PERCORSI PER LA PACE

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In collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
Antonio Tajani, ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; S.E. Mons. Vincenzo Paglia, presidente Pontificia Accademia per la Vita. Introduce e modera Bernhard Scholz, presidente Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli ETS

Un’occasione unica per un confronto costruttivo e una riflessione condivisa su questioni cruciali legate alla pace e alla cooperazione internazionale, con l’obiettivo di promuovere una maggiore comprensione reciproca e di individuare azioni concrete per costruire un mondo più sicuro e solidale. Dal Meeting verrà lanciato un messaggio al mondo intero: un messaggio di amicizia fra i popoli, essenziale oggi più che mai.

Con il sostegno di CIHEAM Bari, isybank, Italian Exhibition Group

PERCORSI PER LA PACE

PERCORSI PER LA PACE

Giovedì 22 Agosto 2024 ore 15:00

Sala Neri Generali-Cattolica

Partecipano:

Antonio Tajani, ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; S.E. Mons. Vincenzo Paglia, presidente Pontificia Accademia per la Vita.

Introduce e modera:

Bernhard Scholz, presidente Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli ETS

 

Scholz. Benvenuti a questo incontro sui percorsi per la pace. Un benvenuto a ognuno di voi e un caloroso benvenuto a Monsignor Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Pace e al Vice Premier e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani. Ci troviamo in una situazione internazionale che Papa Francesco ha definito una “terza guerra mondiale a pezzi”. È evidente che la situazione globale è drammatica. Ci troviamo di fronte a conflitti che pochi anni fa sembravano inimmaginabili. E sappiamo bene quanto sia difficile trovare percorsi per la pace, perché la pace va costruita, va cercata diplomaticamente e attraverso iniziative di riconciliazione fra i popoli. Di questo vogliamo parlare. Inizio subito con una domanda a Monsignor Paglia. L’impegno e le responsabilità della Chiesa si presentano su due livelli fortemente congiunti, ma da distinguere: uno riguarda gli impegni delle comunità locali, delle opere, degli ordini religiosi, di tante iniziative che cercano di creare una socialità dedicata alla solidarietà, alla costruzione della pace; e poi c’è la diplomazia della Chiesa a livello più istituzionale. Quali sono secondo lei, in questo momento, le priorità della Chiesa in un impegno per la pace?

Paglia. Grazie per l’invito, benvenuti a tutti voi. Io credo che il primo impegno della Chiesa, che non è immediatamente politico, è un impegno che direi umanistico, ed è quello di offrire a tutti i popoli una visione. La mancanza di una visione è il motivo profondo non solo delle 59 guerre che ci sono, ma anche di un certo fallimento della globalizzazione. Abbiamo ascoltato prima la voce di Giovanni Paolo II e faccio una semplice constatazione: nel 1992, il 2 dicembre, Papa Giovanni Paolo II riceve Michail Gorbacev. Un amore a prima vista: l’Europa dall’Atlantico agli Urali, l’Europa dei due polmoni. Sono passati poco più di 30 anni e noi ci troviamo in una guerra incredibile, fratricida all’interno della nostra Europa. Perché? Manca una visione. Manca una visione dell’Europa. Manca una visione del mondo e Papa Francesco, consapevole di questo, ci ha offerto una visione che dovrebbe, a mio avviso, muovere la politica e non solo. Diciamo, “Laudato sì” e “Fratelli tutti”. Detto molto semplicemente, viviamo tutti in un’unica casa, il pianeta. Siamo tutti un’unica famiglia. Purtroppo non è così. Io ero ragazzo quando McLuhan parlava del mondo come di un villaggio globale e noi oggi pensiamo che invece casa nostra è il mondo e guai a chi si avvicina. Guai a chi si avvicina. Abbiamo alzato muri a non finire. Ecco perché Papa Francesco oggi a me pare particolarmente importante nella proiezione di una visione che deve affratellare i popoli, che deve farci sentire tutti responsabili della stessa casa e responsabili della stessa famiglia. Parlo ora brevissimamente del tema delle Chiese. In Russia, in Ucraina, la guerra è tra due fratelli della stessa Chiesa. E io ricordo quella bellissima affermazione di un grande patriarca, il patriarca Athenagoras, quello dell’abbraccio con Paolo VI – noi vecchi ce lo ricordiamo, voi più giovani un po’ meno – il quale diceva: Chiese sorelle, popoli fratelli. Oggi è difficile dire sia Chiese sorelle, sia popoli fratelli. Questa è la prima dimensione, una profezia che la Chiesa deve proporre assieme, e qui mi permetto un’altra sottolineatura, all’insistenza che la Chiesa e la Santa Sede fanno dell’importanza del dialogo multilaterale, dell’incontro tra le grandi organizzazioni, la difesa dell’ONU, la difesa dell’Europa, che sono fortissimamente indebolite. Ed ecco perché Papa Francesco è in questo, e io mi auguro che la politica internazionale persegua tutto questo. Oggi su un giornale, un quotidiano italiano, si diceva che l’unica soluzione per la guerra in Israele e Palestina sarebbe che il Papa si spostasse ad abitare a Gaza. È una provocazione un po’ singolare, però indica il bisogno di una visione e di un rispetto che io mi auguro possa continuare. Dobbiamo fare ancora molto, poi parleremo magari sul tema della prossimità delle comunità cristiane ai poveri e deboli in diverse parti. Parlo dell’Africa, e non solo. L’Africa, grazie a Dio, in un momento difficilissimo dove il rischio è quello dell’indebolimento degli Stati, dell’indebolimento dei governi, che è una delle ragioni dei conflitti, possa essere sostenuta anche dal volontariato cattolico che aiuta e cerca di sostenere i governi, perché attraverso di essi si possa legare un’equità. C’è qui il nostro Ministro degli Esteri – preferisco Ministro degli Esteri ora a Vice Ministro del governo – perché con il piano Mattei in Africa abbiamo avuto un’intuizione straordinaria. Va messo in atto, e qui Ministro, vi esorto perché è una via giusta che può portare alla pace. In questo senso io mi auguro, come sempre è avvenuto, che la Chiesa Cattolica trovi anche nel governo italiano un partner singolarissimo. Io ricordo, e chiudo, quando ci fu un problema che il Vaticano nel 2000 celebrò un evento il primo ottobre che era la festa nazionale cinese, i Santi Cinesi. Ricordo che mi raccontò il Primo Ministro di allora, Amato, era fine settembre-inizio ottobre, alle Nazioni Unite e il Primo Ministro cinese gli chiese perché il Vaticano aveva fatto quest’affronto di beatificare i cinesi il primo ottobre. E Amato disse: “Guardate, io non c’entro niente col Vaticano, io sono l’Italia”. Tuttavia, questo legame significa qualcosa ed ecco perché sono lieto di sottolineare questa alleanza forse da ritrovare in maniera molto più robusta.

