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RISORSE IN SANITÀ: PROSPETTIVE PER LA PERSONA ED IL SISTEMA
Vincenzo De Luca, Presidente Regione Campania; Walter Ricciardi, Presidente WFPHA (World federation of public health association); Marco Trivelli, Direttore generale ASST Spedali Civili di Brescia. Introduce Luigi Cammi, Referente Meeting Salute.
Risorse in sanità: prospettive per la persona ed il sistema
Vincenzo De Luca, Presidente Regione Campania; Walter Ricciardi, Presidente WFPHA (World federation of public health association); Marco Trivelli, Direttore generale ASST Spedali Civili di Brescia. Introduce Luigi Cammi, Referente Meeting Salute.
LUIGI CAMMI:
Buonasera a tutti, grazie di essere venuti qui all’incontro dal titolo “Risorse in sanità: prospettive per la persona ed il sistema”. Io sono molto contento perché sono tre anni ormai che facciamo cicli di incontri o appuntamenti per quanto riguarda i cambiamenti del sistema sanitario, in particolare su come la salute sta cambiando all’interno del nostro palcoscenico e dei tempi moderni. In questo ambito, sono veramente orgoglioso di poter presentare i miei ospiti che poi chiamerò per i vari interventi. Anzitutto, saluto il professor Walter Ricciardi, presidente eletto della World Federation of Public Health Association, già presidente dell’Istituto superiore di sanità, che è stato tra gli invitati alla prima edizione del Meeting Salute, tre anni fa. È tornato lo scorso anno e chiaramente anche quest’anno. Lo ringrazio della sua presenza. Ha accettato, credo con entusiasmo, di incontrarci. Soprattutto gli domanderò di introdurre l’argomento e di darci uno sguardo su quello che fanno gli altri Paesi e su come si stanno muovendo all’interno del sistema sanitario. Il dottor Marco Trivelli, che è direttore generale degli Spedali civili di Brescia, già direttore dell’ospedale Niguarda, è un amico. Ha sostenuto questo incontro, lo ringrazio per il suo contributo e i suoi consigli. Grazie a lui, vorremmo cercare di capire come il Governo traduca poi le varie politiche nazionali e internazionali a livello territoriale, cosa voglia dire per la sua esperienza. E ringrazio, per la prima volta al Meeting Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania dal giugno 2015, in precedenza sindaco di Salerno: mi dà lo spunto gradito di salutare e ringraziare per la sua presenza monsignor Andrea Bellandi, arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno, che è qui presente. Il presidente De Luca un po’ mi imbarazza, non farò una domanda specifica anche se sono sicuro che saprà aiutarci a comprendere meglio quali sono le vere dinamiche di Governo di una Regione. Gli farò domande anche più terra-terra – sono un uomo del popolo – su che cosa vuole dire autonomia, perché poi ci piacerebbe capire fino in fondo le parole che vengono detto o che vengono twittate in giro per il web. Ho parlato anche troppo, lascerei introdurre il professor Ricciardi, partendo da una domanda semplice. Qual è il tuo scopo nel governare, qual è il tuo l’obiettivo, il valore aggiunto che puoi pensare di dare nel governare il sistema sanitario nazionale? Come vedi il sistema sanitario nazionale, non soltanto il sistema salute, per i prossimi anni?
WALTER RICCIARDI:
Mah, dichiaro subito che l’obiettivo è quello di mantenere un Servizio sanitario nazionale pubblico, gratuito al momento dell’uso perché finanziato attraverso le tasse, in cui tutti quanti hanno diritto alla tutela della salute. Tutela della salute che viene garantita a tutti i cittadini, indipendentemente dalla regione, dal sesso, dall’età, dalla religione, dalla razza. Però è un Servizio sanitario nazionale fortemente a rischio. Devo dire che, a livello mondiale, per sintetizzare, esistono tre modelli con cui i circa duecento Paesi del mondo cercano di dare sanità ai propri cittadini. Quello che ormai è maggioritario, e che è anche quello storico, perché nato in Germania alla fine del 1880, si chiama modello assicurativo sociale, basato sull’assicurazione. Assicurazione sociale significa che lo Stato, nel momento in cui sei disoccupato, povero, hai determinati problemi di emarginazione, interviene per garantire un livello minimale. È la stragrande maggioranza dei Paesi europei e mondiali che ce l’hanno, la Francia, la Germania, il Belgio, l’Olanda, il Lussemburgo, la Polonia, tutti i Paesi dell’Est: insomma, è il modello preponderante. Poi c’è stato un modello che è il nostro, Servizio sanitario nazionale, nato tra l’incredulità generale nel 1948 in Gran Bretagna e che, sempre tra l’incredulità generale, da un momento all’altro corriamo il rischio di perdere. Pensate che quando Churchill chiamò le elezioni anticipate subito dopo la seconda guerra mondiale, lui era convinto di vincere perché aveva sconfitto i nazifascisti. In realtà, vinse il partito labourista, anche grazie all’incredibile oratoria e alla retorica di quello che sarebbe poi diventato il ministro della Salute. Si chiamava Aneurin Bevan, era un figlio di poveri minatori gallesi analfabeti, il quale promosse insieme ad Attlee, che era il Primo ministro, lo stato del benessere. Disse: «Voi avete sofferto fin troppo, basta lacrime e sangue. Vi vogliamo dare una scuola pubblica, un’Università pubblica – sembra strano, ma l’Università pubblica in Gran Bretagna è nata dopo la seconda guerra mondiale, Oxford e Cambridge sono Università private, le grandi Università pubbliche sono nate dopo – e naturalmente la sanità pubblica, il Servizio sanitario nazionale». Quando fece una conferenza stampa davanti ai giornalisti e al pubblico, il 4 febbraio 1948, disse: «Da domani, 5 febbraio 1948, nasce il Servizio sanitario nazionale. Che cosa significa? Ognuno di voi avrà un medico, si potrà rivolgere a un medico, potrà andare in ospedale, non dovrà pagare, se dovrà avere un intervento chirurgico gli verrà ovviamente fatto senza che paghi, se deve nascere un bambino ci sarà una ostetrica, una levatrice che vi farà partorire in sicurezza, se avrete bisogno dei farmaci ve li prescriverà questo medico che rimborsiamo». Non gli credettero, non gli credette nessuno, nel senso che dissero: «Ma lei ci sta prendendo in giro, ci sta dicendo veramente che non paghiamo il medico?». Al punto che, nonostante lui avesse fatto queste dichiarazioni, l’indomani stampò milioni di volantini da distribuire in tutte le stazioni, in tutte le scuole, in tutti i luoghi di lavoro dove queste cose erano scritte. Ma finiva con una frase bellissima che in qualche modo accese positivamente gli animi: «Ma questa non è beneficienza, voi lo pagate perché siete essenzialmente dei contribuenti, ma i vostri soldi delle tasse vi verranno restituiti in un momento difficilissimo della vostra vita, quando non vi dovrete vendere la casa, non vi dovrete indebitare, non dovrete sostanzialmente soffrire maggiormente perché non avrete i soldi per pagare». Noi quel modello lo abbiamo creato nel 1978, in un momento estremamente particolare, e per noi ha significato la più grande opera pubblica del nostro Paese. Vi dico soltanto due dati. Nel 1978, la mortalità neonatale, cioè i bambini che muoiono prima del compimento del ventottesimo giorno di età, in Italia era di 20 bambini morti su 1000. Nella stessa epoca, in Francia, in Germania, era di 4. La mortalità infantile, cioè i bambini che morivano prima del primo anno di età, era di 30 bambini che morivano da noi mentre in Francia erano 6, 7. Il Servizio sanitario nazionale, facendo partorire le mamme in strutture pubbliche, facendo assistere i cittadini in strutture pubbliche, ha fatto sì che noi oggi abbiamo la mortalità neonatale e infantile più bassa del mondo, letteralmente. Siamo inferiori soltanto agli svedesi, che anche loro hanno un Servizio sanitario nazionale creato negli anni ’50. Perché corriamo il rischio di perderlo senza che ce ne rendiamo conto? Sostanzialmente, per quattro motivi. Il primo è la nostra demografia: non facendo bambini e vivendo a lungo, noi abbiamo una famiglia che è cambiata in questo modo. Immaginate la famiglia italiana degli anni Settanta: due figli, due genitori, tre nonni, perché l’aspettativa di vita in quell’epoca era di poco inferiore ai settant’anni. Oggi si parla di un figlio, due genitori, quattro nonni e due bisnonni. Voi capite bene che questo tipo di demografia è insostenibile, nessuno ha la possibilità di pagare le cure, essendo così pochi quelli che stanno sotto e tanti quelli che stanno sopra. A maggior ragione quando la cronicità, cioè le malattie croniche, sono tantissime come oggi. Di fatto, all’Istituto superiore di sanità abbiamo fatto uno studio, due anni fa, in cui abbiamo evidenziato che il 40 per cento della popolazione italiana ha una cronicità e il 20 per cento ne ha addirittura due. Quindi, demografia e cronicità: poi abbiamo gli aspetti legati all’offerta, che sono fantastici. In questo momento, abbiamo una medicina eccezionale che