose, e solo tre, fra queste migliaia di regole, leggi morali e rituali, per cui bisogna sacrificare la vita, che non bisogna violare. La prima è rinunciare alla fede in pubblico: se qualcuno ti dice “rinuncia alla tua fede con un atto pubblico”, si sacrifica la vita e non si rinuncia a Dio in pubblico. La seconda è l’omicidio. Se qualcuno ti dice: “Se non uccidi quell’altro, io ti uccido”, devi sacrificare la vita, non si può uccidere qualcuno per salvare la propria vita. La terza è l’incesto: e questo secondo me fa patrimonio, assetto comune alla tradizione occidentale. Il rapporto sessuale fra padre e figlia, fra madre e figlio, è una cosa così, non so dire, repellente, così drammatica che fra tutte le regole, la terza per cui bisognerebbe sacrificare la vita è l’incesto, anche a rischio della vita non si commette incesto. Cominciamo con le nostre prime figure periferiche. Sono le figlie di Lot. La sorella maggiore dice alla sorella più piccola: “Nostro padre è vecchio, non c’è nessuno in questi territori per unirsi a noi, come avviene dappertutto. Vieni, facciamo bere del vino a nostro padre e poi corichiamoci con lui”. Quella notte, fecero bere del vino al loro padre e la maggiore andò a coricarsi – così si dice – con lui. Ma egli non se ne accorse, né quando lei si coricò né quando lei si alzò. All’indomani, la maggiore disse alla più piccola: “Ecco, ieri mi sono coricata con nostro padre, facciamolo bere del vino anche questa notte e vai tu a coricarti con lui, così daremo vita a una discendenza”. Anche quella notte fecero bere del vino al padre e la più piccola andò a coricarsi con lui, ma egli non se ne accorse né quando lei si coricò né quando lei si alzò. Così le due figlie di Lot rimasero incinte del loro padre. La maggiore portò un figlio e lo chiamò Moab, “dal padre”: cioè, ha chiamato il proprio figlio “dal padre”, perché era figlio nato dal padre. Costui è il padre dei moabiti, che esistono ancora oggi. Anche la più piccola partorì un figlio e lo chiamò “figlio del mio popolo”: costui è padre degli Ammoniti, che esistono ancor oggi. Allora, questa sì che è una figura periferica, non soltanto nel senso letterario. I nomi di queste due figlie sono periferici nel senso che in tutta la Bibbia, in centinaia di capitoli, in migliaia e migliaia di frasi, meritano una decina o una ventina di frasi. Ma anche periferici nel senso più profondo, perché qui sembra ci sia uno dei peccati più pesanti che possano esistere, cioè l’incesto tra padre e figlia. Allora ci interessano come figure periferiche non soltanto perché sono piccole ma perché si tratta di una cosa grave. Faccio un time-out, avete presente l’urlo di Catone, “Ricordatevi di distruggere Cartagine”? Il mio urlo di Catone è: “Ricordatevi ogni giorno di leggere un capitolo della Bibbia”. Lo dico ogni anno, nessuno lo fa ma continuo a dirlo, forse nel tempo, qualcuno… Allora, leggendo questo capitolo si nota una cosa: il testo è secco, non racconta questa storia scandalizzato, non la definisce come peccato e non la valorizza, è secco, come un giornalista che non prende posizione. Dopo ci torneremo sopra, su come mai il testo non dia nessuna valutazione di questo atto tremendo. Dobbiamo fare due cose: cercare di capire come mai e poi cercare noi di valutare questa azione delle figlie. Una delle due cose bellissime nella Bibbia è che i grandi protagonisti – i più grandi, Abramo, Mosè – sono esseri umani, e il testo della Bibbia non cerca di beatificarli, racconta le loro storie insieme alle cose belle, quelle ammirevoli con quelle poco ammirevoli. Un valore di questo atteggiamento biblico sta nel dare a ogni generazione la possibilità di vedere, di valutare, di cercare di capire, di cercare di prendere una lezione di vita. Allora, io trovo questa seccatura, questa descrizione netta, molto invitante perché invita noi a dare il nostro giudizio. La prima cosa da fare pima di qualunque giudizio di valore è un’analisi psicologico-culturale: come mai sono arrivate a fare questa cosa che sembra – e lo è – così grave? Cominciamo dall’inizio: “I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra. E disse: «Miei signori, venite in casa del vostro servo: vi passerete la notte, vi laverete i piedi e poi, domattina, per tempo, ve ne andrete per la vostra strada». Quelli risposero: «No, passeremo la notte sulla piazza». Ma egli insistette tanto che vennero da lui ed entrarono nella sua casa. Egli preparò per loro un banchetto, fece cuocere pani azzimi e così mangiarono. Non si erano ancora coricati, quand’ecco gli uomini della città, cioè gli abitanti di Sòdoma, si affollarono attorno alla casa, giovani e vecchi, tutto il popolo al completo. Chiamarono Lot e gli dissero: «Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perché possiamo abusarne!». Lot uscì verso di loro sulla soglia e, dopo aver chiuso la porta dietro di sé, disse: «No, fratelli miei, non fate del male! Sentite, io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace, purché non facciate nulla a questi uomini, perché sono entrati all’ombra del mio tetto». Ma quelli risposero: «Tìrati via! Quest’individuo è venuto qua come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo a te peggio che a loro!». E spingendosi violentemente contro quell’uomo, cioè contro Lot, si fecero avanti per sfondare la porta. Allora dall’interno quegli uomini sporsero le mani, si trassero in casa Lot e chiusero la porta; colpirono di cecità gli uomini che erano all’ingresso della casa, dal più piccolo al più grande, così che non riuscirono a trovare la porta. Quegli uomini dissero allora a Lot: «Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi figli, le tue figlie e quanti hai in città, falli uscire da questo luogo. Perché noi stiamo per distruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandato a distruggerli». Lot uscì a parlare ai suoi generi, che dovevano sposare le sue figlie, e disse: «Alzatevi, uscite da questo luogo, perché il Signore sta per distruggere la città!». Ai suoi generi sembrò che egli volesse scherzare”.
