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RIFONDARE IL SISTEMA SANITARIO: DAVVERO SOLO UNA QUESTIONE DI RISORSE?
In diretta su askanews, QN
A cura di Medicina e persona
Massimo Angelelli, direttore Ufficio nazionale per la pastorale della salute; Michele Castelli, professore di politica sanitaria, Università Milano Bicocca e Fondazione per la Sussidiarietà; Attilio Fontana, presidente Regione Lombardia; Eugenio Giani, presidente Regione Toscana; Domenico Mantoan, direttore generale AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali). In occasione dell’incontro video-intervento di saluto di Orazio Schillaci, ministro della Salute. Modera Marco Trivelli, Medicina e Persona
Il Servizio Sanitario italiano ha compiuto 45 anni. Nato con l’obiettivo di tutelare la salute delle persone con criteri di universalismo, rimane un bene prezioso, un vanto a livello mondiale. Tuttavia, va ripensato radicalmente perché possa continuare a rispondere al bisogno di salute delle persone. E per questo serve il coraggio di un progetto.
Con il sostegno di DOC, Regione Lombardia
RIFONDARE IL SISTEMA SANITARIO: DAVVERO SOLO UNA QUESTIONE DI RISORSE?
RIFONDARE IL SISTEMA SANITARIO: DAVVERO SOLO UNA QUESTIONE DI RISORSE?
Sabato 24 agosto 2024 ore 19:00
Sala Gruppo FS C2
Partecipano:
Massimo Angelelli, direttore Ufficio nazionale per la pastorale della salute; Michele Castelli, professore di politica sanitaria, Università Milano Bicocca e Fondazione per la Sussidiarietà; Attilio Fontana, presidente Regione Lombardia; Eugenio Giani, presidente Regione Toscana; Domenico Mantoan, direttore generale AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali).
In occasione dell’incontro video-intervento di saluto di Orazio Schillaci, ministro della Salute.
Modera:
Marco Trivelli, Medicina e Persona
Trivelli. – 0:04:52 – Buonasera, ben arrivati a tutti. Siamo quasi alla fine di un grande Meeting in cui, ancora una volta, a modo suo, ha mostrato aspetti della vita delle persone e della società che sono il nerbo dell’esperienza umana: l’educazione, la capacità di fare impresa, intrapresa, la capacità di fare pace, di cooperare, anche la capacità di curare. Abbiamo avuto tantissime testimonianze in questi cinque giorni di persone e storie in cui si è vista come nasce la cura. Una fragilità, un bisogno, un disagio psichico; tanti sono stati gli ambiti affrontati in cui persone, in qualche modo, si sono fermate, hanno preso a cuore e accolto il bisogno di cura, l’hanno studiato, l’hanno preso in carico fino a curarlo. Abbiamo avuto delle testimonianze: Basaglia, che ha cambiato il modo di curare, di fare psichiatria; oggi un bellissimo incontro sui geni, la capacità di studiare le patologie genetiche, la grande mostra dell’hospice in Russia. In tutte queste esperienze, ieri un altro grande incontro sulla capacità di formazione dei nostri giovani medici, la povertà di salute. In tutte queste storie di uomini e di donne che si sono piegati sul bisogno c’è un fatto comune: un giudizio. All’inizio un moto personale: “La tua vita vale la mia vita, la tua vita vale il mio tempo.” Quando questo giudizio diventa non di una persona ma di un insieme di persone nasce, con un termine caro al Meeting, un’opera: può nascere un hospice, come è accaduto in Russia. Quando diventa di popolo, nasce un sistema sanitario. È quello che è accaduto in Italia 45 anni fa. Abbiamo maturato una coscienza comune in tante persone che la vita vale e vale che venga curata, per cui si è deciso di investire ricchezza, competenze, strutture, in modo tale da creare un sistema sanitario nazionale capace di garantire un accesso equo, libero e universale alla copertura dei servizi sanitari. Il tema del servizio sanitario nazionale e delle sue sorti è il tema di oggi. Abbiamo qui persone di grande spessore che hanno avuto la disponibilità di confrontarsi su questo tema, sul presente e sul futuro del sistema sanitario nazionale. Vado in ordine di collocazione fisica: il professor Castelli, Michele Castelli, professore associato di politica sanitaria all’Università Bicocca; il presidente della regione Toscana, Eugenio Giani; il presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana; il Direttore Generale dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Regionali, Dott. Domenico Mantuan; e Don Massimo Angelelli, che è il Direttore Nazionale della Pastorale della Salute della CEI. Possiamo partire con la presentazione, con la prima slide?
Nel 1978, alla fine di un anno drammatico in cui ci fu la vicenda di Moro, ma ci fu anche la promulgazione della legge Basaglia, che cambiava il modo di curare la psichiatria, alla fine dell’anno ci fu una convergenza, quasi in extremis, tra tutte le forze politiche per questo grande investimento, per una grande ambizione: fare in modo che la copertura dei bisogni sanitari e di cura della popolazione italiana fosse completa, libera e accessibile, a prescindere da condizioni di reddito, di studio, di residenza geografica. È stato un patrimonio che l’Occidente ha studiato e ci ha invidiato, è stato grande e nasceva da quella consapevolezza che la vita, la malattia, è una questione seria; vivere la malattia è una questione seria. È stato però subito un percorso travagliato, cioè la sostenibilità economica di questa ambizione di copertura universale ha subito messo alla prova la capacità finanziaria del nostro Paese, per cui sono state fatte diverse riforme: l’aziendalizzazione degli enti sanitari nel 1991-1992 e poi altre riforme finanziarie, sempre discusse da un punto di vista di organizzazione efficiente e sostenibilità, ma mai discusse nel loro valore. Oggi invece c’è un punto di discussione diversa sul nostro sistema, cioè sembra che il nostro sistema sanitario non abbia la capacità di rispondere integralmente ai bisogni che la nostra popolazione ha. È un declino; quest’anno moltissimi sono stati i segnali di allarme dati anche da una testata come Famiglia Cristiana, un declino che sembra inarrestabile. La sensibilità è grandissima su questo tema; la posizione più comune è quella espressa da 14 scienziati che si sono sentiti, anche loro, pur non essendo tutti coinvolti nell’ambito delle cure, a esprimere una loro posizione civile chiedendo di salvare il servizio sanitario nazionale all’aprile di quest’anno. La tesi è: il sistema dal ’78 a oggi, cioè i bisogni sono così cambiati, per la questione di evoluzione tecnologica, di fabbisogno demografico, che il sistema è attualmente sottofinanziato, per cui bisogna portare almeno all’8% del PIL l’investimento sulla sanità. È un problema di risorse, sostanzialmente di risorse. Chi invece lavora dentro può avere qualche tesi diversa. Una è quella di Medicina e Persona, un’associazione nata 25 anni fa che ha ripreso dopo il Covid una certa attività e sta dando alcune valutazioni. Il problema della sanità è sicuramente che ha bisogno di ricchezza, perché la medicina oggi è una medicina molto sofisticata, molto evoluta, ha bisogno di risorse, ha bisogno di grandi competenze e quindi di risorse umane, ma soprattutto ha bisogno di senso, cioè bisogna tornare, bisogna avere diffusa quella molla, quella scintilla, testimoniata in questi giorni del Meeting, per cui di fronte a un bisogno ci si ferma e non è patrimonio di uno ma è patrimonio di tanti. Infatti quello che sta accadendo è che, al posto di questa attenzione, questa percezione della vita come una questione, io dico una questione seria, c’è una banalizzazione della cura, c’è una cultura della prestazione e un dato lo esprime il fatto che, per esempio, le prescrizioni ambulatoriali dal 2019 al 2023, cioè tutte le prescrizioni di visite, esami diagnostici o specialistici che sono state fatte nel 2019, sono state quasi 700 milioni di ricette, traduciamo ricette, 700 milioni di ricette nel 2019, nel 2023 quasi un miliardo, 999 milioni, le prescrizioni di risonanza più 44 per cento, le prescrizioni di risonanza sono passate da 1 milione e 4 a 2 milioni e 3 nel giro di 5 anni. Non è cambiato il bisogno di salute, non c’è un bisogno di salute diverso in modo così radicale dal 2019 al 2023, se è avvenuto questo è perché i gesti che noi facciamo, gli atti clinici che facciamo hanno perso di valore, sono dati da inflazione. Il 58 per cento di risonanza è molto più dell’inflazione di questi anni. È quando le cose perdono valore, è quando l’attività perde il valore, ma quando perde il valore ma si banalizza è chiaro che si perde tutto, anche il personale perde il senso del proprio