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SE ACCENDONO LE STELLE, VUOL DIRE CHE QUALCUNO NE HA BISOGNO?
L’arte russa del XX secolo è segnata da un’instancabile ricerca della felicità e del senso della vita.
Questa ricerca, connaturale alla natura dell’uomo, assume nel mondo russo una particolare coloritura estetica; la cultura russa nasce infatti dall’incontro con il cristianesimo vissuto come esperienza di una bellezza indicibile: il fascino dell’incontro dell’uomo con Dio. “Non ci dimenticheremo mai tanta bellezza” dissero gli ambasciatori del principe Vladimir di Kiev, e così, nel 988, egli decise di diventare cristiano. Il dinamismo innescato dall’ideale di questa bellezza e della sua ricerca si pone da quel momento come punto di riferimento della cultura russa.
Non tutta la creatività umana si esaurisce direttamente in questa ricerca e in questo riferimento, ma tutta ne è indelebilmente segnata come dalla sua anima, come da un sottile ma irresistibile filo che consente di coglierne il significato. Per questo l’arte si presenta sempre in misura maggiore o minore come una “preghiera improvvisata”, una testimonianza resa al mistero presente nella vita dell’uomo. Irriducibile tanto a un’opera confessionale o ideologica quanto alla pura fuga dalla verità, l’arte è tutta compresa nel racconto di questa tensione e della vita che ne nasce.
La mostra intende documentare i passi salienti di questo racconto attraverso le vicende dell’arte russa, dai primi anni del XX secolo – quando le avanguardie nascono da una travolgente aspirazione a una vita nuova, aperta a ogni sorta di sperimentazione – all’epopea rivoluzionaria, quando in quest’ansia di novità un’ampia falda dell’arte russa incontra il disegno della rivoluzione, della sua ambizione di sostituire ala realtà il mondo dell’utopia, e se ne fa compagna di strada.
Ma nella pretesa ideologica l’umano bisogno di felicità verrà ridotto e poi più decisamente tradito.
Dopo che la rivoluzione avrà travolto gli artisti, facendone i propri complici o macinandoli nell’inferno dei campi, la testimonianza dell’arte, passata attraverso questa catastrofe, sarà quella di uno spazio di libertà e di felicità, non inventato dagli uomini ma scoperto, comunicato e reso visibile, attraverso una bellezza che era ritrovamento dell’unità, dopo le disgregazioni subite dall’uomo nei campi e persino dentro quelle stesse disgregazioni e la loro tragedia.
Si riscopriva così quella gratuità, quel senso di irriducibilità a qualsiasi piano o progetto utilitaristico e ideologico, che era stato il cuore nascosto dell’arte russa del XX secolo e al quale Majakovskij aveva dato espressione poetica nei versi che fanno da titolo alla mostra: “Se accendono le stelle, / vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?”.