Chi va a pensare agli angeli o ai messaggeri che sono venuti da Abramo per annunciare che avrà un figlio, Isacco? Anche Abramo si è messo subito a trattarli bene, conosce questa tradizione per cui ospitare lo straniero è uno dei doveri più importanti. E fa parte anche del clima: quando un ospite arriva in un clima duro è stanco, ha fame, ha sete, ha bisogno di lavarsi. E anche questo spiega l’importanza di dare ospitalità. Facciamo una pausa: ricordate che un capitolo prima, qualche capitolo prima, Dio incontrò Abramo, e gli disse: “I peccatori di Sodoma e Gomorra sono ormai famosissimi e ho deciso di distruggere le due città”? Ricordate che Abramo, con audacia impressionante, disse a Dio: “Ma è possibile distruggere gli innocenti insieme ai colpevoli? Il giudice di tutta la terra, lui stesso non farà giustizia?”. È molto importante, questo accadeva prima che la legge fosse data. Vuol dire che Dio ci ha creato con la possibilità di ragionare in maniera etica, Abramo non aveva bisogno di un’istruzione specifica per sapere che era un’ingiustizia. Poi dice a Dio: “Facciamo l’ipotesi che ci siano cinquanta innocenti in Sodoma e Gomorra”. Allora Dio dice: “Se ce ne saranno cinquanta, non la distruggerò”. Allora, cosa dice Abramo? “E se ce ne fossero quaranta?”. Dio dice: “Anche con quaranta, no”. “Trenta”, “venti”, arriva a dieci. E Dio dice: “Anche se ci sono solo dieci innocenti in questa città, non la distruggo”. A questo punto Abramo è contento e tace. Anche Dio è contento, perché questa era una prova per Abramo, per vedere la sua sensibilità, il padre di tutta la nazione deve essere un essere con una sensibilità morale importante. Ora arriviamo al momento della giustizia. Il testo insiste “tutta la città al completo” per evitare che noi pensiamo che siano stati distrutti degli innocenti insieme ai colpevoli. Eh, una bella lezione. Ma nella nostra cultura, anche in quella più tradizionale, si protegge la figlia, la sorella. E qui lui è pronto a sacrificare i propri figli per proteggere questi ospiti: devo dire che io non lo farei. Anzi, io giudico Lot in maniera severa, per questa sua prontezza nell’offerta. Però, anche se a volte è difficile ammettere queste cose, abbiamo appena parlato di Abramo e dell’assenza di giustizia: ma lo stesso Abramo, quando va in Egitto perché c’era fame nella terra di Israele e sua moglie Sara era molto, molto bella… Cosa fece? Duro, eh, don Pino? Abramo dice a Sara: “Facciamo finta che tu sia mia sorella e non mia moglie. Se sei mia moglie, mi uccideranno per prenderti. Se sei mia sorella, ti prenderanno ma non mi uccideranno”. E infatti il re d’Egitto prende Sara e la mette come concubina nel palazzo: anche questo è duro, eh? Poi, appena Dio comincia a punire gli egiziani, loro a questo punto capiscono che c’è qualcosa che non va, ma in realtà non dovevano punire gli egiziani ma Abramo, perché il colpevole, il vigliacco, in questo caso era lui. Ma questo fa vedere anche la sensibilità e il rapporto uomini-donne marito-moglie. Se Abramo lo faceva vuole dire che nella sua cultura quella era una cosa più accettabile. I rabbini dicono che Abramo in questo caso ha peccato e che fra le ragioni dei 400 anni della schiavitù in Egitto, una è proprio questa. Abramo era quello che in inglese si dice serial offender, farà la stessa cosa anche con il re Abimelech che però non consuma. Il re Abimelech vuole prendere Sara come sua moglie, perché Abramo gli ha detto che è la sorella, ma un giorno vede che loro making out, capisce che è la moglie di Abramo e gli dice: “Come hai potuto farlo? Se l’avessi fatto io sarebbe stato un grande peccato”. Questo pone in contesto l’azione di Lot ma noi dobbiamo essere severi nel nostro giudizio: era una cosa inaudita. Però a me interessa un’altra cosa – non l’aspetto di valore e psicologico – per cui questa esperienza diventa rilevante alla luce di quello che succede dopo. Chi vuole azzardare? E’ rilevante il fatto che Lot offra le due figlie, rispetto a quello che succede dopo, quando loro fanno bere il padre per ubriacarlo e andare a letto con lui. Dai! Forza! No? Chi ha qualche idea? Dobbiamo essere un po’ più sottili psicologicamente, moralmente, per capire l’azione delle figlie dopo il comportamento così palese del padre quando arrivano gli ospiti. Dai! Mi dimetto, non vengo più! Ad esempio, lui ha svalorizzato le figlie: parliamo a livello psicologico, se sono così trattate dal proprio padre può darsi che perdano l’autorispetto per se stesse. E quando qualcuno perde il rispetto di sé, l’orgoglio, il senso del proprio valore, è più facile che faccia anche cose grossolane. E’ una possibilità.
DOMANDA:
Assicurare la continuità della generazione?
JOSEPH H. H. WEILER:
Ma questa è una risposta ad un’altra domanda, la mia domanda era molto precisa: in che senso, l’azione del padre che offre le figlie a questi maledetti di Sodoma e Gomorra può spiegare la facilità con la quale loro dopo faranno questa cosa grossolana, far ubriacare il padre ed andare a letto con lui? Abbiamo detto che il padre ha svalorizzato i propri figli, che una persona senza rispetto, senza orgoglio, è più facile che faccia cose, ma possono essere sfumature.
DOMANDA:
Il padre non si è comportato da padre.