lavoro. Ho ancora un minuto per chiedere, per porre il tema. Siamo in una situazione in cui il sistema sanitario, che ha avuto diverse riforme, in qualche modo ha sempre aggiustato il tiro, ma ha sempre mantenuto la sua identità, la sua missione, cioè una copertura universale e libera delle cure. Sembra, appunto, invece oggi essere in una situazione di cambiamento. La domanda che noi vogliamo porre, che vogliamo in qualche modo porre a voi, è proprio questa: siamo in una situazione in cui c’è qualche fatto che sta cambiando per cui il sistema sanitario non sarà più mantenuto secondo l’attuale forma, bisogna cambiare paradigmi, bisogna cambiare condizioni o meno ed è un problema realmente di risorse? A noi sembra, francamente, di no. Vi do l’ultimo dato, è una slide a cui tengo. Pensiamo che il problema delle risorse sia fondamentale per assumere, ma oggi noi abbiamo qua l’evidenza dei nati negli ultimi 60 anni, dal ’52 ad oggi, cioè sostanzialmente sono le date dal ’52 al 2006 dei nati, gli assunti nel sistema sanitario attuale. Stanno uscendo per pensione gli infermieri nati nel 1963-1964. Voi vedete che nel 1963-1964 sono nati circa un milione di persone. Stiamo assumendo oggi i giovani nati nel 2003-2004. È una generazione da mezzo milione di nati. C’è una differenza del 45% tra la generazione che esce e la generazione che entra. Questo è un fenomeno di fondo che interesserà anche il futuro. È difficile pensare che si possa completamente coprire il turnover del personale, forse il personale medico, molto più difficilmente il personale infermieristico. Ritorniamo alla domanda. Il sistema sanitario nazionale cambierà forma oppure potrà essere mantenuto con qualche azione particolare che la nostra sapienza di governo potrà escogitare? Presidente Gianni, ci rivolgiamo a lei per la prima domanda.
Giani. – 0:16:35 – Io le rispondo anche alla domanda che poi fa da titolo generale di questo nostro incontro. È un problema solo di risorse o di altro? Io le dico che principalmente è un problema di risorse. Poi è evidente che vi sono una serie di iniziative di riforma che vale la pena di sottolineare e che devono essere portate avanti, ad esempio per quello che mi riguarda il numero chiuso per quanto riguarda l’accesso alla professione sanitaria, oggi assolutamente da superare. È vero, l’imbuto si crea nelle specializzazioni, ma quando c’è un’ampia possibilità di poter far seguire i corsi di specializzazione è evidente che poi riesci a sopperire a quella che è una carenza che porta oggi dai medici di base a non poter coprire quelle che chiamiamo le aree interne o a quello che sono i deficit che noi ci troviamo negli ospedali e nelle nostre strutture. Ma dicevo principalmente che è una questione di risorse, perché io sposo assolutamente quello che era stato scritto nella prima slide, l’appello dei quattordici scienziati. Quando in Europa vediamo che la media tra i 27 paesi dell’Unione Europea è dell’8 per cento del prodotto interno lordo di risorse destinate alla sanità e in Italia prendo quei dati è il 6,2%, noi ci rendiamo conto come questo passaggio in tre anni dal 7% nel 2021 al 6,2% che veniva riportato in quella slide è chiaramente un elemento che dobbiamo assolutamente subito riportare a un livello europeo. In Francia è l’8%, in Germania è il 10%, potete sapere cosa significa avere 30 miliardi in più che le nostre regioni? Possibilità avrei per poter consentire alle liste di attesa di poter trovare subito una risposta o ai pronti soccorsi di essere sostenuti o alla sanità territoriale di poter avere delle capacità di risposta che poi mi portano a non dover lamentare che è una situazione di medici di base che dobbiamo essere anche nel cuore. Da noi siamo arrivati a un livello di 1800 pazienti per un medico per poter corrispondere a quella risposta. La questione delle risorse è sempre più necessaria in un Paese che per fortuna aumenta il livello medio di aspettativa di vita. Io sono orgoglioso di vedere la mia regione al terzo posto secondo i dati ISTAT 2023 per l’aspettativa di vita, 83,30. Poi ci penso, 83,30. Se io dal medico di base negli ultimi 10 anni sono andato una volta, mia suocera, che ci va a 87 anni due volte a settimana. E quando questa aspettativa di vita è più alta e vi è un aumento demografico della popolazione anziana è evidente che le risposte si possono trovare solo nel momento in cui si offre questo. Così come è giusto, è l’articolo 32 della Costituzione che ci dice che la salute è diritto fondamentale del cittadino e interesse della comunità. Si è sempre più di fronte a farmaci che riescono a dare una risposta. Nel male del secolo, l’oncologia, il passare dalla chemioterapia all’immunoterapia a trattamenti più mirati che devastano meno quello che è il contesto su cui la cura si appropria. Però andate a vedere i costi e vi rendete conto che, nonostante tutte le capacità di razionalizzare, la nostra spesa farmaceutica aumenta. E cosa gli devo dire al mio medico che mi somministra il farmaco più evoluto? “No, non lo devi fare perché devo sostenere il bilancio?” Per forza si arriva a sfondare il payback delle spese farmaceutiche dei farmaci e dei dispositivi medici e contemporaneamente se voglio davvero prevedere una presenza articolata sul territorio che attraverso le case di comunità che abbiamo previsto con il decreto legislativo 77 del 2022 che consentono di avere dei mini presidi ospedalieri dove poter concentrare i 7 o 8 medici di base che possono quindi dare finalmente nuovamente al cittadino quello che era l’idea del medico condotto. Vado in un luogo, se non trovo il mio medico di base, trovo chi lo può sostituire, darmi delle risposte, evito l’approccio al pronto soccorso. Noi con il PNRR abbiamo 77 case di comunità finanziate e stiamo andando bene, ho posto la posa della prima pietra in più della metà, in 40. Ma quando io avrò queste case di comunità che mi consentono di integrare il sistema ospedaliero, di alleggerire la pressione sul pronto soccorso, abbiamo previsto i PIR, i punti di intervento rapido dove quello che è l’equivalente dei codici bianchi e dei codici verdi possano trovare una cura, è evidente che ci devo mettere del personale. Personale che ci troviamo ancora bloccato da quelle leggi che ci dicono che dobbiamo rispondere a quello che nel 2004 era il sistema d’assunzione. Quindi io ritengo che noi possiamo e dobbiamo fare delle riforme. Le riforme per questo sistema, per renderlo più efficiente e evitare sprechi, le abbiamo fatte. Da quella legge che Tina Anselmi portò nel dicembre del 1978, 46 anni fa. Noi abbiamo visto come, per dire, in Toscana avevamo 40 ASL. Sono state nel tempo ridotte a 10, quant’erano le province. Io ero presidente del Consiglio regionale quando abbiamo portato la riforma nel 2015, che le ha portate da 10 a 3 territoriali, per valorizzare l’economia di scala e per ridurre al livello minimo la perdita per la presenza di personale amministrativo necessario a far fronte all’organizzazione. Ormai sono tre, la ASL Firenze Prato Pistoia che ha 1 milione e 800 mila abitanti. Cosa fare di più di questo se non avere le risorse su cui investire in termini di servizi, in termini di personale, in termini di risposta alla spesa farmaceutica, perché si possa valorizzare quello che è un sistema che tutto il mondo ci invidia? Un mondo in cui si preferisce negli Stati Uniti le assicurazioni. Ecco che in realtà il diritto d’accesso universalistico, il ricco e il povero, stesse condizioni di accesso e stesso trattamento, con delle eccellenze da un punto di vista delle professionalità sanitarie che stanno nella motivazione del personale che si crea e che si inserisce nel sistema, occorre prima di tutto risorse. Poi ci pensiamo noi a dare quelle risposte che oggi vengono poi segnalate sui giornali come l’elemento di carenza. Se io ho le risorse, se non sono costretto a metterci di proprio dal bilancio ordinario della Regione, quei 500 milioni l’anno per tenere il livello che poi è qui Mantuan veramente persona di grande livello sta seguendo Agenas con assoluta competenza. Agenas quest’anno ci ha messo tra le tre regioni con i livelli essenziali di assistenza più alti riesco a farlo se ci metto 500 milioni dal bilancio della regione in quello che sarebbe il fondo sanitario regionale. Se lo Stato si facesse carico di arrivare all’8% del prodotto interno lordo, allora sì che potrei fare questo con più tranquillità, senza privare risorse agli altri settori della regione e lo potrei fare anche dando ulteriori servizi.
