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POLITICHE E STRATEGIE PER UN LAVORO CHE CAMBIA
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In collaborazione con Compagnia delle Opere
Marina Calderone, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali; Marco Hannappel, presidente e amministratore delegato Philip Morris Italia; Bernardo Mattarella, amministratore delegato Invitalia; Eliana Viviano, capo divisione Mercato del lavoro, Dipartimento di Economia e Statistica Banca d’Italia. Introduce Andrea Dellabianca, presidente Compagnia delle Opere
Se, da un lato, l’occupazione ha raggiunto livelli record in Italia, dall’altro, istituzioni, aziende e corpi intermedi devono continuare ad interrogarsi su come coinvolgere fasce di popolazione ancora ai margini, soprattutto donne e Neet, e come rendere il lavoro più produttivo. In questo contesto formazione e competenze svolgono un ruolo fondamentale per promuovere la crescita, ridurre il divario tra domanda e offerta di lavoro e stimolare l’innovazione, soprattutto in una fase di grande trasformazione tecnologica come quella imposta dall’intelligenza artificiale. Allo stesso tempo le aziende si confrontano con uno scenario in costante evoluzione rispetto all’equilibrio tra vita privata e impegno professionale, le misure di welfare, la formazione continua e l’inclusività, aspetti sempre più rilevanti per i lavoratori, in particolare per le nuove generazioni.
Con il sostegno di Consorzio Scuole Lavoro – CSL, Unioncamere, Dintec, PID-Punto Impresa Digitale
POLITICHE E STRATEGIE PER UN LAVORO CHE CAMBIA
POLITICHE E STRATEGIE PER UN LAVORO CHE CAMBIA
Mercoledì 21/08/2024 Ore 17:00
Sala Conai A2
Partecipano:
Marina Calderone, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali; Marco Hannappel, presidente e amministratore delegato Philip Morris Italia; Bernardo Mattarella, amministratore delegato Invitalia; Eliana Viviano, capo divisione Mercato del lavoro, Dipartimento di Economia e Statistica Banca d’Italia.
Introduce:
Andrea Dellabianca, presidente Compagnia delle Opere
Dellabianca. Buonasera a tutti, benvenuti a questo incontro dal titolo “Politiche e strategie per un lavoro che cambia.” Si colloca dentro una serie di incontri con a tema il lavoro, incontri che sono nati anche dall’osservazione e dall’esperienza di molti lavoratori, di molte imprese, di un gruppo di lavoro che ha osservato quali cambiamenti sono in atto. Questa sera parteciperemo a questo incontro e dialogheremo grazie all’aiuto dei nostri ospiti. Parto dal Ministro del Lavoro, l’onorevole Marina Calderone. Segue in ordine di seduta il dottor Bernardo Mattarella, amministratore delegato di Invitalia, che è l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa. Proseguo col dottor Marco Hannapel, presidente e amministratore delegato di Philip Morris Italia, che penso non abbia bisogno di presentazioni e la dottoressa Elena Viviano, capo divisione famiglie e mercato del lavoro del dipartimento di economia e statistica di Banca d’Italia. Che cosa vogliamo approfondire con i nostri ospiti? Sicuramente abbiamo in mente tutti una frase di Papa Francesco che dice che non siamo semplicemente in un’epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d’epoca. E per quanto riguarda il mondo del lavoro, tutti noi osserviamo questi cambiamenti, sia vivendo all’interno delle nostre aziende, sia vivendo come professionisti, sia guidando delle aziende, come in questo caso. È molto diversa la condizione rispetto a quella che vivevamo qualche anno fa, ma soprattutto quello che cambia è il valore del lavoro per l’uomo, è il rapporto fra lavoro e interessi personali, familiari, passioni, valori, quasi sfidando l’idea che il lavoro sia in contrapposizione a tutto questo. Per noi invece il lavoro fa parte della vita, e vogliamo approfondire, vogliamo recuperare qual è il senso di non un’alternanza ma forse di un equilibrio. Cosa osserviamo? Osserviamo che in un momento di crescita lavorativa cresce il lavoro, ma cresce molto spesso un’insoddisfazione del lavoro. Da recenti indagini del Politecnico di Milano, di ADAPT, e di altre organizzazioni, si dice che solo il 5% dei lavoratori sono appagati al lavoro, sono felici. Quindi, se è vero che aumenta l’occupazione, è anche vero che aumenta l’insoddisfazione. Serve un lavoro di qualità. Serve un lavoro che tenga conto di tutti gli aspetti che oggi sono diventati predominanti. Sentiamo quindi la responsabilità di aiutare lo sviluppo di un nuovo lavoro di qualità, un buon lavoro, che sappia rispondere anche al desiderio dell’uomo di oggi. Quindi stasera vorremmo proprio approfondire questo percorso e questa sfida. Partirei dalla dottoressa Elena Viviano, che tra i temi che più determinano il lavoro del futuro vi sono sicuramente il cosiddetto “inverno demografico,” cioè sia un invecchiamento della popolazione sia una denatalità che riguarda tutti i paesi occidentali, e anche in particolare l’Italia. Quali saranno le conseguenze più immediate, ma soprattutto cosa possiamo fare? Un recente articolo del Financial Times sosteneva che le politiche economiche a sostegno delle famiglie non bastano a invertire la rotta. Cosa serve allora?
