Santa Messa

Per consentire l’ingresso alla Santa Messa la Fiera aprirà alle ore 10:00.

Presiede S.Em. Card. Matteo Maria Zuppi, Presidente CEI, Arcivescovo di Bologna. Concelebrano S.Em. Card. Dieudonné Nzapalainga, Arcivescovo di Bangui, Centrafrica; S. Ecc. Mons. Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini; S.Ecc. Mons. Filippo Santoro, Arcivescovo di Taranto.

SANTA MESSA

Zuppi: Oggi contempliamo il sogno del profeta: io non lo vedo molto perché ho le luci che stanno qui davanti, ma lo contempliamo. Forse, anzi ancora di più, ne abbiamo bisogno nelle tante avversità che ci mettono alla prova, qualche volta ci fanno sentire smarriti.

Vediamo un piccolo anticipo del Signore che viene, come abbiamo ascoltato, a radunare tutte le genti, tutte le lingue: “essi verranno e vedranno la mia gloria”. Sento e sentiamo tanta gioia e sempre nuovo stupore per questo popolo tratto dall’anonimato e dalla giungla della complessità nella quale poi facilmente ci si perde, coltivando il piccolo pezzetto dove uno pensa che sia tutto chiaro, e l’incanto così umano che ci libera dal disincanto che si deposita silenziosamente nel cuore e qualche volta e finisce per farci accorgere di Dio, della bellezza dei suoi doni.

Contempliamo la gloria di Dio, così diversa da quella degli uomini, spesso un po’ penosa, artefatta, traditrice dell’umanità stessa, sia per chi la esibisce che per chi la insegue. E poi la gloria degli uomini scappa sempre, qualche volta pensi di acciuffarla, ma scappa di nuovo.

Nell’antropologia digitale si nutre di followers, cura l’apparenza, spesso con grandi e vani sacrifici.

La gloria di Dio è così umana, ma proprio umana, tanto che si rivela nella fragilità, non nella forza, è per tutti e non per qualche influencer, impresario di sé stesso, e, sempre l’antropologia digitale, è molto facile, in tanti modi, e poi ci sono quelli che ci riescono parecchio, ma il rischio è che poi lo facciamo un po’ tutti.

È per gli altri la gloria di Dio, e per questo è anche di chi la trasmette.

La gloria di Dio la troviamo nella gioia di un muto che spiega finalmente il mondo che ha nel cuore, fosse un ragazzo che aiutiamo a sentirsi, a capire, fosse un disabile che scopre invece quanto è abile e quanto un mondo di disabili forti umiliano la vita.

La gloria di Dio è nelle lacrime asciugate di una donna che piangeva il figlio morto o nella speranza che si accende nel cuore di un peccatore raggiunto dalla luce dell’amore.

La gloria di Dio è in chi ha visto il suo angolo del mondo raggiunto dalla preferenza che sceglieva proprio lui. Ogni riferimento al testo al testo è voluto, in questo caso.

Oggi sono condotti qui tutti i vostri fratelli da tutte le genti, quelli i cui nomi portiamo scritti nel nostro cuore, quei compagni di strada che, per alcuni da tanti anni, camminano con noi, e anche per quei tanti che ci precedono nella strada per la festa senza fine, ad iniziare dal servo di Dio Luigi Giussani che ricordiamo nel centenario della nascita. Ci guardano dal cielo e noi li guardiamo, in un unico orizzonte infinito di amore. Quanto è vero che non si può avere Dio per padre se non si ha la Chiesa come madre! Prima era proiettata un’immagine bellissima perché molto concreta: Maria che dà il latte al bambino. Non possiamo avere Dio per padre se non abbiamo la Chiesa come Madre, lasciamoci un po’ allattare da questa madre di cui abbiamo tanto bisogno, e la Chiesa non è un’entità impalpabile, astratta, diafana, ma assume i tratti umani, spirituali della nostra esperienza, della carne, del carisma di questa chiamata che ci fa riconoscere il dono che siamo. Diceva don Giussani, “se il verbo si è fatto carne, è in una carne in cui noi lo troviamo, identicamente”, e quindi, sono sempre sue parole, “non un devoto ricordo o un vago sentimento di pietà per Gesù”. Che tristezza anche i cristiani figli di sé stessi che scambiano individualismo per maturità, che contrappongono l’appartenenza alla coscienza, come se fossero due cose diverse, la comunione alla responsabilità.