Trivelli. – 0:25:23 – Grazie Presidente, mi sembra chiaro che nel tabellone è una questione di risorse o non solo di risorse, uno zero per le risorse nel tabellone dei voti. Chiedo al Professor Castelli di fare un passo indietro per poterci dire come alcune caratteristiche del sistema sanitario nazionale italiano, perché c’è delle caratteristiche che ha. Provare a fare un quadro oggettivo per una persona che per gli ultimi dieci anni è stata in Inghilterra, è rientrata da poco e quindi ci osserva con un occhio, direi, partecipe ma con una certa capacità di distanza ottica. Professor Castelli.
Castelli. – 0:26:12 – Grazie Marco. Sì, allora io proverò appunto in questi pochi minuti a fare un quadro di sintesi così da dare un po’ di informazioni sul sistema sanitario nazionale così che questo tema, diciamo, risorse o altro che condiziona, diciamo, le criticità o i punti di forza che il sistema ha, perché vorrei sottolineare anche quelli, potrà poi essere dibattuto anche dagli ospiti che interverranno successivamente. Allora, parto da alcune informazioni ovviamente di carattere sintetico, ma allora la spesa sanitaria, come è stata sicuramente detto prima, è tra le più basse in Europa. Questo è il 9% del PIL nel 2022, tiene conto di spesa pubblica e spesa privata. A livello della spesa pubblica è quello che diceva prima il presidente, che è intorno al 6,2-6,3%. Questo vale anche per la spesa pro capita, è più bassa rispetto alla media OCSE, che è circa dell’11%, la spesa sanitaria complessiva, quindi pubblica e privata. Va detto però che in termini di indicatori di salute l’Italia si colloca relativamente bene su parecchi indicatori, per esempio l’aspettativa di vita tra le più alte in Europa, la mortalità evitabile che è quella che potrebbe essere evitabile se ci fosse una sanità di qualità, è più bassa del 27% rispetto alla media europea nel 2020, quindi comunque decisamente più bassa. Questi sono alcuni indicatori. Per quanto riguarda alcuni comportamenti, abitudini, stili di vita, anche in questo caso parecchi di questi sono virtuosi rispetto alla media europea, rispetto per esempio al consumo di alcol, all’obesità, al sovrappeso, mentre invece sono peggiori per altri, per esempio il fumo, che è ancora più alta della media europea. consumo di frutta e verdura, ambiente e attività fisica, cioè su alcuni indicatori che poi sono essenziali, tornerò su questo dopo, per determinare le condizioni di salute, ci sono chiaro scuri. Per quanto riguarda indicatori di carattere più organizzativo ci sono dati anche qua indicatori variabili, per esempio meno posti letti della media europea ma usati in modo più efficiente, meno recovery ma con durate più lunghe, quindi poi qua si entra un po’ più nello specifico. La sintesi che volevo dare in questo primo punto è che lo stato generale di salute, se si può fare appunto però vi ragione una sintesi, è comunque buono rispetto ad altri paesi, spendendo meno. Quindi, giustamente, concordo col Presidente che se si potesse spendere un po’ di più, probabilmente alcuni di questi altri indicatori potrebbero essere ancora migliori. Però, personalmente, penso che questa comunque a volte critica, come diceva lei prima, dal collasso. Sì, ci sono dei problemi, però partiamo da una situazione che comunque è migliore di altri paesi. Poi, per quanto riguarda le criticità, anche qua ovviamente in termini sintetici, il Presidente faceva riferimento a Ilea ai livelli essenziali di assistenza, cioè quei servizi che dovrebbero essere garantiti in maniera uniforme sul territorio e nell’ultima verifica fatta al Ministero della Salute poche settimane fa, 13 regioni sono state promosse e 8 bocciate. Quando intendo bocciate, intendo che almeno in una macroarea perché questo monitoraggio prevede tre macro aree, prevenzione, assistenza distrettuale, assistenza ospedaliera, almeno in una di queste tre macro aree non sono stati raggiunti gli obiettivi minimi. Poi qui si potrebbe discutere se raggiungere gli obiettivi minimi è sufficiente rispetto a raggiungere un obiettivo più alto, comunque il dato qua è che c’è un sistema comunque non omogeneo di livelli essenziali di assistenza sul territorio e qui si collega al tema successivo delle diseguaglianze e delle determinanti sociali di salute che in Italia esistono e tornerò su questo punto tra un momento. C’è poi sicuramente un problema crescente di rinuncia alle cure per motivi economici, per cui a livello di ticket, a livello di compartecipazione alla spesa, a livello di impossibilità ad accedere ai servizi. In Italia l’ultima stima dell’Istat è che circa il 2% della popolazione ha dichiarato di avere bisogni sanitari non soddisfatti per ragioni di questo tipo e questa è una media leggermente più alta di quella di paesi comparabili come Spagna, Germania o Olanda. C’è poi un tema sicuramente di sostenibilità, ma torno su questo successivamente. C’è poi il grosso tema, che probabilmente forse è il tema, come accennava Dottor Trivelli, della demografia, perché c’è un doppio problema che riguarda sia il lato dell’offerta sia il lato della domanda perché come diceva lui c’è un problema di ricambio di personale perché se non c’è il personale tu puoi avere il sistema perfetto ma chi le eroga le prestazioni e poi c’è un tema ovviamente di aumento delle malattie croniche aumento dell’aspettativa di vita in condizioni di morbidità e questo tutti i dati ci dicono che in pochi anni di vita, magari in non buona salute, si concentra in maniera esponenziale il costo, cioè le risorse necessarie. Per cui questa doppia combinazione, lato personale, lato invecchiamento, lato aumento della cronicità, è potenzialmente devastante. E poi il tema dell’integrazione ospedale-territorio. Vado velocemente su alcune di queste. Sul tema delle risorse, a me preme sottolineare un aspetto. Due aspetti, anzi. Primo, che come si vede nel primo punto che sottolineo, c’è comunque una spesa nel 2022, circa 37 miliardi, che sono spesi out of pocket, cioè pagati direttamente dai cittadini. Circa quasi il 30% della spesa complessiva e questi sono soldi che magari con risorse ulteriori non sarebbero spesi direttamente dal cittadino. Non lo so, ma sicuramente vuol dire che c’è un gap. Però è anche vero che quando si parla di risorse in sanità spesso se ne parla