Chi siamo
San Riccardo Pampuri
‘”Abbi grandi desideri, cioè desiderio di grande santità, di fare opere grandi; mira sempre più in alto che puoi per riuscire a colpire giusto; ma poichè non sempre sarai chiamato ad azioni gloriose, fa’ anche le cose piccole, minime, con grande amore. … Far sempre la volontà del Signore nell’esatto adempimento dei propri doveri e in una lotta perseverante… questo dovrebbe essere il mio programma”. E’ il 28 gennaio 1928. Un anno dopo, a soli 32 anni, San Riccardo Pampuri sarebbe morto. In queste righe, scritte a suor Luigina, la sorella missionaria in Egitto, è racchiusa tutta la sua vita, la sua vocazione. Una vocazione alla santità nelle cose minime, nel far bene le cose di ogni giorno. Un “far bene” non secondo la mentalità del mondo, ma per la gloria umana di Cristo presente nella Chiesa, nell’adorazione e nel servizio di tale presenza vissuti, giorno dopo giorno, nella semplicità dell’offerta. Condividendo il mistero della sofferenza che incontrava nei fratelli uomini che curava. Così fece, prima a Trivolzio in casa degli zii materni che lo allevarono e a Pavia negli anni dell’Università; poi a Morimondo, come medico condotto, infine nell’ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio – il Fatebenefratelli – a Milano e Brescia. Tutta la sua vita è circoscritta nel raggio di pochi chilometri nella nebbiosa campagna lombarda: senza azioni eroiche perché il quotidiano per lui è diventato eroico. E quasi sconcerta questo santo “normale”. Ma, ripercorrendo passo dopo passo la sua vita, le sue azioni – come fa la mostra allestita al Meeting, a cent’anni dalla sua nascita -, ci si accorge di avere un compagno di cammino che illumina la strada, che indica ciò per cui vale la pena vivere: l’appartenenza a Cristo. Perché san Riccardo – il dottorino santo, come usavano chiamarlo a sua insaputa gli abitanti di Morimondo – non si estraniò mai dalla realtà, ma fu immerso nelle cose del mondo, visse la sua condizione e tutti i condizionamenti della sua epoca, con quella creatività e capacità che sono solo del cristiano. Prima a Pavia, negli anni in cui fece parte del circolo universitario cattolico “Severino Boezio”, dove si cercava di contrastare l’ambiente intellettuale di allora, dominato da un agnosticismo religioso. Poi a Morimondo, dove radunò i giovani: ma a gravitare intorno alla sua persona era tutto il paese. E non può essere stato solamente perchè pagava i conti e le medicine dei pazienti che avevano difficoltà economiche. Come disse uno dei testimoni al processo di canonizzazione: “Non indugiava in manifestazioni di pietà o di preghiera che sapessero di ostentazione. Anzi. Parlava di Dio e della Madonna con un accento tale che veniva dal cuore, come se parlasse di suo padre e di sua madre, di persone conosciute. Per lui era una realtà ben sentita, di cui non poteva fare a meno”. A questo santo dottore, così vicino a noi nel tempo, viene spontaneo chiedere il miracolo di una guarigione, e la grazia della conversione del cuore, come si farebbe con un fratello maggiore che ne sa di più. Che ascolta, come più volte, negli ultimi tempi, abbiamo visto e udito da chi si è recato a Trivolzio, dove è custodito il corpo, per chiedere il miracolo.’
La mostra è costituita da 30 pannelli in alluminio 100×100.
La mostra è divisa in sezioni:
I pannelli n° 1 e n° 2 sono di presentazione
Sez. I La vita dal n° 3 al n° 9
Sez. II Il circolo S. Severino Boezio dal n° 10 al n° 18
Sez. III L’ordine dei Fatebenefratelli dal n° 19 al n° 30
La mostra è imballata in due casse di legno di cm.
110x110x20