Chi siamo
Santa Messa
Celebra S. Ecc. Mons. Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini.
EMILIA GUARNIERI:
Possiamo iniziare con due comunicazioni: la prima che mi prega di fare Sua Eccellenza Mons. Lambiasi, Vescovo di Rimini, dicendovi che questo leggero ritardo non è assolutamente nelle abitudini di Sua Eccellenza e, invero, neanche del Meeting. Dipende da un disguido tecnico e non da un ritardo del Vescovo. La seconda comunicazione è che i ciliaci riceveranno l’Eucaristia sotto il mega-schermo di sinistra, a metà dell’Auditorium. Ora vi do lettura del messaggio del Santo Padre per questa trentunesima edizione del Meeting, indirizzato al Vescovo di Rimini.
Eccellenza Reverendissima,
con gioia ho il piacere di trasmettere il cordiale saluto del Santo Padre a Vostra Eccellenza, agli organizzatori e a tutti i partecipanti al Meeting per l’Amicizia tra i Popoli, che si svolge a Rimini. Quest’anno il titolo della vostra importante manifestazione – “Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore” – ci ricorda che al fondo della natura di ogni uomo si trova un’insopprimibile inquietudine che lo spinge alla ricerca di qualcosa che soddisfi questo suo anelito. Ogni uomo intuisce che proprio nella realizzazione dei desideri più profondi del suo cuore può trovare la possibilità di realizzarsi, di compiersi, di diventare veramente se stesso. L’uomo sa che non può rispondere da solo ai propri bisogni. Per quanto si illuda di essere autosufficiente, egli sperimenta che non può bastare a se stesso. Ha bisogno di aprirsi ad altro, a qualcosa o a qualcuno, che possa donargli ciò che gli manca. Deve, per così dire, uscire da se stesso verso ciò che sia in grado di colmare l’ampiezza del suo desiderio. Come il titolo del Meeting sottolinea, non qualsiasi cosa è la meta ultima del cuore dell’uomo, ma solo le “cose grandi”.
L’uomo è spesso tentato di fermarsi alle cose piccole, a quelle che danno una soddisfazione ed un piacere “a buon mercato”, a quelle che appagano per un momento, cose tanto facili da ottenere, quanto ultimamente illusorie. Nel racconto evangelico delle tentazioni di Gesù (cfr. Mt 4, 1-4) il diavolo insinua che sia “il pane”, cioè la soddisfazione materiale, a poter appagare l’uomo. Questa è una menzogna pericolosa, perché contiene solo una parte di verità. L’uomo, infatti, vive anche di pane, ma non di solo pane. La risposta di Gesù svela la falsità ultima di questa posizione: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4). Dio solo basta. Lui solo sazia la fame profonda dell’uomo. Chi ha trovato Dio, ha trovato tutto. Le cose finite possono dare barlumi di soddisfazione o di gioia, ma solo l’infinito può riempire il cuore dell’uomo: “inquietum est cor nostrum, donec requiescat in Te – il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te” (Sant’ Agostino, Le Confessioni, I, 1.).
L’uomo, in fondo, ha bisogno di un’unica cosa che tutto contiene, ma prima deve imparare a riconoscere, anche attraverso i suoi desideri e i suoi aneliti superficiali, ciò di cui davvero necessita, ciò che veramente vuole, ciò che è in grado di soddisfare la capacità del proprio cuore. Dio è venuto nel mondo per risvegliare in noi la sete di “cose grandi”. Lo si vede bene in quella pagina evangelica, di inesauribile ricchezza, che narra dell’incontro di Gesù con la donna samaritana (cfr. Gv 4,5 – 42), di cui Sant’ Agostino ci ha lasciato un commento luminoso. La samaritana viveva l’insoddisfazione esistenziale di chi non ha ancora trovato ciò che cerca: aveva avuto “cinque mariti” ed in quel momento conviveva con un altro uomo.
