PERSONA E AMICIZIA SOCIALE. INCONTRO INAUGURALE XL EDIZIONE

Maria Elisabetta Alberti Casellati, Presidente del Senato della Repubblica Italiana. Introducono Emilia Guarnieri, Presidente Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli e Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.

Persona e amicizia sociale. Incontro inaugurale XL Edizione

 

EMILIA GUARNIERI:

Ringrazio il presidente Casellati per avere accettato il nostro invito ad inaugurare questa quarantesima edizione del Meeting per l’amicizia dei popoli. Grazie presidente, grazie per la sua presenza, grazie del tempo che ci ha dedicato e che ci dedicherà ancora, dell’interesse con cui l’abbiamo vista incontrare i nostri ragazzi, con cui l’abbiamo vista incontrare le presenze, le opere, le realtà e le esperienze che ci sono in questo Meeting. Non sempre questo interesse è così evidente come lo abbiamo visto in lei. La ringrazio in maniera particolare per questo.

Saluto anche a nome di tutti gli amici organizzatori, le autorità presenti, saluto tutti voi. Saluto tutti gli amici con cui ancora una volta ripartiamo per questa avventura. Il Santo Padre, papa Francesco, ci ha introdotto questa mattina alla messa con il messaggio a questo meeting così come il presidente Mattarella ha voluto fare con questo telegramma di cui vi do lettura.

«Il Meeting per l’amicizia fra i popoli compie quarant’anni e offre ancora una volta alla comunità di cui è espressione e all’intera società italiana una preziosa occasione di incontro, di scambio di esperienze e di crescita culturale. In apertura di questa nuova edizione desidero innanzitutto rivolgere agli organizzatori l’augurio che nella consapevolezza del valore del traguardo raggiunto, si continui ad alimentare l’impegno per affrontare le sfide dei tempi nuovi. Saluto con cordialità i tanti volontari, giovani e meno  giovani, che accompagneranno da protagonisti gli eventi in programma. Il titolo scelto per il quarantennale “Nacque il tuo nome da ciò che fissavi” induce alla riflessione sull’umanità dell’uomo, sulla relazione necessaria con l’altro, sul formarsi della comunità, sul dialogo incessante tra la fede personale e la storia. Attorno a noi i cambiamenti sono sempre più rapidi, straordinarie opportunità ci vengono offerte e altre lo saranno molto presto. Nel contempo però, si presentano inedite ingiustizie: povertà, egoismi, insicurezze, minacce al valore della pace. È necessario affrontare il nuovo con coraggio senza nostalgie paralizzanti, conservando sempre spirito critico e apertura a chi ci è prossimo. Ripartire dalla persona è un percorso di crescita e di liberazione a cui siamo continuamente richiamati. In questo percorso ciascuno deve saper trovare il senso e il valore della comunità, anzi deve contribuire a costruirlo tessendo i fili umani della solidarietà. Il Meeting è stato nella sua storia animatore di dialogo e l’augurio è che in questo importante anniversario trovi l’ulteriore impulso per rendere servizio alla società».

Firmato: Sergio Mattarella.