Un legame forte alla libertà interiore, la bellezza di essere qui ci fa godere di questa comunione che ci unisce fra noi e con la Chiesa tutta. Il nostro è un padre che corregge colui che ama, Dio ci tratta da figli, non da estranei, e da padre, non da padre-padrone, da padre e non da accompagnatore distratto che lascia fare, sostanzialmente per non essere padre. Ci sono tanti amiconi in giro che hanno paura di essere padri. Il nostro è il più grande amico della nostra vita ed è padre. Non è un asettico giudice che osserva e sentenzia, è un padre che non coltiva il sospetto, che non investe con il vento gelido di un giudizio distaccato, ma che ci mette davanti a noi stessi, aiutandoci a scegliere, a ritrovarci, aspettando che siamo noi a raggiungere la sua e la nostra casa per poterci abbracciare, per renderci di nuovo padroni di noi stessi.

Scriveva Péguy, e anche questo l’ho ripreso sempre da don Giussani, che nostro padre non ci possiede, ma desidera solo che cominciamo ad amarlo come uomini, liberamente, gratuitamente, aspettando l’ora segreta, quando i suoi figli cominciano a diventare uomini liberi e lui stesso trattato come uomo libero, quando la sottomissione cessa e quando i suoi figli diventati uomini, l’amano. E per ottenere questa libertà, questa gratuità ha sacrificato tutto. Per questo sforzatevi di entrare per la porta stretta, come ha detto prima mons. Lambiasi, sembra urticante anche questo. Gesù non allarga la porta dell’amore tanto da non significare più nulla, non ne fa una su misura come se questo fosse un volerci bene, perché Lui è la misura dell’amore, è la porta. Gesù guardò con amore l’uomo ricco, ma questi pensò che la porta che gli proponeva Gesù era troppo stretta perché nel suo cuore c’era la ricchezza, non capì l’amore del maestro, la passione che fa sentire nel cuore – queste sono parole di don Giussani -, la vibrazione ineffabile e totale. È una porta stretta sì, per le passioni tristi, è una porta stretta, quella della gratuità. Ci sembra stretta in un mondo dove a decidere è la porta larga della convenienza individuale o di gruppo; ma se prendi quella porta stretta, che qualche volta disprezziamo, dopo scopri la libertà dell’amore; guardate, la porta stretta non è quella della perfezione, come qualche volta purtroppo abbiamo pensato, e quindi chiaramente non funziona. Oppure se diventiamo dei presuntuosi e siamo di quelli che poi diranno: “Ma come, sono io!  Non ti conosco, hai sempre amato la tua perfezione, ma non hai amato me!”

Noi non amiamo perché siamo perfetti, ma siamo perfetti perché amiamo, mendicanti come siamo.

La porta del perdono è stretta all’inizio, ma poi si apre a ritrovare sé stessi e il fratello, la porta è stretta per chi pensa di provarne di infinite senza provare mai ad amare per davvero e ad amarsi per davvero. La cultura di oggi ritiene impossibile conoscere e cambiare sé stessi solo seguendo una persona, diceva Giussani, e l’esistenza di una porta stretta, infastidisce, ed è urticante, come diceva mons. Lambiasi, uomini come noi allettati dal facile e dal rapido, senza sforzo, convinti di avere diritto a tutto senza sacrificio, così perdendosi davanti alle prime difficoltà. Gesù per primo passerà la porta stretta del non salvare sé stessi e di bere il calice e di amare fino alla fine, ma è la porta dell’amore, ma non perché ci piace il calice, anche Gesù non lo voleva bere, ma per vincere il male, perché amiamo, perché è la porta dell’amore, che non scappa di fronte alla difficoltà, è la porta che passa chi ama, chi ama. Peccatore, come siamo tutti noi, che ama. Chi ha una passione per cui l’istante non è più banalità. È una espressione sempre di Don Giussani, è per chi non vuole vivere inutilmente. La passano i piccoli infatti, i peccatori, i mendicanti della vita, i sognatori che non si arrendono al vuoto dell’amore e alla depressione escatologica, cioè al vivere senza speranza. È la porta che si apre a quanti si mettono in cammino da oriente e da occidente, cioè che non pensano di essere loro il centro e cercano Gesù e il suo prossimo.