solo come costo, mentre invece ci sono tanti studi, che io non ho tempo adesso di riassumere, che la spesa in sanità è anche un investimento, perché cattiva salute vuol dire anche poi problema a livello di produttività, di assenza di produttività, e ci sono studi che, appunto, adesso non ho tempo di discutere, che testimoniano questo in maniera evidente, quindi spendere in sanità è anche un investimento nel medio e lungo termine a livello di produttività del sistema Paese. Poi il tema delle determinanti della salute mi sta particolarmente a cuore ed è importante da due punti di vista. Il primo, che per quando noi parliamo di salute parliamo di qualcosa che va oltre la sanità. Cioè ci sono tutta una serie di determinanti della salute, condizioni socioeconomiche, ambiente di vita, livello di studio, comportamento individuale, che pesano come si vede fattori socioeconomici ambiente comportamento per un 80 per cento sullo stato di salute complessivo quindi quando poi parliamo di sanità si va a vedere un 20 per cento sono stime però quello che contribuisce allo stato di salute non è solo la sanità ma sono tutta una serie di determinanti che vanno affrontate tanto quanto la sanità, diciamo, come sistema sanitario in quanto tale. E poi le diseguaglianze, che in un paese come ci sono, appunto io in mente l’Inghilterra, anche lì, ma in Italia sono sicuramente marcate, io qua cito semplicemente due dati, aspettativa di vita differenza di circa tre anni tra la campagna e Trento e aspettativa di vita in buona salute 14 anni tra la differenza tra la provincia di Bolzano e la Basilicata. Queste sono dati recenti istat. Cioè comunque sono tanti per cui quando noi poi guardiamo i dati a livello di sistema sanitario nazionale poi dobbiamo anche renderci conto che dentro questi dati ci sono delle differenze territoriali o per gruppi di popolazioni non indifferenti. Poi c’è il tema dell’ospedale-territorio sul quale non mi soffermo troppo per ragioni di tempo però ormai è chiaro che stiamo andando verso un sistema dove per il percorso di cura del paziente sarà sempre più necessario integrare l’aspetto di cure primarie, l’aspetto di cure territoriali e le cure ospedaliere, cercando ovviamente in termini di appropriatezza di evitare il ricorso all’ospedale che ovviamente costa di più laddove non sia strettamente necessario e quindi tutto il tema delle case di comunità, della residenzialità leggera. L’ultimo punto che voglio sottolineare è quello del nesso tra bisogno e risorse, che è complicato in economia in generale, sicuramente in sanità. Cioè, quando noi dobbiamo decidere chi deve decidere i livelli essenziali di assistenza, c’è questo problema quasi irrisolvibile. Chiedo poi ai miei colleghi cosa pensano di questo, perché se noi partiamo dalla stima dei bisogni, Per definizione le risorse sono limitate e quindi per definizione è quasi impossibile avere le risorse necessarie a soddisfare tutti i bisogni. Se noi però partiamo dalle risorse, questo è il budget, per definizione questo non coprirà mai tutti i bisogni perché sono potenzialmente, se non infiniti, ci vanno vicino. Quindi come si fa? al momento si parte dalle risorse questo è il budget e poi si cerca di far quadrare in qualche modo i conti magari con fondi aggiuntivi però è un problema complicato che io sinceramente non ho una ricetta però è un tema a volte si dice ci vuole di più non si copre però non è semplice da risolvere un ultimo cenno sul tema del personale al di là della questione del ricambio che è stata citata prima dal dottor Trivelli Ma dato 2021, ma vale anche adesso, l’Italia ha il tasso più alto dell’Ocse, cioè non dell’Europa, in tutti i paesi dell’Ocse, di dottori over 55. Quindi il tema del ricambio, se è un problema in tutti i paesi, lo è sicuramente principalmente in Italia. Vi cito un altro dato del Regno Unito, uno studio recente della Health Foundation, che è un think tank, un centro di ricerca importante, dice che nel 2040 le persone che vivranno con malattie gravi aumenteranno del 37%, quindi oltre un terzo, e questo è nove volte il tasso a cui crescerà la popolazione in età lavorativa. Quindi 37% contro 4%. Ed è l’ultima cosa che voglio dire, noi non possiamo continuare a dire Non possiamo dire che ci penseremo nel 2040, è un problema che c’è già adesso. La mia domanda è se si può affrontare queste sfide con interventi ad hoc specifici? è arrivato il PNRR, abbiamo più fondi, proviamo a risolvere una di queste, oppure occorre un ripensamento per garantire il tema del meeting, l’essenziale, l’uguaglianza, l’universalismo, l’equità, oppure questo sistema per come è strutturato, per come è fondato da 1978 ha bisogno di un ripensamento più complessivo? Io penso che una cosa fondamentale sia una responsabilità condivisa perché a volte io vedo anche lato cittadini, c’è un ricorso eccessivo magari a certi esami, certe prescrizioni, cioè occorre secondo me che tutte le persone implicate nel sistema e questo, secondo me, si potrebbe fare di più in Italia, che c’è più, per esempio, nella mia esperienza che ho visto in Inghilterra, proprio più un dibattito pubblico su quali siano le aspettative, quali siano le responsabilità reciproche, quali siano le risorse disponibili e che cosa poi magari uno debba, che cosa non tutto si riesce a sostenere, allora magari ci si mette d’accordo anche su questo, però che se ne parli, ecco.
Trivelli. – 0:39:02 – Grazie professor Castelli, quindi il nostro sistema sanitario ha ancora una capacità di cura perché vedendo nel lungo periodo i dati di salute della nostra popolazione sono sostanzialmente allineati, se non migliori, di quelli di altre popolazioni. Il problema è evidenziato anche il fatto che la sanità non è un tema solo dei professionisti della sanità ma è un’operazione complessiva di una società, di come una società concepisce e ha stima del proprio sistema o, come si diceva anche, della salute nel suo complesso, anche come vive. Ha ribadito la sua domanda finale, è il tema di oggi che giro al presidente Fontana, chiedendo anche a lui, una tua previsione, una tua indicazione sul fatto appunto se cambierà o meno il modo di curare in Italia rispetto agli ultimi 40 anni nel prossimo futuro? Oppure se riusciamo a mantenere questo sistema con qualche azione di correzione?