Scholz. Grazie. Allora, Mons. Paglia ha già anticipato la domanda. L’Italia, anche da quando lei è Ministro degli Esteri, ha continuato, sotto la sua guida, anche con maggior vigore e determinazione, a creare una cooperazione a livello internazionale per prevenire tanti conflitti che altrimenti sorgerebbero per mancanza di risorse, per una povertà insopportabile. E quindi la domanda è: quali sono le iniziative? Una iniziativa, il Piano Mattei, è già stata citata da Monsignor Paglia. Quali sono le iniziative del governo proprio nella prevenzione a livello della cooperazione internazionale?

Tajani. buonasera a tutti, grazie per l’invito. La cooperazione internazionale è uno strumento fondamentale della politica estera dell’Italia, perché siamo comunque un Paese che è sempre ben accolto, un Paese al quale, se parliamo dell’Africa, tutti gli Stati guardano con grande attenzione. Siamo, credo, i più amati tra gli europei perché non abbiamo mai avuto una mentalità neocoloniale, perché abbiamo sempre puntato sulla crescita di quel continente, cercando di non sfruttarne le risorse, perché l’Africa è un continente ricco. Il problema è che non tutti gli africani hanno scoperto il tesoro e noi abbiamo forse, diciamo così, delle buone guide per andare a scoprire i tesori che ha il continente africano. Il Piano Mattei è uno strumento. Cos’è il Piano Mattei? Serve a valorizzare, a far avere un effetto esponenziale alle risorse che ha l’Africa. Io, quando ero Commissario europeo e poi quando sono stato Presidente del Parlamento Europeo, ho sempre sostenuto che servisse un piano Marshall europeo per l’Africa. Diciamo che il Piano Mattei è la parte italiana del grande piano Marshall africano. Quali sono i grandi problemi dell’Africa oggi? Innanzitutto la demografia. Nel 2050 saranno 2 miliardi e mezzo gli africani. Se permane la situazione attuale, non so cosa potrà succedere, dove si andranno a muovere gli africani. Ma l’immigrazione, o le migrazioni, perché poi sono anche all’interno dell’Africa, sono una parte del problema. Bisogna andare alle origini dei problemi africani. C’è un problema che si chiama cambiamento climatico, perché il deserto avanza e si mangia terreni coltivati, spingendo poi pastori e contadini magari ad arruolarsi con i terroristi. C’è un problema che riguarda la salute, a cominciare dalla questione dei vaccini. Se noi pensiamo che la mortalità infantile arriva a una media di attorno ai tre anni, e se io penso che sono nonno di due nipoti, che i miei nipoti sono arrivati alla soglia, mi vengono i brividi sulla schiena. Quindi serve una grande campagna vaccinale e qui per questo anche al G7 della cooperazione internazionale, che si svolgerà a Pescara a metà di ottobre, abbiamo invitato José Manuel Durão Barroso, che credo sia stato anche qui. Lui guida Gavi, che è la grande organizzazione per le vaccinazioni, chiamiamola così, alla quale l’Italia contribuisce in maniera sostanziosa, perché bisogna fare una campagna vaccinale. Già grazie alla campagna vaccinale che c’è stata, è cresciuta di un anno, di quasi due anni, la vita media dei bambini, ma siamo sempre a età che ci fanno venire i brividi sulla schiena, come dicevo. L’altro problema è quello legato alla povertà. Quindi serve avere un’agricoltura moderna, serve avere un sistema industriale, e noi, proprio perché l’Africa è ricca di materie prime, potremo e dovremo organizzare delle società miste che permettano l’estrazione o l’utilizzo delle materie prime, secondo se stanno sotto terra o sopra la terra, per poi trasformarle in Africa. Quindi non espropriarle e