RIPARTIRE DAL MEDITERRANEO: UN ORIZZONTE PER LA POLITICA INTERNAZIONALE

Ripartire dal Mediterraneo: un orizzonte per la politica internazionale

Ripartire dal Mediterraneo: un orizzonte per la politica internazionale

Partecipano: Taieb Baccouche, Ministro degli Esteri della Tunisia; Paolo Gentiloni, Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Introduce Roberto Fontolan, Direttore Centro Internazionale di Comunione e Liberazione.

 

ROBERTO FONTOLAN:
Apriamo questo incontro; come vedete sono due ospiti d’eccezione e di grande autorevolezza. Il Mediterraneo è la storia di un amore che insieme ci appare come immortale e drammatico. Uno spazio privilegiato della vita umana, della sua storia, dell’incontro e insieme del conflitto, della guerra. Nel ’91, in Italia venne pubblicato un libro bellissimo, Breviario mediterraneo, dello scrittore croato Predrag Matvejević. Raccontava del pane, del vino, dei commerci, delle navi, delle città, delle croci, delle mezzelune, delle kippah, un mondo stupendo e affascinante, intriso profondamente di umano. Avremmo potuto, noi popoli mediterranei, in questa nuova storia, riguadagnare quell’orizzonte. Poco dopo scoppiò la guerra balcanica, con la dissoluzione della Jugoslavia e l’amore si infranse o sembrò infrangersi ancora una volta. Insieme arrivò la prima guerra irachena. Il resto lo conosciamo. Qualche anno fa, le rivoluzioni arabe, le grandi primavere, osservate da noi con stupore e speranza come l’inizio di un amore. Poi arrivarono i governi dei Fratelli musulmani, l’Isis e quello che vediamo in questo tempo terribile. Oggi non riusciamo a vedere il Mediterraneo come quel libro ci raccontava. Oggi lo sentiamo forse più come un enigma, un fosco enigma pieno di difficoltà, drammi, dove l’orrore cerca tutti i giorni di uccidere la speranza, di uccidere quell’amore immortale. Pare che gli unici ponti del Mediterraneo, oggi, siano quelli fatti di barconi che affondano e di corpi disperati o perduti sul fondo. Ma noi, che ci sentiamo parte di questa famiglia del Mediterraneo, vogliamo non arrenderci, non desistere. Questo amore resta per noi una vocazione irresistibile. Ho voluto interpretare così i sentimenti con cui oggi accogliamo il Ministro degli Esteri della Tunisia, sua Eccellenza Taieb Baccouche, e il Ministro degli Esteri del nostro Paese, Paolo Gentiloni. Vorrei, a questo proposito, farmi interprete dei sentimenti di tutto il Meeting, per ringraziare la grande amicizia che il Ministro ci accorda e il grande aiuto con cui, grazie anche agli sforzi del Ministero e dei suoi diplomatici sparsi per il mondo, abbiamo potuto avere in questi giorni degli ospiti tanto significativi e tanto importanti. Vorrei ringraziare gli ambasciatori e i diplomatici del Ministero. La Tunisia è stato il primo Paese delle primavere arabe, è il Paese che oggi sta resistendo duramente e pagando un prezzo molto alto per salvare la sua democrazia, la sua libertà, la sua apertura. E dandole la parola, signor Ministro, vorrei dire che noi qui vogliamo essere vicini al suo Paese. Siamo qui per ascoltarla, condividere con il suo popolo la sofferenza e il coraggio di questi mesi, Perciò grazie della sua presenza. Il Ministro Baccouche è Ministro degli Esteri del Governo tunisino dal gennaio scorso. La sua storia è quella di uno studioso. È studioso di lingua e letteratura, in particolare di lingua. Tutta la sua vita è stata quella di uomo impegnato nell’educazione, nell’università, nelle scuole. Ha dedicato molti anni della sua vita a questo compito. Ha lavorato anche come giornalista ed è stato Presidente dell’Istituto arabo dei diritti dell’uomo. Nel darle la parola, ricordo anche che è Segretario generale del partito Nidaa Tounes dal momento della sua creazione.

