Santa Messa

Santa Messa 24 agosto 2014

Presiede S. Ecc. Mons. Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini.

 

EMILIA GUARNIERI:
Benvenuti e grazie di essere venuti a questa trentacinquesima edizione del Meeting per l’amicizia tra i popoli, cui diamo inizio con la celebrazione della Santa Messa trasmessa in diretta Rai, presieduta dal vescovo di Rimini Sua Eccellenza Mons. Francesco Lambiasi, concelebrano Sua Eccellenza Mons. Luigi Bressan, Arcivescovo di Trento, Sua Eccellenza Mons. Lorenzo Leuzzi, vescovo vicario della diocesi di Roma, Padre Pier Battista Pizzaballa, custode di Terrasanta, don Francesco Braschi, presidente dell’associazione Russia Cristiana, don Stefano Alberto, docente di Teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e don Roberto Battaglia, assistente ecclesiastico diocesano della Fraternità di Comunione e liberazione.
Un avviso e una lieta comunicazione prima di dare lettura del messaggio del Santo Padre. L’avviso è che i ciliaci riceveranno la comunione qui, in auditorium, presso il megaschermo di sinistra, a metà del salone. La lieta comunicazione è che al termine della Santa Messa reciteremo l’Angelus collegandoci con Papa Francesco in Piazza S. Pietro.
Il messaggio inviatoci attraverso il vescovo di Rimini:

