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QUAL È IL VOLTO BUONO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE?
Roberto Garofoli, presidente di Sezione del Consiglio di Stato; Ernesto Maria Ruffini, direttore Agenzia Entrate; Giuseppe Tripoli, segretario generale Unioncamere. Modera Emmanuele Forlani, direttore Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli ETS
Il più delle volte, nei dialoghi tanto pubblici quanto privati, il termine pubblica amministrazione assume un’accezione negativa. Sostantivi come burocrazia, controllo, ispezione, autorizzazione, permesso, concessione (…etc) non suscitano grandi simpatie nei cittadini e nelle imprese. L’amministrazione dello Stato ha invece il compito di declinare le decisioni della sfera politica nella loro operatività; essa è peraltro costituita da differenti dimensioni, da quella centrale fino al livello periferico, più prossimo al cittadino. Dalla capacità dei manager della PA dipendono quindi anche gli aspetti più costruttivi della vita sociale ed economica di un territorio. La attrattività di un territorio, la affidabilità di una struttura centrale o periferica, l’attenzione alla persona ed alla crescita sono elementi centrali per una buona amministrazione. Ai nostri interlocutori chiederemo di testimoniare come può emergere il “volto buono della PA”.
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QUAL È IL VOLTO BUONO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE?
QUAL È IL VOLTO BUONO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE?
Giovedì 22 agosto 2024
Ore 13:00
Sala Gruppo FS C2
Partecipano:
Roberto Garofoli, presidente di Sezione del Consiglio di Stato; Ernesto Maria Ruffini, direttore Agenzia Entrate; Giuseppe Tripoli, segretario generale Unioncamere.
Modera:
Emmanuele Forlani, direttore Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli ETS
Forlani. Buongiorno, benvenuti a tutti, a coloro che sono qui in sala e a quanti ci stanno seguendo online, in streaming e on demand. Siamo alla terza giornata di Meeting. Questo incontro ha come titolo “Il volto buono della pubblica amministrazione”, o meglio, “Qual è il volto buono della pubblica amministrazione”. Ne parleremo in questa oretta di dialogo assieme ai nostri relatori, con degli ospiti che ringrazio davvero di cuore perché sono sicuramente, se non i più titolati, tra i più titolati a poterne parlare con noi. Li presento brevissimamente: Roberto Garofoli, presidente di sezione del Consiglio di Stato, grazie per essere con noi, Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate, benvenuto e Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere. Benvenuti. Qualcuno leggendo il titolo di questo incontro ha chiesto se fosse una provocazione, non uno scherzo certamente, ma una provocazione per poter affrontare un tema senz’altro delicato. Quando si parla di istituzioni, di pubblica amministrazione, spesso lo si fa con un’accezione negativa, indicando proprio nelle istituzioni, nella pubblica amministrazione, nella burocrazia, la causa di tutti i mali. Certamente c’è qualcosa che non funziona, ma oggi vorremmo provare ad approfondire assieme ai nostri ospiti, fuori da qualsiasi polemica sterile che tante volte si sente, facendolo con lo spirito che anima questo Meeting, che ha come titolo, come sapete, e come ricordo anche per chi ci ascolta da casa, “Qual è l’essenziale?”, cioè, se non siamo alla ricerca dell’essenziale, cosa cerchiamo? Bene, anche nelle istituzioni e nella pubblica amministrazione la domanda vale. Lo facciamo attraverso due giri di interventi per occupare questo nostro tempo a disposizione e partirei subito da Roberto Garofoli, che come ho detto è presidente di sezione del Consiglio di Stato, ha una lunga esperienza nell’istituzione e nella pubblica amministrazione, e chiedo a lui, come poi chiederò agli altri due nostri ospiti, come prima cosa di cercare di aiutarci a capire per quale ragione oggi c’è questa accezione negativa nei confronti delle istituzioni, del sistema istituzionale, ma ancora di più, qual è il ruolo del sistema istituzionale?
Garofoli. Grazie al Meeting innanzitutto per questo invito, sempre gradito, quest’anno ancora più gradito. Partirei con l’indicare le ragioni che a mio avviso oggi rendono ancora attuale riflettere non solo sull’amministrazione pubblica ma sull’intero sistema istituzionale, sull’apparato pubblico e le ragioni per le quali è necessario non solo riflettere ma anche andare avanti con un’evoluzione di questo sistema. Per schematizzare direi una ragione economica, una ragione politica e una ragione di sicurezza nazionale. La ragione economica è la più nota perché le analisi, anche internazionali, da sempre, e non citerò ranking perché sono da sempre noti, evidenziano una relazione causale tra funzionamento del sistema istituzionale e competitività, produttività, attrattività del Paese. Quindi tra istituzioni e funzionamento istituzionale ed economia e sistema economico. E del resto il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, partendo da questa consapevolezza, ha individuato nella riforma dell’amministrazione, oltre che in quella della giustizia, l’unica riforma cosiddetta orizzontale, cioè