TAIEB BACCOUCHE:
Signore e signori, permettetemi innanzitutto di ringraziare gli organizzatori di questa importante manifestazione, per averci dato l’opportunità di incontrarci in questa bella città di Rimini, e per la qualità e il calore dell’accoglienza che ci è stata riservata fin dal nostro arrivo. Desidero inoltre ringraziare il dottore Roberto Fontolan per le cortesi parole che mi ha voluto riservare. È con estrema gioia che mi unisco a lei, quest’anno, caro collega e amico Paolo Gentiloni, per partecipare a questo incontro e contribuire ad arricchire il dibattito sul tema “Ripartire dal Mediterraneo: un orizzonte per la politica internazionale”. Questo tema, mi sembra, è stato scelto a ragione e si rivela ancora più importante e decisivo visti i tumulti e gli sconvolgimenti che attraversano questa regione dall’inizio del nuovo secolo, e che si sono aggravati con l’interminabile conflitto del Medio Oriente che minaccia la stabilità e sicurezza del Mare nostrum. Signore e signori, l’impegno della Tunisia per il Mediterraneo non è mai venuto meno e si è consolidato di anno in anno, grazie anche alla sua determinazione nel contribuire a rendere il bacino mediterraneo un vero e proprio spazio di cooperazione e fratellanza tra i popoli. Così facendo il nostro Paese ha elaborato, grazie alle proprie azioni per la stabilità e prosperità, una vera e propria politica mediterranea. Obiettivo ultimo di questa politica è la creazione, in questo spazio, di un partenariato solidale e di sviluppo comune, che rinsaldi la pace e la prosperità tra le due sponde del Mediterraneo. È importante, per le sponde nord e sud del bacino Mediterraneo, favorire l’approfondimento dei legami di cooperazione e questo per raccogliere le molteplici sfide di fronte a noi. In tal senso sono convinto dell’importanza del ruolo che possono svolgere all’interno dell’Unione europea Paesi come l’Italia. Questo per favorire a sud dell’Europa il rafforzamento di una cooperazione che tenga conto, non solo degli interessi sicuramenti legittimi della sponda nord, quali la sicurezza, l’immigrazione o l’energia, ma che contemporaneamente sia sensibile alle sfide che il sud è chiamato ad affrontare. In particolare la creazione di occupazione, l’istruzione, la formazione, la lotta alla desertificazione, la gestione delle risorse idriche e la tutela ambientale. L’azione della Tunisia nel Mediterraneo si sviluppa nelle diverse strutture di cooperazione esistenti. Sul piano regionale, ad esempio, la Tunisia partecipa attivamente ai lavori del dialogo “Cinque più cinque”, che riunisce, dalla dichiarazione di Roma del 10 ottobre 1990, i dieci Paesi del Mediterraneo occidentale. In tal senso, il nostro Paese presiede quest’anno le riunioni settoriali nel campo della difesa e ha proposto, durante la riunione dei Ministri degli Esteri del dialogo “Cinque più cinque” a Lisbona, lo scorso Maggio, di ospitare la prima riunione dei Ministri della Cultura nel Dicembre 2015. Inoltre, la Tunisia ha sostenuto e difeso sin dall’inizio il grande cantiere dello spazio euro Mediterraneo, sia quando è stato inaugurato a Barcellona nel 1995, sia nel quadro dell’unione per il Mediterraneo durante il vertice di Parigi del luglio 2008. Ubicate nel cuore del Mediterraneo, Tunisia e Italia sono sempre state, in tremila anni di storia, attori strategici in questo bacino di civiltà. E oggi collaborano insieme affinché il Mediterraneo sia al centro della nuova politica di vicinato dell’Unione Europea. Signore e signori, a parte il quadro formale o informale di cooperazione nel bacino mediterraneo, questo spazio è stato teatro, all’alba di questo terzo millennio, di uno stravolgimento geopolitico mondiale fuori dal comune, in cui un popolo, e nello specifico quello tunisino, si è sollevato in massa per la propria libertà e dignità. In effetti, la transizione dai sistemi autoritari verso la libertà e la democrazia è ancora possibile oggi, in questo inizio di terzo millennio. È necessaria, è incoraggiante, ma è minacciata e ha bisogno di essere accompagnata. Ha bisogno di determinazione, di lucidità e di solidarietà. Ormai, grazie a questa transizione democratica incoraggiante, abbiamo, nel Mediterraneo, un nuovo mutamento storico, che ha provocato un’onda d’urto su tutti i Paesi della sponda sud del Mediterraneo, e che a suo modo conferma l’universalità del desiderio democratico e del diritto naturale alla libertà. È per questo motivo che quanto succede in Tunisia ha bisogno della vostra solidarietà e del vostro appoggio attivo, soprattutto nelle circostanze attuali del Paese, chiamato ad affrontare numerose sfide in materia di sicurezza e in campo socio-economico. La Tunisia, oggi, vive una delle pagine più importanti della sua storia e di questo processo democratico, che è strategico perché dal suo successo o fallimento dipenderà il futuro della situazione politica e geostrategica della sponda sud del