Quella donna, come faceva abitualmente, era andata ad attingere acqua al pozzo di Giacobbe e vi trovò Gesù, seduto, “stanco del viaggio”, nella calura del mezzogiorno. Dopo averle chiesto da bere, è Gesù stesso che le offre dell’acqua, e non una qualsiasi, ma “un’acqua viva”, capace di estinguere la sua sete. E così egli si faceva spazio “a poco a poco […] nel cuore di lei” (Sant’ Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, XV, 12), facendo emergere il desiderio di qualcosa di più profondo della semplice necessità di soddisfare la sete materiale. Sant’ Agostino commenta: “Colui che domandava da bere, aveva sete del desiderio di quella donna” (Ibid. XV, 11).
Dio ha sete della nostra sete di Lui.
Lo Spirito Santo, simboleggiato dall’ “acqua viva” di cui parlava Gesù, è proprio quel potere vitale che placa la sete più profonda dell’uomo e gli dona la vita totale, quella vita che egli cerca e attende senza conoscerla. La samaritana lasciò allora a terra la brocca “che ormai non le serviva più, anzi era diventata un peso: era avida ormai di dissetarsi solo di quell’ acqua” (Ibid. XV,30). Anche i discepoli di Emmaus vivono di fronte a Gesù la stessa esperienza. È ancora il Signore che fa “ardere il loro cuore” ai due mentre camminavano “col volto triste” (cfr. Lc 24,13-35). Pur senza riconoscere Gesù risorto, durante il tragitto compiuto insieme a lui, essi si sentivano il cuore “ardere nel petto”, riprendere vita, tanto che, arrivati a casa, “insistettero” affinché egli restasse con loro. “Resta con noi, Signore”: è l’espressione del desiderio che palpita nel cuore di ogni essere umano. Questo desiderio di “cose grandi” deve trasformarsi in preghiera. I Padri sostenevano che pregare non è altro che cambiarsi in desiderio struggente del Signore. In un bellissimo testo Sant’ Agostino definisce la preghiera come espressione del desiderio e afferma che Dio risponde allargando verso di Lui il nostro cuore: “Dio […] suscitando in noi il desiderio, estende il nostro animo; ed estendendo il nostro animo, lo rende capace di accoglierlo” (Commento alla Prima Lettera di Giovanni, IV,6).
Da parte nostra dobbiamo purificare i nostri desideri e le nostre speranze per poter accogliere la dolcezza di Dio. “Questa – continua Sant’ Agostino – è la nostra vita: esercitarsi nel desiderio” (Ibid.). Pregare davanti a Dio è un cammino, una scala: è un processo di purificazione dei nostri pensieri, dei nostri desideri. A Dio possiamo chiedere tutto. Tutto ciò che è buono. La bontà e la potenza di Dio non conoscono un limite tra cose grandi e piccole, tra cose materiali e spirituali, tra cose terrene e celesti. Nel dialogo con Lui, portando tutta la nostra vita davanti al suoi occhi, impariamo a desiderare le cose buone, a desiderare, in fondo, Dio stesso. Si narra che, in uno dei suoi momenti di preghiera, San Tommaso d’Aquino sentì il Signore Crocifisso diRgli: “Hai scritto bene di me Tommaso; che cosa desideri?”. “Nient’altro che Te”, fu la risposta del Santo dottore. “Nient’altro che Te”. Imparare a pregare è imparare a desiderare e, così, imparare a vivere.
A cinque anni dalla scomparsa di Mons. Luigi Giussani, il Sommo Pontefice si unisce spiritualmente agli aderenti al Movimento di Comunione e Liberazione. Come ebbe modo di ricordare durante l’udienza in Piazza San Pietro il 24 marzo 2007, “don Giussani si impegnò […] a ridestare nei giovani l’amore verso Cristo, Via, Verità e Vita, ripetendo che solo Lui è la strada verso la realizzazione dei desideri più profondi del cuore dell’uomo”.