Viviano. Grazie per l’invito, grazie per questa domanda sicuramente complessa che può essere declinata in moltissimi modi. Ogni tema di quelli enunciati richiederebbe giornate intere di confronto. Cerchiamo però di rimanere nei tempi e di dare alcuni dei fatti salienti degli impatti dell’invecchiamento demografico sul mercato del lavoro del futuro. Innanzitutto, mi preme ricordare che la questione dell’invecchiamento demografico della popolazione, della bassa natalità, non è solamente un tema occidentale, ma è un tema che accomuna molte economie; ad esempio, è estremamente rilevante anche per economie quali la Cina o la Corea del Sud, dove appunto il tasso di natalità è al di sotto del valore di 2,1 figli per donna, valore convenzionale ritenuto dai demografi quello che mantiene la popolazione in stato stazionario nel lungo periodo. I numeri dell’Italia colpiscono perché effettivamente in Italia il declino demografico è molto rapido. E in un certo qual modo già lo stiamo vivendo, lo stiamo osservando con i nostri occhi, perché basta ricordare che alla fine del 2023 in Italia c’erano 600.000 individui in meno nella classe di età 15-64 anni, quindi la classe di età che convenzionalmente si ritiene possa lavorare, semplicemente rispetto alla fine del 2019. Quindi in 4 anni abbiamo perso 600.000 individui in età lavorativa e se l’occupazione è riuscita comunque a crescere in questo periodo, nel periodo post-pandemico, questo si deve al fatto che al contempo è aumentata la partecipazione al mercato del lavoro, cioè sono aumentate le persone che hanno deciso di partecipare al mercato del lavoro con un’occupazione o cercando un’occupazione. Nel 2040, tra 15 anni e mezzo, 15 anni e poco più, le persone in età lavorativa, quindi sempre tra 15 e 64 anni, saranno 5,4 milioni in meno secondo i numeri dell’Istat. E sono numeri impressionanti, perché vuol dire che le nostre imprese, il nostro sistema produttivo, potrà, dovrà fronteggiare un calo di potenziali lavoratori davvero significativo e quindi quelle che oggi noi consideriamo essere, vediamo essere, le difficoltà delle imprese nel reclutare manodopera, questo è un tema che penso ci accompagnerà ancora per molti anni. Ovviamente 5,4 milioni in meno di popolazione tra i 15 e i 64 anni non sono automaticamente 5,4 milioni in meno di lavoratori, perché c’è il tasso di partecipazione, cioè quanti sono i lavoratori, le persone che in questa fascia di età decidono di lavorare. Il problema è che se continuano i trend attuali, che peraltro sono trend molto positivi per i giovani, per le donne e per la popolazione più anziana, nel 2040, meccanicamente, potremmo trovarci con un 9% in meno di forza di lavoro, e questo è un numero significativo. Ed è un numero significativo perché minaccia la crescita potenziale del Paese, perché nel lungo periodo, a parità di altre condizioni, il 9% di forza di lavoro in meno si traduce in un 9% in meno di PIL. L’elasticità, in gergo degli economisti, è 1. E ovviamente questo non è uno scenario che possiamo permetterci o vogliamo permetterci, ma è uno scenario che vale a parità di altre condizioni. Il punto è fare in modo che queste altre condizioni non siano come quelle di oggi e quindi per questo dobbiamo metterci nella sfida, accettare la sfida demografica che fronteggiamo oggi. E le soluzioni essenziali non sono poi molte, le ha anche accennate oggi il governatore: si tratta di migliorare la produttività del lavoro, e cioè far sì che ogni lavoratore produca di più a parità di condizioni, e cercare di stabilizzare la popolazione e portare il più ampio numero di individui nella fascia lavorativa 15-64, anche 15-74, nel mercato del lavoro. Diciamo, per riferirci al tema del Meeting, che questa è appunto l’indicazione minima essenziale che l’economia suggerisce. Ovviamente il policy maker deve combinare una sfida tanto ambiziosa con anche un sano realismo. Sano realismo che, oggettivamente, data la complessità delle tematiche, emerge immediatamente, e che ovviamente siamo chiamati ad avere. Come sarà quindi il mercato del lavoro? Non voglio entrare nelle politiche, anche perché non è questo il tema. Quello che voglio illustrare è appunto come sarà il mercato del lavoro del 2040 o come diventerà entro il 2040 date le condizioni attuali. Sicuramente sarà un mercato del lavoro ancor più anziano, dove l’età media dei lavoratori sarà più elevata di quella già elevata che vediamo oggi, ma i lavoratori che entrano oggi nel mercato del lavoro tendenzialmente sono più istruiti di quelli che sono entrati quando sono entrata io, alla fine degli anni ’90, perché nel nostro Paese la quota di laureati ha continuato ad aumentare. Il problema, ma anche l’opportunità, è il fatto che oggi nella classe di età 25-49 anni la quota di laureati italiani è ancora significativamente inferiore alla media UE e alla media degli altri principali Paesi. Ovviamente è una sfida, è una sfida per tutto il nostro sistema di educazione e formazione, è una sfida ambiziosa ma è anche un margine di miglioramento che, con le opportune politiche, ci può portare ad avere un profilo di produttività maggiore rispetto a quello che abbiamo oggi. Ovviamente quando si parla del mercato del lavoro del futuro non si può non pensare alla tecnologia, tecnologia che ovviamente a volte spaventa ma è anche un’opportunità, ed è un’opportunità perché può accrescere la produttività del lavoro. Si parla molto di intelligenza artificiale, se ne parla anche nel programma di questo Meeting, e oggi noi non abbiamo dei numeri credibili di quello che potrà essere l’impatto sul mercato del lavoro dell’intelligenza artificiale da qui a 15 anni. Ma sicuramente quello che possiamo sapere oggi è qual è il potenziale impatto dell’intelligenza artificiale nelle professioni che oggi noi guardiamo, che oggi noi svolgiamo, che oggi la forza lavoro svolge, e che non necessariamente saranno quelle che ci saranno tra 15 anni. Ma stando a quello che sappiamo oggi, come è organizzato oggi il lavoro, cosa fa tipicamente un lavoratore nella sua professione, possiamo dire che saranno interessati dall’intelligenza artificiale circa 7 milioni di lavoratori, circa un terzo, con una certa differenza settoriale.
Slide.