Mediterraneo. Questa situazione conferisce alla Tunisia un ruolo particolare e le impone di avere la meglio nella propria esperienza democratica, per ispirare altri Paesi della regione e contemporaneamente per garantire la stabilità e la prosperità. La Tunisia si è impegnata a 360° in questo processo democratico irreversibile. I vili attentati terroristici non potranno cambiare nulla. Al contrario, non potranno che rafforzare la nostra determinazione ad andare avanti e a cogliere l’appuntamento con la storia. Questo per mostrare al mondo che la sponda sud del Mediterraneo non rifugge la modernità e la democrazia. In questa occasione desidero rinnovare i miei ringraziamenti personali e quelli del Governo tunisino per il sostegno e l’assistenza offerti dall’Italia a questo processo democratico in Tunisia. Roma si è manifestata, fin dai primi giorni della nostra rivoluzione e nel completamento del processo transitorio, realmente e sinceramente disposta a sostenere la nostra democrazia balbuziente e ad aiutarci a raccogliere le sfide legate a questa transizione. Signore e signori, i conflitti del Medio Oriente, che si fanno sempre più pressanti e si intrecciano sempre più, non solo colpiscono il nostro spazio comune, ma ormai sono causa dell’instabilità mondiale. Su tutto il pianeta diffondono un effetto destabilizzante, come ci insegna la crudele lezione del terrorismo. Racchiudono in sé un sentimento di ingiustizia. Rifiutano con sprezzo le identità. Non credono nell’applicazione dei valori universali e possono servire da pretesto per negare la diversità delle culture. Sentiamo sempre più parlare di scontro di civiltà che sembra caratterizzare il XXI secolo, proprio come il XIX secolo è stato caratterizzato dalle nazionalità e il XX secolo dalle ideologie. Uno scontro, di fatto, che è uno scontro tra estremisti e radicali, tanto più radicale, tanto più violento e tanto più passionale, proprio perché riguarda lo scontro di culture, culture omicide, culturali e religiose. Questo concetto si nutre di tutte le paure, di mancanza di fiducia, e deve innanzitutto essere rifiutato perché sposare questo concetto significa cadere nella trappola che ci tendono i terroristi, che vogliono sollevare uomini contro uomini, culture contro culture, e religioni contro religioni. A questo concetto bisogna contrapporsi con un’altra realtà, una realtà politica, morale, culturale, una volontà diversa, basata sul rispetto, sullo scambio, sul dialogo tra tutte le culture e tutte le religioni, legata indissolubilmente all’affermazione dei valori umani specifici che fanno di noi quello che oggi siamo. L’universale implica lo specifico e lo trascende. Tutte queste risposte devono essere sentite nel Mediterraneo e avere un’eco ancor più grande nel resto del mondo. Il Mediterraneo deve appropriarsi di questi valori e impegnarsi nella battaglia decisiva di questo nuovo millennio a favore del dialogo e della tolleranza, per combattere l’estremismo e gli integralismi. Non dimentichiamoci che lo spazio mediterraneo in passato è stato il crocevia di tanti popoli, culture, nazioni, è stato la culla delle religioni monoteiste, e fonte dei valori di libertà e dignità umana. Ci fu un’epoca in cui le nostre culture erano intimamente legate. Averroè venerava Aristotele che, a suo dire, era la persona inviata da dio per proclamare la verità, e san Tommaso d’Aquino vedeva in questo genio universale della scienza araba il “commentatore” per eccellenza dell’eredità greco-latina. Successivamente le nostre storie hanno preso un corso diverso. Oggi l’emergenza ci vuole uniti, occorre dimenticare gli stereotipi e le paure, per andare oltre ciò che ci contrappone e costruire il nostro futuro condiviso. È una battaglia fondamentale per il Mediterraneo, che deve attingere all’essenza stessa della propria esistenza, per ricordare al mondo le virtù dell’apertura e del dialogo. Grazie alla storia antica e grazie alla sua ubicazione geografica, il nostro mare comune, come amava chiamarlo Camus, deve farci nuovamente apprezzare la mescolanza di culture e di civiltà, e deve nuovamente essere il punto di contatto che collega spazi e uomini. Signore e signori, il Mediterraneo è diventato il punto focale delle incomprensioni tra i popoli ed è proprio per questo che deve mantenere la promessa di un universo dove ognuno, più sicuro di sé, possa accettare il volto e la voce della differenza. La vostra riunione, quest’anno, è l’occasione per ripetere queste domande, per dare risposte, per esprimere gli ideali, e sono felice di avere fatto sentire la voce della Tunisia. Per concludere, auguro agli organizzatori e ai partecipanti che la 36a del Meeting di Rimini abbia tutto il successo che merita, e spero che possa contribuire a consolidare i valori della fratellanza e della solidarietà tra i popoli di tutto il pianeta, e soprattutto del Mediterraneo e dei suoi giovani. Grazie della vostra cortese attenzione.