portarle via, ma trasformarle in Africa con mano d’opera africana, cioè non dobbiamo fare come fanno i cinesi che costruiscono le ferrovie con manod’opera cinese. Noi dobbiamo, se vogliamo creare lavoro e far crescere il continente africano, dobbiamo dare lavoro agli africani. Questo è un altro punto fondamentale. Poi c’è un altro tema che riguarda la formazione. Noi dobbiamo, anche attraverso le nostre università, favorire l’incremento dell’istruzione universitaria nel continente africano, per permettere al continente africano di avere una classe dirigente sempre più all’altezza della grandezza di quel continente. E poi c’è il tema delle guerre, guerre etniche, a volte guerre tribali, che noi dobbiamo fare in modo di scongiurare. Guardate cosa succede nell’Africa subsahariana, perché è quella poi diciamo più vicina a noi. Poi potremmo andare a vedere quello che succede nelle guerre nella parte centro-sud dell’Africa, ma guardiamo l’Africa subsahariana, guardiamo quello che è successo in Sudan, quello che è successo in Niger, ma guarda caso anche in Niger gli unici che vogliono sono i militari italiani, perché sono quelli che sanno meglio integrarsi, perché l’Italia ha un grande ruolo da svolgere proprio perché c’è voglia di Italia. Noi non dobbiamo consentire che le popolazioni africane mitizzino la figura di Putin come alternativa al colonialismo, perché loro non sanno neanche chi è Putin. Quando c’erano le grandi manifestazioni in Niger qualche mese fa, innalzavano la bandiera russa e l’immagine di Putin soltanto perché ce l’avevano con il vecchio colonialismo francese. Ma non è che se arrivano i russi o i cinesi la situazione migliora. L’unica strada è quella della cooperazione italiana. Noi stiamo lavorando tanto soprattutto in agricoltura e lì c’è il grande tema dell’acqua, che dovrebbe diventare, ho visto anche qui nel grande padiglione del nostro Ministero degli Esteri, uno dei punti fondamentali. Uno dei pilastri del padiglione è proprio l’acqua. L’acqua è un tema fondamentale per il continente africano, ma è un tema fondamentale per tutti quanti noi. Se ne parla, ahimè, troppo poco, ma l’acqua serve per l’energia, l’acqua serve per l’agricoltura. Anche se noi vogliamo avere il nucleare, vedendo le cattedrali, le centrali nucleari che stanno costruendo in Cina, dovremo accelerare anche noi i tempi, come sta ben facendo il Ministro Pichetto. L’acqua serve anche per il nucleare. L’acqua serve per l’idrogeno. L’acqua purtroppo è un bene che noi disperdiamo. Invece, per insegnarlo bene agli africani, dobbiamo anche impararlo bene noi a non sprecare il patrimonio idrico che il Padre Eterno ci ha dato. Ecco, quello è un altro tema, quello dell’acqua, per il continente africano. Quindi ci sono moltissime cose da fare e dobbiamo far capire che il nostro saper fare può essere utile per la crescita di quel continente. Penso anche che si debbano incrementare i numeri degli studenti africani che studiano in Italia. Devo dire che l’Università per Stranieri di Perugia sta facendo un lavoro eccellente, però forse ne servono di più. È un modo anche per creare un ponte, un modo per avere un numero maggiore di ambasciatori di entrambi i lati del Mediterraneo che parlano italiano oltre alla loro lingua madre. Sono dei punti per le nostre imprese, ma sono viceversa anche dei punti per quelle realtà, per attirare anche imprese. Quindi c’è questo interscambio. Non voglio parlare degli africani che poi possono diventare cittadini italiani, sennò poi qualcuno si arrabbia. Mi riferivo allo jus scholae, ma non c’è niente di straordinario.