Nella figura ho riportato in barre rosse scure quelle professioni che saranno impattate nel senso di sostituite dall’intelligenza artificiale per come le conosciamo oggi, ma questo vuol dire che probabilmente saranno modificate in modo radicale. Invece, il colore più chiaro è quelle che sono tendenzialmente complementari all’intelligenza artificiale, che quindi potranno potenzialmente beneficiare di eventuali guadagni di produttività che l’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro potrebbe comportare. Detto questo però non possiamo oggi fare grandi considerazioni perché non sappiamo quali saranno e come saranno effettivamente le professioni di domani. Un’altra cosa che forse però riusciamo a poter dire con un pochino più di certezza è che nelle professioni di domani il mercato del lavoro di domani richiederà anche nuovi servizi alla persona, nuovi servizi alla persona dati dall’invecchiamento stesso, quindi servizi di cura e servizi per la salute. Il mercato del lavoro di domani sarà un mercato del lavoro dove anche la presenza straniera sarà più significativa di quella che conosciamo oggi, perché già nelle proiezioni dell’Istat vi è incorporata un’ipotesi di 173 mila immigrati netti all’anno da qui al 2040, che sotto alcune ipotesi, le proiezioni Istat non arrivano a tanto, però si può ipotizzare che circa il 22% tra il 20 e il 25% dei lavoratori di domani non sarà nato in Italia. E anche questo comporta un’ulteriore sfida al nostro sistema di istruzione e formazione, perché se non cambia la composizione demografica dei flussi in ingresso in Italia, che tipicamente sono quelli che noi chiamiamo “low skilled”, allora ci ritroveremo con delle sfide sul fronte della formazione ancora più pronunciate di quelle che possiamo ipotizzare oggi. Il mercato del lavoro di domani sarà sicuramente un mercato del lavoro in cui la presenza femminile sarà ancora maggiore di quella che vediamo oggi. E questo deve essere così, perché l’Italia sconta un gap nella partecipazione femminile tra i più elevati in Europa; siamo un fanalino di coda, superato solo di recente dalla Romania, prima eravamo gli ultimi, adesso siamo i penultimi. Però noi di fatto sprechiamo la risorsa femminile nella fascia di età 15-64 anni e questo ovviamente è qualcosa che deve necessariamente cambiare. Deve necessariamente cambiare perché, portando l’occupazione femminile nei prossimi decenni a livelli medi dell’Europa oggi, potremmo addirittura dimezzare quella perdita del 9% che menzionavo all’inizio. Ovviamente, l’occupazione femminile si porta dietro anche tutto quel dibattito relativo alla conciliazione e quindi anche alla natalità. Quando parliamo di natalità, qui serve quella dose di sano realismo che, secondo me, dovremmo ottenere quando parliamo di natalità perché la natalità, come dicevo prima, è un trend globale e, sebbene sia auspicabile ritornare ai livelli di 2,1 figli per donna, oggettivamente oggi non sembra un obiettivo facilmente raggiungibile. Però quello che possiamo sicuramente fare, e io ne sono convinta, è innalzare il tasso di natalità comunque su livelli meno tristi, meno drammatici di quelli attuali. E vorrei chiudere rapidamente, per non sforare nei tempi a me assegnati, semplicemente ricordando che partecipazione femminile, mercato del lavoro e natalità non sono disgiunti. Questo è qualcosa che si trova a livello mondiale. Nelle economie meno sviluppate, la natalità e la partecipazione sono correlate negativamente: sto a casa perché faccio figli. Nelle economie invece più avanzate, la correlazione tra natalità e tasso di partecipazione diventa positiva: sono le donne che lavorano che riescono a avere una fecondità maggiore. Siccome l’Italia è un Paese estremamente vario, con un tasso di partecipazione che varia da provincia a provincia, da regione a regione, mi sono divertita a proporvi questo grafico che fa vedere in un certo qual modo la stessa cosa. Per livelli di tasso di partecipazione al mercato del lavoro delle donne piuttosto bassi, la relazione tra natalità e partecipazione femminile è negativamente correlata, mentre invece per livelli di partecipazione più alta la relazione torna a essere positiva. Però il punto fondamentale è cercare di capire quali possono essere le politiche che possono in un certo qual modo conciliare partecipazione e natalità. Qui la teoria economica non ha ancora dei risultati chiari, ma l’articolo del Financial Times che citava prima il moderatore non è stato generoso con l’Italia, nel senso che si dice in quell’articolo specificatamente che i bonus che sono stati dati negli ultimi anni per sostenere la natalità non hanno funzionato. Beh, non hanno funzionato perché non erano mirati a quello, erano mirati a ridurre il costo di fare dei figli. Però una delle cose che la teoria economica ci insegna è che più che il costo di fare dei figli, quello che favorisce la natalità è l’offerta di servizi, cioè ripensare in modo profondo come il tempo di gestione di un figlio possa essere gestito da dei lavoratori, padre e madre, che entrambi lavorano magari a tempo pieno. E allora pare che l’offerta diretta di servizi, come ad esempio quello dell’asilo nido, aumenti la partecipazione e inneschi un circolo virtuoso. Anche qui ho preso un grafico tratto da una pubblicazione Banca d’Italia sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro in Italia, che fa vedere come esiste effettivamente una correlazione positiva tra disponibilità di posti negli asili nido e tasso di partecipazione. Altri studi mostrano che questa relazione è causale, cioè una maggiore offerta di servizi causa una maggiore possibilità per le donne di andare a lavorare. Mi fermo qui. Grazie.
Dellabianca. Grazie dottoressa Viviano. Rompo un po’ la scaletta e passo direttamente al ministro Calderone. Stiamo vedendo positivamente alcune iniziative del suo ministero in termini di qualità del lavoro, in particolare sicurezza e legalità del lavoro, ma anche sulla riduzione del cuneo retributivo e sull’attenzione al lavoro femminile, come adesso la dottoressa Viviano citava. Volevo chiederle quali sono i prossimi obiettivi e quali le difficoltà e anche, prendendo spunto dalla parte finale dell’intervento, la riduzione o gli effetti del bonus che vengono dati soprattutto in termini di esoneri contributivi. Come questo diventa un fattore di rilancio e crescita e non un fattore magari di problemi di cassa, come altri bonus sono stati? Io ritengo personalmente che la defiscalizzazione nel mondo del lavoro sia necessaria per le imprese, ma come pensate che diventi un rilancio?
