Quando beltà splendea. La poesia di Giacomo Leopardi

 

La vita e le opere di Giacomo Leopardi rappresentano un punto fermo nei programmi scolastici italiani. Moltissimi insegnanti trasmettono però ai propri studenti un’immagine del poeta condizionata dal luogo comune del “pessimismo” (poco importa se storico o cosmico), come se questa fosse una efficace chiave di lettura per interpretare correttamente la biografia e il lavoro del poeta di Recanati. Così, nel sentire comune, Leopardi è il poeta fisicamente deforme, sfortunato in amore e per questo nei suoi testi così disperato.
Questa visione del rapporto di Leopardi con il mondo, rifiutata ora con sarcasmo ora con sdegno dallo stesso poeta in diversi scritti, appare incapace di rendere ragione della grandezza di idee e sentimenti espressa nella sua arte e nel suo pensiero filosofico.

Le liriche dei Canti in particolare – che costituiscono l’oggetto della mostra Quando beltà spendea – raccontano l’esperienza di un rapporto con il tempo e lo spazio, con la natura e la bellezza, con la donna e l’infinito, in cui sono rintracciabili diversi “momenti”: il sentimento della sproporzione tra l’uomo e la realtà; la vita umana come “sogno”, fonte di immagini e di meditazioni ampie e profonde; la disillusione sulla possibilità di realizzare quanto agognato con tutto il cuore e quindi l’amarezza, lo sconforto e la disperazione. In questa successione inesausta resta però sempre vivo e ricorrente il desiderio della felicità, a tratti maltrattato, nascosto e perfino negato, eppure mai spento e in qualche modo sempre aperto alla possibilità di un compimento.

La mostra, nel suo percorso di testi, immagini fotografiche e letture dal vivo, intende riproporre ai visitatori le liriche dei Canti, nell’ordine e secondo l’articolazione pensati dall’autore.
Il desiderio di felicità è stato scelto come filo conduttore delle quattro sezioni in cui è organizzato il percorso espositivo, intitolate “Un desiderio più vasto della gloria”, “Un desiderio più vasto della bellezza”, “Un desiderio più vasto dell’amore” e “Un desiderio più vasto dell’universo”.
La ricerca umana e poetica di Leopardi si confronta anzitutto gli ideali patriottici del Risorgimento (All’Italia), per scoprire poi la meraviglia nell’incanto della natura (Ultimo canto di Saffo; Il passero solitario) e nella pace della notte recanatese (La sera del dì di festa); dal cuore della realtà procede alla celebrazione di una donna ideale e assente (Alla sua donna) e al rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato (A Silvia); di nuovo natura, bellezza e amore vengono passati in rassegna per scoprire l’inutilità della vita umana, scossa tuttavia da un costante rincorrersi di domande (Canto notturno di un pastore errante dell’Asia). Gli ultimi canti contemplano così il risorgere e lo spegnersi delle illusioni (Il pensiero dominante; A se stesso; Aspasia), meditano sul mistero della natura umana, polve ed ombra eppure capace di un alto sentire (Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima), per chiudersi alla fine nella disillusione e nell’amarezza (Palinodia la marchese Gino Capponi; La ginestra o il fiore del deserto).

Quello che resta nell’ultimo scorcio della poesia e della vita di Leopardi – così come al termine del percorso della mostra – è un sentimento vivo di bellezza, senza cui non c’è poesia, la familiarità del tu, umano o personificato, con cui il poeta si rivolge all’Italia così come a Silvia, alle stelle, ad Aspasia e alla luna e la vivida sensazione di un affascinante paradosso: quello per cui “Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone. […] Chiama illusioni l’amore, la gloria, la virtù, e te ne accende in petto un desiderio inesausto. […] Mentre chiama larva ed errore tutta la vita, non sai come, ti senti stringere più saldamente a tutto ciò che nella vita è nobile e grande”. (F. De Sanctis).

APPROFONDIMENTO – Le immagini della mostra si accostano alle poesie in modo disinvolto eppure preciso nel loro rimando evocativo. Sono un omaggio visivo al poeta di Recanati, un percorso di luoghi e di elementi naturali profondamente italiani e in taluni casi provinciali; si accostano i temi a quelli dei canti cercando di suggerire al visitatore un possibile oggetto, una traccia visiva che consenta di non sostare in una facile genericità.
Ogni immagine contiene una zona di ombra e una di luce; più esattamente, ogni immagine contiene un bianco che irrompe – dall’alto, da un interno, dall’orizzonte, da una grata, oltre le mura, o nel cielo – dentro il campo visivo offerto, riempiendolo a volte o diventandone lo sfondo in altre. Questo bianco è la ragione d’essere delle cose nel buio: la forma, le sagome degli uomini e delle cose e i riflessi della natura nascono dalla luce che li tocca e in qualche modo li chiama all’esistenza, allo sguardo.
La gloria, la bellezza, l’amore e l’universo – le quattro grandi linee che il desiderio segue e supera, sfondando le pareti del mondo umano – sono qui immaginati e sorpresi come realtà nei paesaggi e nelle cose, nella natura e nei monumenti.

A cura di: Edoardo Barbieri, Simone Carriero, Gaia Cavestri, Michele Colombo, Daniele Gomarasca, Alessandro Ledda, Gianluca Sgroi.
Con la collaborazione di: Cecilia Bassani, Daniele Ciacci, Valentina Costantini, Francesco De Carlo, Chiara Sordi.

QUESTA MOSTRA È DISPONIBILE IN FORMATO ITINERANTE. CLICCA QUI PER TUTTE LE INFORMAZIONI