Scholz. Monsignor Paglia, lei prima ha parlato delle comunità. Se la diplomazia funziona e riesce, può far tacere le armi. Ma questo non è ancora pace, perché sappiamo che se i popoli non si riconciliano, nascono nuovi conflitti. L’Europa stessa ne è una grande dimostrazione. Però l’Europa è anche, abbiamo fatto una bella mostra su De Gasperi, è anche a livello globale una dimostrazione che è possibile, anche dopo due guerre atroci, riconciliarsi fra i popoli. E il ruolo della Chiesa in questa riconciliazione non è stato marginale, anzi è stato essenziale. Anche perché i protagonisti non erano casualmente dei cristiani, De Gasperi, Schumann. Ma più in generale, in questo momento storico, che lei ha già descritto come molto difficile anche dal punto di vista del cristianesimo, cosa può fare la Chiesa perché i popoli almeno non perdano un’impronta di riconciliazione?

Paglia. Io anzitutto vorrei sottolineare un aspetto. Papa Francesco dice che noi siamo nel mezzo di una terza guerra mondiale a pezzi, ma in realtà noi il mondo lo stiamo già facendo a pezzi. E come? Lo stiamo distruggendo e continuiamo a distruggerlo. Io vorrei augurarmi che tornasse il primato della politica e della diplomazia e non, come oggi, il primato della guerra e delle armi. Noi abbiamo perso il senso del valore delle parole, che la forza della diplomazia sia quella ufficiale sia quella, magari, dell’amicizia e dei rapporti personali. Noi oggi parliamo di armi, di guerre, di arsenali che devono crescere, di eserciti che devono costruirsi o edificarsi, e abbiamo smesso, questo per me è il peccato mortale della politica attuale, abbiamo smesso di credere alla forza della parola e del convincimento per credere che le armi sono più forti delle parole. Le armi uccidono, non convincono. Ecco perché io vorrei, mi permettete la battuta, che emergesse più il Ministero degli Esteri che il Ministero della Difesa. È una battuta per dire quanto sia importante l’esercizio del convincimento e in questo io, nella mia piccola ma non più piccola esperienza, vedo che un’alleanza tra le diplomazie e gli incontri porta a raggiungere risultati positivi, persino accordi di pace. Personalmente, potrei dire che è quello che è avvenuto nel 1992 in Mozambico, potrei dire personalmente che è quello che è avvenuto prima della guerra tra Serbi e Albanesi e del Kosovo, con il patto di pace che avevano firmato Milošević e Rugova. Potrei citare altri accordi raggiunti, che è quello poi che stiamo facendo ora anche, grazie a Dio, ma io credo che sia ancora più forte il bisogno delle relazioni diplomatiche tra gli Stati. In questo la Chiesa è totalmente a disposizione, sia nel convincimento sia nell’aiuto ai popoli. Io sono pienamente d’accordo che la vicinanza, ad esempio, in questo tempo agli ucraini o ai palestinesi sia quanto mai decisiva, come anche negli altri popoli africani. Io stesso, quattro anni fa, ho visitato nel Nord Uganda un campo profughi del Sud Sudan di 500.000 persone. In Italia, con 10.000 cade il governo, 500.000 profughi in uno dei campi del Nord Uganda. Ed è decisivo lì, ovviamente, un aiuto solidaristico. Ecco perché in questo è esemplare, devo dire, non solo la Chiesa Cattolica, ma tante altre Chiese. Faccio un piccolissimo esempio, Ministro, non possono non farlo: i corridoi umanitari in Italia, fatti assieme dalla Comunità di Sant’Egidio e dai Valdesi e altri amici protestanti. È un aiuto solidale che permette agli immigrati: noi andiamo nei campi profughi, li portiamo in Italia in aereo, con il permesso ovviamente del Ministero degli Esteri, e qui c’è chi li accoglie, e le famiglie o le parrocchie o altre istituzioni che accolgono sono lietissime di poter accogliere questi stranieri, che ovviamente dovremmo in qualche modo poi aiutare nell’integrazione. Voglio dire che un’alleanza tra istituzioni politiche, istituzioni governative, istituzioni in questo caso anche ecclesiali, è un’alleanza provvidenziale per far crescere la pace, ed è possibile. In questo senso, io mi auguro che sul versante della politica ci sia una, come dire, parlavamo della cooperazione prima, che è una via straordinaria di pace. E io mi augurerei che, assieme, laddove si consegnano le armi, si raddoppi la solidarietà e le relazioni pacifiche o di dialogo tra le persone.

Scholz. I vescovi locali in questo che ruolo hanno?