quella dal cui dipende il successo del piano nella sua interezza e non delle sue singole missioni. Oggi tutto questo è ancora più importante perché gli affanni di finanza pubblica, la nuova governance europea con il patto di stabilità del 2024 che stringe i vincoli fiscali e le vulnerabilità del nostro sistema produttivo, in un certo senso, non voglio dire impongono, ma suggeriscono un’evoluzione e tutto questo è molto importante guardarlo anche, questo nesso tra economia e istituzioni, guardando anche a quel che sta accadendo nello scenario internazionale. Perché non solo guerre, ma anche dispute internazionali stanno allentando la globalizzazione, che aveva tanti difetti, ma ci aveva dato quello che hanno definito il dividendo della pace, cioè la possibilità di importare materie prime, di importare gas ed energia a basso costo, di esportare senza difficoltà quello che le nostre imprese producono, affidare ad altri la nostra difesa e la nostra sicurezza. Tutto questo non è più scontato nei prossimi anni e quindi il sistema istituzionale, ed è la prima ragione, quella economica, deve funzionare non dico al meglio, ma meglio. C’è una ragione politica però anche. Dicevo, c’è un nesso tra funzionamento delle istituzioni e andamento economico e questo è attestato dagli studi, dalle relazioni, dai rapporti anche dell’annuale della Banca d’Italia, dalle analisi internazionali, almeno quello del Doing Business finché c’era, prima della sua sospensione nel 2020. Ci sono studi però anche che attestano una relazione tra economia e partecipazione democratica, tra andamento dell’economia e tassi preoccupanti di astensionismo. Sono studi secondo cui ad astenersi sono sempre più coloro che vivono condizioni di affanno economico e che vivendo in condizioni non di benessere non confidano più nella capacità della politica e delle istituzioni di risolvere quei problemi, di por mano a quelle difficoltà. Ecco quindi che efficienza del sistema istituzionale, andamento dell’economia e tenuta del sistema democratico sono temi tra loro non distinti. C’è un terzo tema però, forse il meno noto, e quindi chiudo i miei due minuti ultimi su questo. Lo scenario internazionale, dicevo, sta cambiando, è cambiato profondamente. Dicevo, non solo le guerre, non solo le dispute internazionali, ma la frammentazione dell’economia globale tra blocchi contrapposti pone in grave pericolo economie come quella europea e come quella italiana, che hanno sempre fruito, che poggiano sull’apertura dei mercati internazionali. Perché la nostra economia è un’economia che importa materie prime; noi abbiamo le materie prime, perché abbiamo nel nostro territorio materie prime, ma non abbiamo più condotto ricerche minerarie, estrazione mineraria, non stiamo più coltivando i professionisti del settore, perché abbiamo una sola facoltà a Torino di ingegneria mineraria con pochi iscritti. Ecco, dicevo, questa frammentazione mette in difficoltà un Paese abituato ad importare materie prime, ad importare energia, che ha un grande interesse ad attrarre investimenti esteri per colmare le difficoltà del nostro sistema industriale, che è un po’ affetto da nanismo e comunque assente in alcuni settori, soprattutto quelli della tecnologia avanzata. In tutto questo scenario in cambiamento, alcuni tasselli del sistema istituzionale, la nostra capacità di approvvigionarci di materie prime, garantire l’approvvigionamento di energia e ovviamente la collocazione internazionale, la difesa militare, ma anche altri, la gestione degli attacchi e dei pericoli cyber, oppure ancora la gestione e la prevenzione delle campagne di disinformazione, oppure le nostre debolezze infrastrutturali, penso soprattutto al settore idrico, sono nel loro complesso tasselli di un più ampio tema che è quello della sicurezza nazionale. Noi abbiamo apparati istituzionali preposti singolarmente a ciascuno di questi tasselli, abbiamo l’Agenzia Cyber per esempio da qualche anno, ma non abbiamo, e siamo rimasti l’unico Paese del G7 dopo l’approvazione nel 2023 da parte della Germania di una sua strategia di sicurezza nazionale, non abbiamo una strategia di sicurezza nazionale, nel governo se ne sta molto parlando di questo, e non abbiamo strutture dedicate a questo, non abbiamo un nostro Consiglio di Sicurezza Nazionale che faccia da raccordo istituzionale. Ecco, credo che oggi parlare di istituzioni e di sistema istituzionale significhi anche porsi il tema della nostra sicurezza nazionale.
Forlani. Grazie Roberto Garofoli, anche perché penso abbia già introdotto la seconda parte del nostro dialogo. Chiederei a questo punto la stessa domanda a Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate, ben sapendo che immagino si è abituato a che quando si dice “è arrivata l’Agenzia delle Entrate”, la reazione normalmente non è proprio delle migliori. Anche oggi, siccome ha girato nei padiglioni, si era sparsa la voce, abbiamo tranquillizzato dicendo: sì, c’è il direttore che sta girando a incontrare e a vedere tutto. Lo dico a modo di battuta, ma con massimo rispetto, proprio per dire che dal suo posizionamento, dal suo osservatorio, nel suo lavoro, penso che il tema di cui stiamo parlando sia estremamente centrale.