Nell’affidare ai partecipanti al Meeting queste riflessioni, auspicando che siano d’aiuto per riconoscere, incontrare e amare sempre di più il Signore e testimoniare nel nostro tempo che le “cose grandi” a cui anela il cuore umano si trovano in Dio, Sua Santità Benedetto XVI assicura la Sua preghiera e ben volentieri invia a Vostra Eccellenza, ai responsabili ed organizzatori e a tutti i presenti la Benedizione Apostolica. Unisco cordialmente anche il mio augurio e mi valgo della circostanza per confermarmi con sensi di distinto ossequio
Dell’ Eccellenza Reverendissima
dev.mo nel Signore
Tarcisio Card. Bertone
Segretario di Stato
La nostra gratitudine al Santo Padre, che abbiamo espresso, avrà oggi anche un’altra occasione per esprimersi in quanto la Libreria Editrice Vaticana – l’avrete visto dai programmi del Meeting – ha scelto questa circostanza, il Meeting di Rimini, per presentare in anteprima per l’Italia il primo volume dell’Opera Omnia di Benedetto XVI dedicato alla teologia della liturgia, questa sera qui al Meeting alle ore 19.00. Questa Messa, la Messa inaugurale della 31° edizione del Meeting viene celebrata in memoria di don Giancarlo Ugolini. Don Giancarlo è il sacerdote riminese che insieme ad alcuni di noi ha dato inizio nell’ ’80 al Meeting. Questo è il primo Meeting senza don Giancarlo. Don Giancarlo è stato molto legato all’esperienza del Meeting e quindi ricordare lui significa sottolineare proprio alcuni aspetti caratteristici della sua persona che lo hanno legato e che lo tengono tuttora legato a questo evento. Don Giancarlo ha condiviso sin dall’inizio l’avventura del Meeting. La sua compagnia, discreta quanto decisa, è all’origine di questi 31 anni di esperienza. Fu lui, come avrete occasione di vedere nello spazio dedicato a don Giussani nella hall centrale, fu lui che per primo, nel 1980, dopo il primo Meeting, ne raccontò a don Giussani l’esperienza. A don Giancarlo il Meeting piaceva, è sempre piaciuto. Gli piaceva perché don Giancarlo amava le grandi sfide. Don Giancarlo amava il rischio dei rapporti nuovi, il rischio di cose diverse, di scoperte nuove. Amava la bellezza delle cose belle, delle cose grandi, amava la bellezza della poesia, la bellezza dell’arte. Era profondamente appassionato alla realtà, al presente, all’attualità, lui che all’inizio della giornata passava quasi senza soluzione di continuità dalla Santa Messa alla lettura dei quotidiani. Aveva il gusto della libertà degli altri, amava lasciarsi provocare da chi era diverso e ci testimoniava il cristianesimo come passione per l’uomo e come slancio ad una presenza sociale e culturale. Tutti questi fattori, che erano in lui parte della sua personalità e della sua progressiva crescita, hanno sicuramente segnato la natura del Meeting. Nell’appartenenza sua e nostra all’amicizia con don Giussani, nell’esperienza di Comunione e Liberazione questi fattori sono stati proprio le pietre che hanno segnato il cammino. Gli siamo grati per quanto ha saputo essere padre, proprio in quanto lui è stato figlio. Ma la gratitudine più grande che io ho per don Giancarlo è per avermi insegnato una cosa fondamentale che riguarda il Meeting. Una volta, nell’imminenza di uno dei primi Meeting, con la burbera decisione che lo contraddistingueva, mi disse: “Ricordati, il Meeting non è nostro, non lo possiamo possedere”. Oggi per lui, il riconoscimento del Signore che fa tutte le cose, è una piena evidenza; per noi è il mistero di una Presenza alla quale con il gesto di questa Santa Messa affidiamo il lavoro, gli incontri, gli avvenimenti che segneranno la storia di queste giornate.