Paglia. I vescovi locali stanno svolgendo un ruolo eccezionale, devo dire. Da questo punto di vista, se potessimo chiamarli alla classe dirigente della Chiesa Cattolica, io devo dire che sono esemplari anche perché danno davvero la vita, e alcuni anche fino al sangue, per poter aiutare le popolazioni, soprattutto le più emarginate e le più colpite. Assieme a tantissimi laici, io vorrei sottolinearlo, tantissimi laici cristiani delle diverse confessioni religiose aiutano in questa prospettiva. Qui nella mostra basta andare a vedere, ad esempio, quel piccolissimo enorme esempio degli hospice a Mosca per i malati terminali, anche aiutati dagli ortodossi. Questi sono miracoli poderosi, che non solo andrebbero mostrati, ma andrebbero gridati al mondo. In questo, io credo che la testimonianza solidaristica e pacifica che spesso unisce anche le istituzioni governative. Io personalmente posso dire il mio grazie alle ambasciate italiane nei Paesi dove ho dovuto svolgere queste azioni umanitarie. Ecco perché penso che davvero debba esserci uno scatto di orgoglio e uno scatto di generosità per dare più voce alla pace e alla solidarietà piuttosto che alla guerra. Oggi purtroppo la parola pace rischia di essere cancellata, e dovunque, nelle tante cancellerie del mondo e purtroppo tra tanta gente, la parola guerra è l’unica che viene, come dire, proclamata. Io, e chiudo, ricordo con grande nostalgia quello che Don Sturzo, dopo la Prima Guerra Mondiale, quando era esule a Londra, dopo il dramma dei milioni di morti, scrisse un libro che poi ripubblicò nel 1951, intitolato “Mettere fuori legge la guerra”, come è stata messa fuori legge la schiavitù. Così come la schiavitù è stata messa fuori legge, anche la guerra andrebbe messa fuori legge, perché non può, oggi soprattutto, essere uno strumento di pace. La guerra lascia il mondo sempre peggiore di quando è iniziata. Ecco perché dovremmo avere uno scatto culturale più deciso per dare alla pace il ruolo di relazione stabile e giusta, ovviamente, per la convivenza pacifica tra i diversi. Io, in questo, mi auguro che il governo italiano e il Ministro degli Esteri, come già fa, possano accelerare e anche rafforzare proprio impegno. Il Ministro ride, ma ride con contentezza.

Tajani. C’è bisogno di molte preghiere per questo.

Paglia. Quelle le faremo.

Scholz. Allora, penso che molti dei presenti pregano per la pace, però Dio si serve anche degli uomini per costruirla. Lei l’ha già accennato, ma è un convincimento condiviso che la diplomazia italiana è una delle più stimate, se non la più stimata a livello mondiale, per la sua capacità negoziale, dove determinazione e cordialità vanno di pari passo. In questo caso, soprattutto a livello internazionale, l’Italia agisce anche all’interno del contesto dell’Unione Europea. Quali sono le iniziative, le prospettive diplomatiche che l’Europa può svolgere? Evidentemente per il focolaio drammaticissimo in mezzo all’Europa e poi anche forse per i conflitti già in atto in Medio Oriente e altri che si affacciano e che bisogna cercare con tutte le forze di evitare.