Ruffini. Tanto grazie dell’invito coraggioso, specialmente ad un panel di questo genere, perché il volto buono dell’amministrazione non lo associerei all’Agenzia delle Entrate. Però, visto che mi avete invitato, avrete le vostre ragioni, forse il mio volto non è indicativo del ruolo che sono stato chiamato a ricoprire. Diciamo che l’Agenzia, dalla visuale che ho l’onore di poter fruire con i colleghi alla guida di un pezzo importante dell’amministrazione finanziaria e della pubblica amministrazione in senso lato, è un buon punto d’osservazione. Prescindendo dal tipo di lavoro che siamo chiamati a svolgere, di cui io sono orgoglioso perché comunque è un pezzo importante di cui dovremmo come cittadini tutti esserne maggiormente consapevoli, al di là del fatto che pagare le tasse non è piacevole per nessuno, farle pagare, credetemi, è altrettanto poco piacevole perché è un ruolo non compreso, ma che sarebbe bene e opportuno invece comprendere, imparare a comprendere qual è, perché esiste l’esattore delle tasse, perché esiste chi è chiamato a far pagare le tasse. Io, ma perché ognuno parla della sua amministrazione, ritengo che l’amministrazione finanziaria sia probabilmente, tutta la pubblica amministrazione, ma l’amministrazione finanziaria in particolare, sia la più importante infrastruttura pubblica del Paese perché attraverso l’amministrazione finanziaria si garantiscono le risorse a tutte le infrastrutture del Paese e in quest’ottica occorre quindi avere al riguardo consapevolezza del ruolo che è chiamata a compiere. Senza risorse, come in una famiglia, come in una comunità, non si possono fare scelte e tanto meno realizzare le scelte che si sono fatte. Ecco perché l’infrastruttura ha bisogno di essere conosciuta, qual è il suo ruolo. Di un ponte ne intuiamo la funzione, unire due sponde. Di un’opera come l’amministrazione finanziaria è più complessa o quantomeno non è immediatamente fruibile il suo significato. E come tutte le infrastrutture, esattamente come un ponte, ha bisogno di investimenti, di manutenzione, di cura, di attenzione, di formazione delle persone che sono chiamate a lavorare al suo interno e anche di comunicazione per farsi conoscere. E vi è un altro aspetto, diciamo, sull’attrattività in generale della pubblica amministrazione e dell’amministrazione finanziaria in particolare. La pubblica amministrazione è l’unico strumento che un Paese democratico ha per realizzare le scelte che vengono fatte dai cittadini attraverso le istituzioni rappresentative, cioè attraverso Parlamento e Governo. Non esiste nessun tipo di Parlamento, nessun tipo di maggioranza parlamentare e nessun tipo di governo chiamato a governare il Paese dalla propria maggioranza parlamentare che possa prescindere da una pubblica amministrazione che funzioni al meglio delle sue possibilità. La pubblica amministrazione è il migliore o dovrebbe essere il migliore alleato di qualunque governo e di qualunque maggioranza parlamentare, perché altrimenti il sistema democratico fa le proprie scelte attraverso il voto che noi tutti siamo chiamati a fare ciclicamente. Quel voto esprime i nostri rappresentanti, i rappresentanti sono chiamati a fare delle scelte, ma quelle scelte sono destinate a cambiare il volto del Paese e la nostra vita solo sulle pagine della Gazzetta Ufficiale. E noi non ce ne potremmo mai rendere conto a meno che non ci sia, come dovrebbe esserci, una pubblica amministrazione nel suo complesso che faccia sì che quelle scelte possano riflettersi nella vita delle persone, di noi cittadini. Non esiste una riforma tributaria se non c’è un’amministrazione finanziaria in grado di realizzarla nel concreto. È inutile decidere in Gazzetta Ufficiale il tempo in cui si può ottenere un rimborso di un’imposta se non c’è qualcuno che per quell’imposta è in grado di smaltire la pratica e poi far arrivare i soldi ai cittadini, e così vale per la sanità, vale per la scuola, vale per ogni settore della pubblica amministrazione. Quindi la pubblica amministrazione dovrebbe essere attrattiva nella misura in cui i cittadini comprendono che il loro voto è soltanto un pezzo dell’esercizio della libertà democratica che ci è stata regalata. Poi bisogna anche fare in modo che l’altro pezzo, in una sorta di passo a due tra le istituzioni democratiche e repubblicane e la pubblica amministrazione, si realizzi quella coreografia che è il nostro Paese, l’evoluzione del nostro Paese: i servizi, la tutela dei diritti. Non esiste la possibilità di tutelare diritti se non c’è la pubblica amministrazione, se non ci sono le forze dell’ordine, se non c’è la scuola, se non c’è la protezione civile, se non ci sono i vigili del fuoco. E quindi dovrebbe essere attrattiva la pubblica amministrazione perché è un modo per realizzare il processo democratico che altrimenti è interrotto, altrimenti si ferma soltanto sulla Gazzetta Ufficiale. Mi veniva in mente una cosa che diceva prima il Presidente Garofoli, è una suggestione che vi lascio, visto che facciamo riferimento all’astensionismo. Una riflessione che ho fatto, ho 28 secondi e riesco a farla: l’astensionismo era minore quando c’era un sistema elettorale non maggioritario ma proporzionale, ma era minore anche l’evasione fiscale. Andando a vedere i dati dell’evasione fiscale quando il sistema era proporzionale, c’erano minori occasioni fiscali, come se… è tutto da dimostrare, ma come i dati dicono, almeno come oggettività, poi l’interpretazione la lascio a chi è capace di interpretarli, come se il sentirsi rappresentato mi spingesse a votare, ma anche a contribuire per la mia comunità.
Forlani. Anche su questo, penso, torneremo nel secondo giro. L’ultimo di questo primo round, Giuseppe Tripoli, che è segretario generale di Unione Camere, dal suo osservatorio evidentemente c’è anche una parte di nesso specifico con i sistemi territoriali, con i sistemi camerali, con il rapporto quotidiano con le imprese e con tanti interventi che hanno a che fare con la messa a terra di tutto un impianto normativo e istituzionale. La domanda è la medesima: qual è l’approccio a cui siamo arrivati?