Calderone. Grazie, buonasera innanzitutto. Non è mai bello iniziare un intervento dicendo che mi scuso perché vi dovrò lasciare presto, però purtroppo è così per altri impegni che si sovrappongono. Però mi fa piacere veramente non solo aver ricevuto l’invito, graditissimo, essere qui al Meeting, ma anche aver potuto ascoltare l’intervento che mi ha preceduto perché credo che sia importante tutto ciò che abbiamo visto, perché a volte i grafici parlano molto più chiaro di quello che possono essere le tante parole dei tecnici, e mi ci metto anch’io come tecnico del mondo del lavoro. Perché magari noi abbiamo sicuramente una visione, poi quelle tavole ti danno la dimensione invece immediata di che cosa sta succedendo e soprattutto di che cosa succederà. Credo che sia fondamentale fare un ragionamento su quelli che sono gli effetti della demografia sul mercato del lavoro perché altrimenti il concetto potrebbe essere distorto, cioè si potrebbe pensare che alcune scelte siano ininfluenti rispetto alle conseguenze. In questo caso invece noi vediamo quanto il tema della demografia sia impattante su quelle che potranno essere le scelte da fare anche in ordine agli strumenti con cui regoleremo il mercato del lavoro del futuro. Perché? Perché solo nel momento in cui si fa un riferimento all’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro, si vede chiaramente cosa potremmo avere, o in positivo o in negativo, a seconda di quelle che saranno le modalità con cui ci rapporteremo a questo tema in termini di presa sul mondo del lavoro e soprattutto anche su quello che può essere l’inclusione nel mondo del lavoro dei giovani e delle donne. Allora, con un andamento demografico negativo, e sono assolutamente d’accordo sul fatto che noi siamo lo specchio, come Paese, dei nostri tempi e soprattutto anche di quello che è l’andamento demografico delle economie occidentali, delle economie evolute, perché poi non è un caso se siamo il secondo paese più vecchio al mondo dopo il Giappone. Però, in questo momento, noi possiamo ovviamente contrastare quelle che sono le negatività anche future dell’andamento demografico solo con due leve importanti. Uno, utilizzare al meglio l’innovazione tecnologica e quelle che potranno essere anche le applicazioni pratiche dell’innovazione e dell’intelligenza artificiale. Voi sapete che noi faremo il 12 e il 13 settembre il G7 Lavoro a Cagliari, il tema centrale è l’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro unito alle competenze e all’invecchiamento attivo della popolazione, cioè i tre grandi macrotemi che poi sono anche all’interno di questa analisi e questa ricerca. Allora, nel momento in cui utilizziamo sapientemente l’intelligenza artificiale, dando quella che è la nostra impostazione, una visione umano-centrica dell’intelligenza artificiale, vuol dire che la utilizziamo come strumento per avvantaggiarci delle opportunità cercando di lasciare sullo sfondo invece quelle che potrebbero essere le negatività. Cosa vuol dire? Che nel momento in cui noi abbiamo, per esempio, una popolazione che invecchia, che ha bisogno di tutta una serie di sostegni e di supporti anche alla non autosufficienza, abbiamo certamente bisogno anche di costruire un percorso di assistenza che si avvantaggi anche di quelle che sono le soluzioni legate all’innovazione. Quindi parliamo di telemedicina, ma parliamo di tutta una serie di altri supporti con cui dovremo diventare sempre più capaci di interloquire e di gestire le cose. Questo vuol dire che in un mercato del lavoro in cui io ho difficoltà a trovare forza lavoro, così come sta succedendo in questo momento in cui abbiamo una difficoltà di reperimento che è il 50%, cioè uno su due lavoratori ricercati dalle aziende non viene trovato, abbiamo bisogno anche di utilizzare gli strumenti tecnologici per far sì che l’ausilio all’uomo porti l’uomo a potersi focalizzare su quelle che sono delle mansioni anche con un livello di competenze maggiore. Non perché vogliamo rifiutare il concetto del lavoro umano anche applicato alle attività manuali, ma per poter invece avere un ausilio e un miglioramento di quello che è il livello delle competenze. In più, c’è certamente il fatto che noi abbiamo bisogno di portare al lavoro non solo le donne, le giovani donne, ma i giovani in generale. Quello che oggi vediamo nei dati che ci rassegna il mercato del lavoro attuale è che abbiamo il livello di occupazione più alto di sempre, perché siamo praticamente a 24 milioni di occupati, con un livello di disoccupazione che è il più basso di sempre. Ma questo sta avvenendo perché si sta erodendo finalmente quello zoccolo duro, quel numero veramente preoccupante che è costituito dai giovani che non studiano, non lavorano e non si formano, i NEET. Allora, se noi riusciamo ad abbassare e quindi ad annullare la quota dei NEET e contemporaneamente aumentiamo il tasso di partecipazione al lavoro delle donne, riusciamo in qualche modo, come diceva giustamente la professoressa, a gestire in termini positivi una leva demografica che è negativa. Perché? Perché, l’ho detto prima, lo ribadisco, oggi non abbiamo i bambini perché non sono nati i genitori. Prima di elevare il tasso di sostituzione a 2,1 vuol dire lavorare per almeno 40 anni sul tema dell’incremento demografico e delle nascite, vuol dire che dobbiamo fare un lavoro in prospettiva ma nel contempo dobbiamo trovare delle soluzioni. Le soluzioni sono quelle di portare un tasso di occupazione che, pur essendo il più alto di sempre, è comunque al 62%, intorno alla soglia del 68%. Se fossimo solo al 68% oggi non avremmo tutto quell’impatto negativo che invece ci viene dato da una leva demografica che è assolutamente negativa. In questo ragionamento, come si collegano, lei diceva, i bonus, quindi la scelta di incentivare un certo tipo di azioni e soprattutto di assunzioni e quindi di ingressi nel mondo del lavoro di alcune categorie di soggetti? Io credo che si concilino bene, se ovviamente si tiene conto che non è solo ed esclusivamente il bonus che poi ti dà la soluzione al problema. Prima si parlava della necessità di costruire intorno a un percorso che deve consentire la genitorialità a più persone e costruire un sistema di servizi che possa essere efficiente e dare delle risposte concrete. Allora il bonus lo devi mettere accanto a delle politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e di conciliazione familiare che parlino però di genitorialità, perché fintanto che il problema della gestione dei figli sarà una questione femminile, avremo ben poco da poter inventare su quelle che devono essere le strategie per includere le donne al lavoro. Quindi noi dobbiamo abituarci a utilizzare correttamente i termini e anche correttamente le strategie, parlando di genitorialità e parlando anche di interventi complessivi a favore della famiglia, questo credo che sia importante. Noi come governo abbiamo iniziato con la finanziaria del 2023, abbiamo proseguito con la finanziaria del 2024 sugli interventi a sostegno della famiglia. Oggi mi è stato chiesto se c’è una volontà di tornare indietro, la risposta è assolutamente no, perché anzi il nostro obiettivo è quello di poter consolidare queste azioni rendendole sempre più importanti e strutturali. È evidente che bisogna avere la possibilità di investire su queste azioni. È evidente che gli investimenti devono fare i conti con la necessità anche di avere degli equilibri di bilancio che vanno assolutamente rispettati, perché poi è come dire un circolo virtuoso che si instaura: poco debito dà anche la possibilità di fare investimenti. Comunque noi gli investimenti li stiamo facendo, perché se andate a guardare la politica di coesione, qui c’è Bernardo Mattarella che sarà chiamato in causa a breve, ma io l’ho chiamato in causa sul tema dell’autoimpiego e della gestione anche di una nuova forma di autoimpiego che ci consentirà non solo di proporre degli sgravi e degli incentivi per le assunzioni di donne, giovani e lavoratori svantaggiati, ma anche di portare tanti giovani ad assumersi la responsabilità di diventare imprenditori o di avviare attività di lavoro autonomo e società tra professionisti. Questo vuol dire che dobbiamo da un lato certamente coltivare le richieste delle aziende sul fronte del lavoro subordinato, ma dall’altro dobbiamo produrre e dobbiamo sapere anche valorizzare quelle che sono le proposte di nuove imprese e soprattutto anche il talento dei giovani. Perché io credo che i giovani si portino a bordo soprattutto nel momento in cui li ascolti e poi gli dai la possibilità di esprimere il talento. Ciò che mi preoccupa nel dibattito è che noi spesso parliamo dell’uscita dal mondo del lavoro, del pensionamento, a volte non tenendo conto o perlomeno lasciando sullo sfondo invece la necessità di individuare delle strategie che partano dal coinvolgimento che, per me, è di tipo prima di tutto valoriale dei giovani in quelle che sono delle scelte che poi sono scelte strategiche per il futuro del nostro Paese. Io credo che non si possa continuare a dire che i giovani sono distratti, noi dobbiamo fare in modo che invece i giovani possano esprimersi e possano anche essere protagonisti di una partita che non è che possono giocare, ma che devono giocare per tutte le motivazioni che dicevo prima. A me sembra che in questa stagione ci siano sicuramente delle difficoltà, però la parola crisi è sempre associata alla parola opportunità, e in questo caso invece io credo che ci siano delle opportunità importanti da cogliere, vadano sostenute le reti, vada sostenuto chi poi ha la capacità anche di essere portatore di interessi legittimi, ma che siano interessi sani. Perché poi in questo io vedo anche tutto il nostro terzo settore che ha una grandissima capacità di farsi portavoce anche di quelle che sono le esigenze di classi e di soggetti che vivono condizioni di difficoltà. Io credo che oggi il grande tema sia quello del lavoro delle donne, il grande tema sia quello del coinvolgimento dei giovani, e che oggi, prima di parlare di uscire dal mercato del lavoro, noi ci dobbiamo concentrare su come farli entrare. Questo mi sembra che sia l’elemento più importante. Bene, ho parlato tantissimo, ma non potendo fare un secondo giro mi perdonerete anche perché mi vedrete fuggire via e non è nel mio costume, sappiate che sono molto in imbarazzo. Grazie veramente.