è in grado di dare soluzioni veramente importantissime, in qualche caso guarire malattie che erano non solo non guaribili ma neanche curabili. Dare soluzioni straordinarie in termini di farmaci, di vaccini, di tecnologia: però queste tecnologie hanno la caratteristica di costare sempre di più, e quindi c’è bisogno di qualcuno che le paghi. Infine, concludo, la differenziazione professionale. Per la prima volta nel nostro Paese, noi ci troviamo in una condizione simile ai Paesi africani, che non hanno medici e non hanno personale sanitario. In Burundi, prima che intervenisse la fondazione Tonini, c’erano due medici per 500mila abitanti. Capite bene che si tratta di una città come Firenze con due medici. Poi, c’è stata una crescita, ma di fatto ancora oggi i medici sono pochissimi. I medici italiani sono scarsissimi, non perché siano scarsi numericamente: c’è stata invece una totale insipienza da parte delle autorità che hanno programmato soprattutto la formazione specialistica senza la quale i medici non possono lavorare per il Servizio sanitario nazionale. Per cui, abbiamo questo paradosso: ne formiamo diecimila l’anno, sono più che sufficienti. Di questi, fino all’anno scorso se ne potevano specializzare soltanto seimila: erano i soldi destinati a farli specializzare. Degli altri quattromila, mille andavano a fare il corso per i medici di Medicina generale e, fino all’anno scorso, tremila rimanevano in questo imbuto formativo, che oggi ha circa ventimila ragazzi medici, bravissimi, laureati, in strutture soprattutto pubbliche, finanziate attraverso le tasse pubbliche, che non hanno sbocchi lavorativi. Sapete che cosa succede? Che al ritmo tra i mille e i duemila l’anno, se ne vanno all’estero. In questo momento, il 52 per cento dei medici che lavora all’estero è italiano. Quindi, siamo di fronte ad un paradosso. Concludo dicendo che il Servizio sanitario nazionale è una straordinaria risorsa. Stiamo cominciando a vederlo zoppicare in alcune entità, stiamo vedendolo in grossa crisi in altre realtà, noi lo dobbiamo difendere. Però non dobbiamo essere soltanto noi addetti ai lavori a difendere il Servizio sanitario nazionale. Devono essere i cittadini che, molto spesso, non … pretendono che nel momento della malattia, ma allora è troppo tardi. Dovrebbero in qualche modo supportare il Servizio sanitario nazionale quando sono sani, quando stanno bene, quando devono dargli adeguati finanziamenti, adeguato sostegno. Poi, nel momento della malattia ci si ritrova soli. Ieri, anzi oggi, su un quotidiano romano, si è visto che un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, tra i più avanzati in Italia per la cura del cancro, prevede che una tac per un paziente con il cancro la si faccia a sei mesi; per iniziare la chemioterapia, ci vuole naturalmente tanto tempo. Stiamo parlando della capitale del Paese. E questo chiaramente emerge soltanto quando una persona ha una patologia e richiede un’assistenza. Invece, incontri come questo mi auguro che servano a svegliare le persone e a non trovarsi, da un giorno all’altro, come ci si trova nel terzo modello, che è quello che dobbiamo evitare, quello della sanità privata, della sanità commerciale, in cui succedono cose di questo tipo. L’anno scorso, c’era un ragazzo diabetico di tipo 1. Sapete che cosa significa? Che nasci senza la capacità di produrre insulina e quindi sei dipendente dall’insulina che deve essere somministrata per tutta la vita. Da noi, è scontato che venga data per tutta la vita a una persona che ha il diabete di tipo 1. Negli Stati Uniti d’America, che è il Paese dove è successa questa vicenda, non lo è: normalmente l’insulina costa 400 dollari al mese, denaro che a questo ragazzo, fino al ventiquattresimo anno di età erano state date dall’assicurazione commerciale della madre che faceva la collaboratrice domestica. Nel momento in cui ha compiuto il ventiquattresimo anno di età, non poteva essere più sovvenzionato dall’assicurazione della madre: è morto prima del venticinquesimo anno di età. Pensate che sia un’eccezione? Sono centinaia i diabetici di tipo 1 che muoiono negli Stati Uniti, al punto che si è sviluppato un movimento che dice che l’insulina è un diritto umano: ma pensate che qualcuno intervenga in questo senso? No, perché ormai in quel Paese c’è una radicata convenienza che ci si cura esclusivamente se si hanno i soldi per curarsi. Io credo che questo sia da evitare e penso che faremo di tutto per evitare. Grazie per la vostra attenzione.
LUIGI CAMMI:
Va beh, siamo partiti un po’ in ritardo ma mi piacerebbe dialogare, lasciarvi anche libero dialogo e domande, perché gli spunti e le questioni sono tante. L’approccio che vorrei dare è propositivo e positivo e mi piace perché col professor Ricciardi si è parlato tanto di costruzione e sviluppo. Il tuo punto di vista, dottor Trivelli, mi interessa molto.
MARCO TRIVELLI:
Sì, il mio è un po’ diverso sulle capacità di vedere il mondo intero. Io parto da spazi più piccoli, però ugualmente significativi. Io sono attaccato al paziente, è molto importante. Il il nostro sistema sanitario è veramente una ricchezza: standoci dentro, si capisce il valore di una tradizione, di un passato, perché non nasce oggi. Quello che in qualche modo gestiamo, è un qualche cosa che ha dietro decenni. Poi, è vero che negli ultimi quarant’anni abbiamo fatto un passo in avanti veramente significativo, ma tutte le nostre strutture sono più antiche, c’è una tradizione. La difficoltà di oggi è che una parte di questa tradizione sembra fallire. Il meccanismo di riproduzione naturale che è una cellula, un organismo, sembra incepparsi. La sanità è un settore bellissimo, altamente dinamico, difficilmente un settore, anche da un punto di vista economico, è vivace come la sanità. Ogni cinque anni sembra cambiare e quello che si faceva cinque anni fa oggi risulta inadeguato strutturalmente, costringendoci a cambiare. Un esempio, secondo me molto bello, molto positivo, è la gestione dell’ictus, solo per fare un esempio. Fino a qualche anno fa, la soluzione tradizionale, praticata in molti Pronto Soccorso italiani, era la trombolisi, cioè creare un meccanismo di fluidificazione del sangue che facesse scorrere il trombo con un rischio di emorragia per chi è più fragile, più debole. Con la trombectomia, con un nuovo sistema che utilizzano i radiologi, si entra con un catetere, un tubicino e, partendo dalla safena fino ad arrivare al cervello, si riesce a rimuovere il trombo. È un metodo alternativo che quattro, cinque anni fa era veramente molto raro anche in Italia. Ci fu un caso a Modena che uscì sul Corriere della Sera, veramente eccezionale: fece esplodere, emergere il valore di questa metodica a livello pubblico. Recentemente è una prassi consolidata. Provate a capire che tipo di cambiamento organizzativo implica. Vuol dire che adesso, siccome la prassi è una metodologia comprovata, sicura, ci interessa averla perché se oggi capitasse che una persona muore per ictus, cioè per emorragia, avremmo grossi problemi a dire perché, come è successo, visto che c’è una metodica alternativa che previene questo rischio, almeno se si intercetta il paziente entro le prime due ore. Pensate alla difficoltà di dover trovare neuro-radiologi capaci di farlo. Cioè, una cosa è la possibilità di fare una cosa dal punto di vista della pratica medica, e una cosa invece è organizzarsi in modo tale che in tutti i Pronto Soccorso ci sia un neuro-radiologo reperibile h24, non a fascia oraria, capace d’intervenire, che abbia un angiografo in Pronto Soccorso e non a centro metri, come solitamente è nelle grosse strutture, cioè in una zona diagnostica separata dall’emergenza, perché non era emergenza, la neuroradiologia. La neuroradiologia è stata fino a dieci anni fa una diagnostica. Quindi, era sicuramente in elezione. Questo vuole dire formare medici, assumerli. A fare un turno di guardia ci sono almeno cinque medici più una serie di tecnici, vuole dire dai 600mila al milione e due in più, che quattro anni fa non c’erano e che oggi non possiamo predisporre perché non siamo nelle condizioni di farlo. E poi, c’è la scarsità di neuro-radiologi sia come formazione che soprattutto come pratica. Questo vuole dire che c’è un’inflazione in sanità positiva, un’inflazione legata all’attività. È successo negli ultimi anni con un farmaco contro l’epatite, quindi importantissimo. Il primo anno è costato, solo in Regione Lombardia, se non ricordo male, attorno ai 120 milioni di euro di spesa ex novo. Succede con la genetica, la medicina personalizzata, in mille campi. Tutta la parte endoscopica è in un’evoluzione continua. C’è un’inflazione che qualche anno fa mi ero permesso di studiare sulla base di alcuni dati aziendali: per stare alla pari con lo sviluppo tecnologico, e quindi assicurare quello che in qualche modo noi riteniamo necessario, bisognava incrementare i costi complessivi, per materiali