Eccellenza Reverendissima,
in occasione del XXXV Meeting per l’amicizia tra i popoli, sono lieto di far giungere a Lei, agli organizzatori, ai volontari e a quanti vi parteciperanno il cordiale saluto e la benedizione di Sua Santità Papa Francesco, insieme col mio personale auspicio di ogni bene per questa importante iniziativa.
Il tema scelto per quest’anno – Verso le periferie del mondo e dell’esistenza – riecheggia una costante sollecitudine del Santo Padre. Fin dal suo episcopato a Buenos Aires, Egli si rese conto che le “periferie” non sono soltanto luoghi, ma anche e soprattutto persone, come disse nel Suo intervento durante le Congregazioni generali prima del Conclave: «la Chiesa è chiamata ad uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria» (9 marzo 2013).
Perciò Papa Francesco ringrazia i responsabili del Meeting di avere accolto e diffuso il Suo invito a camminare in questa prospettiva. Una Chiesa “in uscita” è l’unica possibile secondo il Vangelo; lo dimostra la vita di Gesù, che andava di villaggio in villaggio annunciando il Regno di Dio e mandava davanti a sé i suoi discepoli. Per questo il Padre lo aveva mandato nel mondo.
Il destino non ha lasciato solo l’uomo è la seconda parte del tema del Meeting: un’espressione del servo di Dio don Luigi Giussani che ci ricorda che il Signore non ci ha abbandonati a noi stessi, non si è dimenticato di noi. Nei tempi antichi ha scelto un uomo, Abramo, e lo ha messo in cammino verso la terra che gli aveva promesso. E nella pienezza dei tempi ha scelto una giovane donna, la Vergine Maria, per farsi carne e venire ad abitare in mezzo a noi. Nazareth era davvero un villaggio insignificante, una “periferia” sul piano sia politico che religioso; ma proprio là Dio ha guardato, per portare a compimento il suo disegno di misericordia e di fedeltà.
Il cristiano non ha paura di decentrarsi, di andare verso le periferie, perché ha il suo centro in Gesù Cristo. Egli ci libera dalla paura; in sua compagnia possiamo avanzare sicuri in qualunque luogo, anche attraverso i momenti bui della vita, sapendo che, dovunque andiamo, sempre il Signore ci precede con la sua grazia, e la nostra gioia è condividere con gli altri la buona notizia che Lui è con noi. I discepoli di Gesù, dopo aver compiuto una missione, ritornarono entusiasti per i successi ottenuti. Ma Gesù disse loro: «Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20-21). Non siamo noi a salvare il mondo, è solo Dio che lo salva.
Gli uomini e le donne del nostro tempo corrono il grande rischio di vivere una tristezza individualista, isolata anche in mezzo a una quantità di beni di consumo, dai quali comunque tanti restano esclusi. Spesso prevalgono stili di vita che inducono a porre la propria speranza in sicurezze economiche o nel potere o nel successo puramente terreno. Anche i cristiani corrono questo rischio. «È evidente – afferma il Santo Padre – che in alcuni luoghi si è prodotta una “desertificazione” spirituale, frutto del progetto di società che vogliono costruirsi senza Dio» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 86). Ma questo non ci deve scoraggiare, come ci ricordava Benedetto XVI inaugurando l’Anno della fede: «Nel deserto si torna a scoprire il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso manifestati in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indichino la via verso la Terra promessa e così tengono viva la speranza» (Omelia nella Santa Messa di apertura dell’Anno della fede, 11 ottobre 2012).
Papa Francesco invita a collaborare, anche con il Meeting per l’amicizia tra i popoli, a questo ritorno all’essenziale, che è il Vangelo di Gesù Cristo. «I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma “per attrazione”» (Evangelii gaudium, 14), cioè «attraverso una testimonianza personale, un racconto, un gesto, o la forma che lo stesso Spirito Santo può suscitare in una circostanza concreta» (ibid., 128).
Il Santo Padre indica ai responsabili e ai partecipanti al Meeting due attenzioni particolari.
Anzitutto, invita a non perdere mai il contatto con la realtà, anzi, ad essere amanti della realtà. Anche questo è parte della testimonianza cristiana: in presenza di una cultura dominante che mette al primo posto l’apparenza, ciò che è superficiale e provvisorio, la sfida è scegliere e amare la realtà. Don Giussani lo ha lasciato in eredità come programma di vita, quando affermava: «L’unica condizione per essere sempre e veramente religiosi è vivere sempre intensamente il reale. La formula dell’itinerario al significato della realtà è quella di vivere il reale senza preclusioni, cioè senza rinnegare e dimenticare nulla. Non sarebbe infatti umano, cioè ragionevole, considerare l’esperienza limitatamente alla sua superficie, alla cresta della sua onda, senza scendere nel profondo del suo moto» (Il senso religioso, p. 150).
Inoltre, invita a tenere sempre lo sguardo fisso sull’essenziale. I problemi più gravi, infatti, sorgono quando il messaggio cristiano viene identificato con aspetti secondari che non esprimono il cuore dell’annuncio. In un mondo nel quale, dopo duemila anni, Gesù è tornato ad essere uno sconosciuto in tanti Paesi anche dell’Occidente, «conviene essere realisti e non dare per scontato che i nostri interlocutori conoscano lo sfondo completo di ciò che diciamo o che possano collegare il nostro discorso con il nucleo essenziale del Vangelo che gli conferisce senso, bellezza e attrattiva» (Evangelii gaudium, 34).
Per questo, un mondo in così rapida trasformazione chiede ai cristiani di essere disponibili a cercare forme o modi per comunicare con un linguaggio comprensibile la perenne novità del Cristianesimo. Anche in questo occorre essere realisti. «Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada» (ibid., 46).
Sua Santità offre queste riflessioni come contributo alla settimana del Meeting, a tutti coloro che vi parteciperanno, in particolare ai responsabili, agli organizzatori e ai relatori che giungeranno dalle periferie del mondo e dell’esistenza per testimoniare che Dio Padre non lascia soli i suoi figli. Il Papa auspica che tanti possano rivivere l’esperienza dei primi discepoli di Gesù, i quali, incontrandolo sulla riva del Giordano, si sentirono domandare: «Che cosa cercate?». Possa questa domanda di Gesù accompagnare sempre il cammino di quanti visitano il Meeting per l’amicizia tra i popoli.
Mentre chiede di pregare per Lui e per il Suo ministero, Papa Francesco invoca la materna protezione della Vergine Madre e di cuore invia a Vostra Eccellenza e all’intera comunità del Meeting la Benedizione Apostolica.
Nel pregare Vostra Eccellenza di assicurare anche il mio personale augurio, profitto della circostanza per confermarmi con sensi di distinto ossequio.
Devotissimo Pietro Card. Parolin