Consentitemi qualche nota doverosa e inevitabile, visto che siamo al quarantesimo. Il Meeting nasce quaranta anni fa, nell’estate del 1979, da un impeto di presenza e testimonianza, su un’intuizione ancora non svolta, un’intuizione embrionale, ma certa, cioè che l’esperienza cristiana, a cui eravamo educati, era capace di illuminare, di incontrare, di valorizzare ogni aspetto e fattore della vicenda umana. Il Meeting nasce, come ebbe a dire don Giussani pochi mesi dopo la prima edizione, perché un gruppo di adulti appassionati alla vita e all’esperienza di fede incontrata, «hanno creato un luogo dove si incontra un soggetto, una persona e un’umanità che ha qualcosa da dire (…), perché», proseguiva, «se non è espressione di un soggetto così allora siamo finiti». Oggi possiamo dire, a distanza di quarant’ anni, che se il Meeting non è finito, veramente lo dobbiamo solo alla certezza che ci ha permesso, pur in mezzo a tanti errori che sicuramente anche noi abbiamo commesso, di non mollare su questo fattore, del quale Giussani diceva «se molliamo questo siamo finiti». E il fattore è proprio l’appartenenza al luogo dal quale siamo stati generati. In questa occasione così ufficiale, con il presidente del Senato e tante autorità presenti, si potrebbero dire cose di carattere molto più istituzionale che non riaffermare l’appartenenza al luogo dal quale siamo stati generati, ma proprio perché quella di oggi è un’occasione importante e ufficiale, qualunque altra cosa, qualunque altra ragione addotta  sarebbe meno di quello che è vero e reale, e allora preferisco dire ciò che è vero. E’ stata questa l’esperienza di questi quarant’anni. Certo, il mondo è cambiato da quando abbiamo cominciato. Tante cose sono cambiate. Quarant’ anni fa aderire ad un ideale come è la nostra esperienza e intervenire in nome di questo ideale nella storia coincidevano, per noi non era pensabile non mettersi in azione, non costruire qualcosa. Oggi, viceversa, l’interesse per la realtà si è affievolito, oggi domina una certa passività nei confronti di ciò che ci circonda. Gli ideali creavano legami, oggi domina la solitudine. Il contesto storico era diverso, c’erano due Europe da riconciliare, un muro da abbattere. Oggi c’è un’Europa da riguadagnare e ci sono tanti muri nuovi che si stanno costruendo. In quel contesto nacque l’idea di un Meeting per l’amicizia fra i popoli: amicizia allora non era la parola più in voga, allora la parola più in voga era dialogo. Però per noi la parola amicizia traduceva un’intuizione che già vivevamo, che già apparteneva alla nostra vita, e cioè che la novità per ogni uomo e per il mondo poteva nascere solo da un’esperienza tra uomini, da una storia fra uomini, da un’esperienza umana di uomini e popoli che diventassero amici, che potessero diventare amici. E in questi quarant’anni l’amicizia non è stata un tema di convegno, ma è stata veramente un’esperienza tra persone. In questi quarant’anni tante cose sono cominciate, tante cose sono finite e il Meeting è qui. È qui solo per quello che dicevamo ed è qui solo perché è veramente stato una storia ed è una storia, un’esperienza che oggi non è più soltanto di chi lo ha iniziato e di chi sta continuando ad organizzarlo, ma è l’esperienza di uomini e popoli che sono diventati amici. Oggi ci sono qui con noi a costruire il Meeting tanti amici che non c’erano, gli amici con cui abbiamo costruito tanti padiglioni, tanti stand, gli amici che sono qui a parlare, imprenditori, scienziati, artisti, accademici, amici di fedi e culture diverse, dai buddisti agli ebrei, ai musulmani, amici appartenenti a lavori, professioni, realtà e storie diverse. Con tutti costoro è stata un’esperienza e una storia quella che si è generata. E dico ancora di più, l’esperienza è stato il fattore di conoscenza in questi quarant’anni; non appena lo spunto da cui si è partiti, ma veramente il fattore a partire dal quale abbiamo conosciuto e ci siamo conosciuti. Tutto quello che c’è al Meeting, tutto quello che abbiamo incontrato, si è generato da una esperienza, cioè da qualcosa che è accaduto e che continua ad accadere sotto ai nostri occhi. In questa settimana questa amicizia, questa esperienza, questa storia comunque continueranno e nessuno di noi sa ora che cosa questa storia genererà. Ogni Meeting è in qualche modo l’esito di tutta la storia che c’è stata nel Meeting e nei Meeting precedenti. Chiunque oggi è invitato come relatore, come curatore di mostra, come artista sa che all’inizio c’è stato un rapporto, che all’inizio c’è stata un’amicizia, una storia piccola o grande condivisa. Se abbiamo risposto alla consegna lasciataci da Giovanni Paolo II nel 1982 “costruite la città della verità, dell’amore”, se poco o tanto abbiamo portato nel tempo dell’incertezza il nostro anelito di certezza, come ci invitava a fare nel 2011 il presidente Napolitano, se in mezzo a tanti strappi abbiamo ricucito e fatto incontrare persone diverse, come sottolineava recentemente monsignor Zuppi parlando del Meeting, tutto questo è accaduto non a seguito di strategie, ma soltanto assecondando la realtà che ci è venuta incontro. Il titolo del primo Meeting è stato “La pace e i diritti dell’uomo”, quando i diritti umani erano un’evidenza condivisa, quando lo scacchiere internazionale era più semplice. Il titolo di quest’anno lancia una sfida ancora più radicale: “Nacque il tuo nome da ciò che fissavi”. In questo tempo di confusione, in questo tempo di insicurezza, ancor prima di parlare di pace, di diritti dell’uomo, vogliamo domandarci: «Chi oggi ha un nome, un volto, per stare adeguatamente nella realtà?». Nel messaggio che papa Francesco ci ha mandato, abbiamo sentito riecheggiare  queste parole: «L’uomo di oggi vive spesso nell’insicurezza, estraneo a se stesso sembra non avere più consistenza, si lascia afferrare dalla paura. Come può ritrovare se stesso e la speranza?». Il Santo Padre indica come segreto della vita «fissare lo sguardo sul volto di Gesù» e auspica, guardando al Meeting, che il Meeting sia sempre un luogo ospitale, in cui le persone possano fissare dei volti, facendo esperienza della propria inconfondibile identità. Ecco, presidente, un luogo così, un luogo aperto, un luogo libero, è quello che desideriamo continuare a costruire e che offriamo come occasione di dialogo e di incontro per tutti gli uomini.

