Chi siamo
PARLAMENTARISMO E DEMOCRAZIA: UN DIALOGO TRA ESPERIENZE DI DIVERSI PAESI EUROPEI
Asunción de la Iglesia Chamarro, titolare cattedra di Diritto costituzionale, Università di Navarra; Miguel Maduro, Dean and VdA Chair in Digital Governance holder at Católica Global School of Law, Università cattolica portoghese; Francesco Palermo, professore di Diritto comparato, Università di Verona. Introduce Lorenza Violini professoressa di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Milano
L’incontro mira a mettere in luce i problemi che incontrano le democrazie avanzate sul piano della rappresentanza parlamentare (che perde peso a scapito dei governi) anche avendo in mente le recenti proposte di introdurre in Italia una nuova forma di governo che mira a far eleggere il Primo Ministro direttamente dal popolo. Una riflessione utile a capire le dinamiche delle varie forme di governo (compresa quella europea) e le prospettive di miglioramento.
PARLAMENTARISMO E DEMOCRAZIA: UN DIALOGO TRA ESPERIENZE DI DIVERSI PAESI EUROPEI
PARLAMENTARISMO E DEMOCRAZIA: UN DIALOGO TRA ESPERIENZE DI DIVERSI PAESI EUROPEI
Sabato 24 agosto 2024 ore 19:00
Arena Internazionale C3
Partecipano:
Asunción de la Iglesia Chamarro, titolare della cattedra di Diritto costituzionale, Università di Navarra; Miguel Maduro, Dean and VdA Chair in Digital Governance holder at Católica Global School of Law, Università cattolica portoghese; Francesco Palermo, professore di Diritto comparato, Università di Verona.
Introduce:
Lorenza Violini, professoressa di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Milano.
Violini. Buonasera a tutti, grazie di essere qui. Io sono Lorenza Violini e coordinerò questo nostro dialogo, che ha come tema parlamentarismo e democrazia, un dialogo tra esperienze di diversi paesi europei. Presento subito i nostri ospiti: Assunzione della Iglesia Chamarro, professoressa di diritto costituzionale all’Università della Navarra; Miguel Maduro, Dean and VDA Chair in Digital Governance Holder alla Católica Global School of Law, Università Católica Portoghese; Francesco Palermo, professore di diritto pubblico comparato, Università di Verona.
Sappiamo tutti che ci sono situazioni di grave crisi nell’ambito delle nostre istituzioni, soprattutto per quanto riguarda il sistema parlamentare, a causa di una notevole preponderanza del governo. I governi sono sempre più i veri decisori rispetto ai parlamenti ed è di questo che vogliamo parlare, dei rimedi e della forma di governo in quanto tale. L’Italia, diceva il giudice della Corte costituzionale Barbera, è dal 1983 che cerca di cambiare la seconda parte della Costituzione e finora non ci è mai riuscita. Adesso il terreno delle riforme sembra riaperto, ed il senso di questo nostro incontro è essenzialmente quello di capire quel che sta succedendo. Vogliamo sfatare il mito della politica gridata e della politica che ti chiede se sei a favore o contro, perché questo è un impoverimento della democrazia. La democrazia è il luogo del dialogo, della costruzione, della trasparenza e soprattutto della competenza. Non voglio andare oltre con questa breve introduzione; mi piacerebbe invece iniziare a mettere a fuoco con i nostri ospiti il primo di questi temi di cui vi ho accennato, cioè la crisi del Parlamento. Cosa succede, a questo proposito, in Spagna, in altri Paesi, in Europa, e anche in Italia? La parola alla professoressa Chamarro.