Fontana. – 0:40:27 – Grazie, innanzitutto ricordo che ci conosciamo ma abbiamo soprattutto lavorato tanto insieme e anche in periodi particolarmente difficili. Grazie per questo invito e complimenti ancora una volta agli organizzatori di questo Meeting che rappresenta sempre nel nostro Paese un punto di riferimento per elaborare idee, per affrontare e cercare di risolvere i problemi complessi e quello di cui stiamo parlando secondo me è un problema molto complesso, è un problema che dovete dar conto di tante realtà, quella economica è una ma non è sicuramente la più rilevante e te lo dice il presidente di una regione, l’unica regione che da sempre ha il proprio bilancio in assoluto equilibrio. Quindi questo per dire che le risorse sì certo sono importanti ma non sono in questo caso determinanti e ti faccio un esempio concreto, noi lo scorso anno per cercare di abbattere le liste d’attesa abbiamo investito quasi 100 milioni di risorse nostre della regione per migliorare la situazione e la situazione è sicuramente migliorata ma non tanto quanto avrebbe potuto migliorare se nel frattempo le domande non fossero aumentate io prima ridendo ti dicevo che quel principio economico secondo cui la offerta maggiore determina una richiesta maggiore purtroppo in questa situazione è qualcosa che si verifica e allora qui bisogna cercare di capire le cause di questa realtà e cercare, lo dicevo l’anno scorso, è un po’ di tempo che lo dico anche ad alcuni miei colleghi che bisognerebbe avere coraggio di affrontare una vera riforma della sanità in maniera assolutamente bipartisan, perché se si fanno delle speculazioni, come si stanno facendo in questo periodo sulla sanità, è chiaro che non si va da nessuna parte. Perché il primo punto è quello che diceva il professor Castelli, cioè bisogna cercare di far capire alle persone come si si debba approcciare la salute in un modo diverso, come non si debba più avere l’ospedale come punto di riferimento unico della sanità. L’ospedale non deve essere più l’unico centro al quale ogni cittadino si deve rivolgere anche per le questioni meno gravi e che non richiederebbero un intervento ospedaliero. L’ospedale si deve all’ospedale si deve andare soltanto quando tutte le altre cure non si sono rivelate sufficienti o quando il medico stabilisce che esiste una situazione particolarmente grave. Qui bisognerebbe introdurre un discorso dell’appropriatezza delle prescrizioni e dell’appropriatezza delle visite perché noi abbiamo accertato che il 30% delle degli esami delle prescrizioni che vengono applicate sono assolutamente superfluo e sono inappropriate sono fatte per quella medicina difensiva e qui si dovrebbe introdurre un altro argomento che secondo me è fondamentale rivedere il concetto di responsabilità professionale dei medici perché i medici non devono vivere Non devono vivere nell’angoscia che qualcuno li perseguiti sia penalmente che civilisticamente. Il medico deve avere una tranquillità nel momento in cui svolge la propria attività, altrimenti si verifica quello che mi diceva una persona mia vicina di Ombrellone che è medico specialista al quale ha mandato una richiesta di un esame e perché? Per una certa situazione e questa persona è tornata con 10 esami fatti di cui 9 assolutamente inutili e perché è stata fatta? Perché il medico ha detto ma sai però io avevo paura che ci potessero essere anche altre implicazioni io ho disposto questi ulteriori esami. Allora questo è un altro aspetto che deve essere affrontato e poi bisogna cercare di essere rispettosi della professione medica e della professione infermieristica perché sono la vera rappresentazione della cura dei nostri concittadini, di tutte le persone e quindi bisogna cercare anche di adeguare gli stipendi dei medici e gli infermieri perché se no ragazzi qui parliamo di tante cose ma i nostri medici e i nostri infermieri se ne vanno soprattutto noi che viviamo in una regione di confine. Viviamo in maniera drammatica questa situazione perché basta superare confine con la Svizzera e gli stipendi si triplicano se non anche di più. ma poi bisogna cercare di vedere, di utilizzare in maniera diversa quella sanità di vicinanza, quella sanità territoriale di cui parliamo tanto, ma per la quale stiamo facendo poco, perché noi in regione Lombardia abbiamo già inaugurato 128 case di comunità sulle 216 che sono previste dal esatto pnr e dall’accordo con il governo ho capito ma anche lì se c’è la disponibilità e la collaborazione dei medici di medicina generale e noi abbiamo degli esempi eccellenti di cooperative di medici che si sono messe a disposizione per collaborare con le case di comunità le cose funzionano se non c’è questa disponibilità chi ci mandiamo perché alla base di tutto non dobbiamo dimenticarlo, c’è stata una drammatica, cattiva programmazione nel non tener conto del fatto che ci si stava avvicinando al picco dei pensionamenti e che quindi in quel periodo bisognava aumentare il numero dei medici dovevano entrare a fare parte del servizio sanitario, perché sennò si verificava quello che abbiamo visto oggi. Se io anche ho soldi, ma quando faccio concorsi negli ospedali, nessuno partecipa o non sono in numero sufficiente rispetto alle mie esigenze, capite che i soldi sono importanti ma non sono assolutamente l’unica problematica di questa situazione. Allora bisogna rimpostare la medicina territoriale, bisogna riempire le case di comunità, bisogna utilizzare di più gli ospedali di comunità come servizi per le cure intermedie, bisogna sollecitare e migliorare l’ADI, l’assistenza domiciliare integrata, bisogna fare in modo che i cittadini vengano personalmente curati e che la loro presa in carico sia assolutamente completa e per fare questo ci vogliono medici, ci vuole personale, ci vuole la possibilità di organizzare, ma per fare tutto questo si deve partire anche da una questione culturale, ripeto, bisogna far capire ai nostri cittadini che non è solo l’ospedale il punto di riferimento, che non è solo il pronto soccorso il punto di riferimento, ma lo sapete che in regione Lombardia il 70% degli accessi in pronto soccorso sono codici bianchi o codici verdi? I codici bianchi e i codici verdi devono andare in pronto soccorso. Quando io ero bambino e giocavo al palone mi facevo sempre male perché ero un po’ materiale, come si dice, e andavo dal mio medico condotto che mi dava i punti, mi metteva a posto le ginocchia, mi metteva a posto quello che mi faceva, insomma è andato pronto soccorso in vita mia. Allora io credo che alla base di tutto si debba cercare insieme di affrontare il problema della riforma, della sanità. Perché lo dobbiamo fare insieme, perché altrimenti voi capite che il vero grosso rischio è che ci si speculi sopra, che ci si lanci delle accuse reciproche, colpa tua né colpa mia, non è colpa. Qui noi dobbiamo trovare una strada per dare in modo che i nostri cittadini possano avere sempre un’assistenza sanitaria universalistica per tutti quanti perché questo è un nostro dovere da persone che si occupano di attività politiche ma nello stesso tempo compatibile e sostenibile da tutti i punti di vista e poi abroghiamo la finanziaria di Renzi che ci ha massacrato le palle in tutti questi anni.