Ora, entrando nel tema «persona e amicizia sociale», che è il tema che abbiamo proposto al presidente Casellati e che ringraziamo di aver accettato, do la parola al professor Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà.

 

GIORGIO VITTADINI:

Diciamo la verità, non è che sia un gran momento quello in cui si svolge questo Meeting. Noi abbiamo raccontato negli anni scorsi la ricchezza dell’Italia: 150 anni di sussidiarietà quando è venuto il presidente Napolitano, 70 anni della Repubblica quando è venuto Mattarella, con l’incontro del presidente Violante abbiamo ripercorso tutta la questione dell’Italia. L’Italia è una grande foresta ricchissima, con grandi piante variegate, però ci sta un po’ capitando quello che sta capitando al mondo: con la crisi, con il riscaldamento globale, ci stiamo desertificando. Tutta questa ricchezza umana sta venendo meno, perché questo momento storico innanzitutto, a parte le crisi istituzionali ed economiche, è caratterizzato proprio dall’inaridimento dell’io. Noi eravamo un popolo per tutto il mondo pieno di ricchezza, vivacità, gusto della vita. Eppure stiamo diventando livorosi, pieni di rancore, rabbia e disagio, come ha detto il Censis. Avevamo legami sociali, personali e famigliari, ora invece ci stiamo isolando. Soprattutto siamo sempre andati avanti insieme, anche ai tempi della prima Repubblica con la D.C. e il P.C.I. Le figure storiche erano quelle di don Camillo e Peppone, si potevano avere idee diverse ma si andava avanti insieme. Ora invece l’altro e il diverso sono diventati il male assoluto. Bisogna far fuori l’altro. Non solo in politica ma anche nella vita. Si starebbe meglio se non ci fosse quello diverso da noi. Quindi il problema grave prima di tutto è questo inaridimento personale e collettivo e da qui sorge la domanda di questo Meeting, che rivolgiamo anche a lei presidente: la domanda da dove ricominciare. Il titolo del Meeting, secondo me, ha questa idea: serve un nuovo modo di conoscere. Io sono uno statistico, per me l’analisi è fondamentale, ma lo sguardo è un’altra cosa. C’è l’analisi ma ci vuole anche lo sguardo. Perché lo sguardo è capace di stupirsi, di essere colpito in un istante da quello che è vero. È un modo di conoscere che non possiamo dimenticare e che invece ci stiamo dimenticando. Ce lo ha ricordato anche il Papa: perché se non si conosce così, si è senza volto, figure anonime. Invece lo sguardo nasce da quello verso cui si guarda. Ci si deve stupire, perché lo stupore e lo sguardo in un istante lanciano la scintilla che mette in moto il motore. E ciò che si mette in moto subito, è il cuore dell’uomo e dell’italianità. Ed è quello che, secondo me, ha sottolineato don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e liberazione, quando, parlando di questo Meeting in un suo editoriale, ha detto che la questione fondamentale è identificare dove si genera un soggetto adulto in grado di creare un’espressione culturale all’altezza della sfida dei tempi che viviamo. La sfida educativa è rigenerare questo soggetto umano, che conosce e incontra la realtà, che sa cosa sia un’esperienza e la corrispondenza al cuore, e che da questa prende un’autocoscienza, usa fino in fondo la ragione e l’affettività, la libertà. Molti, qualche volta anche fra di voi, pensano che questo sia un tema intimistico. Invece questo è un tema culturale, politico e sociale. Se non rincomincia un uomo così, capace di conoscere e entrare nel merito, mettere le mani in pasta, allora tutta la conoscenza è debole. L’inaridimento di cui prima nasce da questa mancanza di coscienza. Il primo compito che vogliamo darci in questo Meeting è quello di tornare a educarci a vedere, cosa che non si fa da soli. Perché l’uomo ha bisogno di famiglia, comunità, movimenti, luoghi, corpi intermedi, proprio quelli che sono stati massacrati in questa seconda Repubblica. L’uomo solo al comando, che parla al singolo, porta a far sì che si uccida il singolo e che si uccida il Paese. Invece ci vogliono luoghi dove la gente possa essere educata a questo. Innanzitutto questi luoghi non si devono inaridire da loro stessi; l’attacco esterno è stato anche un indebolimento di ideali. Chi prima pensava a educarsi, ha smesso di educarsi. Invece noi dobbiamo ricominciare a vivere questi luoghi dove ci si educa al