Dellabianca. Ringraziamo il ministro Marina Calderone, la scusiamo perché gli obblighi, soprattutto di aerei, non si possono spostare e la ringraziamo di questo contributo. Ci faremo promotori anche di renderla consapevole delle reazioni che ci sono state e del proseguo dell’incontro. Grazie ancora. Farei un passaggio adesso su un’impresa di carattere privato col dottor Hannapel. La dottoressa Viviano diceva che i parametri sono due: o il numero di persone o la produttività delle stesse. E adesso il ministro fissava come punto di valore la possibilità di ascolto e di valorizzazione dei talenti. Questi aspetti, produttività che è legata anche alla capacità manageriale rispetto alle persone, richiamano molto la soddisfazione, la felicità, come dicevamo all’inizio riprendendo alcuni parametri, delle persone che collaborano con noi, che lavorano con noi. E questo tema è un tema che oggi sta diventando sempre più urgente, sta ritornando prioritario anche per chi guida aziende importanti come lei. Io le chiedo quali sono le politiche che voi attuate per venire incontro alle esigenze delle persone che lavorano nella vostra azienda e cosa si può ancora fare, a suo avviso, per contrastare i fenomeni sempre più diffusi di insoddisfazione o disagio lavorativo e la conseguente difficoltà sia a reclutare che a trattenere le persone che lavorano con noi.
Hannapel. Buongiorno a tutti, buon pomeriggio. La modalità di ingaggio che le aziende hanno nei confronti delle persone ha una rilevanza non solo sull’aspetto della modalità di lavoro in azienda ma anche per quello che riguarda il futuro stesso delle aziende. Non va sottovalutato oggi, secondo me, la velocità con cui i cambiamenti arrivano nelle aziende. Se pensate alla parte industriale, tra il 4.0, cioè fondamentalmente delle macchine mediamente intelligenti in azienda, e il 5.0, cioè fondamentalmente delle macchine che sono più intelligenti dell’uomo e collegate tra di loro in grado di dire all’uomo come possono operare meglio, che è un po’ il modo con cui l’intelligenza artificiale oggi si prospetta in ambito industriale, sono passati neanche nel nostro caso dieci anni. L’impianto produttivo di Crespellano, che è a 100 km da qua, in Emilia-Romagna, è il più grande impianto produttivo che ha Philip Morris a livello mondiale. Magari non tutti lo sanno, ma è la più grande fabbrica fatta in Italia in questo secolo. E prima c’era un prato di sterpaglie. Quindi dal 2016 a oggi questo prato di sterpaglie è diventato un impianto produttivo che dà lavoro in via diretta o indiretta a 41 mila persone nel nostro Paese, pesa mezzo punto sul PIL nazionale ed è un piccolo elemento di una catena di valore che oggi si interfaccia con tutta l’Italia. Come si fa a far sì che un impianto produttivo che ha solo sette anni, che oggi è già in una fase molto avanzata all’interno dell’industria 4.0, sia pronto per il futuro successivo? È attraverso non solo gli investimenti di capitale ma soprattutto nell’investimento di capitale umano. Quindi, quello che abbiamo fatto va molto in direzione del discorso del ministro Calderone. Per esempio, siamo stata la prima azienda in Italia certificata “equal salary”. Tutti parlano di gap salariale tra uomo e donna. Bisogna, uno, analizzarlo e, due, colmarlo. Oggi non tutti lo fanno, questo è un grande limite alla presenza femminile in azienda. Nel nostro caso, uomo o donna, a seconda del lavoro che fanno, l’impegno è certificato e siamo stati i primi orgogliosamente ad esserlo in Italia. Il secondo tema è il tema dei giovani. Il mondo dei giovani deve essere incentivato attraverso uno schema di competenze che parte dalla scuola. Per farlo abbiamo fatto partnership con gli Istituti Tecnici Superiori dell’Emilia Romagna, della Puglia, e adesso arriviamo con altre regioni come l’Umbria, il Lazio, e altre seguiranno. Che cosa significa rendere gli ITS integrati con una grande azienda? Significa fare formazione ai formatori e far sì che chi esce da un ITS sia in grado di entrare in azienda. Giusto per dare un numero, in Italia, negli ITS ci sono circa 70.000 studenti, in Germania 2 milioni. Poi c’è il tema di un paese come il nostro, che ha una vocazione agricola; non solo siamo la seconda manifattura d’Italia, ma siamo la seconda agricoltura d’Italia, e anche lì, come negli ITS, che abbiamo dimenticato, un pezzo tecnico ci siamo dimenticati del fatto che noi siamo terra oltre che industria. Abbiamo sviluppato, attraverso l’Università di Perugia, attività di inclusione, call for innovation e apertura alle startup piccole aziende che possono integrarsi con la grande multinazionale. Abbiamo un centro di digitalizzazione della nostra agricoltura, 22.500 persone lavorano in agricoltura per noi, 500 milioni di investimento in 10 anni attraverso l’accordo che abbiamo con Coldiretti e il verbale di intesa con il Ministro del Lavoro. Abbiamo creato Belief, un centro di innovazione, di open innovation in ambito agritech, e abbiamo sviluppato un progetto che si chiama “Digital Farmer” per le seconde generazioni dell’agricoltura, che è un tema fondamentale perché lo spopolamento delle campagne si risolve solamente quando c’è un’agricoltura che diventa moderna e interessante anche per i giovani. Per farlo bisogna renderla legata al progresso e alla digitalizzazione. Ultimo punto, la gestione di un’integrazione di persone all’interno di un’azienda, la loro retention, il loro mantenimento, avviene quando si ha la possibilità di avere una formazione interna all’azienda che ti garantisce di non diventare obsoleto quando arrivi a metà della tua vita lavorativa, come alla mia età. E per farlo abbiamo fatto un centro di competenze che si chiama Institute for Manufacturing Competences che, a Bologna, con i Politecnici di Torino, Bari, Milano, Bologna e molte altre, sviluppa non solo le nostre persone ma tutte le persone che partecipano alla nostra filiera. Perché io credo che sia fondamentale per un giovane che entra in azienda sapere che entri in un’azienda che ti garantisce un diritto ad una formazione continua che ti porta a non essere mai fuori dal mercato del lavoro. E ultimo, quanto riguarda Philip Morris, credo che anche l’orgoglio di quello che fai sia molto importante. Il fatto che tu, come ingranaggio di un sistema complesso, ti senta partecipe, ti senta individualmente interessato a partecipare. Nel nostro caso, insomma, noi facciamo parte di una trasformazione aziendale che credo possa definirsi storica: un’azienda che, nel 2016, il nostro board firma un documento, una visione di intenti, che dice che nel più breve tempo possibile usciamo dal vecchio mondo delle sigarette, sostituendolo con Prodotti Nuova Generazione. Anche la visione di un’azienda, il fatto di poter fare la storia di un’azienda o di un modello di consumo, è anche molto importante e accattivante per tutti.