JOSEPH H. H. WEILER:
Bravissimo! Poiché il padre non si è comportato da padre, non lo vedono come un padre che ama i figli ma come un uomo. E posso aggiungere che la lezione che possono avere imparato dal padre è che la persona è lì per essere sfruttata: se sei lì per essere sfruttato, servi uno scopo, anche se nobile, di tuo padre. E anche loro guardano al padre come a qualcuno che può essere sfruttato. E come ha detto lei con raffinatezza, non si è comportato da padre e loro non lo sentono padre. Interessante: altre idee?
DOMANDA:
Per vendetta.
JOSEPH H. H. WEILER:
Può darsi! Per vendicarsi, non lo sappiamo! Stiamo speculando, però il testo richiede questa speculazione, giusto? Perché è una cosa inaudita! Allora, abbiamo avuto tre o quattro speculazioni come questo fatto di essere offerte possa spiegare il loro comportamento successivo. Andiamo avanti con il testo. Quegli uomini dissero allora a Lot: «Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi figli, le tue figlie e quanti hai in città, falli uscire da questo luogo. Perché noi stiamo per distruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandati a distruggerli». Lot uscì a parlare ai generi che dovevano sposare le sue figlie, e disse: «Alzatevi, uscite da questo luogo, perché il Signore sta per distruggere la città!». Ma ai suoi generi sembra che egli voglia scherzare. Perché il testo è così sintetico e comunque perché ci racconta che i generi pensavano volesse scherzare? Qual è il significato di questo? Bocciamo la classe!? Dai, su, qualcuno che salvi l’onore del Meeting!
DOMANDA:
La notizia concreta è che le ragazze erano fidanzate.
JOSEPH H. H. WEILER:
Erano fidanzate ma ancora vergini, il matrimonio non era ancora stato consumato. Ma qual è il significato del fatto che i suoi generi pensavano volesse scherzare? E’ significativo il testo della Bibbia, mai, non spreca mai una parola, ogni parola ha qualche significato e questo è significativo per la storia che va avanti.
DOMANDA:
Anche i generi non lo prendevano sul serio.
JOSEPH H. H. WEILER:
Non prendevano sul serio chi?
DOMANDA:
Non prendevano Lot sul serio, lo ritenevano uno che potesse anche scherzare.
JOSEPH H. H. WEILER:
Allora leggiamo da vicino, sai, c’è questo giochino per bambini per cui si dice: fuoco, fuochino… «Alzatevi, uscite da questo luogo, perché il Signore sta per distruggere la città!». Ma ai suoi generi sembra che egli voglia scherzare… Signora, non l’hanno preso sul serio chi? Lot? Solo Lot?
DOMANDA:
E anche questi signori.
JOSEPH H. H. WEILER:
Piano piano arriveranno. Lot, questi signori e…? Il Signore!
DOMANDA:
Forse per loro era normale vivere in quel modo.
JOSEPH H. H. WEILER:
Il testo fa vedere le persone che non accettano il regno del Signore, che non lo prendono sul serio – facciamo alla rovescia, il Signore, i signori e Lot – e perciò non lasciano la città, perché solo Lot, sua moglie e le due figlie lasceranno la città e i generi verranno distrutti anche loro. Anche qui il testo è un po’ strano: perché Lot solo con le figlie? Perché gli altri erano stati avvertiti ma avevano preso come uno scherzo il messaggero e la parola di Dio.
Quando apparve l’alba, gli angeli fecero premura a Lot, dicendo: «Su, prendi tua moglie e le tue figlie che hai qui ed esci per non essere travolto nel castigo della città». Lot indugiava, ma quegli uomini presero per mano lui, sua moglie e le sue due figlie, per un grande atto di misericordia del Signore verso di lui; lo fecero uscire e lo condussero fuori della città. Dopo averli condotti fuori, uno di loro disse: «Fuggi, per la tua vita. Non guardare indietro e non fermarti dentro la valle: fuggi sulle montagne, per non essere travolto!». Ma Lot gli disse: «No, mio Signore! Vedi, il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi e tu hai usato una grande bontà verso di me salvandomi la vita, ma io non riuscirò a fuggire sul monte, senza che la sciagura mi raggiunga e io muoia. Vedi questa città: è abbastanza vicina perché mi possa rifugiare là ed è piccola cosa! Lascia che io fugga lassù – non è una piccola cosa? – e così la mia vita sarà salva». Anche lui non è tanto credente, il nostro Lot, eh? Gli rispose: «Ecco, ti ho favorito anche in questo, non distruggerò la città di cui hai parlato. Presto, fuggi là perché io non posso far nulla finché tu non vi sia arrivato». Perciò quella città si chiamò Zoar. E non vi spiegherò il significato della parola. Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar, quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. È la storia: qual è, tornando alle figlie, il significato di quella strana città, Zoar? Che poi, Lot partì da Zoar e andò ad abitare sulla montagna con le sue due figlie perché temeva di restare a Zoar, non voleva neanche vivere lì! Ma qual è il significato? Perché il testo racconta questa storiella su Zoar? E cosa significa rispetto all’azione delle figlie? Dai, facciamo un po’ Sherlock Holmes! Vi ricordate? Sempre, sempre c’è qualche significato, se no il testo non spreca le parole. Vi do una traccia, qualcuno ha detto prima: facevano l’amore o sono andate a letto con il proprio padre per continuare la vita.
DOMANDA:
Zoar era una città, quindi ci sarebbe stata la possibilità di fidanzarsi ancora.
JOSEPH H. H. WEILER:
Bravi!!! Chi l’ha detto?? Sempre 30 e lode!!
DOMANDA:
Invece sulla montagna erano sole.