Trivelli. – 0:49:49 – Mi sembra che sul tabellone dei voti questa volta si possa mettere non solo risorse 1, siamo 1 a 1 nel senso che occorre. Uno no tra i due presidenti, poi se diamo per peso di regione magari puoi dare un peso in più ma non basta, bisogna cambiare cultura, bisogna cambiare il modo di curarsi. I dati che prima hanno fatto vedere della proliferazione di prescrizioni sono dati che vengono da Genas, Genas è un organismo che negli ultimi anni ha avuto una capacità di leggere la realtà sanitaria e un tentativo di indirizzare, di dare almeno suggerimenti di strada a tutto il sistema sanitario. Il direttore è Domenico Mantuan. Questo dato della proliferazione delle prestazioni vuol dire che siamo insoddisfatti, dobbiamo replicare le prestazioni per poter avere un risultato. In questo senso sembra che non abbiano valore le prestazioni che facciamo, perché passare da un più 44% di prescrizioni secondo me vuol dire a questo significato. Nello stesso tempo c’è mediamente in Italia, non è un quadro univo comogeneo per tutte le regioni, in realtà il confronto 2023-2019 dice che non siamo più in grado di fare le prestazioni del 2019, non siamo ancora in grado di fare prestazioni del 2019. Dopo Covid non è completamente terminato. C’è quindi un rumore di fondo, c’è una situazione strana, è come se aumentano i giri perché le prescrizioni che aumentano, vuol dire che aumentano la percezione di bisogni e nello stesso tempo non riusciamo a seguirli per intero. Lo chiedo a lei come persona che ha una visione complessiva. questo rumore di fondo, questo rumore di una rottura di fondo, qualche meccanismo che si è rotto nel sistema sanitario, lei lo vede, lo conferma dal suo punto di vista che radici possono esserci a questo rumore di fondo e anche per lei, c’è una strada per garantire un sistema universale o dobbiamo in qualche modo rivedere la nostra aspettativa rispetto al sistema sanitario nazionale?
Mantoan. – 0:52:20 – Grazie per l’invito e anche per discutere di un tema così importante, qual è il nostro sistema sanitario nazionale che è un patrimonio che ha sicuramente di qualche problema ma che come avete visto sta dando dei risultati straordinari in tema di aspettativa di vita. Siamo tra i primi al mondo e questo è merito del nostro sistema sanitario. Allora sicuramente ci sono degli scricchiolii, ci sono dei sintomi per cui il sistema è in difficoltà. rispetto al 2019 che io ritengo essere l’anno di maggiore efficientamento del sistema sanitario italiano nel 2019 noi abbiamo raggiunto pur in carenza di risorse perché arrivavamo da otto anni di vacche magre il sistema sanitario italiano 2019 si era aveva dato dei risultati straordinari poi col covid qualcosa si è rotto sicuramente è come quando una squadra vince la Champions League e l’anno dopo non riesce a prendere lo stesso abbrivio. Il fenomeno che noi vediamo è che la produttività del nostro sistema sanitario, a parte qualche regione tra cui la Toscana ma anche la Lombardia, le altre regioni non riescono ad arrivare, non sono riuscite ad arrivare alla produttività del 2019, nonostante 50.000 assunzioni in più, perché sono stati assunte 50.000 figure professionale in più nel sistema sanitario. Poi abbiamo il fenomeno di 25 milioni di italiani che vanno in pronto soccorso, nonostante il 70-80% siano codici bianchi o codici verdi, abbiamo il fenomeno degli italiani che stanno cercando risposte nelle farmacie dei servizi, e 15 milioni di italiani che hanno e cercano, quindi è un numero in aumento, la sanità integrativa, welfare aziendale. I lavoratori ai loro sindacati chiedono che nelle trattative possano avere welfare aziendale, anche i dipendenti pubblici vogliono welfare aziendale. Sicuramente i sistemi Beveridge, non ce lo potrà dire professore, anche in Inghilterra il sistema sanitario pubblico è in forte difficoltà. Quindi tutti i sistemi stanno provando difficoltà. Io vorrei dire un paio di cose sul tema del PIL. Allora, noi spendiamo 140 miliardi, 6 e mezzo di PIL. Guardiamo gli altri paesi che spendono 9, 8, 9% di PIL. Gli altri paesi, come la Germania, spende il 10% di PIL per le pensioni. Noi ne spendiamo 16. Spendiamo 100 miliardi per pagare l’interesse pubblico sul debito. Abbiamo 3 mila miliardi. Quindi io non lo so, non faccio il mestiere di un altro. Io non lo so se il sistema Italia sarà in grado di aggiungere miliardi a quei 140 miliardi. però mettiamo caso che riuscisse anche a mettere 30 miliardi in più. Guardate che 30 miliardi in più, se non andiamo a mettere delle modifiche dentro al sistema non servono a niente, cioè in Francia e in Germania, perché spendono 9% del PIL, cioè 30 miliardi in più di noi? Guardate che gli stipendi dei medici francesi e tedeschi sono il doppio dei nostri. e il numero di infermieri, dei francesi, degli inglesi e dei tedeschi è tre volte il nostro. Quindi noi oggi abbiamo 280 mila infermieri pubblici, dovremmo arrivare almeno a 350 mila. L’altro tema qual è? Noi oggi formiamo 20 mila medici, quest’anno 20 mila medici, che saranno fruibili per il sistema sanitario tra dieci anni, sei più la specialità, quindi più in là, e 21.000 infermieri. Di questi 21.000 infermieri, quindi non c’è proporzione, cioè è un rapporto quasi uno a uno, di questi 21.000 teorici posti da infermieri gli italiani rispondono con 15, 16, 17 mila risposti, cioè gli italiani non vogliono fare gli infermieri. E senza gli infermieri il sistema sanitario italiano non funziona, non regge, questo è il primo grande problema. L’altro tema è ma siamo sicuri che dopo aver formato 20 mila medici all’anno per dieci anni, tra dieci anni questi resteranno a lavorare con noi, non vanno da un’altra parte, perché abbiamo creato la comunità europea l’equivalenza del titolo, quindi il laureato in Portogallo vale quanto il laureato qui, ma non abbiamo creato il mercato del lavoro unitario. Quindi oggi i nostri ragazzi sono bravi, sono formati bene, sanno l’inglese, si sentono figli del mondo, partono e vanno via. Quindi questi sono i due temi importanti che io ritengo che la politica debba affrontare. Tema dei professionisti e della sanità e poi, chiudo per non dilungarmi, io ritengo che l’altro tema importante sono i contratti di lavoro. Quindi i contratti di lavoro dipendenti e dei convenzionati, il presidente Fontana diceva ma io come faccio a mandare i medici di medicina, oggi devo chiedere per piacere se mi vai nella casa di comunità, io credo che sia arrivato il momento di pensare che ci sia un unico posto dove si fa la contrattazione dei contratti per la sanità, dopo che questo posto stabilito di quale sia, ma che ci sia della gente che si occupi di sanità a fare i contratti ai dipendenti della sanità. Quindi teniamoci stretto sul sistema sanitario, se possiamo mettiamoci soldi in più, non è mio mestiere, sicuramente non siamo un Paese che è ricco, però abbiamo bisogno di riforme soprattutto incentrate sulla valorizzazione dei professionisti della sanità. In termini di competenze, altro tema che secondo me dovremmo parlarne di più, cioè dare più competenze agli infermieri. Negli ospedali del nord Europa gli infermieri fanno molto di più dei nostri infermieri, quindi aumento di competenze e modelli organizzativi incentrati sul territorio. Cerchiamo di dare sfogo attuazione a questa secondo me grande riforma che abbiamo del DiEME 77, delle case comunità, degli ospedali di comunità e creare una vera integrazione ospedale-territorio.