Dellabianca. Grazie. Dottor Bernardo Mattarella, la sua agenzia, come descritto prima e come anche ricordato dal Ministro, svolge un ruolo centrale e decisivo nell’accompagnare lo sviluppo del nuovo lavoro. Sicuramente gli imprenditori e i manager, come adesso citava il dott. Hannapel, hanno capacità e visione per stare di fronte ai cambiamenti che ci sono, al nuovo mercato, a un cambiamento di prodotto come descritto. Ma questa responsabilità, anche come ha accennato, di creare valore dell’impresa, oggi associa la creazione del valore economico dell’impresa a un valore sociale delle comunità in cui le imprese vivono; anzi, molto spesso influisce sulla positività del valore economico, sia per la possibilità di dove è associata l’impresa, ma anche dove vivono i lavoratori e lo sviluppo del proprio territorio, come nel passato grandi imprenditori come Olivetti, ma anche recentemente leggevo il libro di Michele Ferrero, avevano in mente lo sviluppo della propria azienda. Come la sua agenzia sostiene questa creazione di valore sociale oltre che economico, o io direi valore sociale per un valore economico?
Mattarella. Grazie intanto per l’invito e grazie per questa domanda che per noi è molto importante, perché la cosa fondamentale che noi misuriamo di noi stessi è l’impatto del nostro lavoro sull’economia e sulle condizioni delle persone. Per noi è talmente importante l’impatto sociale di quello che facciamo, oltre che economico, che noi siamo emittenti di un titolo obbligazionario quotato e classificato come social bond. In Italia, da averlo fatto proprio in funzione del finanziamento della nostra attività primaria, che è quella di sostenere lo sviluppo della nascita e lo sviluppo delle imprese per conto della pubblica amministrazione. Ricordo che su questa attività noi lavoriamo principalmente su mandato del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ma anche su mandato del Ministero della Coesione, del Ministero del Lavoro, sul mandato del Ministero per lo Sport e i Giovani, con varie modalità di intervento. Per noi la cosa importante, più che il nostro bilancio, che comunque per fortuna è un bilancio in equilibrio, un bilancio che parla di un’azienda sana, è il nostro bilancio di sostenibilità. Quindi il nostro piano strategico di sostenibilità è quello che riusciamo a fare negli obiettivi che ci diamo nell’ambito di questo. Soltanto nel 2023 cito dati del nostro bilancio di sostenibilità, abbiamo sostenuto 64.000 imprese, abbiamo favorito la nascita di circa 4.200 imprese, il 40% delle quali costituite da imprenditrici, perché è importante da questo punto di vista anche tutta questa attività che noi stiamo facendo per conto sia del Ministero del Lavoro sia del Ministero delle Imprese e del Made in Italy per lo sviluppo dell’imprenditorialità femminile. Abbiamo fatto anche un po’ di compiti a casa, perché noi come Invitalia abbiamo il 50% di dipendenti colleghe che sono donne. Ci eravamo dati come obiettivo del piano strategico di sostenibilità di ridurre il gender pay gap entro il 2026, invece lo abbiamo azzerato nel 2024. Abbiamo oltre il 40% di figure manageriali che sono colleghe e abbiamo oltre il 40% di amministratrici, di componenti del Consiglio di Amministrazione che sono donne nel gruppo e il 60% addirittura nella capogruppo. Con attenzione ai giovani, abbiamo raddoppiato nel corso degli ultimi due anni la presenza di Under 30 tra i nostri colleghi. Però non pensiamo soltanto a noi, la cosa importante che noi facciamo è appunto intervenire per creare e per far creare e per far sviluppare le imprese. Abbiamo vari strumenti. Mi piace ricordare questo strumento che sta per partire finanziato con 800 milioni di euro di fondi di coesione messi a disposizione dal Ministero del Lavoro, che citava prima la ministra Calderone, con due forme di intervento: una che si chiama Resto al Sud 2.0, che è l’evoluzione di una misura che abbiamo già gestito per 10 anni e che ha consentito di far nascere 17.000 imprese nel Mezzogiorno per far restare i giovani a sviluppare il proprio territorio, come diceva prima lei. E ci ha consentito di creare 60.000 posti di lavoro. Quindi ci sarà, dall’autunno, questo nuovo strumento che si chiama Resto al Sud 2.0. Un analogo strumento, visto che ha funzionato bene il Mezzogiorno, Auto Impiego Centro Nord, sarà attivato per le regioni del Centro Nord, con alcune differenze di intensità d’aiuto e quant’altro. Abbiamo uno strumento che si chiama Smart Start, che ci consente di agevolare la nascita di imprese innovative. Abbiamo già fatto nascere circa 1.200 imprese da quando esiste questo strumento. Abbiamo anche uno strumento che consente la nascita di imprese in settori tradizionali, quindi non necessariamente startup innovative, che si chiama ON, Oltre Nuove Imprese a Tasso Zero. Tutti questi strumenti però, è opportuno ricordare, non sono strumenti che mettono a disposizione soltanto denaro in forma di finanziamento a fondo perduto, finanziamento agevolato. Questi strumenti mettono a disposizione anche formazione, anche cultura di impresa, anche accompagnamento proprio per consentire ai giovani che hanno la voglia, e sono sempre di più i giovani che hanno la voglia, di mettersi in gioco col proprio talento, come diceva il Ministro prima, di assimilare cultura di impresa, di essere agevolato non soltanto, ripeto, finanziariamente, ma con la creazione di opportunità, opportunità sia prima di fare l’impresa, prima di farla nascere. Ricordo un progetto che gestiamo per conto del Ministro dello Sport e dei Giovani, un progetto di rete di hub che consentono ai giovani di varie province italiane di avvicinarsi al mondo dell’impresa e al respirare la cultura