ROBERTO FONTOLAN:
Grazie signor Ministro, ora do volentieri la parola al Ministro Paolo Gentiloni, che è stato membro della Commissione Esteri, ed è Presidente della sezione Italia-Stati Uniti dell’Unione interparlamentare. Una lunga vita politica e anche giornalistica, perché eletto in parlamento nel 2001, è stato Presidente della Commissione di vigilanza sulla RAI, e Ministro delle Comunicazioni del Governo Prodi. Grazie

PAOLO GENTILONI:
Grazie. Sono io che ringrazio il Meeting per questa occasione di confronto sul Mediterraneo, e anche per aver costruito questa occasione assieme al mio collega e amico Taieb Baccouche, che voglio salutare come un uomo che rappresenta quello che per noi è un Paese simbolo di coraggio e di speranza, la Tunisia. Il Mediterraneo è uno dei temi prioritari del Meeting. So che nell’’87, don Giussani organizzò un Meeting del Mediterraneo in Grecia, so che da sempre qui si parla di immigrazione, di culture Mediterranee, di persecuzione dei cristiani, di dialogo interreligioso. Oggi, la sfida di un nuovo ordine nel Mediterraneo è forse la sfida strategica per la politica estera italiana ed europea. Noi, Governo italiano, abbiamo lavorato per cercare di portare il Mediterraneo al centro dell’agenda globale. Non è stato facile, dobbiamo dircelo. Ci sono alcune narrative del secolo scorso che passano più facilmente nella comunità internazionale. La narrativa della minaccia esterna, la narrativa delle regioni orientali dell’Ucraina, come se fossero i Sudeti nel 1938, la narrativa della Guerra Fredda: tutte dimensioni e sfide che certamente sono di grande rilievo per noi, ma che non devono farci dimenticare la minaccia costituita da dinamiche che attraversano le nostre società. L’Italia ha lavorato in sede di Unione Europea, Nato, G7, abbiamo molto sostenuto l’idea di far partecipare all’ultimo G7, in Baviera, il Presidente tunisino Essebsi, che vi ha effettivamente poi partecipato. Il Meeting quest’anno è all’insegna di un bellissimo verso di Mario Luzi, io non lo ripeto perché non lo voglio storpiare, ma è davvero bellissimo. E io vorrei ricordare qui un altro verso, di Eugenio Montale, dedicato al Mediterraneo. “Antico mare” – diceva Montale – ricordando la sua “legge rischiosa: essere vasto e diverso e insieme fisso”. Vasto e diverso il Mediterraneo. I romani come sapete lo chiamavano Mare Nostro, per gli ebrei era il Grande Mare, il Mare di Mezzo, “Mittel Meer”, per i tedeschi, il Mare Bianco per i Turchi, il Grande Verde per gli Antichi Egizi. Vedete quanti nomi ha il Mediterraneo, che riflettono in qualche modo la sua straordinaria vastità. Ma è anche un mare fisso, nel senso che non si sfugge al destino della propria storia e della propria geografia. Quando sento alcune battute nel dibattito politico italiano, ho l’impressione che qualcuno pensi che si possa davvero fuggire dalla nostra storia e dalla nostra geografia. Invece no. Noi siamo lì, abbiamo 8000 km di coste e dobbiamo costruire soluzioni di dialogo e di pace. Questo Mediterraneo da vent’anni, non da pochi mesi, è attraversato da un arco di crisi, che ha ragioni sociali, religiose, nazionali, demografiche. Qualcuno ha azzardato dei paragoni con la guerra dei Trent’anni del Seicento in Europa, con i conflitti intracristiani. Non so se il paragone sia sostenibile, non so se avremo alla fine una Westfalia del Mediterraneo, un cuius regio, eius religio che risolverà questo problema. So che certamente, dobbiamo scongiurare, come diceva prima Taieb, l’idea dello scontro tra civilizzazioni e ancora peggio tra religioni, e so che l’unico modo per scongiurare questo scontro è combattere il fondamentalismo terrorista e difendere la larga maggioranza delle comunità musulmane e la presenza dei cristiani nel Mediterraneo e in Medio Oriente. Solo così si evita lo sconto di civiltà e il conflitto tra religioni. In questa impresa, certamente non facile, di dare un nuovo ordine al Mediterraneo, dobbiamo affrontare tre grandi temi: il primo certamente è il tema della sicurezza, del Terrorismo. Nei decenni di questa crisi del Mediterraneo, credo che l’Occidente abbia misurato anche i limiti di un interventismo senza futuro, di iniziative militari, magari mosse dalle migliori intenzioni, costruite attorno all’emergenza ma prive di una prospettiva per il domani. Dall’Iraq alla Libia. E’ per questo, per la crisi di queste dinamiche, che il Mediterraneo è diventato una sorta di cura della riluttanza dell’Occidente. Oggi se c’è un luogo in cui si avverte la riluttanza dell’Occidente in modo più evidente, è il Mediterraneo. Mare Nostrum dicevano i Romani, e io ripeto che non può diventare il mare nostrum una sorta di mare nullius, di un luogo lasciato a se stesso, in cui le forze che lavorano per un ordine mondiale non si cimentano a costruire questo ordine. Noi italiani e noi europei dobbiamo fare la nostra parte in questo lavoro, e dobbiamo farla consapevoli del fatto che è finita l’epoca nella quale si poteva essere semplicemente consumatori di sicurezza assicurata da qualcun altro. Ci siamo un po’ cullati in questa illusione nei decenni. Cosa fa l’Italia? Consuma la sicurezza che qualcun altro costruisce, garantisce. Magari addirittura permettendosi di definire chi costruiva questa sicurezza per noi, un gendarme o cose di questo genere. Oggi l’Italia deve fare la sua parte nella costruzione della sicurezza in quest’area decisiva e strategica del mondo. È un compito che ci riguarda direttamente, e lo dobbiamo fare combattendo il terrorismo e in particolare la sfida di Daesh, che oggi è la più drammatica che abbiamo di fronte, lavorando per costruire la pace nei contesti difficili della Libia, della Siria, del Medio Oriente, sostenendo alcuni Paesi chiave, il cui consolidamento, il cui sviluppo è decisivo. Penso alla Tunisia innanzitutto, ma anche al Libano, altro Paese chiave, minacciato da fenomeni migratori molto gravi, e decisivo per il suo sistema pluralistico che è fondamentale sostenere. Tutto ciò lo dobbiamo fare difendendo la presenza dei cristiani, un piccolo gregge con una grande responsabilità, come li ha definiti il Santo Padre nella sua Lettera ai cristiani d’Oriente. La presenza dei cristiani, infatti, è una componente ineliminabile del mosaico pluralista, culturale e della civiltà del Mediterraneo e del Medio Oriente. Se sparisce quella tessera, cambia il mosaico, e dobbiamo saperlo. Il secondo grande tema è il tema delle migrazioni che oggi ci attraversa