Trivelli. – 1:00:23 – Curare chi cura. “Curare chi cura” è una parola importante da sentire per chi lavora in sanità da parte di chi in qualche modo ha una visione di insieme e una responsabilità nazionale. Grazie. Don Angelelli, la sanità noi la identifichiamo sempre con il sistema pubblico. In realtà chi concorre a fare la salute è molto di più, c’è tutta la spedalità privata, c’è tutta la parte della componente dell’RSA, guai se si indebolisse troppo questa componente, tutto il mondo del territorio, protagonisti per gli MMG magari pochi come numero rispetto a tutti ma di grandissima importanza le croci le farmacie il mondo della sanità molto più grande diciamo che il rapporto tra chi lavora per curare gli italiani per assistere gli italiani e chi lavora nel pubblico è 2 a 1 lei è in questa parte in questa seconda parte e quindi concorre vede e anche per la sua posizione per la sua missione diciamo ha un’attenzione all’esito finale alla salute vera delle persone italiane lei cosa come vede il nostro sistema sanitario nel suo complesso e anche dal suo punto di vista c’è un punto di rottura c’è un punto di tensione che può portare una rottura oppure oppure no e quali possono essere i margini di miglioramento?
Angelelli. – 1:02:13 – Grazie, il vantaggio di parlare per ultimo è che le cose intelligenti sono state dette tutte quindi io poco posso aggiungere. Brevemente alla domanda, anzitutto per il tuo tabellone mi dichiaro subito così almeno hai il punteggio finale, io mi ascrivo tra quelli che non bastano solo risorse, anzi e provo ad argomentare brevemente anche perché. Ci abbiamo un pochino girato intorno, è stato appena nominato, ma in realtà l’elefante all’interno della stanza e questa esperienza Covid che abbiamo fatto pochissimo tempo fa, che tutti cerchiamo di rimuovere, ma in realtà è lì che incombe ancora, anzi gironzola un pochino tra noi, che ha svelato tutta una serie di criticità, ha messo a nudo alcuni limiti del sistema. Io sono tra quelli che dice che il sistema ha retto, ha retto molto bene, siamo stati molto bravi, c’è stata una prima risposta resiliente del sistema che è stata eccezionale, la seconda un po’ più affaticata, ma in buona sostanza il sistema ha retto, ma sono venute fuori delle criticità, delle difficoltà. Ora ignorare questo sarebbe ignorare la storia, quindi in qualche modo io credo che dovremmo ripartire da quello, Che cosa ha generato? I numeri che avete presentato sono estremamente efficaci. Quell’incremento del 44% di richieste di prescrizioni non sono frutto di un aumento delle patologie, sono frutto di un sentore, un sentimento che in qualche modo è generato dalla pandemia, cioè abbiamo una diversa percezione della salute. Siamo molto meno spavaldi nei confronti della nostra salute, siamo un po’ più impauriti e questo in qualche modo genera un sistema di ansie e di preoccupazioni che chiede di essere rassicurato, quindi abbiamo più timori e attraverso per esempio i percorsi diagnostici in qualche modo chiediamo di essere rassicurati. C’è un altro elemento che in qualche modo ha influito fortemente nel periodo Covid e post Covid, che è stato il modo in cui è stato raccontato questo periodo e questo ha generato molta sfiducia e ha messo in crisi un rapporto di fiducia che c’era tra i curanti e i curati. Non a caso è recente notizia di questa mattina che c’è stato un ulteriore incidente in cui è stato preso a schiaffi un medico in una regione del sud Italia, ok? Questi fenomeni che più o meno erano latenti prima del 2019 sono esplosi dopo. Perché faccio queste premesse? Perché io sono convinto che, anzitutto, bisogna ripartire dal recupero di una relazione strutturale tra sistema curante e popolazione. Io credo che ci sia una grossa crisi di sfiducia, perché da una parte tutti ci lamentiamo, ma in realtà il nostro sistema è eccezionale e cura ancora una marea di gente gratuitamente. C’è da attendere un pochino però alla fine riusciamo a curare tutti. Dall’altra parte però riscontriamo una stanchezza da parte dei curanti, una stanchezza profonda da parte medici e infermieri che stanno lavorando al di sopra delle loro forze. Io posso accettarli nel momento di crisi e di emergenza, quale poteva essere il 20, ma non può diventare sistema. Non è sostenibile questa cosa. Se in un policlinico pubblico, mi dicano, mancano 150 infermieri, io so che il livello di cura, la qualità, è molto più bassa in quella struttura. Non li troviamo, facciamo i bandi e non partecipano. E arriviamo al tema della fiducia, al tema delle risorse. Il tema delle risorse è la reale, il reale vulnus centrale, con profondo rispetto per chi ha pianificato il PNRR, si è fatto quello che si poteva fare data la condizione politica e date anche i fondi disponibili, ma non mi risulta che ci siano soldi per le risorse. Abbiamo una marea di case da aprire, abbiamo una marea di strumenti da comprare, ma chi andrà la mattina a mettere in modo questo sistema non è chiaro. Il direttore Mantuan, come è sempre precisissimo nelle sue indicazioni, ci ricordava che attualmente mancano 40-45 mila infermieri in Italia oggi, ma fra sei anni, a causa di una cobba pensionistica che veniva citata in apertura, arriveremo a 100 mila infermieri mancanti. Questo sistema come lo teniamo in piedi? I medici a breve si risolverà perché nel 26-27 il primo gruppo di laureati non specialisti e laureati arriverà a maturazione e quindi avremo un buon numero di medici, speriamo che scelgano le professioni e le specialistiche anche quelle attualmente più disertate, ma bisogna creare loro le condizioni per farlo. E gli infermieri in questo momento, il dottor Trivelli faceva riferimento a quella parte di sanità privata accreditata che si trova in una grandissima difficoltà, perché il pubblico ha ricominciato a fare i concorsi e chi partecipa ai concorsi è quelli che già lavorano. Qui non vorrei citare il posto fisso di che cosa, ma insomma il nocciolo è quello, insomma il pubblico dà una maggiore sicurezza. Il privato accreditato si trova in grandissima difficoltà, tanto che con la grande rete ARIs e UNEBA delle strutture social sanitarie di espirazione cristiana abbiamo dovuto mettere in piedi un concetto con cui ci stiamo convenzionando con tutta una serie di paesi esteri per chiedere la possibilità di venire a lavorare in Italia. Ma qui c’è un altro problema che immediatamente è stato emerso. Nel momento in cui ho accreditato un infermiere, non lo so, che mi viene da Lima per lavorare in Italia, io ho rilasciato il passaporte europeo a tutti gli effetti e quindi io spero che resti un po’ a lavorare in Italia, ma non posso garantirlo perché quando comincerà ad annusare la situazione europea probabilmente potrebbe essere chiamato da altri ledi. e vengo alla domanda centrale del sistema. Data questa crisi di fiducia, data questa crisi strutturale, perché non sono convinto che l’immissione di nuove risorse sia risolutiva? Per due ragioni fondamentali. La prima, se fossi un privato non investirei soldi in un sistema che non è altamente efficiente. diciamo che ci sono ampi margini di miglioramento all’interno del sistema. La seconda voce fondamentale per cui non credo che sia opportuno in questo momento storico immettere molti fondi è che abbiamo ancora tante possibilità di recuperarli all’interno del sistema perché la pluricità da medicina difensiva ai tempi della Lorenzine veniva calcolata in circa 9 miliardi. e dico agli illustri Presidenti 9 miliardi da rispartire all’interno del sistema sarebbero mica poca cosa e non bisogna prenderne altri, bisogna evitare di sperperarli. Allora io sono convinto che all’interno del sistema ci siano ancora grandi possibilità di riforma. Come? E mi avvio alla conclusione. Io credo che i ritocchi non siano più sufficienti. Il Presidente Mattarella, quando un anno fa alla celebrazione dei 45 anni del Servizio Sanitario nazionale si è espresso, ha usato una frase estremamente sintetica e molto chiara. L’SSN va difeso e aggiornato. io credo che vada difeso nella sua struttura fondamentale accesso universalistico alle cure ma sul serio, in tutte le regioni, nelle aree interne come in quelle metropolitane, anche in quelle regioni che non ce la fanno, perché non possiamo pensare di lasciarle indietro al loro destino. Quindi un accesso universalistico a recure è reale per tutto il Paese e poi adeguato nel suo funzionamento, perché è una roba che sta in piedi da 46 anni, in cui è cambiata la cultura, la società italiana, è cambiata l’economia, i costumi, è cambiato praticamente tutto, è cambiata soprattutto la medicina perché quello che c’era nel 78 grazie a Dio è evoluto in sistemi molto più moderni. ma anche molto più costosi, così come la ricerca, così come la farmacologia, deve essere ripensato, ma ripensato in maniera strutturale con la libertà del 78. Io vorrei immaginare che ci siano persone libere di testa che possano sedersi a ripensare completamente il sistema nelle sue componenti. perché in questo modo possiamo veramente riaffermare dei principi fondamentali che derivano dalla nostra Costituzione, quindi sono irrinunciabili, ma per dare una risposta reale alle esigenze di oggi.
