Chi siamo
Santa Messa
Celebra S. Ecc. Mons. Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini. Ripresa in diretta RAI 1.
Il testo corretto dell’incontro è pubblicato nel libro “La conoscenza è sempre un avvenimento”, edizioni Mondadori Università
EMILIA GUARNIERI:
legge il messaggio che la Segreteria di Stato del Vaticano ha inviato a Sua Eccellenza
Reverendissima Mons. Francesco Lambiasi Vescovo di Rimini in data 17 agosto 2009
Eccellenza Reverendissima,
in occasione del Meeting per l’amicizia fra i popoli, che quest’anno celebra il suo trentennale, mi è particolarmente gradito trasmettere il saluto del Santo Padre a Lei, ed a quanti hanno promosso ed organizzato tale manifestazione culturale, che in tre decenni ha già visto la partecipazione di migliaia e migliaia di uomini e donne, soprattutto giovani, e l’intervento di centinaia di relatori sulle tribune allestite nelle aule della fiera di Rimini. Aiutati da studiosi di ogni disciplina, da artisti, da autorità religiose, da esponenti del mondo della politica, dell’economia, dello sport, ci si è potuto confrontare sulle questioni e
sulle istanze fondamentali dell’umana esistenza, ed approfondire le ragioni dell’essere cristiani in questa nostra epoca. Sua Santità augura che il Meeting continui a raccogliere le sfide e gli interrogativi che i tempi di oggi pongono alla fede, e rispondere ad essi facendo tesoro dell’insegnamento del compianto Mons. Luigi Giussani, fondatore del movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione.
La tematica del Meeting 2009 verte sulla conoscenza che è sempre un avvenimento. “Avvenimento” è una parola con cui don Giussani ha tentato di riesprimere la natura stessa del cristianesimo, che per lui è un “incontro”, e cioè un dato esperienziale di conoscenza e di comunione. Proprio dall’accostamento tra le parole “avvenimento” e “incontro” è possibile percepire meglio il messaggio del Meeting. La riflessione gnoseologica ed epistemologica contemporanea ha portato alla luce il ruolo determinante del soggetto della conoscenza nell’atto stesso del conoscere. Contrariamente ai presupposti del “dogma” positivista della pura obiettività, il principio di indeterminazione di Heisenberg ha reso evidente come ciò sia vero perfino per le scienze naturali: anche in queste discipline, il cui “oggetto” sembra essere regolato da invariabili leggi di natura, la prospettiva dell’osservatore è un fattore che condiziona e determina il risultato dell’esperimento scientifico, e quindi della conoscenza scientifica come tale. La pura obiettività risulta perciò pura astrazione, espressione di una gnoseologia inadeguata e irrealistica.
Ma se ciò è vero per le scienze naturali, lo è tanto più per quegli “oggetti” di conoscenza che a loro volta sono strutturalmente legati alla libertà degli uomini, alle loro scelte, alle loro diversità. Pensiamo alle scienze storiche, che si basano su testimonianze nelle quali convergono, come fattori influenzati del loro modo di comunicare la realtà che trasmettono, le visioni del mondo di chi le ha composte e le loro convinzioni, a loro volta legate a quelle del loro tempo, le loro situazioni personali, le scelte con cui essi si sono posti in rapporto alla realtà che descrivono, la loro levatura morale, le loro capacità e il loro ingegno, la loro cultura. Lo studioso che accosta il suo oggetto dovrà dunque sceverare tutto ciò, per comprendere e valutare il significato e la portata del messaggio veicolato in un contesto d’insieme, agendo come se si trovasse di fronte ad una persona che non conosce ancora bene, ma che gli sta raccontando qualcosa che ritiene comunque importante conoscere. La conseguenza più rilevante di tale situazione è che la conoscenza non può essere descritta come la registrazione di uno spettatore distaccato. Anzi, il coinvolgimento con l’oggetto conosciuto da parte del soggetto conoscente è conditio sine qua non della conoscenza stessa. E pertanto, non il distacco e l’assenza di coinvolgimento sono l’ideale da rincorrere, peraltro invano, nella ricerca di una conoscenza «obiettiva», bensì un coinvolgimento adeguato con l’oggetto, un coinvolgimento atto a far giungere a chi interroga la conoscenza il suo specifico messaggio.