JOSEPH H. H. WEILER:
E’ vero che sono andate sulla montagna ma non potevano dire: guarda, non ci sono uomini! Non è che hanno pensato che tutto il mondo era stato distrutto, sapevano benissimo che Sodoma e Gomorra erano state distrutte ma che c’erano altre città. Se volevano fidanzarsi, potevano di sicuro trovare altri uomini, perché erano ancora giovani e non erano sposate. La possibilità di trovare fidanzati non è una scusa, non potevano dire: abbiamo pensato che tutta la vita sulla terra fosse distrutta e che toccasse a noi assicurare la continuità della civilizzazione. Quando Dio ha detto: non guardate indietro, andate avanti, la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale. Ingiustizia! Ma qual è il significato? Perché fu punita per aver guardato indietro? Per chi ha visitato la Terra Santa, quando andate sul Mar Morto, c’è un grande pilastro che si dice sia la moglie di Lot. Una delle mie filosofie di vita, che i miei studenti hanno sentito mille volte, è questa: andiamo avanti non facciamo l’errore della moglie di Lot, che guarda indietro e diventa di sale. Però, qual è il significato? Lei guarda indietro e diventa un pilastro di sale. Cosa vuole insegnarci il testo? Perché ha guardato indietro? Un’altra versione della domanda…
DOMANDA:
Essere legati al peccato?
JOSEPH H. H. WEILER:
Una possibilità è essere legati al peccato: vedete che in questa storia sono le donne ad essere peccatrici. Il padre innocente, ubriaco, dorme, mentre le donne: certo, sono pregiudizi ma anche questo faceva parte della cultura patriarcale. Allora, una ipotesi è che la questione sia legata al peccato, c’è una ipotesi contrastante?
DOMANDA:
Non si è fidata di Dio.
JOSEPH H. H. WEILER:
Non si è fidata di Dio perché ha voluto vedere se veramente Dio faceva quello che aveva annunciato. Saremo anche miseri curiosi, ma un’interpretazione meno severa?
DOMANDA:
Le mancava la città?
JOSEPH H. H. WEILER:
Vai avanti: le mancava la città, ancora più profondo…
DOMANDA:
La propria casa, la nostalgia…
JOSEPH H. H. WEILER:
Anche la pietà per quello che stava accadendo?
DOMANDA:
Penso di no, se no, non l’avrebbero fatto ubriacare.
JOSEPH H. H. WEILER:
Bravissima. Avevano il senso che c’era qualcosa che non andava, se no, non l’avrebbero fatto ubriacare. Dovevano farlo ubriacare, il che fa pensare che avevano capito che c’era qualcosa di male, qualcosa che non andava in quell’atto di incesto. Ma cosa pensiamo della giustificazione che loro danno a loro stesse? “Così daremo vita ad una discendenza da nostro padre?”. Chi vuole valutare?
DOMANDA:
Io penso che in realtà queste ragazze avessero una grandissima stima del padre perché si sentono un po’ sole con lui rispetto a tutto il resto del mondo. Lo considerano qualcosa di completamente diverso da tutti gli altri, tant’è che hanno visto che il padre le avrebbe sacrificate e non sono scappate. Chi sarebbe rimasta con un padre delinquente? Invece lo seguono e si preoccupano di fargli avere una discendenza perché, secondo me, in mezzo a tutto questo c’è qualcosa di abnorme che loro hanno visto in mezzo a questi stranieri, che il padre le avrebbe sacrificate pur amandole e hanno visto che cosa è successo a Sodoma e Gomorra. Hanno visto qualcosa di eccezionale per cui valeva anche la pena sacrificare qualcosa, e non ne hanno voluto al padre come Isacco non ne ha voluto al padre che stava per ammazzarlo. Io sinceramente, ho figli, non avrei mai sacrificato i figli, le mie figlie, ma forse è perché ho poca fede. Comunque, qui c’è un terzo incomodo da tenere presente, una storia, qualcosa di completamente sovrumano e fuori di misura che può fare cambiare l’ottica su quello che per noi è scandaloso.
JOSEPH H. H. WEILER:
Impressionante, eh, don Pino? Veramente impressionante. Pensavo di dover fare io questa interpretazione, invece, bravissima, è la possibilità di reinterpretare la storia: che per le figlie sia un atto nobile. Prendiamo il primo atto. E’ vero che il padre ha offerto le sue figlie, ma è possibile perlomeno che le figlie abbiano accettato perché anche loro hanno interiorizzato il dovere, non soltanto di ospitare, perché credevano che se avessero fatto fuori questi ospiti, sarebbero stati uccisi. Allora, insieme al loro padre erano pronte a sacrificare il loro onore. E’ per salvare questa gente loro ospite. Abbiamo un precedente perché Isacco nella tradizione accetta di essere sacrificato dal proprio padre, non resiste, e allora può darsi che loro abbiano interiorizzato che i loro ospiti sarebbero stati uccisi da questi maledetti di Sodoma e Gomorra. E hanno detto: va bene, lasciamoci violare per salvare la vita degli ospiti. La loro interpretazione non è che sono state svalorizzate ma, al contrario, valorizzate. Signora, continuiamo. Dov’è la signora impressionante? In piedi, per favore. La tua collega ha detto che do del tu a tutti. Sapete perché faccio questo errore? Sapete che in inglese non c’è il lei ma il tu. E’ venuto il Presidente della Repubblica e io gli ho dato del tu e lui mi ha detto che era la prima volta che nella vita pubblica qualcuno gli dava del tu, ma sorridendo, però. Nessuna mancanza di rispetto se vi do del tu. Ha detto la tua collega che si vede che hanno avuto un senso di colpa, che qualcosa non andava, perché dovevano far ubriacare il padre. Come rispondi a questo? Non sembra l’atto di una persona nobile.
DOMANDA:
Perché prendono loro l’iniziativa. Fino a quel momento hanno obbedito al padre e lì, ad un certo punto, non vogliono, si prendono la responsabilità di fare qualcosa che è sbagliato, che il padre soffrirebbe enormemente a fare. Forse si rifiuterebbe di farlo.