Trivelli. – 1:11:52 – Mi scuso, non possiamo fare il secondo giro perché il tempo è esaurito. Mi sembra che il punteggio finale sia 3 a 1, ma non c’è una sconfitta in questo caso per il Presidente della Regione Toscana, è una posizione. Se mi devo in qualche modo dichiarare, anche io mi schiero, non perché sia vincente, ma nella posizione che non è solo un problema delle risorse, si apre un grande lavoro. Quello che avete suggerito è di fare un grande lavoro. Occorre la scintilla della cura che in questa settimana del Meeting in tante esperienze storie è emersa, che diventi intelligente, capace di leggere la situazione, di leggere la realtà ed in qualche modo di impegnarla, impiegarla per il fine di curare. Chi ha fame di curare trova il modo di curare. Quindi da questo punto di vista la vera risorsa è questo desiderio, questa volontà di curare che in tanta parte della nostra popolazione professionale c’è. Spero che possa iniziare un lavoro, sicuramente inizia un lavoro almeno per Medicina e Persona, quindi ci saranno appuntamenti nei prossimi mesi. Un avviso da parte del Meeting: il Meeting è bellissimo, ha bisogno di un supporto per essere mantenuto e vissuto come abbiamo fatto in questi giorni, comunica la direzione del Meeting che dopo l’incontro con il Cardinal Pizzaballa è stato deciso di destinare una parte delle donazioni all’emergenza della Terra Santa. Grazie. Il video no? C’è il video? Quale video? Il video nostro? Vai, dai. per chi vuole adesso è un regalo il video di Medicina e Persona e Banco Farmaceutico grazie alla regia che ce lo permette di vedere chi vuole può fermarsi a vederlo è un video che nasce dal tentativo di fare è un giudizio che Medicina e Persona e se ne manca farmaceutico da sulla situazione della sanità proviamo a vederlo grazie
Schillaci. – 1:14:14 – Buonasera, vi ringrazio per il gentile invito, saluto i relatori, il moderatore e tutti i partecipanti al Meeting di Rimini. È un appuntamento annuale di grande rilievo per riflettere e dibattere sui temi prioritari per la nostra nazione e senza dubbio la rifondazione del nostro servizio sanitario nazionale è una priorità. Abbiamo avviato un percorso di revisione a partire dalle criticità più evidenti. Non posso non citare il problema cronico delle liste d’attesa che per la prima volta questo governo ha affrontato in modo organico e strutturale con la legge approvata il mese scorso. Un intervento necessario che punta a migliorare l’organizzazione e la gestione delle liste d’attesa. Non è infatti, come dite nel titolo di questo panel, solo una questione di risorse, ma anche se non soprattutto di efficienza. che si traduce nella capacità di assicurare a chi ne ha bisogno le prestazioni necessarie nei tempi giusti. Per fare questo occorre, come ha detto anche il Presidente Meloni, la collaborazione vera di tutti. Noi come Governo siamo impegnati a fare la nostra parte, a cominciare dall’abolizione del tetto di spesa per le assunzioni di personale, medico, infermieristico e degli operatori sanitari, ma per ottenere risultati concreti è indispensabile lo stesso impegno responsabile e costruttivo da parte delle regioni, dei professionisti ed anche dei cittadini. Questa legge è dunque un altro passo in avanti verso una sanità più vicina ai cittadini. che deve tener conto dei cambiamenti demografici, sociali, epidemiologici intervenuti in questi 45 anni da quando è stato fondato il nostro servizio sanitario nazionale. Alla fine degli anni 70 pochi erano gli ultratantenni in Italia. L’Organizzazione Sanitaria non doveva affronteggiare una prevenenza di cronicità come accade oggi e non erano immaginabili le innovazioni tecnologiche e scientifiche che consentono terapie sempre più personalizzate. elevati i tassi di guarigione per fortuna e addirittura la possibilità di assistere un paziente da remoto, solo per citare alcuni esempi. Tutti questi nuovi traguardi hanno ovviamente generato nuovi costi, ma lo ribadisco, non è solo una questione di risorse, serve il coraggio di avere un progetto innovativo. e noi questo progetto lo abbiamo, una strategia che si declina in rafforzamento della medicina territoriale, investimento nelle innovazioni, valorizzazione del personale sanitario. È evidente da diversi anni ormai che una sanità centrata sull’ospedale non è più sostenibile. I bisogni di salute non urgenti, la presa in carico di una popolazione sempre più anziana, devono trovare risposte nei presidi territoriali che stiamo rafforzando con i fondi del PNRR nel pieno rispetto di tutti i target europei. Altra leva fondamentale all’investimento nelle tecnologie è il potenziamento dell’assistenza domiciliare. In questo senso La telemedicina è un asset strategico, agevola l’integrazione tra ospedale e territorio, abbatte iniquità di accesso alle cure, assicura prossimità di cure. Per questo abbiamo aumentato le risorse del PNRR sulla medicina e sull’assistenza domiciliare per dare concretezza al principio della casa come primo luogo di cura soprattutto quando si tratta di anziani fragili e pazienti. cronici. In questo percorso di riforma è essenziale naturalmente la valorizzazione del personale sanitario. I principali provvedimenti adottati da questo governo in ambito sanitario hanno previsto misure dirette ad arginare la fuga del personale dalla sanità pubblica. Da subito abbiamo dimostrato grande attenzione alle istanze dei medici, degli infermieri, degli operatori sanitari. Siamo già al lavoro per la prossima finanziaria per garantire risorse adeguate alla sanità e non mancherà il confronto con le categorie nell’interesse della tutela del bene salute. Infine, quando guardiamo al futuro del nostro servizio sanitario nazionale, dobbiamo comprendere fino in fondo che il più grande investimento che dobbiamo avere il coraggio di fare è il rilancio della prevenzione, anche aumentando le risorse destinate a questa voce nel Fondo Sanitario Nazionale, soprattutto a fronte di una popolazione sempre più anziana, con diverse comorbidità, con bisogni sociali oltre che sanitari. Di questi dobbiamo prenderci cura. Prevenire è fondamentale per un invecchiamento in salute e per la tenuta del servizio sanitario. È una delle priorità anche del G7 Salute e su cui siamo fortemente impegnati. Grazie e buon lavoro a tutti.