tutti, ci squassa in qualche modo, perché anche semplicemente guardando le immagini dei telegiornali o occupandosene sul piano politico, è evidente la dimensione del problema. Tutti sappiamo alcune cose elementari. Primo: che si tratta di un problema che bisogna affrontare e provare a risolvere lungo tutto il percorso in cui si manifesta, quindi dalla sua origine al suo sbocco finale. Il fenomeno migratorio non nasce sulle spiagge della Tripolitania, o sulle coste di Bodrum in Turchia, nasce molto prima. Nasce in Africa, nasce nelle zone di guerra in Siria. Nasce nei contesti di fame e di dittatura che attraversano tante parti del mondo. E credo che siamo anche d’accordo su un altro punto che a me sta particolarmente a cuore, direi quasi mi angoscia in questi giorni, in queste settimane. Parlo del destino dell’Europa, di una delle più grandi utopie che noi occidentali, noi italiani in particolare, abbiamo avuto negli ultimi decenni: l’utopia dell’Europa unita, l’utopia degli Stati Uniti d’Europa, uno dei miti fondativi della Repubblica Italiana. Oggi si parla molto del destino dell’Europa e della necessità del suo rilancio. Non credo che il rilancio dell’Europa possa avvenire nel laboratorio delle ingegnerie internazionali, nella formazione di documenti su quale può essere la nuova architettura dell’Unione e i nuovi compiti delle diverse istituzioni di Bruxelles. Intendiamoci, è importantissima questa dimensione del dibattito. Va sviluppata, dobbiamo parteciparvi, dobbiamo avervi un ruolo come italiani. L’Europa in questo momento riconquista il proprio ruolo o si perde definitivamente attorno ai nodi politici fondamentali del mondo di oggi, e, in primo luogo, intorno al tema dell’immigrazione. È sull’immigrazione che l’Europa o ritrova se stessa o si perde definitivamente, perché non possono durare a lungo le immagini, che vediamo in questi giorni, dei focolai che si accendono in tante parti dell’Europa. Le istituzioni comunitarie hanno provato a porvi rimedio. Ma tutto questo si è sfilacciato nella competizione e nel ping-pong degli egoismi, per cui noi, che siamo la più grande superpotenza commerciale del mondo, noi, Unione con oltre mezzo miliardo di abitanti, noi, luogo delle civiltà e delle religioni fondative di mezzo mondo, noi appariamo incapaci di risolvere controversie alle nostre frontiere che riguardano cento, duecento, trecento persone. Scene che non sono degne della dignità e della storia del nostro continente. E qui credo che dobbiamo fare una battaglia su due fronti: su quello europeo, per avere un impegno comune, per rivedere le regole di Dublino, per condividere al livello europeo questa sfida; sul fronte interno, combattere, in modo civile, con le armi della dialettica, del confronto politico, della cultura, coloro che nel nostro Paese spacciano paura e illusioni. Con gli spacciatori di paura e di illusioni l’Italia non va nessuna parte e credo che si tratti di costruire una posizione, una politica credibile, e non di inseguire, questa o quella popolarità improvvisa.
Noi, però, non abbiamo solo bisogno di sicurezza, di sconfiggere il fondamentalismo terrorista, e di fare i conti con il fenomeno dell’immigrazione. Abbiamo un drammatico bisogno di sviluppo, di sviluppo economico, di crescita, di nuove occasioni di lavoro. La Tunisia è un esempio straordinario per noi. Di fronte alla minaccia della propria sicurezza, il Governo tunisino, il Popolo tunisino, il Parlamento tunisino non hanno fatto marcia indietro. Avrebbero potuto invocare ragioni di forza maggiore. Hanno tenuto botta, hanno preso misure molto coraggiose, sono riusciti a dare un esempio straordinario per tutta la regione. Dopo di che si sono presi un sacco di complimenti da parte dell’Europa, ma ogni volta che ci incontriamo ci riportano con i piedi per terra, e ci dicono: sì, cari amici italiani, sì, cari amici europei ed occidentali, noi vi siamo grati per le parole di apprezzamento che avete rivolto alla Tunisia, ma abbiamo bisogno di lavorare insieme per costruire occasioni di lavoro, di sviluppo per i giovani, di futuro economico per il Paese. Questo discorso non vale solo per la Tunisia, credo sia un discorso valido per l’insieme della regione e per molti Paesi del Mediterraneo. È un’occasione anche per noi. Se c’è una cosa che francamente mi dispiace di non essere riuscito a fare, in questi mesi da Ministro degli Esteri, è dare sufficientemente l’idea, la dimensione del fatto che il Mediterraneo, oltre ad essere certamente tutto quello che abbiamo detto, è anche una straordinaria opportunità di occasione e di sviluppo economico; è una straordinaria occasione per le imprese, per il lavoro italiano. Il Mediterraneo non è soltanto una minaccia alle nostre porte di casa. Se noi aggreghiamo l’insieme dei Paesi di questa regione, scopriamo che sono Paesi fondamentali. Penso ad esempio alla Tunisia, ma non solo alla Tunisia, anche come ponte verso l’Africa, verso questo Continente, che per la mia generazione è stato a lungo, fino a dieci, vent’anni fa, un Continente perduto, il Continente privo di sviluppo, abbandonato alla fame e alla malattia. Sappiamo, invece, che da alcuni anni è un Continente in cui si alternano elementi di crescita economica e di sviluppo, di nuovo ruolo per le donne, di empowerment della società civile, insieme a crisi micidiali della capacità statale, a conflitti, al terrorismo. Il Mediterraneo, che è anche ponte verso l’Africa, è complessivamente un’area che ha tassi di crescita invidiabili per le nostre economie, attorno al 3-4%, l’Africa addirittura tra il 4-5%, ed è un insieme di Paesi rispetto ai quali la nostra Italia è uno dei partner economici commerciali fondamentali. Forse non tutti sanno che l’Italia è il quarto partner commerciale di quest’area, dopo, nell’ordine, gli Stati Uniti, la Cina e la Germania. Quindi stiamo parlando di un’area che costituisce per noi una grande occasione di futuro, e non solo una minaccia per la sicurezza o per la convivenza. Dobbiamo lavorare su questo. Lavorare per costruire le condizioni, affrontando i temi della sicurezza e delle migrazioni, di un ordine nel contesto della regione mediterranea, che consenta alla sue potenzialità di sviluppo umano, culturale ed economico di dispiegarsi. È una sfida bellissima, una sfida alla quale l’Italia, il suo Governo, la sua società civile, le Ong, il mondo del volontariato, tutti, non si sottrarranno, portando un contributo molto rilevante. Grazie!