e personale, del 6 per cento annuo. Fino al 2008, per circa un decennio, il sistema sanitario nazionale si è incrementato del 5,5 per cento l’anno. Dal 2007, 2008 al 2012, l’incremento è stato attorno al 2 per cento, dati della Ragioneria dello Stato di un mese fa. Dal 2012, 2013 a oggi, l’incremento è stato dello 0,1 per cento. Noi abbiamo tenuto anche in questi sei anni, non avendo un incremento di costi: il costo del personale è rimasto sostanzialmente invariato. L’azienda dove lavoro adesso a Brescia quest’anno spenderà un milione in meno circa di nove anni fa, dell’inizio della crisi vera. Non siamo in grado di seguire lo sviluppo del Paese per la ricchezza che esprime: lo dico in positivo. La parte positiva è che la sanità è stata anche capace di fare passi in avanti significativi su tutto il territorio nazionale. Il personale è diminuito in questi ultimi dieci anni di 50mila persone, in un momento in cui, come diceva il professor Ricciardi, la popolazione invecchia, quindi c’è bisogno di assistenza, non solamente di tecnologia, di medicina per acuti. C’è bisogno di assistenza, di seguire le persone da vicino: servirebbero uomini per seguirle e noi abbiamo perso 50mila persone negli ultimi 10 anni. Sono tantissime. C’è quindi un problema di risorse, non si può dire che non ci sia. Poi, ci sono delle differenze regionali, alcune virtuose: la Campania è virtuosa sugli investimenti, la Regione Lombardia un po’ meno, è più virtuosa sulla gestione corrente, dove la Campania lo è un po’ meno nel passato. Ognuno ha le sue differenze però, tutto sommato, alcune Regioni hanno funzionato bene, e il sistema sanitario oggi garantisce il funzionamento dappertutto. Però, il problema che vedo, quello principale, è delle prime crepe interne, cioè quell’errore di riproduzione del Dna che non riesce a fornire meccanismi naturali di riproduzione, è legato al fatto che – e mi pongo la domanda, poi vorrei porla a voi, se c’è un secondo giro – è un problema di risorse. Mancano risorse, in Italia non abbiamo la capacità di dare quella ricchezza che in altri Paesi ancora riusciamo a dare, per cui la Germania dà il doppio della spesa pro capite che diamo noi. Se avessimo qualcosa come il 50%, se ci potessimo avvicinare al 75% della Germania, potremmo assumere 100mila persone in Italia, cioè potremmo fare cose spaventose. Secondo me, siamo il settore italiano migliore da un punto di vista economico, macroeconomico a livello mondiale. Forse ci sono settori che esportano molto; noi siamo il settore migliore come rapporto resa-costi in Europa al 100 per cento. Quindi, se il problema è di risorse, o ci mancano risorse oppure c’è una crisi del lavoro, perché sono dieci anni che, per quanto ci si impegni – e ognuno di voi si impegna, io mi impegno e sono sicuro che anche voi vi impegnate, ciascuno nel suo campo -, si lavora e non si produce ricchezza. Sono dieci anni che non riusciamo a creare valore. Non riusciamo a creare a fine giornata qualcosa di più di quello che c’era a inizio giornata. Non creare il Pil significa questo. E allora, mi pongo la domanda seriamente, e qualche motivo per pormela, da dentro il sistema, ce l’ho, perché tantissime persone del sistema sono stanche, non solamente perché siamo 50mila di meno e trattiamo l’ictus non solo col radiologo ma anche col neuro-radiologo, e trattiamo tantissime patologie con più professionalità, per cui mettiamo più persone per fare le stesse cose di prima, quindi siamo veramente più tesi. Ma anche perché c’è una scontentezza, perché quando uno lavora in una situazione in cui invece l’angiografo, in Pronto Soccorso, non ce l’ha, e arriva l’ictus, il timore di sbagliare, l’insofferenza di non essere attrezzati, arriva. Oppure, è il fatto che possa capitare qualche errore legato alla scarsità del personale di notte: è un fattore che stanca le persone e che crea un burnout, in positivo. In negativo, c’è il fatto che si crea un burnout invece perché io non posso esprimere la mia professionalità. Quando il lavoro non crea valore? È la seconda domanda. La prima è se è un problema di risorse o anche un problema di come si lavora oggi, per cui siamo nella situazione di rischio potenziale che accennava il professor Ricciardi: non si crea valore quando si ha una concezione bassa del proprio lavoro. Oggi, moltissimi pazienti hanno la pretesa di un servizio, l’aspettativa di un servizio, non vogliono andare oltre l’aspettativa di un servizio. Però, non tutto è un Centro prelievi, non tutto può essere utilizzato come uno sportello del bancomat, per cui giustamente ti aspetti di avere un orario di arrivo alle 8.45, oppure alle 7.15 se uno deve andare al lavoro, per fare il prelievo, aspettare cinque minuti, dare la tessera, uscire avendo fatto e nel pomeriggio avere via email la risposta. Questo è un Centro prelievi, può funzionare bene, è un servizio che possiamo organizzare con efficienza. Ma una malattia non è così. Una malattia non si gestisce in questo modo, non è un servizio da erogare, che tu puoi pretendere di vivere in questo modo. Chiederlo può sembrare civile ma è assolutamente irrealistico, non per le risorse ma dal punto di vista naturale di vita della malattia. Le esperienze più belle che ho visto in sanità sono quelle in cui i pazienti sono coinvolti. Secondo me, ci sono tre livelli di qualità nella sanità; il nostro lavoro risponde bene a tre condizioni che sono progressive: una competenza specialistica forte, perché oggi per trattare un ictus, per stare sull’esempio di prima, bisogna che il neuro-radiologo sappia orientarsi bene nella mappa del sistema circolatorio del cervello, non prenda l’arteria sbagliata e vada nel posto sbagliato, o peggio che, dovendosi muovere con una certa delicatezza, rompa e crei un’emorragia. Ci vuole una grande competenza specialistica, e questo è il primo tassello. Il secondo tassello è che però, paradossalmente, la competenza specialistica è una gabbia perché se io sto male, se sono in un acuto, posso anche chiedere al neuro-radiologo, ma se ho altro, vorrei essere visto intero e quindi non vorrei lo specialista singolo, che non è capace di andare oltre il suo campo d’interesse e deve invece associarsi con un altro professionista per dire che cos’ho e darmi la terapia. Oggi, il problema che abbiamo per legge – è una legge nuova, recente – è la politerapia. Cioè, si obbligano i medici a fare in modo di consegnare bene ai colleghi il tipo di terapia che viene fatta, in modo tale che chi viene dopo a fare una terapia aggiuntiva conosca quella precedente e possa farla in modo coordinato, perché le controindicazioni tra farmaci sono elevate. Ma è come mettere la benzina nella macchina per partire e andare a fare un viaggio, che ci debba essere la politerapia. Però oggi è un problema perché i medici non hanno la capacità e la fiducia di poter fare tutto quanto, e quindi c’è un problema. Il secondo punto è la multidisciplinarietà. Il terzo livello di qualità è quando i pazienti si incrociano con i medici, si impegnano sulla loro malattia e fanno qualcosa di più. A Brescia, dove lavoro adesso, senza i pazienti l’ematologia che c’è ora non ci sarebbe, anche come luoghi. Hanno un occhio, i pazienti, sui luoghi e sugli spazi, che noi non abbiamo, abbiamo un’altra logica. Lavoriamo bene, curiamo bene, ma il paziente che sta male usa la sedia in un modo diverso da come la imposto io che oggi non ho mal di schiena, e quindi sto bene, e questa sedia mi va bene. Una persona che sta male, l’occhio su come organizzare una cosa ce l’ha più di me. Se si coinvolge e prende seriamente il suo lavoro di paziente e si mette seriamente con noi, facciamo una cosa più bella. Dove e quando è successo questo, abbiamo fatto delle cose stupende. Il terzo livello è questo, quando il paziente è presente. Questo vuol dire che quando il paziente prende sul serio la sua malattia, quando è una questione di vita, per il medico e per il paziente, il valore si crea. Qua mi fermo perché voglio rispettare la velocità che ha avuto il Ricciardi, e non l’ho fatto, Voglio chiedere innanzitutto al presidente, che ha una responsabilità su un milione di persone, che obiettivi si pone, se vede anche lei una crisi del lavoro per cui, concependo il lavoro in modo troppo specialistico o comunque piccolo, e perdendo il grande, non creiamo iniziative di valore, di innovazione. Quando invece ci sono, quando ci son persone vive, capaci di vedere tutto e di impegnarsi, si creano cose di valore. Quindi, se c’è un problema di crisi di lavoro, di come si concepisce la sanità, se anche lei percepisce un disagio nel come si concepisce la cura, che si traduce in difficoltà di funzionamento. E come vede il ruolo dei professionisti e direi dei pazienti. Tu, Walter, prima hai detto: «Bisogna che i cittadini sentano proprio il sistema sanitario». I pazienti, come possono coinvolgersi, che spazio c’è per loro nel pensare, nell’organizzare la cura?