Tripoli. Grazie, buongiorno a tutti, grazie per l’invito. Il sistema delle Camere di commercio in cui opero in questa fase della mia vita è, ai confini, diciamo, non dell’universo, ma ai confini della pubblica amministrazione, ai confini tra pubblica amministrazione e mondo privato, per cui è molto sensibile anche alle istanze che in modo più diretto, più esplicito arrivano dal sistema delle imprese e delle aziende italiane. Questo lo dico perché farò delle considerazioni che tengono conto di questo aspetto qui. Partirei intanto da un dato di fatto, che è quello inoppugnabile nel senso che lo certificano osservatori internazionali come l’OCSE, per esempio, che il livello di soddisfazione delle imprese italiane rispetto alla pubblica amministrazione e ai servizi offerti dalla pubblica amministrazione è sensibilmente più basso della percezione che la pubblica amministrazione ha nella media delle imprese degli altri paesi. C’è una insoddisfazione più elevata delle imprese. Questo è un dato che si ripete in tutti i rapporti che l’OCSE fa periodicamente; noi siamo abituati a fare il confronto anche sugli altri paesi, su come vengono vissuti certi problemi negli altri paesi, negli altri contesti. Questo è un dato di fatto, però io vorrei aggiungere un secondo dato di fatto che ha una componente di opinione personale più elevata. Io credo che sia finalmente aperta la possibilità che si faccia, si ponga più radicalmente il rimedio a questo problema e, dovendo dare una data che sia simbolica di quando si è aperta questa fase, direi il Covid. Il Covid, a mio avviso, quegli anni del Covid hanno chiuso una lunga fase che era cominciata nel secolo scorso, addirittura anche qui per dare una data simbolica, nell’89, in cui era diventata dominante una visione ridotta e semplificata dello sviluppo che si fondava sull’idea che il mercato è l’unico luogo dell’innovazione, la finanza è il suo moltiplicatore, un’idea ridotta dell’impresa per cui l’impresa deve soddisfare il desiderio di profitto degli azionisti e non di una platea più ampia di componenti economiche, sociali, istituzionali e territoriali, un’idea della globalizzazione piatta, dove si compete soprattutto o esclusivamente sui costi, e un’idea del pubblico residuale. Cos’è il pubblico? Che fa le cose che interferisce, intanto sottrae risorse a questo meccanismo virtuoso del mercato, quindi è bene che sottragga meno risorse possibile e che si limiti a fare un po’ di ridistribuzione. Questa lunga fase è stata messa in crisi da tanti fatti, ma per usare un fatto simbolico, dalla consapevolezza che con gli anni del Covid abbiamo acquisito che un settore pubblico che funzioni bene è essenziale, come veniva ricordato poc’anzi, non solo per la vita dei cittadini ma per la prosperità economica e quindi per la vita delle aziende. Come si è verificato questa sorta di disinvestimento collettivo sulla pubblica amministrazione? Io cito un solo elemento che a me sembra fondamentale. Si è fortemente disinvestito sul personale della pubblica amministrazione. La pubblica amministrazione fa il 14-15% del PIL del Paese. Quindi non è una cosa residuale, è un comparto; l’industria fa il 20%, per intenderci, l’industria nella sua complessità e in tutte le sue articolazioni. Quindi è un comparto importante di servizi, ma i servizi si basano sulla qualità delle persone, sulle efficienze delle persone e sulla possibilità di avere delle persone. Qui, cancellando un’opinione diffusa che la pubblica amministrazione italiana pesi di più rispetto alle pubbliche amministrazioni degli altri paesi, ho portato dei numeri, numeri anch’essi che vengono da statistiche internazionali dell’OCSE. L’Italia ha il 5,5% di dipendenti su 100, fatto 100 la popolazione, 5,5%, la Germania ha più del 6%, la Spagna ha più del 7%, la Francia ha più dell’8%, perfino l’Inghilterra, la Gran Bretagna, che tutti dicono, beh anglosassone, ha più dell’8%. Quindi si è fortemente disinvestito sulla quantità, sulla numerosità delle persone, anche rispetto agli altri Paesi con cui ci confrontiamo. Il che ha fatto crescere notevolmente l’età media; inutile che vi dica le statistiche, siamo passati da 43 a 50 anni nell’arco di qualche anno, come media. Secondo tema su cui si è disinvestito, secondo me, è tener conto delle diversità. La pubblica amministrazione italiana non è la pubblica amministrazione, sono le pubbliche amministrazioni. L’Istat ogni anno pubblica un elenco che è l’elenco delle unità istituzionali del Paese, degli enti pubblici in senso lato. Sono 2.200 a livello nazionale, 19.600 a livello territoriale; questo è il mondo delle pubbliche amministrazioni e si va da grandi ministeri con migliaia di dipendenti, eccetera, a comuni che hanno poche decine o addirittura uno o due dipendenti. Allora, qual è stato l’errore, a mio avviso? Voler prevedere regole unitarie per tutti, per situazioni molto diverse. È un po’ quello che da sempre noi diciamo; attenzione, per fare un esempio, nel mondo delle imprese non si può trattare la piccola azienda, la piccolissima azienda che ha un dipendente, come la grande azienda che ha migliaia di dipendenti. È un altro punto delicato. Lo stesso vale per le pubbliche amministrazioni; non si possono applicare, prevedere, stabilire regole che valgono indifferentemente e indistintamente per tutti, perché poi si arrivano a dei paradossi che queste regole finiscono per premiare non chi lavora meglio, ma costringono a lavorare peggio chi già faceva il massimo per poter lavorare con le sue poche risorse, mentre chi ha più risorse, ovviamente nonostante i tagli, continua a poter lavorare. Questi due temi sono, secondo me, fondamentali: ripuntare, puntare nuovamente sulle persone e credo che stia cominciando ad accadere sull’acquisizione di persone e di nuove competenze e puntare su un sistema di regole che tenga conto delle diversità delle situazioni.