OMELIA DI SUA ECC. MONS. FRANCESCO LAMBIASI, VESCOVO DI RIMINI
Dio è padre ma il suo è anche un cuore di madre. Lo aveva confidato il Signore stesso a Israele cinque secoli prima di Cristo per bocca di Isaia, nel cui rotolo è scritto: “Si dimentica, forse, una mamma del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?”. Ma solo Gesù poteva dirci fino a che punto si spinge il cuore materno di Dio Padre, fino al punto da sognare per i suoi figli la felicità più appagante che si possa pensare, anzi fino al punto da preparare per essi un pieno di felicità straripante quale non si possa neanche lontanamente immaginare. Per questo il Padre, volendo realizzare il capolavoro della sua arte creatrice, l’uomo, lo ha dotato di quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi, il cuore e ha posto in calce al cuore il suo autografo, il desiderio della felicità, di una felicità a misura dei figli di Dio, incontaminata, interminabile, indistruttibile, una felicità umana corposamente umana non meno che divina. Il nome più appropriato a questo desiderio di felicità è desiderio di Dio. Ogni cucciolo d’uomo viene al mondo portandosi incorporato nel suo dna la nostalgia della patria. In effetti il desiderio di Dio che ci arde in cuore non ce lo siamo dato noi, viene da Lui,. È un desiderio che comincia all’accusativo e non al nominativo. Desidero Dio perché Dio desidera me e la mia felicità. Per questo ha acceso in me la sete di Lui. Non possiamo erigerci presuntuosamente a creatori del desiderio ma dobbiamo essere umilmente testimoni stupefatti dell’avvenimento e l’avvenimento è accaduto. Gesù è venuto a comunicarci che non siamo fatti solo di terra, siamo fatti anche di cielo. È venuto a confidarci che la nostra felicità sarà il massimo quando Dio sarà tutto in tutti e noi suoi figli saremo in comunione tutti con tutti. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel Regno di Dio. Nell’odierna sequenza evangelica, Gesù dipinge la felicità con i colori squillanti della festa, una sconfinata sala strapiena, una mensa imbandita, un brulichio di volti, di moltitudini, di linguaggi, un vorticoso intrecciarsi di arrivi, di abbracci, di canti, di danze. Una festa senza fine. Lo spirito di Dio nel cuore di ognuno, il Figlio di Dio che passa a servire Lui i commensali, il Padre che gode una gioia straripante perché vede tutti radunati in casa i suoi figli, ritornati finalmente fratelli, capaci di perdonarsi e di fare festa insieme. Torniamo al cuore. Minuscola particella del creato, il cuore dell’uomo è come una goccia di rugiada che riflette l’intera volta del cielo o, se si vuole, nell’intero universo il cuore è come un granello di polvere aperto al mare senza sponde di un mistero sconfinato. È come una voragine senza fondo, come un crepaccio riarso di assoluto. Un baratro è l’uomo – scrive il salmista – e il suo cuore un abisso. Circoscritto nei suoi limiti, illimitato nelle sue aspirazioni, il cuore umano risulta malato di una patologia grave: il narcisismo. Il peccato delle origini ha ferito il cuore dell’uomo facendolo ripiegare su stesso e illudendolo di poter trovare una felicità tutta per sé senza Dio e senza gli altri. Ma essere felici da soli non è difficile, è impossibile. Se vivere è condividere la vita, è con-vivere, la felicità è nella convivialità delle differenze; se la vita terrena non viene vissuta come un allenamento a mangiate e a fare festa tutti insieme, il mangiare da soli è di una inconsolabile tristezza e di una noia ammorbante. Quando l’uomo cade vittima del miraggio di poter essere felice da solo si autocondanna all’infelicità. Per questo Omero, da qualche parte, dice che l’uomo è il più infelice di quanti animali respirano sulla terra. Acuto esploratore delle abissali profondità del cuore umano, Don Giussani ha messo magistralmente in luce le dinamiche del desiderio della felicità, lo ha fatto non un racconto che mi piacerebbe intitolare la parabola della piazza. Un gruppo di gente si ritrova a parlare nella piazzetta del villaggio, passa uno, si ferma a parlare con loro e dicono: “Quest’ uomo è meraviglioso”. Scocca la scintilla del desiderio, il desiderio che quell’uomo lì rimanga, metta a posto le faccende di casa, che quell’uomo lì risponda ad urgenze, emergenze, attese. La fede nasce come riconoscimento di una presenza eccezionale, Cristo. L’esperienza dell’incontro con la sua presenza fa scaturire