ROBERTO FONTOLAN:
Grazie, abbiamo ancora la possibilità di aver qualche minuto. Volevo chiedere al signor Ministro: come vivono i giovani tunisini questo momento, questa fase, questo contesto, dato che lei stesso ha detto che “la nostra trasformazione, il consolidamento della nostra democrazia è sempre sotto minaccia”? Qual è la speranza che anima i giovani tunisini?

TAIEB BACCOUCHE:
Sicuramente è una domanda molto attuale ed è una domanda molto importante. Vero, la rivoluzione tunisina è stata fatta da giovani senza che fosse data loro una struttura religiosa o una struttura politica. Ovviamente non è stata una cosa del tutto spontanea, ma è l’effetto di un accumulo, un accumulo di ingiustizia, un accumulo di frustrazione che ha portato a questo. E i giovani, i giovani che hanno fatto questa rivoluzione, speravano di realizzare i loro obiettivi in maniera molto rapida. Quindi diciamo che adesso i giovani sono un po’ disincantati. Questo perché nessuno prevedeva una serie di Governi transitori e nessuno di questi Governi è durato un anno. Cinque governi di questo tipo si sono succeduti e non sono riusciti a realizzare delle azioni strategiche. Potevano semplicemente garantire la transizione, la transizione dello Stato e la gestione quotidiana degli affari dello Stato. Solamente dopo le recenti elezioni, le ultime elezioni, si è venuta a creare una situazione per così dire normale. Tuttavia c’è una sorta di divario: da una parte abbiamo i guadagni democratici, quello che si è creato e guadagnato a livello democratico, a livello politico, ma dall’altra parte c’è anche un ritardo nella realizzazione degli obiettivi socio-economici. È un paradosso, un paradosso che poi si è accentuato con il fenomeno del terrorismo, che prima non esisteva. Quindi la gioventù tunisina, i giovani tunisini sono impazienti, perché vogliono vedere i frutti della loro rivoluzione, questo soprattutto a livello socio-economico, e vogliono sicurezza, occupazione, lavoro e libertà. Attualmente la sfida è colmare il divario, il divario tra i guadagni democratici, quanto siamo riusciti a raggiungere a livello democratico, e i ritardi a livello socio-politico ed in termini di sicurezza. Obiettivamente la Tunisia non può farcela da sola, deve ovviamente contare sulle proprie forze, ma ha bisogno dell’appoggio attivo e massiccio di tutti coloro che credono nella democrazia e nella libertà. E questi sono i nostri amici vicini a noi, soprattutto gli europei e l’Italia. Questo ovviamente deve esser condiviso da noi tutti. È solamente portando avanti le riforme socio-economiche, con investimenti massicci volti a creare ricchezza, a creare occupazione per i giovani, che i giovani vedranno un futuro, capiranno che c’è un futuro per loro, e capiranno che questa rivoluzione porterà i suoi frutti e i suoi risultati il prima possibile. È questa la sfida che adesso siamo chiamati ad affrontare. Ci sono giovani che sono forse un po’ troppo impazienti e solamente chi è troppo impaziente risponde alla chiamata dei terroristi, che offrono loro molti soldi, che gli fanno il lavaggio del cervello, e che coprono il terrorismo con una dimensione religiosa. La peggiore delle contraddizioni è proprio questa bugia: praticare il terrorismo nel nome di Dio, nel nome della religione. È questo che dobbiamo denunciare, è questo contro cui dobbiamo combattere con forza.