bene comune, all’ideale, alla gratuità, in qualunque condizione si viva. Infatti il cuore di questo Meeting sono fatti. Fatti di vita nuova che nascono anche se siamo dei poveretti, come le opere di formazione professionale, dove gente di qualsiasi tipo viene educata a fare un mestiere. Si vede gente che lavora, fa l’impresa, riesce a reggere anche questa crisi. Perché il + 0,01 del PIL è fatto del + 5 – 5. C’è chi fa + 5 perché non aspetta e costruisce. Parlerà qui un’imprenditrice che fa la coppa del mondo – la Champions League, nel senso fisico, la facciamo noi in Italia, la fa una piccola impresa di Paderno Dugnano – e ci farà capire che cosa sia la creatività italiana. Avremo gente che fa l’adozione a distanza e aiuta la gente in Africa, come AVSI. Abbiamo anche chi dialoga mentre c’è la terza guerra mondiale. Abbiamo tanti punti di esperienza e di pensiero non nostri. Ma li ospitiamo al Meeting per far vedere che chi mette a tema l’io è portatore di un altro mondo in questo mondo, adesso, in Italia. Questa è la sussidiarietà, la vita che rinasce dal basso, e allora questo arriva a dare anche suggerimenti alla politica, circa temi fondamentali che nascono dal basso come l’educazione. Per noi prima di qualunque cosa c’è educare e formare. Sia in termini personali delle famiglie, ma anche come sistema educativo pluralista, autonomo e paritario. Perché se la scuola è andata così in basso è proprio perché non si è accettata questa responsabilità: lo statalismo l’ha uccisa. Lo ripetiamo a tutti i ministri della Pubblica istruzione. Spiegatemi come mai un sistema ugualitario porta una parte del Paese al nord e una parte del Paese al sud, senza che nessuno discuta di come è fatto questo sistema. Secondo: il lavoro. Per noi il lavoro innanzitutto si crea. È una cosa che è, che, come si vede nel Meeting, si genera, è una responsabilità, un gusto che nasce dalla scintilla di prima. E abbiamo tanti esempi. Non aspettiamo, non vogliamo interventi assistenziali, non vogliamo che il lavoro ce lo dia lo Stato. Ma lo Stato non butti via neanche i soldi però. Usi i soldi per chi lavora, perché non esiste la decrescita felice. La decrescita vuole dire la perdita del lavoro. Allora ci vuole uno sviluppo che aiuti questa occupazione, questi tentativi. Perché si può fare cento invece che uno, basta che si rimetta a tema lo sviluppo dal basso. Terzo: serve un welfare sussidiario. C’è ancora gente che, nonostante lo Stato non abbia più soldi, non capisce che bisogna fare come nel 1860, quando il movimento cattolico e quello operaio hanno partecipato al benessere della gente. C’è stata una legge di non profit, facciamola partire. Lo Stato non serve da solo. Bisogna fare e costruire insieme, non uno contro l’altro ma insieme. Le opere sociali che sono qui sono un esempio. Si spenderebbe di meno facendo di più e collaborando. Arriviamo qui anche alla parola ripresa nel Meeting: ci vuole uno “sviluppo sostenibile”: riscaldamento climatico, dalla Siberia al Polo ma anche da noi. Solo che non si spiega che i 17 obiettivi dell’ONU hanno al centro il rilancio della persona. La gente non capisce niente. 17 sono lunghi da imparare. Se si fa capire che dietro al fatto di rispettare la natura o dietro al raggiungimento dell’uguaglianza c’è la persona, uno comincia a capire. Vorremmo far capire questo: “sviluppo sostenibile” in cui la persona è al centro. Da ultimo si arriva alla politica. Sembrerà strano, ma io penso che la cosa fondamentale sia il fatto che la politica deve guardare a queste cose e mettersi insieme. Adesso siamo un Paese così smandrappato che se ci si divide, come avviene, non ce la si fa. Noi siamo come un Paese che è uscito dalla guerra. Bisogna tornare alla convergenza. Per questo ospitiamo anche l’Intergruppo per la sussidiarietà, perché vogliamo che si collabori per il bene comune. Sono tanti e tali i problemi, che se non si riprende dal bene comune, insieme, qualunque maggioranza di qualunque tipo non ce la farà. Poi ci si potrebbe dividere, ma questo amore alla persona, questo amore alla costruzione chiede un ultimo pensiero di concordia. Questi pensieri noi li rivolgiamo a lei presidente, perché non vorremmo opporci alla politica e demolirla, ma collaborare con tutto: innanzitutto con l’istituzione per questa costruzione per il bene.