nell’uomo un desiderio circa il suo futuro, il desiderio che le attese più alte si compiano. Ma come può questo desiderio diventare speranza, incrollabile certezza che il desiderio nel futuro si compirà? La certezza che questo accadrà – risponde don Giussani – può derivare soltanto dalla fede, solo in quanto uno si abbandona, si fida e si abbandona alla Presenza che la fede ha indicato. Insomma, il desiderio non è autogarantito contro l’infortunio di non avverarsi, ma diventa sicuro di sé, che cioè si attui quello che il cuore desidera, perché la grande Presenza non solo ha suscitato il desiderio ma ha promesso che si compirà. Infatti, la grande Presenza coincide di diritto e di fatto con la grande Promessa. Facciamo un ultimo passo. La domanda posta a Gesù era: “sono pochi quelli che si salvano?”. Gesù non risponde sul numero dei salvati ma sulle condizioni che si riassumono in una sola, irrinunciabile: bisogna sforzarsi di passare per la porta stretta, la porta del regno è fatta dalle assi che vengono dal legno della croce ma è stretta perché ha per misura quella del Dio fatto bambino. Ecco la condizione per passare dalla porta stretta: diventare come bambini, farsi piccoli, lasciare fardelli e bagagli, sgonfiarsi di presunzioni e di immaginari titoli di credito, alleggerirsi di ansie, affanni e angosce, svuotarsi di rabbie, sgombrarsi di amarezze, altrimenti ci sentiremo dire: “Voi, non so di dove siete”. Ma come?! Tutta la vita a cercarti, ad ascoltarti, a celebrarti e ora Tu ci allontani? Niente da fare. Possiamo bussare quanto vogliamo ma la porta rimane ineluttabilmente chiusa, desolatamente sprangata. Come fare, allora, per essere riconosciuti dal Signore? Io vengo riconosciuto dal Signore se Lui potrà rispecchiarsi in me, se nel mio cuore troverà tracce riflesse del figlio, fatto piccolo bambino, se leggerà nel mio cuore gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. Ricordiamo la lezione di Nicodemo: uno non può rinascere quando è vecchio. Forse diversi tra di noi debbono onestamente ammettere: “io sono ancora giovane, Signore, ma sono tanto vecchio dentro il cuore”. Tutti abbiamo bisogno di un cuore di bimbo ma nessuno è capace di procurarselo da sé, eppure il comando del Signore è inesorabile: se non vi convertirete e non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli. Solo il Padre Nostro che è nei cieli può trapiantare in noi il cuore del Figlio fatto bambino e il bambino sa di non meritarsi nulla e accoglie tutto come un dono. Intatti il regno di Dio non è un privilegio per pochi raccomandati di lusso, è un dono e un dono non si merita ma si accoglie. Chi non accoglie il Regno di Dio come l’accoglie un bambino – è sempre parola del Signore – non entrerà in esso. Solo chi è mite e umile di cuore come Gesù può desiderare cose grandi, altrimenti rischia di scambiarle per le cose umanamente grandiose che non sono mai quelle veramente grandi. A fare nostri questi pensieri ci può aiutare ancora una volta don Giussani. “Quel più che ognuno desidera, quel più vago ma urgente, ignoto spesso o normalmente incosciente diventa una realtà altrettanto pensabile, chiara, familiare come una persona con cui si faccia dialogo continuamente a mensa, con cui si viva sempre sotto lo stesso tetto, si mangi, si discorra.” Nel messaggio indirizzato ai promotori e ai partecipanti di questo Meeting, il Cardinale Segretario di Stato ricorda che in uno dei suoi momenti di preghiera – secondo Guglielmo di Tocco, suo primo biografo – Tommaso ha avuto la visione che il Cardinale Segretario di Stato riporta. A Fossanova, prima di morire, in uno dei suoi momenti di preghiera, San Tommaso d’Aquino sentì il Signore Crocefisso dirgli: “Hai scritto bene di me, Tommaso. Che cosa desideri?”. “Nient’altro che Te – fu la risposta del Santo Dottore – nient’altro che Te”. Imparare a pregare è imparare a desiderare e imparare a desiderare è imparare a vivere.
EMILIA GUARNIERI:
Eccellenza, io desidero ringraziarLa a nome di tutti noi per la sua presenza paterna e affettuosa con la quale anche quest’anno ha voluto accompagnare l’inizio del Meeting, ringraziarla per la sua pazienza e ringraziarla per quello che ci ha detto, che prendiamo proprio come un invito e un auspicio – l’imparare a desiderare, l’imparare a vivere – come un invito e un auspicio per queste giornate che ci attendono. Grazie, Eccellenza.
(Trascrizione non rivista dai relatori)