Tajani. Ma intanto l’Europa ha un ruolo che dovrebbe svolgere, cioè quello di essere una voce unica per portare un messaggio di pace, perché d’altronde l’Unione Europea è nata per impedire che si ripetesse quello che è successo con la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Quindi nel DNA dell’Unione Europea c’è la pace. De Gasperi, Schumann e Adenauer a questo pensavano. E questo bisogna continuare, non è che ci dobbiamo dimenticare le nostre radici. Però l’Europa spesso è troppo debole, perché non ha strumenti abbastanza efficaci, non ha neanche strumenti militari. Poi dico una cosa a Monsignor  Paglia, assumendo una responsabilità maggiore di quella che lui dà alla politica. L’Europa dovrebbe essere in grado di dare dei segnali e di condizionare alcune scelte, soprattutto nell’area del Mediterraneo, soprattutto nelle aree più a noi vicine da un punto di vista geografico. Purtroppo l’Europa ancora non è uno Stato federale, l’Europa è un insieme di Stati che spesso continuano a voler agire per conto proprio senza cercare di mettere a sistema le loro forze, le loro potenzialità. Per questo è politicamente debole l’Europa. Bisogna fare un salto di qualità. Io non so se ci riusciamo. Quando io dico che bisogna passare dal voto all’unanimità, al voto a maggioranza, lo dico perché se si devono fare delle scelte politiche coraggiose bisogna che le scelte vengano fatte senza che uno blocchi la volontà di tutti. Quando dico che il Parlamento Europeo deve avere potere legislativo, dico che deve essere anche un’Europa più democratica, quindi con un coinvolgimento di tutti i popoli europei. Quando dico che la Banca Centrale Europea non deve preoccuparsi, questo lo fa in base al trattato, soltanto dell’inflazione, ma dovrebbe preoccuparsi di usare la moneta anche per la crescita, dico che serve un’Europa diversa. Tutto questo, insieme a tante altre cose, a volte mi fa passare per quasi un pericoloso anti-italiano. Io, tanto perché si sappia, sono figlio di un ufficiale dell’esercito, sono cresciuto in caserma. La prima cosa che mi hanno insegnato è stata disegnare la bandiera tricolore, quindi tutto sono tranne che anti-italiano. Però devo anche capire qual è il modo migliore, se sono un patriota italiano, per tutelare l’interesse della mia patria. La mia patria non è soltanto la bandiera, siete voi, 60 milioni di italiani. Il modo migliore per essere patriota è quello di essere parte di un disegno più ampio. Ma che è anche la cosa più naturale, perché è la nostra civiltà, la nostra identità, è un’identità europea. Poi d’altronde, visto che il padre della lingua italiana si chiama Dante Alighieri, il primo europeista della nostra storia letteraria è stato proprio Dante Alighieri. Io ricordo un dibattito che feci a Ravenna con l’attuale presidente dell’ABI, Patuelli, visto che a Ravenna è nato, in occasione di alcune celebrazioni dantesche proprio su Dante, europeista. Quindi, però, se noi non facciamo questo passo in avanti, siamo sempre lì tentennanti, come dire: se io scelgo l’Europa, straccio la bandiera; se io dico di essere europeista, sono contro l’Italia. Non è vero nulla, è l’esatto contrario. Se io sono europeista, sono un patriota italiano, perché l’Italia è Europa. Quando dico “Ah, decide l’Europa”, ci siamo pure noi. Siamo noi che dobbiamo decidere di contare di più. E anche l’Europa ha bisogno di noi, della nostra civiltà, della nostra identità, della nostra cultura, del nostro saper fare, della nostra ricerca, delle nostre università, delle nostre imprese, 4 milioni di piccole e medie imprese. Però, se non si fa questo salto di qualità, non possiamo dire che l’Europa non incide. Non incide perché magari incide l’Italia, perché non so, con la Gran Bretagna, la Germania, la Francia, a cercare di fare la pace in Medio Oriente. Oppure perché vado in Svizzera con il Ministro degli Esteri a preparare o a cercare di spingere perché ci possa essere un’altra conferenza di pace per l’Ucraina. Ma immaginate se invece degli italiani ci andasse un’Europa, non che sia soltanto formalmente unita, ma un’Europa politicamente forte, dove l’Italia deve avere il suo spazio, non significa rinunciare. Io non sono per il leviatano, il super Stato, figuriamoci. Io sono, come posso dire, convintamente favorevole al principio di sussidiarietà. Figuriamoci se io penso al super Stato, cioè non penso a una nuova Unione Sovietica. Penso a quella che è la nostra identità, la nostra civiltà, quella che è la bandiera europea, perché, diciamolo tante volte, sono le dodici stelle che sono le dodici tribù di Israele che cingono il capo della Vergine. La bandiera azzurra perché è il manto della Vergine, ripetiamolo sempre, perché altrimenti sembra che l’Europa sia la negazione, siano solo i burocrati. L’Europa è la nostra identità. Che poi ci siano delle deviazioni, questa è vera burocrazia, assolutamente. Ho dedicato 30 anni della mia vita a quello, però non può essere quello e non deve essere quello. Deve esserci un’Europa politica, dove noi dobbiamo dare il nostro contributo. Essere autorevoli significa fare quello che fanno gli Stati Uniti, fare quello che fa la Cina, sennò saremo tanti staterelli che, ognuno con tutto il rispetto che si può avere per l’identità nazionale, non riusciranno a incidere nello scenario globale, perché il mondo è cambiato. Io ritorno sempre sullo jus scholaei, ma perché dico che bisogna andare avanti? Non perché sono un pericoloso lassista che vuole aprire le frontiere a cani e porci, ma perché la realtà italiana è questa e noi dobbiamo pensare a cosa sono gli italiani oggi. E allora bisogna sempre guardare in avanti e essere realisti. Faccio una breve correzione a quello che ha detto Monsignor Paglia. Quando lui dice “voglio più politica e meno guerra”, ahimè, ahimè, la colpa della guerra è sempre della politica. Perché, aveva ragione von Clausewitz, il massimo studioso della guerra, anche da un punto di vista filosofico, perché era vissuto nell’epoca dei grandi filosofi tedeschi. La guerra è la continuazione della politica. Se tu non riesci a piegare uno con la politica, cerchi di farlo con la forza. Ecco, allora bisogna forse avere una politica più forte, più autorevole.

Paglia. Io non dico che la politica non debba essere forte. Voglio più Europa e meno armi. E’ questa è la sfida che noi dobbiamo raccogliere.