LUIGI CAMMI:
Grazie. Partirei da questa introduzione che hanno fatto sia il professor Ricciardi che il dottor Trivelli. Soprattutto mi interessa sapere dal presidente, che è la prima volta che viene al Meeting, ma la domanda su come si trova al Meeting gliela farò dopo, più avanti, se c’è tempo.
VINCENZO DE LUCA:
Mah, vediamo dopo cena, come mi trovo.
LUIGI CAMMI:
So che non ha avuto un’esperienza molto positiva con cene fatte in altre Regioni.
VINCENZO DE LUCA:
Quelle fatte a Milano non erano un granché, diciamo la verità. Come voi sapete, avevamo un gemellaggio tra Niguarda e Cardarelli, e quindi abbiamo avuto due scambi di delegazioni, noi a Milano e gli amici di Milano a Napoli. Dal punto di vista gastronomico, per riconoscimento di Fontana, abbiamo vinto 8-0. Allora, grazie innanzitutto per l’invito. La sanità è il principale servizio di civiltà di un Paese. E credo che il sistema sanitario realizzato dall’Italia sia uno dei pochi motivi di vanto che abbiamo nel mondo. Il dottor Ricciardi ha ricostruito un po’ anche il senso della sanità pubblica, dei sistemi sanitari pubblici. Il sistema sanitario pubblico è il cuore dello Stato sociale. Lo Stato sociale, dal mio punto di vista, è il punto più alto della civiltà politico-istituzionale dell’Occidente. Nel senso che lo Stato sociale realizzava un equilibrio, che poi si è rotto, fra individuale e sociale, fra pubblico e privato, fra diritti e doveri. Ovviamente, ha goduto di una fase magica, una fase di sviluppo keynesiano: grande crescita dello sviluppo, grande crescita dei consumi e inflazione sotto controllo. Quelle condizioni non ci sono più. Quello che dobbiamo fare oggi è cercare di salvare questo grande servizio di civiltà, che è davvero una discriminante di fondo dal punto di vista del sistema di valori che vogliamo affermare in una società, dal punto di vista dell’efficienza dello Stato, dal punto di vista dell’autonomia delle Regioni, dal punto di vista del rapporto Nord-Sud. Sistema di valori, innanzitutto: dobbiamo decidere se questa nostra società abbia o meno dei valori insostituibili e irrinunciabili. La tutela della salute nell’ambito di un servizio universale gratuito è, dal mio punto di vista, uno dei valori non negoziabili. Badate, abbiamo povera gente che, senza un servizio sanitario pubblico e universale, non avrebbe una aspettativa di vita. Non è una piccola cosa. Chi ha risorse economiche proprie, la salute se la salvaguarda comunque. La povera gente, no. Abbiamo un esempio: negli ultimi anni è cresciuta una fascia che noi in Campania calcoliamo in maniera empirica, un 15 per cento di persone povere che non si curano più. Non hanno i soldi neanche per pagare il ticket. Dunque dobbiamo decidere quali valori devono ispirare le nostre società: questo è un valore irrinunciabile. Abbiamo altri modelli di organizzazione sanitaria ispirati in qualche modo a una selezione naturale, a un darwinismo sociale; quello americano è spietato, è incivile. Io credo che dobbiamo difendere con i denti questo sistema sanitario pubblico, universale, unitario. E qui ovviamente andiamo ai valori. Vi racconto un aneddoto che mi hanno riferito su Salvini che promosse quella difesa dei valori, la salute, ecc. Arriva una nave di migranti, attracca al molo e ovviamente i migranti non possono scendere. Salvini va a fare un sopralluogo, un’ispezione. E cammina sul molo con un panino imbottito in mano, se lo mangia a pieni bocconi. Arriva davanti alla nave, vede un bambino che si affaccia e lo guarda. Salvini fa: «Bambino, forse tu non hai mangiato». «Sì – fa il bambino – ho lo stomaco vuoto». Salvini fa: «Bravo, così ti puoi fare il bagno». Il livello di umanità a cui siamo arrivati in Italia è questo. Badate, non si scherza quando parliamo di indifferenza di fronte a queste cose, non si scherza. Perché arriviamo a un passo da un sistema di relazioni umane che possono sfociare nella barbarie. Ora, come difendiamo questo sistema? É evidente che ci sono dei limiti economici, per le ragioni che venivano innanzitutto richiamate dal dottor Ricciardi. Abbiamo una quantità di popolazione anziana che diventa insostenibile. Nei decenni passati, il sistema sanitario è stato, soprattutto al Sud, il principale sistema di clientela politica di massa. La nomina dei primari, dei direttori avveniva non solo sulla base della qualità professionale o delle prestazioni offerte ma sulla base della fedeltà politica e della quantità di preferenze che il primario portava al potente politico, va bene? In Campania noi avevamo accumulato, alla fine degli anni Novanta, nove miliardi di euro di debito sanitario e viaggiavamo con un deficit annuo di 700, 800milioni di euro. Siamo stati commissariati, giustamente. Allora, qui dobbiamo capirci bene. É qui che davvero misuriamo l’efficienza dello Stato e anche l’orientamento politico di fondo. Siccome le risorse sono limitate e siccome dobbiamo decidere quali sono i valori rinunciabili, è chiaro che dobbiamo fare delle scelte. Se decidiamo di introdurre “Quota 100” in Italia, che dal mio punto di vista è una grande bestialità, noi danneggiamo i grandi servizi di civiltà dal punto di vista del personale tecnico, oltre che dal punto di vista finanziario. Introduciamo “Quota100” senza preoccuparci di quello che succede se si pensionano anticipatamente 10mila o 20mila medici. Ma come si regge il sistema? Doppiamente stupida, questa cosa, perché l’Italia è un Paese che ha una percentuale di occupati che è del 15 per cento inferiore alla Germania. In Germania lavora il 75 per cento delle forze lavorative attive, in Italia siamo sul 60 come media nazionale. Al Sud, siamo, se ci arriviamo, al 50, 52 per cento. Cioè, i grandi servizi di civiltà gravano in Germania sulle spalle di 75 persone su 100 che lavorano; in Italia, su 62 persone che lavorano. Così non andiamo avanti. Allora, qui dobbiamo fare delle scelte, è chiaro che anche la condizione lavorativa ne risente: c’è una demotivazione del personale medico, in alcuni territori abbiamo aggressioni personali al Pronto Soccorso e perfino alle ambulanze. Abbiamo territori particolarmente delicati nell’area di Napoli, l’area di Caserta, dove ti capita di avere un delinquente che blocca l’ambulanza e obbliga l’autista a cambiare percorso, perché deve andare a prendere un proprio parente che ha un problema. Si è diffusa la medicina difensiva: ormai, in qualche caso, è diventato uno sport aggredire il medico quando c’è un paziente che subisce un danno. A volte si ha ragione, a volte si ha torto. Abbiamo una situazione che è quella che veniva descritta: 20mila giovani laureati che non riescono a lavorare in Italia. Ma è mai possibile che un Paese civile non riesca a programmare per tempo la quantità di giovani medici abilitati da specializzare? Noi siamo arrivati al punto che bandiamo i concorsi per il Pronto Soccorso e nessuno partecipa per la fatica, ovviamente, del lavoro, per l’amor di Dio, ma anche perché non abbiamo specializzati, non abbiamo scuole di specializzazione. Ma ci vuole tanto a programmare queste cose? La sanità è uno dei sistemi che richiedono programmazione di medio-lungo periodo, uno di quei campi assolutamente incompatibili con quella che è diventata la politica oggi in Italia, la politica del presentismo, la politica del tweettismo, la politica che ragiona a ventiquattr’ore, non a due anni, a tre o a