dell’impresa, ma anche opportunità di sviluppo, opportunità di ulteriori finanziamenti, opportunità di apertura di nuovi settori di mercato. Ricordo ad esempio il sistema Invitalia Startup, che è una piattaforma che mette a disposizione delle nostre startup innovative che agevoliamo, tutta una serie di opportunità di mercato, di ulteriori finanziamenti, di sviluppo, di nuovi partner e di equity. Noi cerchiamo di fare questo misurando sostanzialmente l’impatto che noi abbiamo. Tutte queste misure sono sempre accompagnate da misurazione di impatto per capire quali sono quelle che funzionano meglio, che aiutano e hanno maggiore incisività nei vari territori. Non dimentichiamo anche misure di sviluppo per le grandi imprese, per i grandi progetti che sono quelle che poi consentono di creare posti di lavoro dipendente. Tipicamente i contratti di sviluppo sono lo strumento che noi gestiamo per favorire lo sviluppo di nuove attività imprenditoriali nell’ambito della media e della grande impresa. Per far questo facciamo anche moltissime attività di animazione sul territorio, sia per conto delle pubbliche amministrazioni, sia per conto dei commissari di governo locali che noi assistiamo, ad esempio i commissari per la ricostruzione, quando si tratta di rimettere in piedi un sistema di imprese nei territori colpiti da calamità naturali. E abbiamo notato che quando il potenziale imprenditore si rende conto che è possibile fare impresa, che è possibile creare il proprio posto di lavoro, risponde sempre con interesse e i bassi tassi di mortalità delle imprese che noi facciamo nascere sono lì a dimostrarlo.
Dellabianca. Allora, abbiamo tempo per fare un veloce secondo giro che mi permetto di proporre al buio perché non è stato condiviso. Partirei dalla dottoressa Viviano. Ci sono due aspetti che mi piacerebbe capire se voi state osservando o no. Sicuramente in questo momento di richiesta di lavoro significativa, dai dati che anche il Ministro ricordava, e inverno demografico, passatemi questo termine, occorre cercare di recuperare tutte le possibili forze di lavoro che sono potenzialmente in età lavorativa e produttiva, sia per un bene della persona, sia per una necessità del sistema paese. Citava il ministro i NEET, che appunto sono giovani che non studiano e non cercano lavoro. Il suo dipartimento che mette insieme famiglie e mercato del lavoro come osserva questo dato? Perché una persona che è in questa condizione ha una dimensione ancora prima di fragilità che di possibilità di offerta di lavoro. L’altro aspetto è che si osserva che in alcuni territori c’è offerta di lavoro, in altri territori c’è magari disponibilità di persone. Ricordava adesso il dottor Mattarella politiche anche per il Mezzogiorno per favorire di fare arrivare il lavoro là dove ci sono lavoratori, anche perché se io penso a Milano, dove vivo, far venire lavoratori con un salario medio-basso oggi è un tema di sostenibilità della vita non secondario. Quindi, nei vostri osservatori vedete questi due aspetti e come, secondo voi, si può lavorare su questi?
Viviano. La partecipazione al mercato del lavoro è aumentata significativamente dal 2019 e è aumentata fondamentalmente perché è aumentata la coorte più grossa, quella dei più anziani che restano sul mercato del lavoro, come diceva la ministra, perché non bisogna pensare semplicemente all’uscita dal mercato del lavoro date le nostre tendenze demografiche, dobbiamo pensare a farli entrare e a farli restare i lavoratori, e questo è indubbio. Abbiamo osservato una maggiore domanda di lavoro per le donne e abbiamo osservato l’ingresso di giovani che venivano anche da famiglie meno agiate e che con la ripresa ciclica post-Covid hanno cominciato a lavorare, hanno trovato un’occupazione. Le tendenze più recenti, quindi, sono sicuramente positive; il punto fondamentale è come stabilizzarle nel lungo termine in modo tale che prosegua questo calo dei cosiddetti NEET. Però quando pensiamo ai NEET, noi siamo abituati a pensare al ragazzo che sta sul divano. È così fino a un certo punto, nel senso che il problema di alcune categorie di lavoratori giovani, quelli con meno skill, è che trovano lavori saltuari, che durano poco e spesso irregolari. Una stabilizzazione dell’occupazione giovanile, ma anche femminile, va anche attraverso una forte azione per migliorare la qualità del lavoro che noi offriamo ai più giovani, qualità del lavoro che possiamo offrire a chi ha deciso di non proseguire gli studi oppure spingendo, attraverso quello che più o meno ho citato prima, i ragazzi a continuare a studiare, perché oggettivamente chi investe in formazione, chi investe in istruzione poi ha più probabilità di non essere un NEET, di entrare nel mercato del lavoro e tendenzialmente, se saremo in grado di aumentare la qualità e la produttività del lavoro, anche di restarci. Quindi sono tendenze in atto, vanno significativamente rafforzate. Il Mezzogiorno. Il Mezzogiorno è un’ossessione per gli economisti del lavoro, per gli economisti della Banca d’Italia e penso per tutti noi. I divari demografici, in primo luogo del Mezzogiorno e dei livelli di partecipazione e disoccupazione, anche in un contesto di crescita dell’occupazione positivo come negli ultimi tre anni, non sono stati in grado di attenuare quel divario rispetto al centro-nord. Questo, secondo me, costituisce la sfida fondamentale sotto ogni punto di vista. Sicuramente quello del mercato di lavoro è una sfida importante, ma anche semplicemente della crescita demografica. Le tendenze demografiche del Mezzogiorno, se quelle dell’Italia nel suo complesso sono terribili, quelle del Mezzogiorno sono a livelli di drammaticità enormi. La popolazione del Mezzogiorno invecchia ancora più rapidamente di quella del centro-nord. Questo perché il Mezzogiorno è anche semplicemente meno attrattivo per le forze lavoro straniere. Per cui sì, è ovvio che lo sviluppo dell’Italia, la crescita dell’Italia non può dimenticarsi del Mezzogiorno e le questioni di produttività del lavoro, istruzione, formazione, tutta quella partecipazione femminile, maggiore anche condivisione dei carichi di lavoro tra genitori e genitorialità, nel Mezzogiorno sono amplificate in modo drammatico e sicuramente costituiscono un ambito di azione prioritario.