Ecco perché la conoscenza può essere un “avvenimento”. Essa «avviene» come un vero e proprio «incontro» tra un soggetto e un oggetto. Che tale incontro sia necessario perché si possa parlare di conoscenza ci fa allora guardare a soggetto e a oggetto non come a due grandezze che si possano reciprocamente mantenere ad asettica distanza al fine di preservarne la purezza; essi sono al contrario due realtà vive che si influenzano reciprocamente proprio quando vengono in contatto. L’onestà intellettuale di colui che conosce sta tutta in quella somma arte di “ospitare l’oggetto” in modo che esso possa rivelare se stesso quale veramente è, anche se non in modo integrale ed esaustivo. E l’accoglienza dell’oggetto, la disponibilità dell’ascolto che caratterizza il soggetto conoscente come vero amante della verità, si può descrivere come una sorta di «simpatia» per l’oggetto. C’è qui, come molto del pensiero medievale ci ha trasmesso, una particolare forza conoscitiva propria dell’amore. “Amare” significa “voler conoscere” e il desiderio e la ricerca della conoscenza sono una spinta interna dell’amore come tale. A ben vedere, dunque, ciò stabilisce un rapporto ineliminabile tra amore e verità. La conoscenza presuppone per sua natura una certa “conformazione” di soggetto e oggetto: un’intuizione fondamentale, già condensata nell’antico assioma empedocleo, secondo il quale “il simile conosce il simile”. L’evangelista Giovanni lo richiama implicitamente, laddove scrive che quando Dio “si sarà manifestato noi saremo simili a Lui, perché Lo vedremo così come Egli è” (1Gv 3,1).
Ci si potrebbe domandare se esista conoscenza più necessaria all’uomo di quella del suo Creatore; se ci sia conoscenza più adeguatamente descritta dalla parola “incontro”, se non il fondamentale rapporto che esiste appunto tra lo spirito dell’uomo e lo Spirito di Dio. Si comprende allora perché i Padri della Chiesa abbiano insistito sul bisogno di purificare l’occhio dell’anima per giungere a vedere Dio, rifacendosi alla beatitudine evangelica: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8). La razionalità dell’uomo può essere esercitata, e dunque raggiungere il suo fine proprio, che è la conoscenza della verità e di Dio, solo grazie a un cuore purificato e sinceramente amante del vero che ricerca. Purificato in tal modo, lo spirito umano può aprirsi alla rivelazione della verità. C’è dunque un misterioso nesso tra la beatitudine evangelica e le parole rivolte da Gesù a Nicodemo, riportate da san Giovanni: “Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito…dovete rinascere dall’alto” (3,6-7).
Il Santo Padre Benedetto XVI auspica che queste parole di Cristo risuonino nel cuore dei partecipanti alla 30° edizione del Meeting di Rimini, come richiamo a volgersi con fiducia verso di Lui, ad accoglierne la misteriosa presenza, che è per l’uomo e la società sorgente di verità e di amore. Con tali sentimenti, mentre formula voti di pieno successo a codesta manifestazione, imparte a Vostra Eccellenza, ai responsabili e a tutti coloro che sono presenti una speciale Benedizione Apostolica.
Unisco volentieri i miei auguri, e mi valgo della circostanza per confermarmi con sensi di distinto ossequio
dell’Eccellenza Vostra Reverendissima
dev.mo nel Signore Segretario di Stato
OMELIA DI S. ECC. MONS. FRANCESCO LAMBIASI:
Essere cristiani non è aderire a un’idea o perseguire un valore, per quanto nobile ed esaltante. Essere cristiani è incontrare e seguire una persona: Gesù Cristo. Per i primi discepoli tutto era cominciato con l’invito forte e suadente del Nazareno: Venite dietro di me. E i pescatori avevano abbandonato casa e barca, affetti e lavoro e si erano messi letteralmente ad andare dietro a quel maestro originalissimo, anzi unico, che diceva parole mai udite e faceva cose mai viste prima. Era stata un’avventura sempre più appassionante, fino a quel segno dei pani e dei pesci operato in pieno deserto con migliaia di bocche sfamate. Quel giorno l’entusiasmo della folla era salito alle stelle, al punto che lo volevano fare loro re. Ma il Maestro si era subito premurato di chiarire l’abbaglio. L’evento dei pani miracolosamente moltiplicati non era stato un prodigio magico compiuto per strappare l’applauso, per estorcere il consenso e invitare al disimpegno. Bisognava incidere la buccia del segno e intercettare il succo del senso. E il senso era questo: il Figlio di Dio era disceso non per venire a regnare sulla terra e farsi servire, ma a servire e a dare la sua vita per tutti. Non era venuto in mezzo a noi per saziare la fame del corpo, ma