dieci anni sulla base dell’andamento demografico. Qua si ragiona a mezz’ora, è una cosa sconvolgente! Poi, ovviamente, anche questo fa parte della demotivazione di tanta parte della classe medica. Veniamo da un decennio di banalizzazione dei problemi e anche di aggressione mediatica: io non brillo per qualità diplomatiche, ma i principali responsabili sono i grillini. Vorrei chiedere a Beppe Grillo, che per dieci anni ci ha ripetuto che uno vale uno, io valgo quanto Ricciardi? Credo di no, ognuno ha il suo campo, uno vale uno. Le vaccinazioni possono essere facoltative, ma come è possibile? Siamo arrivati al punto che abbiamo avuto i primi bambini morti di morbillo per far rinsavire quelli che dicevano che uno vale uno e confondevano il concetto di casta con il concetto di élite, di competenza. La casta va combattuta e liquidata. Una società moderna la si governa sulla base delle competenze, della qualità professionale, dello studio, del sacrificio: ci vuole tanto a capire queste cose? Eppure, per dieci anni abbiamo avuto un’Italia che ha ascoltato indifferente, o in qualche caso divertendosi, queste bestialità sull’uno vale uno, la casta, l’élite. Grazie a Dio, la durezza della realtà ha richiamato tutti quanti a stare con i piedi per terra. Lo Stato, i valori, poi l’autonomia, il Sud: qui dobbiamo liberarci da una serie di luoghi comuni che circolano in Italia. Io ho contrastato l’ipotesi dell’autonomia di alcune Regioni del Nord, in modo particolare del Veneto, perché ritenevo che fossero un primo passo verso la rottura del sistema sanitario universale, pubblico e nazionale. E che potessero aprire la strada a sistemi regionali che avrebbero finito per penalizzare ulteriormente le Regioni del Sud. Facciamo un’operazione verità anche per liberarci di alcuni luoghi comuni: qual è la Regione che riceve meno soldi nel reparto del Fondo sanitario nazionale? La Campania. La Campania riceve ogni anno 200 euro pro capite in meno rispetto all’Emilia Romagna e 100 euro pro capite in meno rispetto a Lombardia e Veneto. Abbiamo perso nell’ultimo decennio 13.500 dipendenti, abbiamo un tasso di mobilità passiva che ci porta a bruciare ogni anno 300 milioni di euro. È evidente che, se hai carenze di personale, prima o poi avrai liste di attesa lunghissime. Prima o poi, se chiudi l’unica struttura di Cardiochirurgia convenzionata in Calabria, è evidente che se ne andranno dalla Calabria a Milano, a Brescia, in altre parti di Italia.
Allora, cominciamo a fare un’operazione verità: io sono per dare a tutti i cittadini italiani le stesse risorse, poi ci giochiamo sul piano dell’efficienza la capacità di utilizzare quelle risorse. Oggi non è così, allora, quando si propone un meccanismo di autonomia differenziata e si dice «non togliamo nulla al Sud», in realtà si propone una truffa politica: «non togliamo nulla al Sud» vuol dire cristallizzare il divario che c’è tra Sud e Nord. Ho detto della spesa sanitaria, ma se guardiamo ai conti pubblici allargati la Campania riceve ogni anno 4000 euro pro capite in meno rispetto alla Lombardia: questi sono i dati della realtà. Allora, se dobbiamo fare la battaglia per l’efficienza, io sono d’accordo, sono in prima fila; se dobbiamo buttare al mare forme di clientela politica residua, io sono d’accordo; se dobbiamo liberare i sistemi sanitari da forme di parassitismo parasindacale, pseudo sindacale, io sono d’accordo ma a parità di condizioni. Perché abbiamo visto crescere quel divario nell’erogazione dei Fondi sanitari nazionali? Perché erano stati adottati una decina di anni fa due criteri: quello dell’età anagrafica della popolazione e quello della deprivazione sociale. Alla fine, è rimasto un solo criterio per cui la Campania, che è la Regione più giovane di Italia, riceve meno soldi. Anche qui, credo in maniera non corretta, alla fin fine, perché anche fra le giovani generazioni sono cresciute tante patologie: disturbi alimentari, tossicodipendenze, ludo-dipendenze, alcoolismo giovanile. Abbiamo nei pomeriggi, nelle notti del sabato, ragazzi di tredici anni che arrivano in coma etilico negli ospedali di Napoli, quindi non è neanche vero fino in fondo che la popolazione più anziana richiede di più. Quello che è incredibile è che è scomparso l’altro parametro, cioè la deprivazione sociale: non è la stessa cosa governare il sistema quando hai un reddito pro capite di 32mila euro o la metà, come abbiamo noi in Campania. Questo influisce inevitabilmente sullo stile di vita. Allora, abbiamo questi grandi problemi che ruotano intorno al sistema sanitario nazionale, mica stiamo parlando di queste cose oggi in Italia. So che anche voi sarete commossi nel seguire il dibattito politico nazionale, non ci avete capito niente, io non ci ho capito niente. Comunque, vediamo dove arriviamo, ma siamo un Paese creativo, siamo un Paese che vive di trasformismo. Francesco de Sanctis ha consumato una vita per cercare di affermare una coscienza nazionale, per affermare criteri di rigore in un Paese nel quale anche la borghesia vive come – diceva lui – in maschera, vive di cinismo, di doppiezza. Siamo il Paese nel quale sono stati introdotti criteri unici al mondo, il Paese reale e il Paese legale, la Costituzione leale e la Costituzione materiale. Noi siamo il Paese del mezzo, il Paese che non decide mai fino in fondo e nel quale si sviluppano gli individualismi ma senza solitudini. Gli individui sono soli ma protetti sempre da una corporazione. Ho la sensazione che siamo in piena continuità con questa nostra storia. Vedo emergere elementi di trasformismo, cambi di posizione: sarebbe bene che si facesse un’operazione verità davanti agli italiani, che ogni forza politica venisse chiamata a dire quello che ha fatto per l’Italia e quello che ha sbagliato per l’Italia: forse così potremmo impostare in maniera corretta anche il confronto politico che si apre oggi in Parlamento. Finisco. Ad oggi credo che non abbiamo ancora firmato il “patto per la salute”, non abbiamo ancora il riparto definito per le risorse: siamo a fine agosto, e quando lo definiamo questo riparto? Vedete, ecco la storia lunga della Magna Grecia, noi ragioniamo sui millenni, 20mila medici, i Pronto Soccorso: abbiamo una concezione del tempo che è tutta nostra, tutta italiana. Allora, questo che voi sollevate oggi è probabilmente uno dei temi decisivi per il futuro dell’Italia ma anche per valutare gli orientamenti delle forze politiche del nostro Paese. A seconda di come si orientano sulla difesa di un sistema sanitario pubblico, universale e nazionale, possiamo valutare la serietà delle proposte e dei progetti politici delle singole forze politiche. Ci offrite un’occasione per utilizzare una unità di misura rispetto alle forze politiche che stanno dibattendo in questo momento.
LUIGI CAMMI:
Come prima battuta, reagisco e sono contento che se non ne parlano le forze politiche del Paese, e ne parliamo al Meeting, è un aspetto positivo. Ne parliamo in realtà tentativamente da tre anni, devo essere sincero, e lo dico anche con molto imbarazzo personale. Non è che non abbia ricercato, il professor Ricciardi lo sa, sponde da un certo punto di vista politico, in altri ambiti, per dialogare su questo argomento. Sarebbe bello iniziarlo in modo serio, produttivo, portando esperienze positive e costruttive in questo ambito, un po’ sinceramente mi spaventa da cittadino.