E la porta all’inizio stretta poi diventa incredibilmente larga, si apre all’infinito, tanto da raggiungere il mondo intero, da farci entrare nel regno dei Cieli, cioè nella felicità con tutti.

Ed entriamo per questa porta quando nella caritativa condividiamo quello che abbiamo con chi non ne ha. All’inizio sembra stretta, ma… Ce l’ho io, è mio, me lo tengo io! Perché debbo condividerlo? Poi tutti noi abbiamo paura che condividere significhi perdere, significa condividere e anzi, significa trovare, perché capisci quello che hai. Il tanto che hai, il senso anche di quello che hai. Ecco, è quella porta stretta di quando rendiamo amato il soffio della vita accompagnandolo dal suo inizio sino alla sua fine.

La porta diventa larga, mentre quella che sembra tanto larga, poi a un certo punto diventa stretta, perché si riduce al proprio io, è un imbuto al contrario. Il mondo e la Chiesa hanno bisogno della passione irriducibile, forte per l’umano, piena di Cristo e che riconosce in questo il desiderio di Dio. Dio che ci fa venire dall’oriente e dall’occidente da settentrione e da mezzogiorno che inizia a farci sedere a mensa nel regno suo. Dio sia benedetto, sia benedetta questa nostra vita da spendere, questa casa da costruire e amare con tutto noi stessi, questo mondo drammatico pieno di sofferenze e di morte, di spreco e di povertà per cui avere la compassione di Gesù e quella che ha vissuto e trasmesso Don Giussani che, appena ordinato, scrisse ad un amico, mi ha molto colpito: “È da parecchi anni -scrisse – che io non piango più che per due motivi: il pensiero dell’infelicità eterna dei fratelli uomini, e il pensiero dell’infelicità terrena degli uomini, simbolo di quella eterna. Noi – continuava Giussani – noi, Gesù ha scelto per gridare nel mondo il suo amore e la felicità degli uomini, la grande e inenarrabile felicità che ci attende”. Ma piangeva per due motivi che sono molto legati: l’infelicità eterna e l’infelicità terrena degli uomini.

È possibile la grande e inenarrabile felicità, cominciamo a viverla, la viviamo ed è il nostro ringraziamento di oggi per sentirla nel cuore, ma che sia anche la passione di ognuno per i nostri fratelli tutti, per quei fratelli uomini che facevano piangere Don Giussani.

Finisco con una preghiera che era cara a lui e cara anche, credo, a tutti voi. “Santa Maria, madre di Dio, conservami un cuore di fanciullo puro e limpido come acqua di sorgente, ottienimi un cuore semplice che non si ripieghi ad assaporare le proprie tristezze, un cuore magnanimo nel donarsi, facile alla compassione, un cuore fedele e generoso che non dimentichi alcun bene e non serbi rancore di alcun male. Formami un cuore dolce e umile, che ami senza esigere di essere riamato, contento di scomparire in altri cuori, sacrificandosi davanti al tuo divin figlio. Un cuore grande e indomabile così che nessuna ingratitudine lo possa chiudere e nessuna indifferenza lo possa stancare. Un cuore tormentato dalla Gloria di Cristo, ferito dal suo amore con una piaga che non si rimargini se non in cielo. E così sia.”

Data

21 Agosto 2022

Ora

11:00

Edizione

2022

Luogo

Auditorium Intesa Sanpaolo D3
Categoria
Incontri