OMELIA DI SUA ECC. MONS. FRANCESCO LAMBIASI:
Incontrare Gesù è l’avventura di molti, è il sogno di tanti, il bisogno di tutti. Quel giorno dalle parti di Cesarea di Filippo, città tutta pagana, estrema periferia geografica ed esistenziale dell’alta Galilea, Pietro ancora una volta incontrò Gesù e lo vide sotto una luce nuova e Gesù incontrò Pietro ancora una volta e gli promise di poggiare l’edificio della Chiesa sulle sue spalle. Certo, Simone figlio di Giovanni era già inciampato nella vita allo sbando di quel Gesù di Nazareth e da diverso tempo ormai non poteva più fare a meno di andargli dietro. La prima volta lo aveva incontrato durante una magra battuta di pesca sulle rive del lago di Tiberiade. Era rimasto incantato, era rimasto letteralmente incatenato da quello sguardo irresistibile e da lui si era sentito rovesciare addosso quella promessa esorbitante: “Io farò di te un pescatore di uomini”. Poi lo aveva incontrato sul monte insieme ad undici compagni e ad una folla straripante e si era abbeverato ad ampi sorsi a quelle parole luminose e dissetanti: “Beati i poveri, beati i puri di cuore, beati gli artigiani della pace, beati gli assetati della giustizia”. Poi tante volte Pietro aveva mangiato e bevuto con Lui, aveva assistito sorpreso e sbalordito ai Suoi miracoli, si era spellato le mani al sentire le Sue repliche infuocate alle pretestuose polemiche di scribi e farisei e tante volte aveva provato un brivido a pelle ogni volta che il Maestro baciava i lebbrosi e abbracciava i bambini. E ogni volta come fosse la prima, eppure nessun incontro col giovane Rabbì galileo era la fotocopia del precedente, anzi risultava fresco, nuovo e del tutto inedito: con un Maestro così era del tutto impossibile andare in automatico. Ma quel giorno sotto l’azzurro fitto del cielo ai piedi dell’Ermon, alla domanda stringente e ineludibile del Maestro “ma voi, ma voi, chi dite che io sia?”, Simone si è ritrovato sulle labbra parole più grandi di lui: “Tu sei il Messia, Tu sei il figlio del Dio vivente”. Di getto, il primo dei dodici aveva parlato per tutti i suoi compagni. Illuminato dall’alto, Simone aveva captato il mistero di Gesù e Gesù di schianto aveva affidato a Simone la guida della Sua Chiesa: “su di te, come su una roccia io edificherò la mia Chiesa”. Al sentire per la prima volta il Maestro chiamarlo roccia, Pietro deve aver piantato i suoi occhi smarriti negli occhi di Gesù, come a dirgli “Maestro, io roccia, io così friabile, io così fragile, io così duro fuori e fragile dentro”, in un lampo il primo dei dodici avrà forse visto la Chiesa diventata così grande e preoccupata soprattutto di difendersi o così sicura da bastare a se stessa come tutte le costruzioni umane, avrà forse intravisto i tradimenti, le presunzioni, i cedimenti, a cominciare dai suoi? Anche noi oggi, fratelli e sorelle, anche noi oggi siamo collocati da Gesù di fronte al Mistero, siamo definitivamente posti dinanzi alla domanda così diretta, così assoluta: “ma voi, ma voi, chi dite che io sia?”. E noi, cosa gli rispondiamo?
“Tu sei un profeta, autorevole, tutto d’un pezzo, superiore alla media ma pur sempre un profeta, un portavoce di Dio ma non proprio il figlio di Dio in carne ed ossa”. Oppure: “tu sei il simbolo più riuscito dello spirito umano, un Socrate superiore e perfetto, il cavaliere del sogno più bello, un dolce poeta errante, ma non proprio il Cristo il Messia, l’unico salvatore di tutti”.
Ancora Gli rispondiamo: “Tu sei un grande personaggio religioso, magari testa di serie, ma non un vero e proprio fuori-serie”.
Anche a noi oggi, fratelli e sorelle, Gesù affida la sua Chiesa. Questa casa con crepe e brecce che ha continuo bisogno di essere riparata, come la Chiesa tutta rovina del tempo di Francesco d’Assisi. E noi, noi non ci sentiamo affatto delle rocce ma solo delle piccole pietre, dei poveri sassetti; ma nessun sassetto al mondo è inutile, altrimenti, diceva Fellini ne “La strada” giusto sessant’anni fa, altrimenti “tutto sarebbe inutile, anche le stelle”.
Anzi in mano a Gesù ogni sassetto diventa prezioso perché Lui è fatto così: prende il primo ciottolo che incontra per la strada e lo colloca dove ne ha bisogno. Quel ciottolo sei tu, sono io, ognuno di noi. Lui ti guarda con infinita tenerezza e Si mette a cesellare la tua povera vita, getta via le cianfrusaglie ma non ti fa fare brutta figura. E che ti importa se ti mette sopra, una volta che tutti ammirano o sotto il pavimento a cui nessuno bada? Ciò che importa è trovarti nelle Sue mani disponibile, per essere collocato là dove Lui da sempre ti ha sognato, nel posto preparato apposta per te. E tutti noi, per quanto piccoli sassi, siamo resi dal Suo amore pietre vive e dunque abbiamo una voce e possiamo gridare a Dio la nostra felicità.