Forlani. Ripartirei proprio da qui per questo secondo breve giro, perché alla luce di quanto ci avete detto, di quanto avete documentato, ci sono alcuni dati abbastanza sotto gli occhi di tutti, ad esempio il fatto che il nostro paese, così come le nostre istituzioni, funzionano perfettamente in emergenza. Siamo un paese nel quale, quando c’è un commissariamento, le cose funzionano anche quando sarebbe impossibile. Questo apre non solo al tema dell’affidabilità o agli altri temi, appunto, dell’integrazione tra i diversi livelli, ma anche al tema della programmazione, della pianificazione. E quindi la domanda appunto di questo secondo giro è: che cosa si sta facendo o cosa si potrebbe fare in una situazione che è profondamente diversa anche rispetto a pochissimi anni fa, probabilmente come diceva Tripoli, anche solo prima del Covid, perché era una stagione anche istituzionale completamente diversa? Tripoli.
Tripoli. Intanto il tema del personale. Da qui al 2028, noi prevediamo, noi abbiamo un sistema che monitora il mercato del lavoro, in particolare quello privato, ma anche quello pubblico. Allora, a noi risulta che da qui al 2028 nella pubblica amministrazione verranno assunte, verranno prese, verranno coperte 850 mila posizioni. Per il 90% per il turnover, persone che vanno in pensione, ma una quota, prevediamo, sulla base delle leggi attualmente vigenti, circa 75-80 mila persone nuove. Allora la prima cosa è non sbagliare le professionalità. Non sbagliare le professionalità vuol dire non sostituire un ragioniere con un ragioniere, un legale con un legale, ma tener conto che la situazione cambia e servono professionalità nuove. Attenzione che tra le professionalità nuove ci sono anche professionalità antiche; uno dei mestieri che più sarà richiesto sarà quello degli insegnanti. Mancheranno, sulla base del trend degli iscritti all’università e delle esigenze che nascono dal turnover, gli insegnanti nei prossimi anni. È chiaro che però fare l’insegnante fra qualche anno vorrà dire farlo in un modo diverso da quello con cui si faceva qualche anno fa. Quindi il primo tema, secondo me, è quello di non sbagliare, perché se si sbagliano 850 mila assunzioni, voi sapete che chi entra nella pubblica amministrazione tendenzialmente resta, anche se adesso è un po’ meno vero, per molti anni. Se si sbagliano queste assunzioni sarà un errore, una zavorra per i prossimi vent’anni. Formazione delle persone: come si fanno affrontare i temi delle nuove tecnologie? Per esempio, se oggi la formazione nel lavoro che tutte le aziende fanno, nella pubblica amministrazione si prevede che sia un giorno per dipendente, cioè è impossibile fare la formazione su come si usano anche solo i banali strumenti della tecnologia digitale, non dico l’intelligenza artificiale. Terzo tema è quello che dicevo poc’anzi, quello della riorganizzazione. La riorganizzazione vuol dire, da un lato, che le nuove tecnologie consentono di integrarsi con il lavoro umano, consentendo alle persone, e quindi le assunzioni che si faranno dovranno tenere conto di questo, consentire alle persone di fare dei lavori più elevati, più qualificati; i lavori ripetitivi li faranno gli strumenti di intelligenza artificiale, i lavori più creativi o di cura della persona o dove occorre prendere decisioni in situazioni di rischio, quelli sì sono più delegati, sono deputati alle persone. Ma c’è un aspetto che vorrei sottolineare: uno dei vizi, secondo me, dei difetti storici, quindi non della nostra pubblica amministrazione, è che, a differenza delle grandi aziende dei servizi o dei settori di servizi, si è basata su un’idea soprattutto dei prodotti e non dei clienti. L’attenzione al cliente, secondo me, è fondamentale. L’attenzione al cliente vuol dire, quello che ricordavo poc’anzi, per esempio, fa sì che ci siano non solo regole ma anche modalità di approccio diverse a una piccola azienda e non a una grande. Non parliamo di numeri banali anche in questo caso; tutti diciamo e lo sappiamo che in Italia le piccole e medie aziende sono il 97% delle aziende, forse qualcosa in più. Le micro e le piccole aziende hanno il 51% dell’occupazione privata. Quindi sbagliare l’approccio con le micro e le piccole aziende vuol dire mettere in difficoltà non solo gli imprenditori, 15 milioni di lavoratori, delle loro famiglie, eccetera. Ecco, in Italia questa attenzione è mancata. Per esempio, il grande sforzo che stiamo facendo come Camera di commercio, vedo qui il Presidente della locale Camera di commercio, il Presidente Battistini, è quello di svolgere questa funzione che in una struttura privata si chiamerebbe di account manager, cioè di contatto con la clientela, con l’utenza, per raccogliere le loro esigenze. Una delle difficoltà che le aziende ci hanno detto sul PNRR è che le aziende piccole e medie non sanno che fare. Noi abbiamo stretto con diverse amministrazioni centrali diversi accordi istituzionali per consentire a quelle misure del PNRR che avevano come destinatari le aziende di poter essere efficacemente veicolate alle aziende. Efficacemente vuol dire che devi sapere parlare il loro linguaggio, devi essere presente sul territorio, devi essere disponibile a sentire i loro improperi, perché ovviamente un artigiano che deve lavorare e poi deve fare pure delle pratiche è ovvio che ti manda degli improperi se deve fare delle pratiche, quindi devi sapere usare il loro linguaggio. Ecco, il sistema delle Camere di commercio è come un sistema generale di account manager per le imprese. Credo che questo sia un punto delicato. Io penso che l’opinione del mondo imprenditoriale cambierebbe un po’, se oltre a noi, ovviamente, perché le Camere lo fanno, lo fanno convintamente, ma sono sessanta in tutto il Paese, anche se radicate dappertutto, questa attenzione alla clientela, alla tipologia, al profilo, come si dice, si profilano i clienti, lo fa la TIM, lo fanno l’Eni, lo fa l’Enel, perché non deve farlo la pubblica amministrazione di profilare il suo cliente e di presentare in modo adeguato al suo cliente, al suo utente, che è il cittadino oltre che l’impresa, i suoi servizi? Ecco, questo credo che sia lo sforzo che vada fatto, che molti stanno già facendo. Non siamo certamente all’anno zero, siamo già abbastanza avanti su questo, ma va molto, molto, molto incentivato.