ROBERTO FONTOLAN:
Ministro Gentiloni, ha parlato appassionatamente, non è la prima volta che lo fa. Ha parlato del tema dei cristiani; lei sa che qui, in questi giorni, è stato molto dibattuto e molto seguito dal pubblico. E’ un problema che non riguarda solo i cristiani, non ne abbiamo mai fatto una questione comunitaria. Siamo al seguito della Chiesa e della grande scuola di vita della Chiesa che parla di persone, il cui diritto fondamentale alla libertà di espressione, libertà di culto, libertà di fede, libertà di essere, viene costantemente violato fino al prezzo della vita. Questo riguarda molte persone, non solo i cristiani. Lei ha parlato di un europeo riluttante dinanzi a queste questioni. Perché siamo così riluttanti quando vediamo ciò che accade? E’ un fenomeno tipicamente politico istituzionale o risiede anche in noi? Come la vede lei, dalla sua posizione?

PAOLO GENTILONI:
Io cerco di capirne le ragioni innanzitutto, perché dobbiamo sapere che questa riluttanza dell’Occidente non viene dal nulla, viene dall’esperienza delle difficoltà o addirittura degli errori degli ultimi dieci-venti anni. Quello che sta succedendo è molto allarmante, molto pericoloso, perché è difficile tornare indietro. Quello che mi ha colpito di più, visitando alcuni campi profughi dove erano sfollate alcune popolazioni cristiane della piana di Ninive, era la straordinaria difficoltà a considerare l’ipotesi di ritornare nei luoghi da cui erano stati cacciati. Non è facile tornare indietro dopo episodi e tragedie come quelle che sono accadute. E oltre alle persecuzioni dei cristiani e delle minoranze religiose, c’è il dramma del nostro patrimonio storico-culturale di civiltà, che forse colpisce in modo particolare noi italiani. Noi, un po’ per la nostra storia, per l’interesse che abbiamo per la materia, per il fatto che in molti siamo appassionati dei siti archeologici di questi Paesi, dei musei – lo straordinario museo Bardo a Tunisi, il museo archeologico di Beirut che gli italiani stanno restaurando, le nostre venticinque missioni archeologiche in Egitto – noi siamo dentro questa realtà e per questo forse ne viviamo lo stupro in modo più drammatico. E quindi c’è una distanza, senza dubbio, tra la gravità di questi fenomeni, di queste tragedie e la riluttanza dell’Occidente. La riluttanza deriva dalla presa d’atto della difficoltà, che una linea “interventista” senza futuro ha messo in luce negli ultimi dieci-venti anni. Dobbiamo dirlo molto chiaro: non ha funzionato. Quando si prende a bersaglio l’attuale amministrazione americana, e in particolare il Presidente Obama, che sarebbe un po’ il simbolo di questa riluttanza, la riluttanza della Casa Bianca, io sono un po’ portato a dire un paio di cose: primo, il Presidente Obama lo aveva detto, aveva annunciato in campagna elettorale che avrebbe ritirato le forze più ingenti degli Stati Uniti dall’Iraq e dall’Afghanistan; secondo, il fatto che non ci siano più cinquanta-cento-centocinquantamila militari sul terreno, non significa rinunciare al proprio ruolo, alla propria leadership. Tutti, anche noi italiani ci dobbiamo sentire interpellati sul fatto che la garanzia della sicurezza deve essere sempre più frutto del dialogo e del multilateralismo: non c’è qualcuno che risolve il problema al posto nostro. Dobbiamo farci carico di questa riluttanza, vedendone le ragioni e indicandone i rimedi nell’azione politica, nel multilateralismo e nell’impegno di ciascun Paese. Sono molto diffidente nei confronti di chi a questa riluttanza dà delle risposte troppo semplificate, che a volte confinano con l’”armiamoci e partite” sostanzialmente. Sulla Libia, quante volte sentiamo dire in queste settimane, in questi mesi, che l’Italia dovrebbe fare la sua parte? Ma per che cosa? Per sostenere con ogni mezzo il negoziato? Certamente. Per candidarsi se il negoziato avesse successo a contribuire, addirittura a guidare un lavoro di consolidamento dei risultati raggiunti? Senz’altro. Eventualmente per intervenire nel contenimento della minaccia terroristica? Certamente. Ma se invece l’invito ad uscire dall’esitazione significa immaginare logiche interventiste, io penso che dobbiamo dire molto semplicemente che avventure nel deserto le Forze armate italiane e il Governo italiano non ne faranno, non servono e peggiorano semplicemente la situazione. Ecco perché con questa riluttanza dobbiamo fare i conti in modo maturo e complesso. Non ha risposte semplici, è la sfida che abbiamo di fronte.