 

EMILIA GUARNIERI:

Invito ora a prendere la parola il presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Grazie presidente.

 

MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI:

Buon pomeriggio a tutti.

Che cos’è il Meeting per l’Amicizia tra i Popoli?

Io credo che sia una scommessa sul desiderio che ogni uomo ha nel proprio cuore: un desiderio di bellezza, di verità e di giustizia, che don Luigi Giussani chiama «esperienza elementare».

A partire da questa consapevolezza, il Meeting si è rivelato nel tempo il «terreno comune per un dialogo tra identità definite che cercano un arricchimento e elementi di verità, non un accomodamento fra posizioni diverse».

Celebrare questo quarantesimo anniversario significa quindi guardare al futuro poggiando sulle fondamenta solide di una storia ricca di vitalità creativa.

Una storia che testimonia come l’esperienza del Meeting abbia avuto negli anni la non comune capacità di restare fedele ai propri principi ispiratori ed alla propria identità: essere espressione della storia di un popolo e non il frutto di una strategia organizzativa.

Proprio nella concretezza della sua esperienza è quindi racchiuso il segreto della sua longevità.

Il Meeting è un luogo di dialogo, di incontro, di convivenza tra diversi che, nell’attuale crisi delle evidenze, interpreta il bisogno di partire dalla propria persona per costruire insieme una comune prospettiva di speranza.