JOSEPH H. H. WEILER:
Si può essere un pochettino più raffinati. Leggiamo di nuovo la frase: “Così daremo vita ad una discendenza di nostro padre”. Vanno a letto con il padre non per piacere sessuale, non è dicono: dai, vorremmo un uomo. Non è per piacere sessuale ma perché è il padre, perché nella cultura tradizionale occorre continuare la linea, non distruggere la linea familiare. E’ una cosa molto ebrea, nel senso che il popolo deve conservarsi. Circondati da nemici, bisogna conservarsi. Ma sanno che al loro padre non entrerà mai in mente, anche se questo volesse dire che finisce la linea di Lot, di mettere incinte le proprie figlie. Anche questo deve essere interpretato perché non lo fanno per propri motivi, lo fanno per quello che pensano serva al loro padre. Leggiamo di nuovo per la terza volta: “Così daremo vita ad una discendenza di nostro padre”. E lo facevano ubriacare non perché sapevano che era un peccato ma per fare un favore al padre, perché così lui non sa, non è lui il peccatore. Pensano che fra il male di distruggere la linea familiare e il male dell’incesto sia meglio l’incesto, però almeno non è per uno scopo loro ma per il profitto del padre, un valore molto patriarcale a cui oggi possiamo anche resistere. Ma mettendoci (come ha fatto la signora impressionante) nella mente di questa donna, quello è un nipote: si comincia con l’incesto e si finisce che uno di voi dice che c’è un’altra lettura, giusto? Don Pino! Io ho tante altre cose, però bisognerebbe un po’ stringere. E’ interessante, non diamo noi il giudizio. Vediamo che il testo è molto ricco, la nostra prima impressione non è necessariamente corretta, bisognerebbe indagare, riflettere. Abbiamo dato due interpretazioni diverse: una che diceva che il padre vigliacco offre le proprie figlie a quelli lì (che è una cosa inaudita), svalorizza le proprie figlie e, dato che si tratta di cattiva educazione, le ragazze non lo sentono come un padre e allora fanno incesto con lui, conservando un certo senso di colpa, se no perché farlo ubriacare? Questa era una linea interpretativa. L’altra è una storia nobile di un padre e di figlie che si dicono pronte a sacrificare le cose più importanti per salvare la vita di questi ospiti innocenti. E poi le figlie, per non distruggere la linea familiare e per salvare il padre dal senso di colpa, fanno questo incesto. E infatti restano incinte di lui. Mi concedete ancora dieci minuti? Volevo parlare di Tamar, di Ruth… andiamo un po’ più veloci, va bene? Andiamo al Deuteronomio e vediamo il giudizio della Bibbia stessa, al capitolo 23, verso 4: l’ammonita e il moabita, cioè questi due popoli che sono venuti da Moab e Ammon, due figlie delle figlie di Lot, non entreranno nella comunità del Signore. Nessuno di loro, neanche alla decima generazione, entrerà nella comunità del Signore: non vi entreranno mai. Ora, se leggete un po’, il testo dà anche un’altra spiegazione, ma di sicuro qui c’è un giudizio abbastanza severo su questo incesto. Due popoli che non possono entrare, che non possono sposarsi per le loro origini peccaminose: è un giudizio abbastanza severo. Parliamo per cinque minuti di Tamar, una donna bellissima, in italiano si chiamerebbe dattero! Bellissima ma sfortunata: c’è la storia di Tamar che adesso leggiamo insieme e c’è anche la storia di Tamar, una figlia di Davide con il suo mezzo fratello Annon, che era stata violata nel libro di Samuele, al capitolo 13. Andate dopo a leggerlo, è una storia terrificante, di nuovo un incesto tra fratello e sorella. Vedete, la Bibbia è sesso, violenza, incesto, non si vanno a vedere al cinema queste cose. Però, la Tamar che vorremmo studiare ora è la Tamar a cui Giuda (il figlio di Giacobbe che era, penso, il preferito di don Giussani, aveva una tenerezza per Giacobbe e anch’io ce l’ho, perché è il più complesso, il più peccatore) fa sposare un figlio. Poi, il figlio è peccatore e Dio lo fa fuori: detta in questo modo è un po’ brutale, ma anche il testo è brutale. Allora, Giuda offre il secondo figlio come sposo di Tamar, anche qui, per continuare la linea. Nella tradizione biblica, se un fratello muore è dovere dell’altro fratello di prendere la moglie per dare nome al fratello senza figli. Però anche questo secondo figlio di Giuda è peccatore e Dio fa fuori anche lui. A questo punto Giuda ha paura, dice: questa donna è una mangiafigli. Allora le dice: “Torna alla casa di tuo padre. Ho un terzo figlio e quando diventerà grande te lo offrirò come marito”. Allora lei va alla casa di suo padre, poi muore la moglie di Giuda. Leggiamo. “Allora Giuda disse alla nuora Tamar: «Torna alla casa di tuo padre come vedova fino a quando il mio figlio Sela sarà cresciuto». Perché pensava: «Che non muoia anche questo come i suoi fratelli!». Così Tamar se ne andò e tornò alla casa di suo padre. Trascorsero molti giorni e morì la figlia di Sua, moglie di Giuda. Quando Giuda ebbe finito il lutto, si recò a Timna da quelli che tosavano il suo gregge e con lui c’era Chira, il suo amico di Adullàm. La notizia fu data a Tamar: «Ecco, tuo suocero va a Timna per la tosatura del suo gregge». Ora viene il passaggio importante, molto meno brutale rispetto alle figlie di Lot però, comunque, per la nostra sensibilità sembra qualcosa che non va. “Allora Tamar si tolse gli abiti vedovili, si coprì con il velo e se lo avvolse intorno, poi si pose a sedere all’ingresso di Enàim, che è sulla strada per Timna. Aveva visto infatti che Sela era ormai cresciuto, ma lei non gli era stata