ANGELUS DI PAPA FRANCESCO:
Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Il Vangelo di questa domenica è il celebre passo centrale del racconto di Matteo in cui Simone, a nome dei dodici, professa la sua fede in Gesù come il Cristo il figlio del Dio vivente e Gesù chiama beato Simone per questa fede riconoscendo in essa un dono, un dono speciale del Padre e gli dice: “tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. Fermiamoci un momento, proprio su questo punto: sul fatto che Gesù attribuisce a Simone questo nuovo nome, “Pietro”, che nella lingua di Gesù suona “Chefa”, una parola che significa roccia. Nella Bibbia questo termine “roccia” è riferito a Dio, Gesù lo attribuisce a Simone non per le sue qualità, per i suoi meriti umani ma per la sua fede genuina e salda, che gli viene dall’alto. Gesù sente nel suo cuore una grande gioia perché riconosce in Simone la mano del Padre, l’azione dello Spirito Santo. Riconosce che Dio Padre ha dato a Simone una fede affidabile sulla quale lui, Gesù, potrà costruire la sua Chiesa cioè la sua comunità cioè tutti noi. Gesù ha in animo di dare vita alla sua Chiesa, un popolo fondato non più sulla discendenza, ma sulla fede, vale a dire sul rapporto con Lui stesso, un rapporto di amore e di fiducia; il nostro rapporto con Gesù costruisce la Chiesa e dunque per iniziare la sua Chiesa Gesù ha bisogno di trovare nei discepoli una fede solida, una fede affidabile. E’ questo che Lui deve verificare a questo punto del cammino e per questo fa la domanda. Il Signore ha in mente l’immagine del costruire, l’immagine della comunità come edificio; ecco perché, quando sente la professione di fede schietta di Simone, lo chiama “roccia” e manifesta l’intenzione di costruire la sua Chiesa sopra questa fede. Fratelli e sorelle, ciò che è avvenuto in modo unico in san Pietro avviene anche in ogni cristiano che matura una sincera fede in Gesù Cristo figlio del Dio vivente; il Vangelo di oggi interpella anche ognuno di noi. Come va la tua fede? Ognuno dia la risposta nel suo cuore. Come va la tua fede? Cosa trova il Signore nei nostri cuori? Un cuore saldo come la pietra o un cuore sabbioso cioè dubbioso, diffidente, incredulo? Ci farà bene nella giornata di oggi pensare a questo. Se il Signore trova nel nostro cuore una fede, non dico perfetta ma sincera e genuina, allora lui vede anche in noi della pietre vive con cui costruire la sua comunità. Di questa comunità la pietra fondamentale è Cristo, pietra angolare e unica; da parte sua Pietro è pietra in quanto fondamento visibile della Chiesa, ma ogni battezzato è chiamato ad offrire a Gesù la propria fede povera ma sincera, perché lui possa continuare a costruire la sua Chiesa, oggi, in ogni parte del mondo. Anche ai nostri giorni tanta gente pensa che Gesù sia un grande profeta, un maestro di sapienza, un modello di giustizia e anche oggi Gesù domanda ai suoi discepoli, cioè a noi, a noi tutti: ma voi chi dite che io sia? Un profeta, un maestro di sapienza, un modello di giustizia? Che cosa risponderemmo noi? Pensiamoci ma soprattutto preghiamo Dio padre perché ci dia la risposta e per intercessione della Vergine Maria preghiamolo che ci dia la grazia di rispondere con cuore sincero: tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente; questa è una confessione di fede, questo è il credo proprio, ma possiamo ripeterlo tre volte tutti insieme: Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente. Tutti insieme: Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente; Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente; Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente.

Data

24 Agosto 2014

Ora

10:45

Edizione

2014

Luogo

Auditorium Intesa Sanpaolo D5
Categoria
Incontri