Per questo mi colpisce il titolo che a questa edizione hanno voluto dare gli organizzatori, significativamente tratto da un verso del celebre canto che Karol Wojtyla ha dedicato alla Veronica: «Nacque il tuo nome da ciò che fissavi». E’ guardando ciò che ha incontrato e che le ha permesso di scoprire il significato del vivere che la persona trova la propria identità, ovvero il proprio nome. Del resto, il nostro nome «non ce lo siamo dati noi», ce lo hanno dato i nostri genitori, segno supremo che la nostra identità nasce, si sviluppa, si trasmette e si tramanda attraverso rapporti e relazioni.

Perché è nelle relazioni e nella capacità di rispondere insieme ai bisogni individuali e collettivi che si realizza compiutamente la persona e la sua capacità creativa.

Ciascun individuo nel corso del proprio percorso di sviluppo fisico, morale, culturale e professionale è destinato a calarsi in dimensioni sociali: dalla famiglia agli amici; dalla scuola a ogni altra realtà associativa o professionale.

Sono i cosiddetti “corpi intermedi”, destinati a comporre la struttura del nostro vivere comunitario: spazi in cui la personalità e la creatività del singolo si confronta con quella degli altri individui, esce dalla sfera privata e si cala in una dimensione di carattere pubblico.

Queste formazioni sono l’espressione stessa del tessuto sociale: sono i luoghi dove le persone si aggregano, vengono educate all’ascolto e al confronto; svolgono una importante funzione di tutela delle persone e dei loro legittimi interessi, di risoluzione di problemi e di partecipazione attiva alla vita democratica.

Sono cioè l’espressione di un’amicizia sociale che diviene collante irrinunciabile per la vitalità e la tenuta della società stessa.

Un’amicizia che nella storia delle Nazioni ha ispirato la formazione degli ordinamenti e la definizione delle regole della convivenza, acquisendo una precisa dimensione giuridica, quella della sussidiarietà.

Un principio che trova puntuale riconoscimento nell’articolo cinque del Trattato sull’Unione europea e nell’articolo 118 della nostra Costituzione.

In tale prospettiva, dunque, le istituzioni e la politica sono chiamate a sostenere la vitalità dei corpi intermedi nell’ambito dei quali prende forma la possibilità stessa di una risposta più efficace ai bisogni e ai problemi degli individui e della società.

Questo peraltro è il significato dell’impegno assunto dall’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà che proprio lo scorso anno ha presentato a questo Meeting il suo manifesto: “Un nuovo patto sul bene comune”.

Per favorire la piena realizzazione della persona e l’affermarsi di una cittadinanza attiva occorre quindi partire da quelli che sono i luoghi centrali della comunità.

Quelli in cui si esplicano i primi anni di vita di ogni individuo: la famiglia e la scuola.

La famiglia, in particolare, sta vivendo oggi una stagione segnata da un vero e proprio dramma epocale: l’inverno demografico.

Una crisi della natalità che, come confermano i dati più recenti, ormai investe i cittadini italiani senza distinzione alcuna tra le varie Regioni.

Ma un Paese che non genera figli è un Paese incollato a un eterno presente: è una Nazione incapace di aprirsi a un futuro di crescita e di prosperità.

Occorre dunque invertire la tendenza e prendere consapevolezza che investire sulla genitorialità non è più solo un diritto individuale ma un dovere civico e una precisa strategia di sviluppo.

Una prospettiva che impone un cambiamento culturale che sottolinei con forza il valore sociale della scelta genitoriale.

Perché fare figli è un investimento a carico delle famiglie ma con effetti benefici a favore dell’intera collettività.

Per questo le istituzioni e la politica devono sostenere la famiglia con interventi di varia natura che siano strutturali e di lungo periodo. Misure economiche e fiscali, certamente, ma anche di ordine organizzativo, ovvero tese a rendere concretamente compatibile il ruolo di genitore e quello di lavoratore.