quella del cuore, che è fame di infinito, fame di libertà e di felicità, è fame di Dio. E per saziare questa fame la Parola di Dio si era fatta carne, e per farsi carne da mangiare, Lui, il Santo di Dio, il Messia, l’inviato del Signore, era disposto a pagare il prezzo più alto, quello di andare a finire sulla croce. Di fronte a un discorso così duro, duro da accogliere, non solo da capire, la delusione era stata cocente, lo shock totale. La continua mormorazione dei Giudei era sfociata in una contestazione aspra e sfrontata, che aveva finito per contagiare la cerchia dei discepoli. Lo scandalo era arrivato a serpeggiare perfino all’interno del gruppo dei fedelissimi, i dodici. La conclusione registrata dall’evangelista non poteva essere più desolante: da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con Lui. Tornare indietro è l’esatto contrario del seguire, cioè dell’andare dietro, che è un camminare in avanti sulle orme del Maestro, in vista di una comunione d’anima e di vita sempre più radicale e intensa. Ora attorno a Gesù si è fatto il deserto, il momento è drammatico. E’ a questo punto che scatta sulle labbra del Maestro la domanda più bruciante di tutto il vangelo: Volete andarvene anche voi? E’ una domanda che Gesù rivolge ai suoi discepoli di allora e di sempre, anche a noi oggi. Oggi non è più possibile essere cristiani per abitudine o per convenzione, ma solo per scelta, e la scelta di Cristo può avvenire solo per innamoramento e per convinzione. Ecco l’autentico scandalo del cristianesimo, che il nostro papa Benedetto formulava da giovane teologo con parole pungenti. “Lo scandalo del cristianesimo – scriveva – è costituito dalla confessione che l’uomo Gesù, un individuo giustiziato verso l’anno 30 in Palestina, sia il cristo, l’unto, l’eletto di Dio, anzi, addirittura il Figlio stesso di Dio. Quindi il centro focale, il fulcro determinante dell’intera storia umana”. E proseguiva più avanti con due domande: “Ci è davvero lecito aggrapparci al fragile stelo di un singolo evento storico? Possiamo correre il rischio di affidare l’intera nostra esistenza, anzi l’intera storia, a questo filo di paglia di un qualsiasi avvenimento galleggiante nello sconfinato oceano della vicenda cosmica?”. Oggi è tempo di riscegliere Cristo. Mai come ai nostri giorni i cristiani si sono trovati di fronte alla domanda incalzante e ultimativa di Gesù: Volete andarvene anche voi? Tutti i giorni sentiamo di qualcuno che si tira indietro e stacca i contatti con la chiesa del Signore, perché giudica il discorso cristiano un discorso troppo duro, soprattutto quando verte su temi come il portare la croce, sul matrimonio indissolubile, sulla protezione della vita, anche quella prenatale o terminale, sull’accoglienza dei poveri, a cominciare dai poveri più poveri. Sì, oggi Cristo rappresenta un bivio anche per la nostra vita. Dobbiamo scegliere: o con Lui, o contro di Lui. Siamo di nuovo posti di fronte allo scandalo di un Dio che viene in mezzo a noi, non a tappare i buchi, non a domandare sacrifici o offerte, ma a farsi mangiare e a farsi bere perché noi possiamo diventare pezzi di pane e gocce di sangue gli uni per gli altri. Ma a questo scandalo, quel giorno a Cafarnao, Simon Pietro reagì con parole più grandi di lui: “Signore, da chi andremo, tu hai parole di vita eterna, e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”.
Prima di concludere, fratelli e sorelle, ritorniamo per un istante sulle ultime parole di Pietro: “noi abbiamo creduto e conosciuto”. Verrebbe da dire che Pietro, consapevolmente o inconsapevolmente, abbia sbagliato l’ordine logico dei verbi, che vorrebbe il conoscere prima del credere. Non viene forse prima il conoscere Cristo e poi dargli fiducia e credere in Lui? In realtà Pietro ama intensamente il Signore e perciò si fida delle sue parole, anche se non le comprende appieno. In principio sta infatti l’amore: è l’amore che genera la fiducia e la fiducia genera la conoscenza. La fede non è irrazionalità o oscurità, ma luce e intelligenza. Non si può dire che chi crede non conosce e chi conosce non crede. Piuttosto, chi non crede in Gesù non conosce realmente il reale, non vede Dio come Padre, né sé come figlio, né gli altri come fratelli. Raggiungiamo così la quota del tema di questo Meeting: la conoscenza è sempre un avvenimento. Ma se il credere non è il contrario del conoscere, la conoscenza costituita dalla fede è l’avvenimento che sbilancia nell’Assoluto, o, che è lo stesso, è l’accadimento dell’Assoluto nella carne della nostra storia. E questa, solo questa, è la salvezza.