data in moglie. Quando Giuda la vide, la prese per una prostituta perché essa si era coperta la faccia”. Si era vestita come prostituta addirittura per sedurre Giuda, messa lì sulla strada. Egli si diresse su quella strada verso di lei e disse: «Lascia che io venga con te!». Non sapeva infatti che era sua nuora. Vedete che di nuovo l’uomo era protetto, la sensibilità… Sua moglie è morta e quindi non è un uomo sposato, non sa che è sua nuora, il testo cerca di colpevolizzare la donna come al solito. “Ella disse: «Che cosa mi darai per venire con me?». Egli rispose: «Io ti manderò un capretto del gregge». Ella riprese: «Mi lasci qualcosa in pegno fino a quando non me lo avrai mandato?». Egli domandò: «Qual è il pegno che devo dare?». Rispose: «Il tuo sigillo, il tuo cordone e il bastone che hai in mano». Allora Giuda glieli diede e si unì a lei. Ella rimase incinta. Poi lui manda il capretto e dice: «Dov’è quella prostituta che era qui?». E la gente: «Qui non c’era una prostituta. E’ sparita». Circa tre mesi dopo, fu portata a Giuda questa notizia: «Tamar, tua nuora, si è prostituita e anzi è incinta a causa della sua prostituzione». Ora viene una cosa a cui veramente si ribella la coscienza. “Giuda disse: «Conducetela fuori e sia bruciata!». Per lui, va bene andare con la prostituta, per lei no. “Mentre lei veniva condotta fuori, mandò a dire al suocero: «Io sono incinta dell’uomo a cui appartengono questi oggetti». E aggiunse: «Per favore, verifica di chi siano questo sigillo, questi cordoni e questo bastone». Giuda li riconobbe e disse: «Lei è più giusta di me: infatti, io non l’ho data a mio figlio Sela». E non ebbe più rapporti con lei. Quando giunse per lei il momento di partorire, ecco, aveva nel grembo due gemelli. Durante il parto, uno di loro mise fuori una mano e la levatrice prese un filo scarlatto e lo legò attorno a quella mano dicendo: «Questo è uscito per primo». Ma poi questi ritirò la mano, ed ecco venne alla luce suo fratello. Allora ella esclamò: «Come ti sei aperto una breccia?» e fu chiamato Peres. In ebraico vuol dire una breccia. “Poi uscì suo fratello che aveva il filo scarlatto alla mano, e fu chiamato Zerach”.
E’ molto comune nella Bibbia che, se ci sono due gemelli, il più giovane diventi importante: Esaù è il primo ma Giacobbe è importante. Vengono benedetti e Giacobbe cambia, è sempre il giovane, il preferito. Quando voi ci chiamate “fratelli maggiori”, quindi… Allora, la cosa qui è molto meno grossolana rispetto a ciò che succede con le figlie di Lot comunque anche Tamar fa una cosa che merita un pochino di rimprovero. Butta via i vestiti del lutto, mette il velo che segna le prostitute e va a letto con il padre di suo marito, che è un rapporto proibito expressis verbis. Allora, anche qui parliamo di una figura periferica perché nella Bibbia c’è questo piccolo capitolo su Tamar e poi c’è l’altra Tamar, nel Samuele, un altro capitolo che segna come sfortunato chi porta il nome Tamar. Di nuovo una figura periferica, meno periferica dal punto di vista del valore, almeno ha un nome e quello che fa è meno grave. Andiamo a Ruth. Dire che Ruth è una persona periferica è un po’ esagerato. C’è un libro intero, nella Bibbia, chiamato Ruth. E sono poche le donne su cui c’è un libro. Allora, perché prendo Ruth come persona periferica? Per due ragioni. Una sostanziale: perché è moabita, Ruth è moabita, cioè appartiene al popolo che è discendente dall’atto di incesto delle figlie di Lot e che abbiamo visto nel Deuteronomio che non possono entrare nel popolo di Dio. In questo senso è periferica. E voglio parlare di Ruth per un’altra ragione, per paragonarla un po’ con la storia delle figlie di Lot. Succede anche qui una cosa molto interessante. Di nuovo la madre di Ruth, Naomi, bellissimo nome, che è sposata con Elimèlec con cui ha due figli: c’è fame nella Terrasanta, vanno a Moab dove ci sono i moabiti. I due figli prendono come mogli due ragazze moabite. Tutte e due i figli muoiono. Punto interrogativo: muoiono perché hanno violato l’interdizione di sposarsi? Non si sa, il testo non lo dice. Succede così nell’Antico Testamento. Mi ricordo che 35 anni fa, con l’amico fraterno Antonio Cassese, eravamo dirigenti di un’accademia di Diritto europea e si voleva licenziare qualcuno. Nino Cassese viene da me e dice: “Io non posso licenziare una persona ma tu sei una figura da Antico Testamento, fallo tu!”.
Allora, muoiono i due figli e la madre vuole tornare a Giuda, Betlemme, da dove viene. “Noemi le disse: «Ecco, tua cognata è tornata dalla sua gente e dal suo Dio; torna indietro anche tu, come tua cognata». Ma Ruth replicò: «Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio. Dove morirai tu, morirò anch’io e lì sarò sepolta. Il Signore mi faccia questo male e altro ancora, se altra cosa, che non sia la morte, mi separerà da te». Vedendo che era davvero decisa ad andare con lei, Noemi non insistette più. Esse continuarono il viaggio, finché giunsero a Betlemme. Quando giunsero a Betlemme, tutta la città fu in subbuglio per loro, e le donne dicevano: «Ma questa è Noemi!». Ella replicava: «Non chiamatemi Noemi, chiamatemi Mara, perché l’Onnipotente mi ha tanto amareggiata! Piena me n’ero andata, ma il Signore mi fa tornare vuota. Perché allora chiamarmi Noemi, se il Signore si è dichiarato contro di me e l’Onnipotente mi ha resa infelice?». Così dunque tornò Noemi con Ruth, la moabita, sua nuora, venuta dai campi di Moab. Esse arrivarono a Betlemme quando si cominciava a mietere l’orzo”.