Tajani. Io sono d’accordo, ma è la politica che fa le scelte. La politica italiana, mondiale, deve avere il coraggio di usare lo strumento militare che è serio, perché sennò viviamo nel mondo dei sogni, ma pensiamo, uno strumento militare positivo italiano che lei conosce molto bene. I militari italiani che stanno tra kosovari e serbi sono amati sia dai kosovari che dai serbi, e sono quelli che impediscono a volte, si prendono sassate, insulti anche da varie parti, pure qualche colpo di fucile, ma sono quelli che garantiscono la pace e la stabilità. Amati sia dai kosovari che dai serbi. Lo stesso succede con i nostri soldati che stanno in Libano, tra Hezbollah e Israele. Sono amati da entrambi, hanno mandato via tutti i militari occidentali che erano presenti in Niger, ma i soldati italiani sono rimasti. Quindi vuol dire che la politica deve usare lo strumento militare per portare la pace. Io mi sto facendo un’assunzione di responsabilità politica. Cioè, è la politica che è la massima responsabile se poi si usano le armi e si fa la guerra. Dobbiamo noi recitare il mea culpa, se non si è stati troppo buoni quasi.

Paglia. Hai ragione, hai ragione. Sentivo il Ministro parlare in questo modo dell’Europa, e lui in Europa c’è stato. Queste parole che il Ministro diceva prima sull’importanza di un’Europa che sia coesa, è il problema che noi abbiamo oggi. Perché purtroppo quella politica di cui parlavi è la politica con la lettera maiuscola. Solo che è successo, che ormai la politica si fa solo con la lettera minuscola, ogni Stato fa per conto suo. Questo è il problema. Allora io immagino, immagino allora, ad esempio lasciatemi sognare un minuto, una sorta di Camaldoli europea. Quello che avvenne quando l’Italia si trovava negli anni ’40, nella prima metà degli anni ’40, a dover pensare alla ricostruzione del Paese, quando tutte le forze politiche – cattolici, comunisti, socialisti, azione, eccetera – si ritrovarono insieme per scrivere un testo comune, la Costituzione, non per i cattolici o per i comunisti, per gli italiani. Questa è la debolezza che io vedo oggi nella politica italiana ed europea. Perché se non c’è un’Europa, come il Ministro lo sottolineava, è difficile che quell’umanesimo profondo che noi abbiamo possa innervare la politica internazionale. Abbiamo una ricchezza enorme che dovremmo tradurre in politica internazionale. E questo è uno dei temi, ne parlavamo prima a tavola, 2000 anni fa, un signore che si chiamava Paolo, che era stato condannato nell’attuale Turchia, disse lì, “Civis Romanus sum”, e lì si dovettero fermare e dovettero venire a Roma. Oggi lo immaginate nella Turchia di Erdogan, dove ieri o l’altro ieri hanno trasformato ancora una chiesa bizantina in moschea? Vedete quale distanza di umanesimo. Ecco, questa è l’Europa che noi dobbiamo segnare.

Tajani. Scusa Vincenzo, però il problema è che questa Europa deve anche avere un’anima. Deve anche avere delle guide politiche, perché se la guida è la burocrazia, abbiamo sbagliato tutto. No, no, ma io sono d’accordo con te. Sto dicendo, però, come curare questi mali. Cioè, se noi, diciamo, si cerca sempre di mandare in Europa i politici che hanno meno leadership per l’Italia. Per tanti anni è stato il cimitero degli elefanti, il Parlamento Europeo. Da qualche anno è un po’ cambiato, ma non deve essere così. Anche l’anima. Quando due grandi Papi, Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, hanno combattuto per dare un’anima all’Europa… Ma avere un’anima non significa essere contro qualcun altro. Anzi, più è forte la tua anima, più sei disposto ad aprirti. È questo che non si riesce a capire. Io sono, ripeto, facciamo pure quello che sta succedendo in questi giorni. Se la prendono tanto con me, alcuni, perché sono favorevole allo jus scholaei. Non sono né un pericoloso sovversivo, né un estremista di sinistra. Insomma, lo sanno tutti come la penso. Ma dico che bisogna guardare alla realtà per quella che è. Ma io insisto sulla formazione, sull’identità, sulla cultura, perché se tu accetti di essere europeo nella sostanza, sei italiano ed europeo non perché hai la pelle bianca, gialla, rossa o verde, ma perché dentro di te hai quelle convinzioni. Perché dentro di te vivi quei valori, dentro di te hai quell’anima europea. Se poi i tuoi genitori sono nati a Kiev, sono nati a La Paz o sono nati a Dakar, è la stessa identica cosa. L’importante è che… Io ho un nome di origine araba, Tajani è Tisciani. La Tisciania è una corrente sufi, spiritualista dell’Islam, e qualcuno che è venuto dal Nord Africa si è trapiantato in Italia e mi ha lasciato il cognome. Sono cristiano, apostolico romano, non sono musulmano, però la Tisciania è, andate a vedere, una importante corrente del pensiero islamico, molto spiritualista. Ma siamo tutti così, perché non ci sono le comunità arbëreshë? Sono albanesi ma sono cittadini italiani, calabresi purosangue, ma hanno legami con l’Albania. Quanti cognomi spagnoli ci sono nella città di Napoli, diciamo nella nostra provincia di Frosinone? C’è tanta gente che ha i capelli rossi. Chi sono? Gli eredi di quelli che hanno invaso e hanno scorrazzato per quella parte del Lazio. Il mondo è fatto così. Essere italiano, essere europeo, essere patriota non è legato a sette generazioni prima, è essere quello che sei tu. Io preferisco uno che ha genitori stranieri che canta l’inno di Mameli e uno che è italiano da sette generazioni e non canta l’inno di Mameli. Chi è più patriota dei due? Quello di colore che canta l’inno di Mameli e si sente italiano oppure quello che non canta l’inno di Mameli perché non si sente italiano?