All’Italia serve un intervento legislativo capace di trovare un equilibrio moderno e virtuoso tra la vita privata, famigliare e professionale delle donne, un piano per la conciliazione capace di valorizzare quello che dagli esperti viene definito “giacimento di Pil potenziale”. Secondo una ricerca della Banca d’Italia se riuscissimo a portare al 60% la presenza delle donne nel mercato del lavoro, così come auspica il Trattato di Lisbona, il nostro Pil aumenterebbe del 7% e l’Italia sarebbe al riparo da nuove crisi economiche.

Credo che si tratti di un tema nevralgico e di particolare rilievo.

Per questo ho deciso di organizzare in Senato nei prossimi mesi un evento per favorire una riflessione più approfondita sui problemi derivanti dalla curva demografica discendente e sulla necessità di adottare misure efficaci per invertire la rotta e immaginare nuovi strumenti di conciliazione tra famiglia e lavoro.

Sostenere la famiglia significa inoltre riconoscere e valorizzare il suo ruolo imprescindibile nel percorso educativo della persona al fianco degli istituti scolastici di ogni ordine e grado.

Famiglia e scuola devono infatti essere protagoniste di una nuova centralità dei percorsi formativi umani, culturali e professionali dei nostri giovani da contrapporre ai preoccupanti segnali di un’emergenza educativa sempre più diffusa.

Percorsi che non possono prescindere dalla necessità di garantire la piena attuazione del diritto ad avere un’istruzione equa, efficace e significativa, di cui fa parte integrante la effettiva parità scolastica, in armonia con il dettato costituzionale.

Perché non c’è vera libertà senza la libertà di educare.

Il diritto di istruzione, sancito dagli articoli 33 e 34 della Costituzione, deve infatti qualificarsi come diritto a un insegnamento libero e, allo stesso tempo, come libero diritto di insegnare.

Le scuole e le università devono quindi potersi qualificare come luoghi di libero sapere: di libero insegnamento e di libero apprendimento.

Allo stesso tempo, garantire ai privati la possibilità di istituire scuole di ogni ordine e grado significa riconoscere il valore del pluralismo scolastico.

Perché scuola pubblica e scuola paritaria non si distinguono come sistemi alternativi o in contrasto tra loro, ma sono entrambe espressione di un unico strumento teso allo sviluppo dell’individuo e della collettività.

Ecco che, in tale prospettiva, la libera iniziativa nel sistema dell’istruzione si qualifica come una risorsa irrinunciabile.

Così come irrinunciabile deve essere considerata la libera iniziativa economica e imprenditoriale intesa come fonte di lavoro e di opportunità. Soprattutto, come vero motore di un sistema sussidiario.

Il lavoro costituisce infatti, come ci ricorda Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, “parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione e di sviluppo umano”.

Ne discende quindi l’esigenza di una nuova concezione del lavoro e dell’impresa che sappia essere sintesi tra i valori più solidi della nostra tradizione cristiana e la spinta innovativa dei processi di cambiamento globale in atto.

Penso ad esempio alla grande capacità realizzativa dimostrata dal terzo settore; al suo sapere essere – nel contempo – un sostegno per chi è in difficoltà ma anche una risposta vivace e creativa alle esigenze di una società in continua mutazione.

E proprio il terzo settore può rappresentare un prezioso bacino cui attingere per dare nuova spinta e nuove idee alle nostre economie.

Sono talmente convinta delle sue enormi potenzialità che sto lavorando per istituire in Senato un premio teso proprio alla valorizzazione e alla divulgazione delle esperienze più innovative e più significative realizzate nei vari campi del non profit.

Del resto, come ha osservato recentemente il professor Zamagni, è necessario prendere coscienza che “un ordine sociale come quello del nostro Paese” non può più “reggersi solo sulle gambe del pubblico e del privato”.

Una insufficienza che può essere superata anche mediante la piena attuazione della legge di riforma del terzo settore e attraverso l’adozione delle norme necessarie perché esso possa ottenere le risorse finanziarie per la sua autonoma operatività.