Dellabianca. Grazie. Dr. Hannapel, prima il Dr. Mattarella ci ha descritto il valore anche di impatto sociale che oggi ha l’impresa. Molto spesso ci troviamo oggi a fare colloqui di lavoro in cui chi arriva in un’azienda vuole sapere l’azienda come si comporta, cosa fa. Cioè, in fondo, c’è oggi una domanda che a me piace tantissimo, qualche mio collega dà un po’ fastidio, però è che una persona ti chiede: a cosa mi chiedi di collaborare, dando il mio tempo, dando la mia capacità, dando la mia professionalità? Questo è un fattore che è positivo ma richiede una capacità manageriale in grado di stare di fronte oggi a una identità dell’azienda che non riguarda solo l’aspetto lavorativo, ma che deve essere in grado di sostenere questa domanda. Nella vostra azienda, come state di fronte a questo cambiamento, a questa richiesta e a questa richiesta di leadership che chi entra nell’azienda vuole trovare al suo interno?
Hannapel. La sostenibilità è un tema attrattivo. Noi abbiamo un percorso, ritengo, impressionante sul modo con cui ci interfacciamo sia in ambito industriale che agricolo, che a livello di persone. Faccio un riassunto molto veloce considerando che noi abbiamo un bel libretto anche specifico per il nostro Paese. Produciamo un bilancio di sostenibilità anche specifico per l’Italia. Partiamo dall’agricoltura, la modalità con cui noi abbiamo gestito gli accordi in ambito di agricoltura ha cambiato la modalità di ingaggio del nostro Paese nei confronti non solo di multinazionali ma di interi settori. Noi acquistiamo il tabacco, l’Italia è il più grande Paese produttore di tabacco a livello europeo, da un’associazione di coltivatori che è Coldiretti, e lo facciamo con una modalità che è appunto questo accordo verticale che ha eliminato qualunque tipologia di intermediazione, ha creato investimento di lungo periodo perché non esistevano degli acquisti a 5 anni come facciamo noi, e ha sviluppato degli investimenti in riduzione di risorsa idrica e risorsa energetica senza precedenti. In questi ultimi 15 anni abbiamo risparmiato acqua quanto quella del Lago Maggiore. Utilizziamo praticamente non più carburanti nei campi, tutto utilizzato con biocarburanti. L’utilizzo di fitofarmaci è inferiore a catene alimentari e abbiamo gestito in settori dove caporalato e gestione di intermediazione a manodopera era all’ordine del giorno, oggi nel nostro settore non esiste più attraverso quelle che si chiamano buone pratiche di lavoro agricolo. A livello industriale, l’impianto di Crespellano è uno dei più grandi parchi industriali solari d’Europa, è la prima azienda certificata Alliance for Water Stewardship, cioè la creazione di un sistema di utilizzo dell’acqua in ambito industriale di ultimissima generazione che pensa quando acquisire l’acqua all’interno dell’azienda e abbiamo risparmiato 200.000 metri cubi d’acqua all’anno nel nostro impianto produttivo. Ultimo, abbiamo un sistema di sviluppo delle nostre persone nel nostro sistema aziendale che consente a molti giovani di stare dentro. Credo che la presenza di giovani in azienda sia un altro degli elementi di forte sostenibilità, perché consente di vedere come le nuove generazioni possono essere integrate perché c’è sviluppo e c’è lo sviluppo. Quindi c’è lo sviluppo ambientale, c’è lo sviluppo delle persone e ogni anno, insomma, basta leggere il nostro bilancio di sostenibilità per capire le accelerazioni che stiamo avendo in questo ambito.
Dellabianca. Grazie. Chiudo con il dottor Mattarella. Prima lei parlava di una grande azione per favorire l’autoimprenditorialità, perdonate ormai l’orario, la nascita di nuove imprese e tutta l’idea di filiera. L’idea di filiera oggi è un tema su cui l’Italia gioca molto della sua economia. Grandi imprese multinazionali come quella del dott. Hannapel, oggi lavorano con piccole realtà, anche nuove e anche che fate nascere. È chiaro che questo ha un valore di formazione molto alto e di capacità di far crescere il sistema imprese dentro questo lavoro di filiera. Se ci può dare uno spunto in più sui temi che state affrontando su questo livello?
Mattarella. Certamente, noi siamo molto attivi sul sistema delle filiere perché è uno degli elementi qualificanti dell’intervento per le imprese finanziato con il PNRR. Il concetto di filiera è declinato in maniera molto importante, molto interessante all’interno di alcune misure, di alcune azioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Noi svolgiamo delle attività molto incisive per conto della filiera agricola, pur non essendo specializzati nel sostegno dell’agricoltura, ma dalla trasformazione di prodotti agricoli alla logistica in poi siamo molto attivi. Quindi, per conto del Ministero dell’Agricoltura gestiamo delle misure di intervento per filiera, ma sono molti gli incentivi che noi gestiamo che sono basati sul concetto di filiera, molti programmi di intervento territoriale, quindi accordi di programma con specifici riferimenti a territorio o anche a singoli insediamenti industriali da riqualificare sono costruiti con il concetto di filiera sempre presente. Quindi con un grande player che porta sviluppo anche per tutto il contorno della supply chain che viene rappresentata dalle piccole e medie imprese del territorio.
Dellabianca. Grazie. Ringraziamo i nostri interlocutori anche per essere stati nei tempi e per il contributo che è emerso. Ringrazio il pubblico e vi auguro una buona serata.