ROBERTO FONTOLAN:
Un’espressione del Papa, ed è con questa domanda che poi concludiamo perché è una domanda che vorrei porre a tutti e due, è diventata improvvisamente famosa: “La terza guerra mondiale a pezzi”. È stata ripresa più volte questa espressione, perché è come se Papa Francesco avesse dato un nome ad una cosa che forse molti sentivano, molti sentono, ma gli avesse dato un nome, un’immagine reale e molti si sono detti “ma forse è veramente così”. Questa espressione è stata ripresa anche nel messaggio al Meeting dal Presidente della Repubblica Mattarella e anche questo ha creato molta discussione, quasi apprensione. Non credo che nessuno qui abbia la ricetta o la soluzione per risolvere questa “terza guerra mondiale a pezzi”. Ora, voi siete due Ministri degli esteri, avete delle responsabilità gravosissime, vivendo in questo contesto, in cui ogni giorno c’è questa sfida, come riuscite a portare questo peso nella vostra vita? Prego, signor Ministro. Non è una domanda personale, perché ci interessa capire come anche noi possiamo contribuire a portare questa responsabilità in generale.

TAIEB BACCOUCHE:
La situazione è particolarmente complessa e pericolosa. Credo che per affrontare questi problemi e per avere la coscienza tranquilla, bisogna essere determinati ma contemporaneamente bisogna fondarsi su valori e ideali. La nostra diplomazia in Tunisia si basa su alcuni principi: non fare ingerenza nei problemi interni degli altri Paesi, senza per questo adottare un atteggiamento di neutralità negativa; non incoraggiare i conflitti armati, che non possono che aggravare il problema. Quindi, quando ci sono problemi, bisogna cercare di trovare soluzioni politiche e pacifiche, grazie al dialogo e alla concertazione. È proprio questa volontà che ci guida e che ci porta ad affrontare i problemi della regione e non a rimanere soli, isolati, ma lavorare insieme agli altri, lavorare insieme ai nostri amici, come ad esempio l’Italia e tutti i paesi del Mediterraneo. Questo compito è un pochino complicato da alcuni aspetti e cioè dal fatto che i Paesi arabi della regione non hanno tutti questa visione, non hanno tutti lo stesso approccio. Alcuni sostengono una fazione, altri ne sostengono un’altra e questo ovviamente porta ad una certa durata dei conflitti che si protraggono nel tempo. Se tutti i Paesi del nord e del sud del Mediterraneo potessero adottare un approccio unico, la necessità di trovare soluzioni pacifiche ai problemi grazie ai negoziati e grazie al compromesso, sicuramente la situazione sarebbe migliore. Ecco quello che ispira la nostra politica. Quindi, non dico che dormo bene la notte ma sicuramente ho la coscienza tranquilla.

PAOLO GENTILONI:
Io, in risposta alla domanda, vorrei dire da un lato la mia angoscia dall’altro il mio sogno. La mia angoscia è che, per quanto possa apparire strano, noi stiamo ancora lavorando perché sia acquisita la consapevolezza della posta in gioco, dell’importanza di questa questione. Ci sono degli schemi narrativi che sono più forti elle parole del Papa e del Presidente Mattarella e che sopravvivono. In una parte del nostro mondo si pensa ancora al secolo scorso, non si guarda quello che succede intorno a noi. Il lavoro per far passare questa consapevolezza è un lavoro che ancora dobbiamo fare, è la cosa che più oggi possa angosciare chi ha responsabilità di Governo. Ancora ragioniamo come se potessimo alzare dei muri, costruire degli steccati, rinchiudere gli immigrati in una piattaforma offshore, tenere fuori i problemi dal nostro Paese, dalle nostre società. Non è così. Il primo lavoro che dobbiamo continuare a fare è rendere consapevole, innanzitutto la comunità internazionale, di quanto queste nuove sfide siano diverse da prima. Non si tratta di un conflitto armato tra Paesi sovrani, o comunque non è principalmente in questa forma che avviene. Le forme sono ibride, si infiltrano nelle nostre realtà interne e dobbiamo farne i conti con il nostro programma sociale, politico, religioso, culturale, non solo, e, mi verrebbe da dire, non tanto, sul piano militare.
Poi c’è il sogno. L’Italia è il Paese del dialogo, non ha una sua agenda nascosta, non vuole imporre questo a quello, ma per tradizione, per storia, per collocazione, cerca di promuovere il dialogo tra tutti. Il sogno è che possa dare un contributo organizzando una specie di Helsinki del Mediterraneo. Sarebbe necessario dare struttura, forma, ad un nuovo schema di multilateralismo che garantisca convivenza, dialogo e sicurezza.
È naturalmente un cammino molto ambizioso, per questo l’ho chiamato il sogno, ma è un cammino sul quale il nostro Paese può svolgere un ruolo molto importante.

ROBERTO FONTOLAN:
Grazie, molte cose sono state dette, io ringrazio i nostri due ospiti e naturalmente il Ministro Baccouche, non solo per le cose che ha detto ma anche per il tempo che ha passato con noi. In conclusione c’è il piccolo spot per il Meeting: prosegue la campagna di raccolta fondi per sostenere la costruzione del Meeting. Ci sono i vari punti della fiera, il padiglione C1, A1, A3, C5 oppure il sito del Meeting, dove potete aiutare questa nostra avventura bellissima. Grazie. Siete pregati di lasciare la sala il più velocemente possibile perché devono procedere all’organizzazione dell’incontro successivo.

Data

24 Agosto 2015

Ora

15:00

Edizione

2015

Luogo

Salone Intesa Sanpaolo B3
Categoria
Incontri