VINCENZO DE LUCA:
Mi sono dimenticato di dirvi una cosa che è di speranza: come Regione Campania, abbiamo finanziato per un importo 100 milioni di euro una ricerca contro il cancro, abbiamo messo insieme tutte le nostre risorse, Università, centri di ricerca privati, Telethon, per finanziare quattro linee di ricerca con l’obiettivo di individuare un vaccino contro il cancro. Questa è la sfida nella quale siamo impegnati, ci siamo dati da tre a cinque anni di tempo per produrre in Campania un vaccino contro il cancro, 100 milioni di euro, una sola scelta. Ci auguriamo di avere successo, ovviamente.
LUIGI CAMMI:
Ce lo auguriamo tutti. L’aspetto poi interessante che, come cittadino, mi stupisce sempre è che quando vado in giro nel mondo, perché viaggio abbastanza, tutti guardano all’Italia come al sistema da imitare, il sistema da prendere come punto di riferimento. Io non so, il dibattito è molto ampio, ci sarebbero tante domande da portare, io me ne sono scritte troppe, forse, abbiamo tempo ancora per un rapido giro di battute. Se ci sono domande dal pubblico, le faccio volentieri, se no, partendo da Marco, se ha delle domande può condividerle con noi.
MARCO TRIVELLI:
Un’osservazione. Mi sembra vero che ci sia un deficit della politica verso la sanità, cioè non se ne parla veramente da qualche anno, è un tema che non ha contorno politico, destra o sinistra. Il livello nazionale mi sembra più assente del livello regionale: sulle Regioni ci sono persone più interessate, anche se pure nelle Regioni la sanità fa paura. La politica sta lontana perché la sanità scotta, è difficile trovare risposte positive per come le domande vengono poste. Infatti, l’interesse a fare questo incontro è per incontrare persone che fanno la fatica di gestire la sanità. A parte il presidente De Luca, non abbiamo trovato altri presidenti disposti a parlare di sanità. Lui era il primo invitato, però gli altri non hanno avuto questa disponibilità. Da questo punto di vista, il mondo si divide in chi lavora e in chi non lavora. E i confini sono senza limite geografico e senza limite di colore politico. La sanità è un grandissimo serbatoio di grandi esperienze: siamo pieni di grandi esperienze, di grandi professionisti, di grandi storie, di grandi realtà. Bisogna imparare ad amarle e a riconoscerle come tali. Le persone vive però si incontrano, e mi fa piacere oggi, visto che c’è il dottor Verdoliva, annunciare che nasce una collaborazione, come in passato, tra Cardarelli e Niguarda, anche tra ASST Brescia e ASL Napoli Centro, che ci insieme a confrontarci su alcuni temi pregnanti, operativi e il confronto è un primo inizio di collaborazione. Chi oggi in sanità non si aggancia ad altri e lavora da solo è perso sia nell’ambito clinico che nell’ambito gestionale. Bisogna attaccarsi tra persone vive per cercare di creare valore, perché il lavoro nasce così. Io non sono preoccupato del fatto che il lavoro sia faticoso o che ci siano dei problemi, perché si lavora solo per creare cose. Uno lavora appunto perché la mattina manca qualche cosa e si vuole che si crei. Mancano i soldi e si lavora per trovare i soldi, per campare come famiglia o come organizzazione. Manca la salute la mattina, e si lavoro perché a fine giornata ci sia. Che manchi qualche cosa all’inizio del lavoro, quindi, è una difficoltà che non mi spaventa; ciò che è importante mi sembra sia percepire la gravità del momento ma soprattutto la gravità positiva che è curare e curarsi. Perché, se questa gravità positiva del curare e curarsi emerge su 640mila persone che lavorano nel sistema sanitario – veramente una grandissima mole di persone -, le persone capaci di creare qualche cosa di nuovo, di sistematico e di grande si trovano. La responsabilità del Governo mi sembra che sia, oltre a rendersi conto nel suo complesso, per chi governa, soprattutto per chi ha una posizione come la vostra, valorizzare ciò che di vivo c’è, ciò che di positivo c’è, e poi agganciarlo a qualche altra cosa viva, perché tra vivi si crea vita e questo è quello che ci interessa veramente.
WALTER RICCIARDI:
Premesso che sono totalmente d’accordo con l’analisi fatta dal presidente De Luca, per passare a delle proposte operative, dico innanzitutto che è così, di questi argomenti non si parla, non se ne parla in questa misura, con questo tipo di analisi, con questo tipo di profondità, mentre invece in altri Paesi, non solo se ne parla ma si agisce. È appena entrato il professor Jean Claude Desenclos, direttore di Santé publique France, la massima agenzia sanitaria francese con cui domani faremo un dibattito su come Francia e Spagna, con Josè Martin Moreno, stanno analizzando la situazione. Vi posso dire che il lavoro che sta facendo la Francia, che è un modello assicurativo sociale, non un servizio sanitario nazionale, è cercare di prendere elementi positivi del servizio sanitario nazionale, per esempio, la centralizzazione delle agenzie tecniche. Santè publique France nasce dalla fusione di cinque grandi agenzie: il professor Desenclos è il direttore scientifico. Ha una grande storia, come alcuni dei suoi colleghi: è uno dei fondatori di Medici senza frontiere, ha portato il know-how gestionale a Parigi, dove sono, ma per diffonderlo in tutto il Paese, e sta pagando questo tipo di approccio: cioè, stanno mantenendo la qualità del servizio del sistema francese, non tradendo le caratteristiche del modello assicurativo sociale, perché loro non cambierebbero mai, ma inserendo meccanismi tecnici molto forti di rafforzamento di tutte le difficoltà. L’agenzia nazionale del farmaco, se vogliamo chiamarla così, perché in Francia ha un nome diverso, sta lavorando in questo senso. La nostra è ormai ferma, non ha un presidente, è ferma ormai da tempo rispetto alle sfide che abbiamo. Noi abbiamo farmaci straordinari: di cancro del polmone metastatico, prima si moriva nell’arco di pochi mesi. Oggi c’è un’aspettativa di vita, grazie all’immunoterapia, che arriva a quattro anni. Melanoma metastatico: si arriva alla guarigione, in certi casi, rispetto ad una patologia che fino a poco tempo fa era una condanna a morte. Qual è il problema? Queste terapie costano 20mila euro al mese. Allora, devi dare soldi soltanto a queste terapie che hanno valore e risparmiare tutta una serie di sprechi che vengono fatti in altri campi, anche quello oncologico. Questo tipo di ragionamento, chi lo fa? Chi mette a disposizione del presidente De Luca, del professor Coscioni, di altri, una serie di ragionamenti tecnici che sono così difficili, così sofisticati che non è pensabile che neanche una Regione grande come la Campania o come la Lombardia possano avere?
Ci devono essere delle tecnostrutture nazionali che funzionano e che danno questo tipo di input. L’altra grande cosa che ha fatto la Francia, per citarne una, è che la sanità lì è bipartisan: sapete quanto è divisa la società francese, ma sulla sanità sono tutti d’accordo. É quello che diceva il presidente De Luca: i manager migliori, le competenze migliori, i professionisti migliori. È chiaro che poi lì viene regolato, perché gran parte dell’erogazione è privata, per cui la competizione del mercato sulla qualità la fa il mercato, però l’approccio è quello. Recentemente, quando mi hanno chiesto una consulenza, sono andato e ho incontrato il nuovo direttore di tutta l’area di Parigi. É una persona che viene dalla Corte dei Conti, una persona di grandissima competenza che cerca di unire aspetti contabili e sanitari. Infine, che cosa si deve fare per l’Italia? Io sono d’accordo, questa autonomia differenziata è di fatto una secessione e peraltro, come era maturata nel febbraio di quest’anno, era veramente una cosa incredibile. Con alcuni costituzionalisti ci siamo confrontati e nel momento in cui quel provvedimento passa nel Consiglio dei ministri diventa per la nostra Costituzione un accordo tra il Governo e le Regioni ed è irreversibile. Non c’è referendum, non c’è nessuno che possa tornare indietro perché la nostra Costituzione prevede che in un futuro questo possa essere revocato esclusivamente da un accordo tra il Governo e la Regione che ha firmato quell’accordo. Quando hai di fronte quelle sfide di cui parlava il presidente De Luca, la possibilità per una Regione di pagare il 20, 30 per cento in più i propri professionisti, quando hai la possibilità di fare un certo tipo di scelte, è chiaro che, per quella popolazione, la spinta sia quella, in un’epoca di grandi egoismi. Però non è accettabile che oggi, rispetto al 2001, l’aspettativa di vita di una persona che nasca nell’area metropolitana di Napoli sia inferiore di quattro, cinque anni rispetto a uno che nasca a Trento. Per me è inaccettabile, come diceva il presidente è un segno di profonda inciviltà, non c’è nessun Paese che ha delle differenze così forti.