Forlani. Grazie Giuseppe Tripoli. Ruffini, la medesima domanda a questo punto posto quello che abbiamo sentito: cos’è essenziale in questo momento e come lo cerchiamo anche rispetto alla prospettiva?
Ruffini. Diciamo che essenziale è ricordare la lezione che ci ha impartito la storia abbastanza recente, cioè non investire nella pubblica amministrazione e ricorrere troppo spesso, per quanto fosse necessario, a tagli che impedivano la ricostituzione della pianta organica delle varie pubbliche amministrazioni per compensare il turnover dei pensionamenti. La lezione del passato ci ha, o almeno dovrebbe averci restituito, l’immagine di un’Italia che aveva più difficoltà a rendere servizi ai propri cittadini. Parlo per l’esperienza dell’amministrazione finanziaria. Noi siamo arrivati a fine 2021, quando abbiamo ricominciato con i concorsi, nel 2021 più o meno, ma il giorno prima avevamo una pianta organica ridotta quasi della metà. Un po’ di meno della metà, insomma 30%. Poi c’è anche riscossione che è tutto un altro tema. Allora ridurre, cioè non avere la possibilità di assumere perché eravamo sotto, eravamo meno di 30 mila dipendenti su una pianta organica di 45 mila entrate. Non avere la possibilità di assumere perché mancavano le risorse per poter assumere, non perché qualcuno abbia fatto un dispetto al Ministro delle Finanze, influiva sui servizi resi e anche sulla capacità di recupero delle evasioni fiscali. Ma non è soltanto questo il tema, lo accennavamo prima, c’è anche un tema di passaggio di testimone. Possiamo anche con una bacchetta magica domani riassumere tutte le persone che servono alla pubblica amministrazione in qualunque settore e andare anche oltre, cioè assumere di più, se si ritiene necessario. Il problema è la formazione di chi entra nella pubblica amministrazione. In questi anni stiamo portando a termine un piano di assunzione, parlo di entrate, lo stiamo per iniziare anche alla riscossione, di 11.000 nuovi colleghi. Quegli 11.000 nuovi colleghi, non è che il giorno in cui entrano in Agenzia delle Entrate sono in grado di svolgere pienamente e perfettamente tutti i compiti cui è chiamato un funzionario tributario. Hanno bisogno di una formazione di colleghi che hanno maggiore esperienza, che possono quindi accompagnarli nella gestione del lavoro quotidiano, del confronto con i cittadini che vengono nei nostri uffici, con le pratiche che ogni giorno sono chiamati a sbrigare. E per far questo c’è soltanto un elemento che serve: l’elemento umano. E se quell’elemento umano è fuoriuscito dalla pubblica amministrazione, è andato via in pensione, c’è una difficoltà maggiore di inserimento delle nuove leve, perché devono rifare un’esperienza da soli, partendo soltanto con la propria capacità di adattarsi ai nuovi compiti che sono chiamati a fare. Allora, ingresso di nuove risorse nella pubblica amministrazione per le quali è necessario investimento, e quindi concorsi pubblici, svolti il più frequentemente possibile. Colgo l’occasione per ringraziare Formez che dà una mano all’Agenzia delle Entrate su suggerimento, c’era ancora il presidente Garofoli. Ci siamo associati perché ci è stato suggerito che forse da soli era più complicato fare concorsi frequenti. Da quando ci siamo associati sono molto più frequenti i nostri concorsi. L’anno scorso un concorso ha attirato 100 mila partecipanti per 4 mila posizioni che abbiamo svolto su tutto il territorio nazionale, cioè più poli sincronizzati, si sono svolte le prove, sono andate senza particolari problemi e siamo riusciti ad affrontare questo. Ma questo è soltanto uno dei temi che si pone rispetto alla reintegrazione delle piante organiche e quindi ai maggiori servizi che la pubblica amministrazione può dare. Il secondo è la capacità della pubblica amministrazione di trattenere le risorse che sono entrate, che è altrettanto importante, perché altrimenti succede quello che succede nella scuola e nella formazione secondaria superiore: noi formiamo con la scuola pubblica i nostri giovani cittadini, li poi accompagniamo alla laurea e poi li salutiamo perché vanno all’estero a trovare lavori diversi. E proseguiamo con questa impostazione: noi li formiamo nella scuola, nell’università, in formazione post universitaria, li accogliamo nella pubblica amministrazione, li formiamo anche lì, poi c’è qualcuno che è più capace di noi di trattenerli e ha una capacità di attrattiva maggiore. Pensiamo all’amministrazione finanziaria, ne parlavamo prima, delle figure particolari, non soltanto il funzionario tributario che potrebbe essere chiamato da un eco della libera professione, ad esempio, ma pensiamo a tutti gli analisti informatici. Ci si riempie la bocca dell’intelligenza artificiale, dell’utilizzo delle moderne tecnologie e pensiamo a quante offerte può ricevere un giovane nel mercato privato rispetto a quello che siamo in grado noi di offrirgli. E allora c’è da pensare quali sono i modi per trattenerli che non sono solo economici, perché sicuramente quella è una partita non giocabile, ma ci sono altre partite, come la possibilità di avere, specialmente quel tipo di lavori, una maggiore elasticità nella presenza in ufficio. Perché io sono sempre attratto dal mondo privato: mi paga di più ma mi consente anche di svolgere il mio lavoro non in ufficio o con tante altre soluzioni. Comunque, guardare con occhi diversi le nuove generazioni è perché il mondo è molto più aperto e noi non possiamo e non dobbiamo operare il sistema pubblico delle nuove generazioni che col tempo abbiamo formato, ma dobbiamo essere in grado di inserirle e trattenerle.