Una figura nobile in tutto l’Antico Testamento, la persona in cui non si trova nessuna cosa negativa: è quella moabita, Ruth. E’ la perfezione dal punto di vista etico, umano, ecc. Tornano, però c’è Naomi e due figli sono morti, un po’ come in Lot. La linea della famiglia rischia di essere eliminata, giusto? Ecco allora il piano di Noemi. “Un giorno Noemi, sua suocera, le disse: «Figlia mia, non devo forse cercarti una sistemazione, perché tu sia felice? Ora, tu sei stata con le serve di Booz: egli è nostro parente e proprio questa sera deve ventilare l’orzo sull’aia. Lavati, profumati, mettiti il mantello e scendi all’aia. Ma non ti far riconoscere da lui prima che egli abbia finito di mangiare e di bere. Quando si sarà coricato – e tu dovrai sapere dove si è coricato – va’, scoprigli i piedi e sdraiati lì. Ti dirà lui ciò che dovrai fare». Rut le rispose: «Farò quanto mi dici». Anche qui c’è una frase che fa pensare. «Ti dirà lui ciò che dovrai fare». Si tratta Ruth come innocente ma era sposata da dieci anni, sa benissimo quello che deve fare. Ruth le rispose: «Farò quanto mi dici». Comunque, è sempre innocente nel senso che è sua suocera a decidere, lei ne segue i consigli. “Scese all’aia e fece quanto la suocera le aveva ordinato. Booz mangiò, bevve e con il cuore allegro – eufemismo per “un pochino ubriaco” – andò a dormire accanto al mucchio d’orzo. Allora essa venne pian piano, gli scoprì i piedi e si sdraiò. Verso mezzanotte quell’uomo ebbe un brivido di freddo, si girò e vide una donna sdraiata ai suoi piedi. Domandò: «Chi sei?». Rispose: «Sono Ruth, tua serva. Stendi il lembo del tuo mantello sulla tua serva – un’espressione bellissima della Bibbia che vuole dire: fammi compagnia -, perché tu hai il diritto di riscatto – perché era sua parente -». Egli disse: «Sii benedetta dal Signore, figlia mia! Questo tuo secondo atto di bontà (il primo atto di bontà era stato seguire sua suocera) è ancora migliore del primo, perché non sei andata in cerca di uomini giovani, poveri o ricchi che fossero. (Invece, intende in effetti Booz, hai pensato di continuare la linea della tua famiglia anche con un vecchio bacucco come me). Ora, figlia mia, non temere! Farò per te tutto quanto chiedi, perché tutti i miei concittadini sanno che sei una donna di valore. È vero: io ho il diritto di riscatto, ma c’è un altro che è parente più stretto di me. Passa qui la notte e domani mattina, se lui vorrà assolvere il diritto di riscatto, va bene, lo faccia; ma se non vorrà riscattarti, io ti riscatterò, per la vita del Signore! Rimani coricata fino a domattina». Ella rimase coricata ai suoi piedi fino alla mattina e si alzò prima che una persona la riconoscesse. Booz infatti pensava: «Nessuno deve sapere che questa donna è venuta nell’aia!». Le disse: «Apri il mantello che hai addosso e tienilo forte». Lei lo tenne ed egli vi versò dentro sei misure d’orzo. Glielo pose sulle spalle e Ruth rientrò in città”. Vedete che in un certo senso questa somiglia molto all’altra storia: qui è tutto diverso ma lo stesso il motivo, continuare la linea familiare. Alla fine, anche Booz gentiluomo non sfrutta la situazione. Se leggete dopo, vedrete che lui fa riscattare Ruth e la sposa. Però è un atto ambiguo perché va di notte a sedurre un uomo che è un parente, anche se non un rapporto proibito, a sedurlo per scopi suoi anche se sono una decisione della suocera. Il giudizio qui del testo è molto positivo.
Per finire, abbiamo visto tre figure molto periferiche: le figlie di Lot, senza nome, Tamar, che ha sedotto il padre del marito, e Ruth, che però è la moabita. Arriviamo alla sorpresa finale, che ormai non è più una sorpresa. Prima la lettura per gli ebrei, poi per i cristiani, va bene? Allora, l’ultima frase del libro di Ruth: “Questa è la discendenza di Peres: Peres generò Chesron, Chesron generò Ram, Ram generò Amminadab, Amminadab generò Nacson, Nacson generò Salmon, Salmon generò Booz, Booz generò Obed (il figlio di Ruth), Obed generò Iesse e Iesse generò Davide”.
Vedete che tutte e tre le figure vengono insieme dalla linea di Peres, da una parte Peres figlio di Tamar e la linea dei figli di Lot, che è Ruth la moabita, che è antesignana dell’antenato del re David. Da queste tre figure periferiche arriveremo al re David. Ora in Matteo, I capitolo: “Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechia, Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleazar, Eleazar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo”.
Lo stesso Gesù Cristo viene, in linea diretta, da una parte dalle figlie di Lot (che diventano Ruth) e dall’altra parte di Peres (figlio di Tamar) che arriva anche lui, finalmente. Questo è incredibile perché chi sapeva, chi poteva immaginare che il discendente delle figlie di Lot fosse il re Davide che è il Salvatore vostro Gesù Cristo stesso? Vorrei finire con un brano della lettera del Papa al Meeting. Dice: «Il tema scelto per quest’anno – Verso le periferie del mondo e dell’esistenza – riecheggia una costante sollecitudine del Santo Padre. Fin dal suo episcopato a Buenos Aires, Egli si rese conto che le "periferie" non sono soltanto luoghi, ma anche e soprattutto persone, come disse nel Suo intervento durante le Congregazioni generali prima del Conclave: “la Chiesa è chiamata ad uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria”». E’ la periferia. E qui ho sottolineato quella del mistero del peccato: chi avrebbe immaginato che da questo peccato non originale, però dalle figlie di Lot, si arrivi alla linea che finisce con il re Davide e Gesù Cristo? C’è poi una cosa che trovo molto bella, nel Deuteronomio. Dice: “Queste moabite non devono esserci”. Ma lo stesso re Davide viene da questa linea di moabite, che dovevano essere escluse per sempre. Non c’è “per sempre”, c’è sempre il perdono, grazie.