Quindi, tecnicalità sofisticate perché avete capito che parliamo di argomenti complessi, bipartisan, e poi più risorse: non c’è oggi possibilità di dare quella sanità di cui parlavi anche tu, Marco, con le risorse che abbiamo. Oggi noi siamo il Paese, tra i Paesi ricchi, che dà meno risorse su questo. E per quanto ancora ci siano degli sprechi, la dobbiamo finire con la retorica degli sprechi che, recuperandoli, poi ci consentono di… No, noi abbiamo oggi un finanziamento per la sanità che è largamente insufficiente persino per mantenere i livelli essenziali di assistenza del 2007, non quelli del 2017. Cioè, i soldi attuali non riescono neanche a dare quello che era previsto nel 2007, che in medicina è un epoca antidiluviana.
MARCO TRIVELLI:
Però, scusami, in questi anni noi ce l’abbiamo fatta, senza soldi incrementali abbiamo speso quasi un miliardo in più sui farmaci in Regione Lombardia, 800 milioni in più di farmaci salvavita, quindi a prescrizione personalizzata, facendo spazio con 800 milioni di risparmio su altre voci. La capacità gestionale di risparmio, c’è.
WALTER RICCIARDI:
Sì, ma tu dici “ce l’abbiamo fatta” nel senso che l’abbiamo sfangata. Me lo devi dire sulla base di indicatori assolutamente precisi, non così. Io ti posso dire, in questo momento, che la mancanza di investimenti, legata a quello che dicevamo degli ospedali italiani, sta determinando morti, che noi stiamo studiando da tre anni alla Università Cattolica. L’abbiamo scoperto e l’abbiamo detto soltanto sommessamente, perché avevamo paura del risultato: sono 45mila morti in un anno.
MARCO TRIVELLI:
Sono d’accordo, è un segnale di crisi.
WALTER RICCIARDI:
Muoiono 45mila persone, ma che cosa succede, banalmente? «Signora, suo papà purtroppo è morto, abbiamo fatto tutto quello che era possibile, però le condizioni cliniche erano troppo gravi, ha avuto un’infezione ed è morto». Quello è un parametro che non viene normato ma sostanzialmente sono 45mila persone che oggi potevano essere qui e che sono morte per mancanza di personale, mancanza di investimenti, mancanza di rinnovo delle attrezzature, mancanza dell’organizzazione. Allora, ce l’abbiamo fatta, sì, ma che cosa significa? Ce l’abbiamo fatta nel senso che tutto sommato non vediamo ancora quelli in America che vengono buttati fuori dall’ospedale quando gli scade la carta di credito, oppure che non entrano. Ce l’abbiamo fatta. Non vediamo quello che muore perché non gli dai l’insulina: ce l’abbiamo fatta. Non vediamo, ma ancora per poco, le collette americane, nel senso in cui ne parlavamo prima, perché se al figlio di un poveraccio gli viene una patologia, è prassi normale, non è un fatto scandaloso. Lì fanno le collette, chiamano tutti quanti per dire «Dacci i soldi per avere questo tipo di terapie». Sono d’accordo che ce l’abbiamo fatta, ma francamente questo non è degno di un Paese.
MARCO TRIVELLI:
Per capire cosa serve per andare avanti, non per dire che ce l’abbiamo fatta, sai quanto vale il patrimonio di Brescia a parte i fabbricati, il valore di acquisto abbiamo comprato apparecchiature per quasi 300 milioni di euro, sai quanto valgono oggi? 7 milioni, vuol dire che abbiamo materiale… ma non la risonanza, le colonne in sala operatoria di 15 anni quindi questo è un problema.
WALTER RICCIARDI:
Sì, ma devi soggiacere al mostro del numeratore che è quello della Lombardia, perché onestamente, con tutte le difficoltà, la Lombardia dal ’92 si è messa in moto, la Regione Campania, credo, dal 2015.
MARCO TRIVELLI:
Un po’ di autonomia, un po’ di differenziazione serve, dobbiamo lasciare libere le persone di far fare a chi ha capacità, come per esempio il presidente De Luca.
WALTER RICCIARDI:
Ma non significa ricentralizzare, per non fare l’esempio della Regione Campania che ha fatto un grande recupero.
MARCO TRIVELLI:
Però bisogna lasciarlo fare e non togliergli la questione, altrimenti mi viene in mente la persona che a Loreto, con il braccio anchilosato, dice: «Madonna, fammi la grazia di farmi il braccio uguale a quell’altro!». E si ritrova anche l’altro braccio anchilosato.
WALTER RICCIARDI:
Per intenderci, nessuno sta pensando a ricentralizzare, nessuno sta pensando a demonizzare il privato, anzi, voglio dire che nessuno sta pensando ad atteggiamenti né centralizzatori né stalinisti. No, stiamo pensando semplicemente ad un Paese unitario che parte da condizioni differenti. Per citare la Lombardia, è dal ’92, dall’anno del decreto che le ha reso sostanzialmente possibile muoversi, che si è mossa. Altre Regioni, come il Lazio e la Campania, si sono mosse con decenni di ritardo. Giustamente, come diceva il presidente, sono stati commissariati, però li devi aiutare, soprattutto di fronte a sforzi di grandissima volontà. Di fronte al Lazio, alla Campania e alla Sicilia, che è una Regione autonoma, che da sole facevano il 90 per cento del deficit nazionale, non puoi considerarle come le altre. Perché altrimenti non aiuterai mai 34 milioni di cittadini che vivono da quelle parti. Quindi, nessuno pensa ad obbligare la Lombardia ad avere gli stessi parametri della Calabria, però devi attivare un meccanismo tecnico, finanziario e culturale che renda possibile ottenere il Servizio sanitario nazionale, altrimenti succede quello che è successo in Spagna, che si perde il Servizio sanitario nazionale. Nel senso che la regionalizzazione ce l’abbiamo solo noi e gli spagnoli. In Spagna, la crescita dell’assicurazione e delle spese private pure ha avuto dei ritmi di crescita dalla crisi finanziaria del 20, 30 per cento mensile, cioè del 400 per cento, per cui ci sono delle autonomie in Spagna che danno prestazioni oramai soltanto agli asegurados, cioè a coloro che se le possono pagare: e questo è stato messo nero su bianco. Da un momento all’altro, da noi non la dichiara nessuno, però di fatto ci si ritroverà in questa situazione. È possibile uscirne? Sì, se di queste cose ne parliamo, ed è un grande merito del Meeting che ne parli, se ci lavoriamo insieme. E io credo moltissimo alla collaborazione tra le istituzioni che possono farlo. Ma soprattutto se i cittadini si svegliano, perché i cittadini danno per scontato che quando ci sarà un problema ci sarà una struttura sanitaria che in qualche modo darà risposta. Se continuiamo così, non sarà così e noi dobbiamo fare in modo che questo non succeda.
LUIGI CAMMI:
Presidente, una battuta.