Forlani. Grazie Ruffini. Presidente Garofoli, si può fare, si sta facendo qualcosa, c’è qualche segnale positivo o tutto fermo?
Garofoli. Arrivo subito alla tua domanda e chiudo con qualche segnale positivo, perché a mio avviso non ne mancano quando parliamo di pubblica amministrazione. È un po’ più affascinante parlare di quel che non va e anche più, diciamo, accattivante. Ti seguono di più se parli di inefficienze e di criticità, anziché se indichi qualcosa che di positivo si sta realizzando. E quindi tornerò sui temi che sono stati trattati dai miei brillanti e autorevoli componenti del panel. Però, la difficoltà nell’affrontare il tema dell’amministrazione del sistema istituzionale è quella che è stata detta prima: in realtà siamo soliti parlare dei nodi comuni alle amministrazioni tutte, e quindi parliamo di capitale umano, di dipendenti pubblici, parliamo di semplificazioni o di complicazioni o parliamo di attuazione delle leggi, cioè di nodi che un po’ riguardano il mondo dell’amministrazione nella sua interezza. Ma come giustamente è stato detto, le amministrazioni sono diverse le une dalle altre, hanno missioni diverse, professionalità diverse e compongono sistemi istituzionali che occorrerebbe guardare in verticale, non in orizzontale. Faccio un solo esempio e poi vengo ai problemi comuni e anche a qualche nota, diciamo, positiva. Noi siamo il sesto, almeno stando ai dati del 2023, il sesto paese esportatore al mondo. Noi abbiamo, Italia, una grandissima vocazione all’export. Nonostante non abbiamo grandi industrie, abbiamo però un sistema e un tessuto produttivo capace di competere nel mondo e di competere con altre aree e con altri paesi che sono agguerritissimi nel supportare l’internazionalizzazione delle rispettive imprese. Ora, quando parliamo di amministrazione pubblica parliamo anche di sistema istituzionale e amministrativo preposto a supportare l’export italiano, a supportare l’internazionalizzazione delle imprese italiane. E se guardiamo in verticale, in questo ambito lavorano decine di enti pubblici, perché lavora il MIMIT, cioè il Ministro Urso, lavora il MECI, naturalmente il Ministero degli Esteri, e poi c’è l’IC, c’è la SACE, c’è il CDP, ci sono le regioni che ciascuna ha decine di sedi all’estero e poi c’è tutto il mondo privato che supporta appunto le proprie imprese. Ora, c’è da chiedersi: il nostro Paese, nel competere con colossi, cioè con la Cina, con gli Stati Uniti, tutti negli ultimi anni agguerritissime nel sostenere l’export delle proprie imprese, fa davvero squadra sul piano finanziario? Mette le risorse finanziarie in comune perché ci vogliono risorse finanziarie importanti per supportare le proprie imprese all’estero? Ecco, la risposta è probabilmente non ancora del tutto, per quanto si siano fatti passi in avanti, perché per esempio Stato e Regioni procedono per vie parallele nel supportare le proprie imprese. E occorre evitare che nell’attuazione della legge sull’autonomia differenziata, che ha il commercio estero tra le materie dell’autonomia, questo sistema non peggiori, questa condizione, questa situazione non peggiori. Vengo ai nodi comuni: secondo me c’è una riflessione comune. Perché per un’amministrazione e un sistema istituzionale migliori non bastano riforme procedurali o nella giustizia processuali? Occorre quello che è stato detto, occorre investire sui modelli organizzativi e sulle professionalità. Qualche passo in avanti c’è stato a mio avviso e lo dico ovviamente con l’avvertenza che non voglio sembrare ingenuo. E quindi, nella consapevolezza che a ciascuno di questi passi in avanti corrispondono ancora difficoltà, affanni, inefficienze da fronteggiare. Primo, capitale umano: fino a qualche anno fa i concorsi le amministrazioni non sapevano più nemmeno farli. Non c’era più la macchina dei concorsi pubblici perché per decenni non c’era stato il ricambio generazionale e giustamente quello che dice Ruffini è importantissimo. Non soltanto non c’era più il ricambio, ma è venuto meno il passaggio di competenze e di conoscenze, perché in ogni organizzazione pubblica o privata che sia, il nuovo in chi sta andando via ha il suo punto di riferimento che gli trasmette competenze e conoscenze. Ora i concorsi sono ripartiti, per fortuna, è giusto. Occorre fare in modo che siano selezionate le professionalità adeguate, secondo me l’Agenzia delle Entrate lo sta facendo. In parte almeno lo sta facendo perché la lotta all’evasione fiscale molto da anni affidata al rafforzamento tecnologico, all’interoperabilità delle banche dati, tutto questo richiede una capacità di lettura e analisi dei dati e l’Agenzia delle Entrate sta selezionando e assumendo analisti informatici. Deve saperli trattenere, però, non sarà facile. Non sarà facile per una competizione interna alle amministrazioni perché purtroppo ci sono differenze retributive tra amministrazioni, molto spesso anche tra amministrazioni tutte dello Stato, e c’è qualcuno che vince il concorso, lo si forma e va via. È un problema enorme questo. Occorre por mano, non dico a una omogeneizzazione retributiva, ma comunque por mano a questo problema e poi occorre anche formarli, ma il PNRR ha stanziato risorse importantissime per la formazione dei dipendenti pubblici. Secondo tema, semplificazione: i problemi dell’amministrazione pubblica sono ovviamente i tempi dei procedimenti