Collegamento video con il Papa
SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI:
Cari Fratelli e sorelle, vedete la mano liberata dal gesso, ma ancora un po’ pigra..! Un po’ devo ancora stare in una scuola di pazienza, ma andiamo avanti… sapete che da alcune domeniche la Liturgia propone alla nostra riflessione il capitolo VI del Vangelo di Giovanni, nel quale Gesù si presenta come il pane della vita discesa dal cielo ed aggiunge: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che vi darò è la mia carne per la vita del mondo. E i giudei che discutano aspramente fra loro, chiedendosi: “come può Costui darci la sua carne da mangiare?”. Il mondo continua a discutere… Gesù ribadisce in ogni tempo: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’Uomo e non bevete il Suo sangue non avete in voi la vita”, motivo anche per noi di riflettere se abbiamo realmente capito questo messaggio. Oggi quindi, XXI domenica del tempo ordinario, meditiamo la parte conclusiva di questo capitolo in cui il quarto evangelista riferisce la reazione della gente e degli stessi discepoli, scandalizzati dalle parole del Signore al punto che tanti, dopo averlo seguito fino ad allora, esclamano: “Questa parola è dura, chi può ascoltarla?”. E da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. A la stessa cosa succede sempre di nuovo in diversi periodi della storia. Si potrebbe pensare che Gesù cerca compromessi per farsi meglio capire, ma Gesù non attenua le sue affermazioni, anzi si rivolge direttamente ai dodici, dicendo: “Volete andarvene anche voi?”. Questa provocatoria domanda non è diretta soltanto agli ascoltatori di allora, ma raggiunge i credenti e gli uomini di ogni epoca; anche oggi, non pochi restano scandalizzati davanti al paradosso della fede cristiana. L’insegnamento di Gesù sembra duro, troppo difficile da accogliere e da mettere in pratica; c’è allora chi lo rifiuta e abbandona Cristo, c’è chi cerca di adattarne la parola alle mode dei tempi, snaturandone il senso e il valore, “Volete andarvene anche voi?”. Questa inquietante provocazione ci risuona nel cuore ed attende da ciascuno una risposta personale. È una domanda a ciascuno di noi. Gesù non si accontenta di una appartenenza superficiale e formale, non gli è sufficiente una prima ed entusiastica adesione. Occorre al contrario prendere parte per tutta la vita al suo pensare e al suo volere. Seguirlo riempie il cuore di gioia e dà senso pieno alla nostra esistenza, ma comporta difficoltà e rinunce, perché molto spesso si deve andare contro corrente. “Volete andarvene anche voi?”. Alla domanda di Gesù Pietro risponde a nome degli Apostoli, dei credenti di tutti i secoli: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio”. Cari fratelli e sorelle, anche noi possiamo e vogliamo ripetere in questo momento la risposta di Pietro; consapevoli certo della nostra umana fragilità, dei nostri problemi e difficoltà, ma fiduciosi nella potenza dello Spirito Santo che si esprime e si manifesta nella comunione con Gesù. La fede è dono di Dio all’uomo ed è al tempo stesso libero e totale affidamento dell’uomo a Dio. La fede è docile ascolto della parola del Signore, che è lampada per i nostri passi e luce sul nostro cammino. Se apriamo con fiducia il cuore a Cristo, se ci lasciamo conquistare da Lui, possiamo sperimentare anche noi come per esempio il Santo Curato d’Ars, che la nostra sola felicità su questa terra è amare Dio e sapere che Lui ci ama. Chiediamo alla Vergine Maria di tenere sempre desta in noi questa fede impregnata di amore, che ha reso Lei, umile fanciulla di Nazareth, Madre di Dio e Madre e modello di tutti i credenti.
ANGELUS
Cari amici, oggi si è aperta a Rimini la trentesima edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli che quest’anno ha come titolo: “La conoscenza è sempre un avvenimento”.
Nel rivolgere un cordiale saluto a quanti prendono parte a questo significativo appuntamento, auguro che esso sia occasione propizia per comprendere che conoscere non è un atto solo materiale, perché in ogni conoscenza, in ogni atto di amore, l’anima dell’uomo sperimenta un di più, che assomiglia molto ad un dono ricevuto, ad una altezza a cui ci sentiamo elevati.
(Trascrizione non rivista dai relatori)