VINCENZO DE LUCA:
Innanzitutto, volevo confermare a Trivelli che noi siamo assolutamente d’accordo ad accettare la sfida dell’efficienza. Nessun dubbio su questo. Ma anche nessun dubbio sulla difesa rigorosa dell’unità nazionale. Il sistema scolastico unitario, il sistema sanitario unitario sono assi portanti dell’unità del Paese, non due settori come gli altri. Noi stiamo facendo uno sforzo enorme: eravamo partiti che non avevamo neanche un sistema informatico unitario per tutta la sanità campana, non dialogavano neanche, ASL e AS, un disastro totale. Avevamo nel 2015, quando siamo partiti, 103 punti nella griglia Lea, dei Livelli essenziali di assistenza, ultima Regione d’Italia. Nel giro di due anni, abbiamo raddoppiato praticamente la griglia Lea, siamo a 173 punti. Uno sforzo gigantesco. È evidente che questo presuppone una totale autonomia politica, mi permetto di dire anche una forza politica, perché se ti metti a contrattare i direttori generali, i direttori amministrativi, buonanotte, altro che sanità pubblica! Noi abbiamo deciso queste cose in 24 ore, punto, senza contrattare con nessuno. Chiaro? In questo momento, la Campania ha tempo di pagamento per quanto riguarda i farmaci di 22 giorni, neanche in Svezia. Abbiamo dei ritardi per quanto riguarda gli screening, c’è un ritardo culturale, c’è una fatica a convincere anche le donne a farsi prendere in carico dalle Asl. Piano piano, qui ci vuole più tempo, ma ci stiamo arrivando. Per il resto, la nostra posizione non è di accattonaggio istituzionale. Io non chiedo a nessuno di togliere il commissariamento, chiedo al Governo semplicemente di fare il suo dovere perché la Campania presenta sei anni di bilancio sanitario attivo e ha raggiunto la soglia prevista per legge della griglia dei Livelli essenziali di assistenza. Quindi, non ci fanno nessun piacere. Sono io che sto facendo un piacere alla sedicente ministra della Salute, tale Grillo. Quindi, non dobbiamo aspettare niente e abbiamo già informato i nostri amici che, o chiudiamo questa maledetta storia del commissariamento, oppure ci rivolgeremo alla magistratura, perché non è tollerabile che i ritardi della burocrazia centrale – è una cosa su cui siamo assolutamente d’accordo, anche sulla gestione del personale, molta più rapidità e autonomia da parte delle Regioni, al netto dei vincoli finanziari – incidano su una Regione che ha raggiunto con uno sforzo immane tutti i suoi obiettivi e deve essere tenuta in una condizione di incertezza perché a Roma dormono in piedi. Lì, altro che ai tempi della Magna Grecia. Voi andate in un ministero e troverete i direttori generali stravaccati in poltrone come questa, ma sono poltrone di quella pelle consumata. Voi parlate e capite che i tempi che hanno sono i tempi della storia. Stiamo aspettando da aprile dello scorso anno la definizione del programma di edilizia ospedaliera della Regione Campania, dopo venti anni riusciamo a utilizzare quello che per venti anni, non avendo i conti in ordine, non abbiamo utilizzato, i fondi dell’art. 20, un miliardo e 80 milioni di euro per l’edilizia ospedaliera. La proposta l’abbiamo fatta il 24 aprile dello scorso anno, siamo ad agosto, ancora non hanno firmato. Quando presentate un piano per l’edilizia ospedaliera, bisogna presentarlo ad una commissione tecnica. L’abbiamo presentato alla commissione tecnica che ha discusso, poi ci ha chiesto integrazioni, poi volevano sapere qual era il grado di vulnerabilità sismica degli ospedali nei quali volevamo intervenire. E che te li chiediamo a fare, i soldi, se abbiamo risolto il problema della vulnerabilità sismica? Abbiamo perso tre mesi per definire queste cose, a gennaio la commissione tecnica dà il suo parere favorevole al piano per l’edilizia ospedaliera. A quel punto, la storia non è finita perché dobbiamo avere la firma del ministro sedicente della Salute, la quale dopo un mese firma ma non è finita, dobbiamo portare questa materia nella conferenza Stato-Regioni, e dopo nella conferenza Stato-Regioni- Autonomie locali. Ma non è finita, dobbiamo ritornare al ministero della Salute, a quello dell’Economia, perché devono firmare il contratto finale per la utilizzazione del miliardo e 80 milioni di euro. Siamo arrivati a fine agosto e ci auguriamo che nelle prossime ore quelli del ministero dell’Economia firmino. È evidente che di fronte a queste procedure barocche, noi siamo più che disponibili a fare una battaglia di autonomia della Regioni, però, attenti, se l’autonomia è quella del Veneto – mi faccio le scuole di specializzazione, decido la retribuzione dei medici che lavorano nel mio sistema, decido anche come fare le assunzioni – eh no, questa è un’altra storia, questo significa avere due Italie, significa condannare a morte il Sud, non è accettabile dal mio punto di vista. Oggi abbiamo una aspettativa di vita media in Campania di tre anni e mezzo inferiore rispetto al Nord del Paese. Non è un problema mio, è un problema dell’Italia, di chi ha un sentimento di patria e non vuole perderlo per strada. Questo dobbiamo dirlo con grande chiarezza. Una parola di fiducia. Io vengo da una città che ha dato vita alla prima scuola medica dell’Occidente, la scuola medica salernitana. Abbiamo in Italia una grande tradizione di civiltà medica, si insegnava non solo scienza medica ma anche diritto, filosofia. Insomma, era uno dei fuochi dell’Occidente, la scuola medica salernitana. Abbiamo avuto grandi personalità nel campo della medicina, della ricerca e della scienza. Noi oggi guardiamo con fiducia al futuro perché in una Regione come la Campania, a Napoli, per esempio, grazie a una sperimentazione che ha visto in prima fila l’Istituto Pascale, abbiamo sviluppato una ricerca che riduce del 70 per cento le morti per tumore al seno, in collaborazione con l’Università di Chicago e altre realtà internazionali. Vi parlavo prima di questi 120 milioni investiti nella ricerca sul cancro, abbiamo i primi segnali interessanti. Nel campo della ricerca genetica, abbiamo individuato geni che bloccano le metastasi. Non sono ancora vaccini ma abbiamo elementi di freno e di contenimento delle metastasi. La ricerca va avanti e abbiamo realtà di grandissimo livello. Abbiamo un personale medico che, proprio in territori di sofferenza, si presenta non solo con una grande qualità professionale ma anche con una grande qualità umana. Avrete sentito di una bambina, Noemi, che è stata colpita per strada qualche mese fa da due camorristi. Arrivata in ospedale, hanno lavorato insieme Pascal, credo Monaldi, Cardarelli, tutti abbiamo salvato una bambina che era quasi perduta, grazie a uno sforzo di professionalità ma anche di umanità. Allora, noi dobbiamo fare insieme la battaglia per avere più risorse. Su Il sole 24 ore di stamattina c’era la notizia che abbiamo perso in due anni 5 miliardi di euro solo per l’aumento dello spread. Sarebbero bastate queste risorse o quelle che abbiamo buttato a mare con “Quota 100” o cose del genere. Dobbiamo pretendere, non le briciole ma 5, 6, 7 miliardi in più per la sanità italiana: queste sono battaglie vere e non quelle per l’assistenzialismo. Allora, muoviamoci così, con fiducia rispetto al livello in atto di ricerca scientifica, di ricerca medica, di ricerca farmacologica, che è davvero straordinaria in Italia. Ci servono altre risorse, ce la possiamo fare e dobbiamo, ovviamente, quanto più siamo in un Paese di sgangherati, truffatori, politici, avere speranza. Per questo è importante anche una iniziativa come quella che fate voi. Speranza nel senso, ovviamente, di papa Ratzinger o nel senso del cristiano assurdo di Ignazio Silone; speranza non come ottimismo vacuo ma come anticipazione della realtà come dico io, da laico: dobbiamo essere i cristiani assurdi di Ignazio Silone. Quelli che anche da soli decidono di combattere, di fare il loro dovere, perché poi questo ha un effetto di diffusione nella società perché, come è noto, insegniamo agli altri non quello che sappiamo ma quello che siamo. Quello che arriva ai giovani è l’esempio di vita, la coerenza di vita e in un campo come questo è decisiva la passione, la speranza e anche la capacità di combattere uniti per avere quello che ci serve.
LUIGI CAMMI:
Vi ringrazio dei vostri interventi e delle risposte rispetto anche alle domande che c’erano aperte, ripeto, ce ne sono anche tante altre. Sono tre anni che portiamo avanti questo dialogo al Meeting: quello che mi interessa è quello che abbiamo visto oggi, persone appassionate alla vita, al proprio lavoro, che hanno la voglia di mettersi in gioco. Via via, stiamo incontrando queste persone al Meeting che è un luogo veramente di dialogo, come diceva il prof. Ricciardi. Attaccarsi tra persone vive per creare lavoro, quello che diceva Marco: il Meeting è questo. Per me è un evento unico, è da 40 anni infatti che ha degli esiti sorprendenti e sempre nuovi. L’intervento del presidente De Luca mi ha veramente colpito nel finale, grazie.
Trascrizione non rivista dai relatori