amministrativi, oltre che gli oneri burocratici per le imprese. Ora, sui tempi e per risolvere il problema dei tempi non basta la riforma procedurale, non basta dire c’è il silenzio assenso, c’è la SCIA, no, occorre potenziare le organizzazioni. Cito un solo esempio perché ho visto che il tempo è finito: Commissione VIA, valutazione di impatto ambientale. Non lo cito a caso, perché nel PNRR, quando è stato scritto il PNRR, fu scritto che la valutazione di impatto ambientale porta mediamente due anni, talvolta sei anni, ed è un piccolo pezzo di una procedura molto più ampia di autorizzazione di opere, di infrastrutture. E a questo ci aggiungono mediamente 11 mesi soltanto per capire se alcune istanze progettuali debbano essere assoggettate a VIA. Quindi capite di che stiamo parlando, che strade, ferrovie, porti, impianti energetici, impianti per fonti rinnovabili, l’autorizzazione di tutto questo richiede sei anni, non per completarsi, ma per la sola VIA, valutazione di impatto ambientale. Naturalmente noi non potevamo permetterci tutto questo per le opere del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che ha dei tempi, e fu istituita una Commissione ad hoc VIA PNIEC, cioè opere VIA e opere energetiche. Devo dire, so che hanno mille problemi perché il flusso di istanze in ingresso è enorme, ma dal 2021 ad oggi, in due anni, sono stati rilasciati 1900 pareri, 85% positivi: 850 per impianti energetici, circa 300 impianti per fonti rinnovabili, centinaia per infrastrutture ferroviarie, porti e così via. Lo dico senza ingenuità, perché so che i problemi anche in quel settore ci sono e come, ma se si investe in organizzazione e in risorse, qualche risposta c’è. Lo dico anche con riferimento al mio settore, perché io faccio il magistrato amministrativo, ma in passato ho fatto il magistrato civile, il magistrato penale e il servizio giustizia è stato additato giustamente come uno dei nodi più critici del nostro sistema istituzionale. Nei ranking internazionali spesso siamo in fondo alle classifiche perché i tempi di decisione delle controversie sono lunghissimi e questo è deleterio anche in termini di competitività e attrattività delle imprese estere. È vero che non siamo ai livelli di risposta nella giustizia civile tedesca, anzi siamo ancora molto lontani, ma non possiamo non guardare però ai dati oggettivi e cioè al fatto che nel 2010 avevamo uno stock, un arretrato di 6 milioni di cause civili e oggi invece abbiamo un arretrato molto, molto più ridotto: eravamo credo a 3 milioni nel 2020 e col PNRR ci si è impegnati e i risultati sono, almeno per lo stock, molto, molto importanti e diciamo, come dire, positivi. Ci siamo impegnati a ridurre l’arretrato del 22% e del 90% e lo stesso il disposition time, il tempo con cui le controversie sono decise, erano 3000 giorni nel 2010, un tempo pazzesco, cioè 7 anni mediamente; eravamo a 2500 nel 2021. Ci siamo col Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza impegnati a una riduzione del tempo del 40%, adesso, fine 2023, siamo al 18% di riduzione, siamo a 2.000 giorni, che non è ancora quello a cui dobbiamo ambire, naturalmente, perché i tedeschi credo siano su i 1.200-1000, ma è un percorso in atto ed è un percorso che è reso possibile non dal caso, ma dal fatto che si è investito nella digitalizzazione, non dalle riforme processuali, il rito, ma si è investito in digitalizzazione, in organici, in organici della magistratura, in organici dell’amministrazione della giustizia. Non si facevano concorsi per cancellieri da vent’anni: come può un servizio funzionare, se per vent’anni non crei ricambio e innesto di nuove competenze, entusiasmi, quelli giovanili. C’è uno studio, e ho finito davvero: l’ufficio del processo. Il vituperato ufficio del processo sono questi ragazzi, decine di migliaia, che sono stati messi nell’amministrazione giudiziaria. La Banca d’Italia, nella relazione di quest’anno 2024, ha dimostrato che alcuni di questi risultati, e cioè riduzione dell’arretrato e velocizzazione dei tempi di definizione delle controversie, sono in parte legati a questi innesti, questi innesti di giovani dell’ufficio del processo, tant’è che la Banca d’Italia dimostra come nelle regioni, nelle corti d’appello nelle quali gli uffici del processo sono più robusti, cioè ci sono più ragazzi a lavorare, la riduzione dei tempi di definizione delle controversie e il calo dell’arretrato dello stock è più evidente che altrove. Il concetto è che con la pandemia e con il PNRR un po’ è iniziato a maturare che abbiamo bisogno non di meno istituzioni e di meno amministrazione e di meno burocrazia, ma di una burocrazia più adeguata, più all’altezza dei temi, dei problemi, delle sfide da affrontare. Grazie
Forlani. Grazie a Roberto Garofoli, grazie a Ruffini e a Tripoli. Io penso che ci abbiano aiutato a entrare un po’ in profondità della domanda con cui abbiamo iniziato quest’incontro. Gli esempi che sono stati fatti da ciascuno di loro, diciamo, hanno un’importanza significativa, perché in qualche modo ci possono documentare che è possibile avviare un percorso e che in parte è già avviato e non ultimo perché riguarda i tempi della pubblica amministrazione e hanno documentato che si può parlare di cose anche serie in tempi evidentemente molto ragionevoli. Grazie a tutti per la partecipazione e buona continuazione. Grazie ai nostri ospiti.