Devo aggiungere una cosa in due minuti, perché tante persone ieri sono venute al mio incontro sull’Europa, dove ho detto due cose. Che il dovere del religioso è veramente di impegnarsi nella giustizia, nella società, ma senza dimenticare che questa è solo una parte della vita religiosa; l’altra è questa ricerca della santità. E poi, quando parlava Simoncini sui nuovi diritti, ho detto: “Guarda, questo discorso dei diritti è una battaglia, ma non è la guerra”. Tante persone dopo mi sono venute a chiedere: “Allora, se quel problema dei nuovi diritti è solo una battaglia, qual è la guerra?”. Vorrei dare la risposta: ognuno deve definire la propria guerra. Io vi racconterò qual è la mia guerra, una lotta continua, ogni giorno. Comincio il giorno con la speranza che quando finirò la giornata potrò stare davanti a Dio senza imbarazzo, senza nessuna bugia, senza nessuna evasione: e avere fatto tutto quello che ci aspetta da me. Per me questa è la guerra, questa è la lotta continua. Quando morirò, se riuscirò a dire che ho vissuto in tutta la mia vita dieci giorni di questo tipo (finendo la giornata senza essere imbarazzato davanti a Dio), avrò vinto la guerra. Per me questa è la vera guerra. Grazie.
STEFANO ALBERTO:
Voglio rubarvi tre minuti per riprendere due questioni. La prima è che penso a tutti quelli che riecheggiano questa pagina di Matteo: la Chiesa, il rito romano, (in quello ambrosiano, è sparita la Novena di Natale). Ma nel rito romano è il primo giorno della Novena che precede il Santo Natale: genealogia di Gesù Cristo. E’ normalmente uno dei brani che alla maggior parte della gente, anche cristiani convinti, non dice niente. C’è una pagina di Guardini nel suo libro più famoso, Il Signore, che dice: ma questi nomi, questa carne, questa storia, ci dicono la cosa più sorprendente, che nella genealogia di nostro Signore c’è tutto. Io dico sempre: avessimo una genealogia così noi, con queste storie di incesto, prostituzione. Non so se la squaderneremmo nel curriculum vitae! Ma questa cosa ci fa vedere quella che per noi è la grande novità del Destino che diventa compagno della vita, arriva a condividere, con-di-vi-de-re la vita, è la vita vita, tutta la vita! Tutta la vita!
Questo ci apre alla seconda questione, no? Quella che lui ha chiamato la battaglia, la lotta, la guerra, che non è quella per “i valori”, non è quella per un cristianesimo ridotto a morale, per la difesa di un discorso o di regole. Perché, diciamocela tutta fino in fondo: anche se questa prospettiva non è facilissima da accettare. Noi viviamo in un tempo che è più simile a Sodoma e Gomorra. Possiamo vivere chiusi in casa, possiamo andare in giro pieni di paura, oppure possiamo essere noi stessi fino in fondo. A me colpisce molto il metterci davanti, è veramente sorprendente. Pensate, adesso uscirete, telefonate a casa: “Che incontri, di che cosa avete parlato oggi?”. “Incesto, prostituzione…”. Cioè, se la cosa venisse risaputa, magari qualche monsignore ci darebbe il cartellino giallo o rosso: ma è questa la parola di Dio! Allora, noi abbiamo due possibilità. Fate un test, non dovete rispondere questa volta: queste cose ci hanno scandalizzato? Ci hanno spaventato? Ci hanno infastidito? Ma questa è la parola di Dio, “OT”, “Old Testament”, “Holy Testament”. Queste cose ci hanno scandalizzato, messi a disagio, un po’ preoccupato, rattristato? Oppure, se il Signore è il Signore di tutto, sa usare anche le cose che noi facciamo fatica a guardare e a sentire, perché non sono cose belle, non sono cose in sé positive, non è che teorizziamo o difendiamo il male. Chiamiamo le cose per nome! Ma questo è veramente sorprendente: dire che “il destino non ha lasciato solo l’uomo” non è una nostra misura, non implica essere bravi, buoni, coerenti, essere in una società perfetta. Implica accorgerci, e questa è la lotta, questo è il grande lavoro. Che cosa ci è chiesto concretamente, giorno dopo giorno, nel riconoscere l’opera del Signore nella vita di ciascuno di noi? Sapendo che il Signore usa tutto, anche la contraddizione, anche il male, anche le prove più terribili di un mondo dove gli uomini vogliono ridurre la loro umanità ai loro capricci. Ma a noi non tocca la condanna perché questo renderebbe tutto sterile, ideologico, ci lascerebbe con l’amaro in bocca. Per essere aperti al Signore, per poter trovarci poi dove ci troveremo, con Joseph, a dire “almeno 10 giorni, almeno 10 giorni…”, occorre che la paura sia vinta, e la paura è vinta solo se uno si accorge di come il Signore è il Signore, fin dove arriva senza misura, senza nessuna precondizione, la Sua potenza che è soprattutto la Sua misericordia. Ringraziamo tantissimo ancora Joseph, lo accompagniamo nella fatica a Singapore e ci diamo appuntamento all’anno prossimo. Grazie.
JOSEPH H. H. WEILER:
Se ci sono qui i volontari, ora don Pino ed io andiamo alle Palme, sì, per fare pranzo con i ragazzi, con i volontari, tutti benvenuti.