Paglia. Ovviamente io sono totalmente d’accordo.

Tajani. E poi, visto che siamo al Meeting, per fare un po’ di adulazione al Meeting, visto che siamo nella casa della sussidiarietà, e dobbiamo parlare del sostanziale, l’Europa deve diventare la madre della sussidiarietà, cioè deve fare le cose delle quali non si possono occupare né i comuni, né le province, né le regioni, né gli Stati. Deve occuparsi delle grandi cose, dare risposte ai cittadini, quindi non con una visione burocratica, ma politica, come diceva Vincenzo Paglia. Questa è l’Europa vera della sussidiarietà, forte politicamente, non invasiva con 500 mila norme che a volte non servono, che si sommano alle norme burocratiche dello Stato, della Regione, tutte le nostre prassi che affardellano l’economia. L’Europa deve essere questa grande risorsa, e dobbiamo fare anche una sorta di rivoluzione europea. Nell’ultima fase del percorso, gli americani ci hanno messo 100 anni per arrivare all’unità nazionale, hanno fatto pure una guerra civile, quindi non è che ci hanno messo poco tempo. E noi per fare l’Europa, dove si parlano tante lingue diverse – gli americani ne parlano una, adesso pure due, perché lo spagnolo sta scavalcando l’inglese – è più complicato. Un tempo, Santa Romana Chiesa faceva studiare il latino a tutti e si parlava latino. Adesso si zoppica con l’inglese, però ancora non è che tutti lo sanno. Questo è importante: l’Europa della sussidiarietà, cioè un’Europa che non deve prendere il posto degli Stati, ma deve essere una grande guida politica che armonizzi il lavoro degli Stati e dia unità di intenti, unità di progetto, basata sempre su quei valori, perché se non ci stanno i valori, tutto questo non serve assolutamente a niente. Siamo anche l’unico continente al mondo dove non c’è la pena di morte, ricordiamocelo.

Scholz. Io penso che in questo dialogo con e fra Monsignor Paglia e il Ministro Tajani si siano chiarite tante questioni, e sono emersi anche quali sono i punti focali sui quali lavorare: l’educazione, l’accoglienza per chi viene qui da altri paesi, un tema centrale di questo Meeting. La configurazione dell’Europa, dell’Unione Europea: avremo fra pochi giorni qui i nuovi parlamentari di diversi schieramenti del Parlamento Europeo che parleranno esattamente di questo, di come il Parlamento potrà contribuire al desiderio che è stato espresso con il vostro applauso dal Ministro Tajani, affinché l’Europa possa trovare il suo ruolo all’interno del contesto internazionale, anche a favore della costruzione della pace. Vorrei invitare ognuno di voi a dare un contributo per quanto riguarda la Terra Santa, perché abbiamo deciso ieri, come Fondazione Meeting, che devolveremo, dopo il grande incontro con il Cardinale Pizzaballa all’inaugurazione di questo Meeting, una parte del “dona ora” che fate al sostegno del Meeting alla Terra Santa, cioè al Cardinale Pizzaballa, perché lui possa usarlo al meglio. Permettetemi ancora un’osservazione: vediamo che le nostre società in generale rischiano di diventare sempre più frammentate, e c’è anche un aumento di conflittualità all’interno delle società civili occidentali. Sappiamo quanto la democrazia stessa sia diventata vulnerabile non solo in America, ma anche in alcuni paesi del nostro continente. Io penso che la vostra presenza al Meeting e la modalità con cui dialoghiamo, parliamo, affrontiamo i problemi e li rendiamo trasparenti sia un esempio di come una società si possa muovere all’insegna del dialogo e della pace in questo senso, e questa è una testimonianza importante per l’Europa stessa di come è possibile vivere creativamente, responsabilmente, liberamente in questo continente secondo la sua tradizione. Di questo vi ringrazio. Grazie signor Ministro, grazie Monsignore, a voi buon Meeting.

 

 

Data

22 Agosto 2024

Ora

15:00

Edizione

2024

Luogo

Sala Neri Generali-Cattolica
Categoria
Incontri

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