La consapevolezza dunque che il terzo settore non possa essere “la ruota di scorta” o una semplice appendice dello Stato e dei mercati apre inevitabilmente alla riflessione sul senso dell’economia e delle sue finalità, per correggerne disfunzioni e distorsioni.

Come ancora osserva Papa Francesco sempre nell’enciclica Laudato si’: «Affinché sorgano nuovi modelli di progresso abbiamo bisogno di cambiare il modello di sviluppo globale».

Si tratta quindi di ridefinire il futuro nell’ottica di un patto globale tra Stati e generazioni fondato sulla sostenibilità. Un patto che deve necessariamente integrare in modo virtuoso e lungimirante sviluppo sociale, crescita economica e tutela dell’eco sistema nel rispetto del pianeta, delle sue risorse e di chi verrà dopo di noi. Un patto inclusivo, in cui nessuno deve essere lasciato indietro, in cui gli sforzi dei singoli possano trovare sostegno in un contesto responsabile e favorevole. Soprattutto un patto fondato sul dialogo e sulla capacità di ascolto e di comprensione.

Un dialogo tra storie e culture diverse che in questo Meeting trova la sua casa naturale, ne costituisce l’essenza stessa e la cifra distintiva della sua identità culturale.

Qui il dialogo non è solo un metodo di lavoro ma una dimensione spontanea.

Ecco perché il Meeting è stato e continua ad essere occasione per costruire ponti laddove vi sono contrapposizioni ideologiche e un incredibile veicolo di aggregazione, di integrazione e di amicizia a partire da una proposta ben riconoscibile.

Ecco perché ritengo che, tra i tanti eventi di rilievo, una delle immagini più significative dell’edizione di quest’anno ci rimandi alla mostra “Francesco e il Sultano”.

Perché rappresenta l’espressione efficace, storicamente profetica, di come dall’apertura alla convivenza tra fedi e culture diverse possa nascere e prosperare la speranza nel futuro.

Un futuro volto al bene comune. Che è il bene di tutti e di ciascuno.

Ovvero un bene che non deve togliere mai all’individuo quello che gli è essenziale per essere uomo, cioè “il suo nome”; che rifluisce sui singoli per il fatto della loro unione e a cui tutti possono partecipare.

Famiglia, istruzione, formazione, impresa, lavoro, innovazione e sviluppo sostenibile sono quindi gli strumenti all’interno dei quali e attraverso i quali gli esseri umani scoprono la loro identità: si qualificano nella loro individualità e nella loro dimensione sociale.

Sono i contesti in cui le potenzialità di ogni individuo prendono forma e divengono sostanza.

Sono i luoghi in cui il principio di sussidiarietà, come sintesi tra le esigenze del singolo e i bisogni di tutti, può trovare applicazione in chiave antropologica, sociale, culturale, religiosa, giuridica e politica. Ma sono anche alcune delle tematiche principali che questo Meeting si pone l’obiettivo di affrontare nei prossimi giorni.

Questioni che, sono certa, saranno approfondite con la capacità di elaborazione culturale, di proposta operativa e di confronto aperto e costruttivo che da sempre caratterizza lo sguardo del Meeting sulla realtà e sulle sfide che essa quotidianamente pone. Per quello che il Meeting rappresenta per la società italiana e il panorama internazionale esprimo quindi il mio compiacimento e la mia profonda gratitudine.

Ringrazio in particolare la presidente Emilia Guarnieri e il presidente Giorgio Vittadini, che hanno reso possibile la mia partecipazione a questo momento così significativo.

Un ringraziamento che voglio estendere a tutto il popolo del Meeting; alle migliaia di volontari che sono l’anima e il cuore pulsante di questo evento. Sono loro la vera energia, la vostra e la nostra risorsa più preziosa. Grazie ancora, grazie di cuore e buon Meeting 2019.

 

 

190818 Maria Elisabetta Alberti Casellati - Meeting di Rimini

Data

18 Agosto 2019

Ora

15:00

Edizione

2019

Luogo

Auditorium Intesa Sanpaolo B3
Categoria
Incontri