Chamarro. Buonasera e grazie per l’invito a partecipare a questo evento del Meeting di Rimini che mi ha affascinato veramente. Il Parlamento, come ben sapete, è il luogo della parola. E, come ha sottolineato la professoressa Violini, oggi si grida più che parlare, perché la caratteristica è la frammentazione, la polarizzazione. Vorrei dire che in questo momento anche noi in Spagna abbiamo un problema con il Parlamento. Come sapete, si parla da tempo della crisi del Parlamento, che ha un ruolo centrale nella democrazia e non si può parlare di democrazia senza Parlamento. È possibile una democrazia senza Parlamento? No, ma non è possibile continuare con questo pseudo-parlamentarismo degradato ed eroso che dobbiamo migliorare. Penso anche che la divisione dei poteri, formulata con la nascita del costituzionalismo, sia cambiata e oggi ci sono diversi sistemi di divisione dei poteri, non solo come è stato concepito dal costituzionalismo. Ma serve sempre un organo di rappresentanza, in cui siano presenti il pluralismo politico e le diverse visioni della società e dei problemi. Questo è il ruolo principale del Parlamento, che conferisce ai deputati un mandato rappresentativo tramite il sistema elettorale. Abbiamo, però, un degrado della dignità istituzionale sia per la polarizzazione sia perché i partiti politici non candidano i più capaci; ma forse ci sono tanti altri fattori che concorrono a questo effetto. In Spagna, per esempio, abbiamo un grosso problema: come in Italia, abbiamo un bicameralismo, ma è un bicameralismo asimmetrico, imperfetto. Sappiamo da tempo che il Senato, concepito come una camera di rappresentanza territoriale, non funziona. Lo sappiamo, ma cosa succede in Spagna a questo riguardo? Siamo in attesa di una riforma costituzionale, che però non è possibile perché dipende dal disegno territoriale; i politici e i partiti, in primo luogo, calcolano sempre cosa perdono con la riforma, quanti posti verrebbero meno con la riforma. Allora non è possibile riformare il Parlamento per due ragioni: perché si dice sempre: «Se apriamo la via della riforma costituzionale, abbiamo un po’ di paura». In Spagna abbiamo paura della riforma costituzionale perché nel 1978 abbiamo avuto un consenso “magico” che non è mai esistito. Ma se apriamo la via alla riforma, cosa può succedere in questo tempo di divisione? È un problema e quindi non si apre, si calcola ma non si apre, si parla ma non si apre. Il Parlamento, oggi, è più circense e delirante che istituzionale e deliberativo, come invece dovrebbe essere. E anche in Spagna ci sono allusioni all’antica Roma: il Senato e il circo. Il Parlamento assomiglia più al circo che al Senato. Al Senato si deliberava, al circo si facevano spettacoli. Oggi la somiglianza è evidente. Anche da noi, le formule per il giuramento, per ottenere lo status parlamentare sono spesso formule alquanto antisistema. È possibile? La Corte costituzionale ha detto che è possibile, che è una libertà di espressione. Quindi, non c’è deliberazione; sono monologhi incrociati, spesso in termini imbarazzanti. E questo non è positivo neanche per la società che assiste a questi monologhi. C’è anche un deterioramento dell’istituzione parlamentare e delle procedure. A gennaio del 2024, una parte del corpo dei tecnici in giurisprudenza del Parlamento, quelli che consigliano i deputati, si è dimessa perché i parlamentari non rispettavano i regolamenti. La Corte costituzionale è oggi fortemente politicizzata e questo è un problema perché non mette un limite a certe mancanze. Anche in Italia avete messo nella Costituzione il decreto legge. Bene, il decreto legge si usa o si abusa. L’ultima versione è il decreto omnibus, un decreto legge dove possono essere incluse molte disposizioni. Anche la potestà di emendamento si usa, spesso, non per migliorare la legge, ma per altri scopi. La Corte costituzionale ha detto che questo non è positivo, ma è il Parlamento che decide. Devo dire che il momento attuale del Parlamento è scandaloso. È un momento in cui dobbiamo riflettere. Non si tratta solo di dire: “Questo non funziona mai” o “Questo non funziona bene”. Cosa possiamo chiedere oggi al Parlamento nel XXI secolo? Forse i processi decisionali devono cambiare. Bisogna adattare il sistema di decisione democratico. Ma cosa possiamo conservare e potenziare dei parlamenti? Perché senza Parlamento non c’è democrazia. E se il Parlamento non funziona, anche se esiste, non c’è democrazia.
Violini. Ci hai raccontato delle cose che fanno un po’ paura anche a noi, che già siamo abituati a delle degenerazioni della procedura parlamentare abbastanza gravi. Effettivamente quello che ci hai detto è molto preoccupante. Professor Maduro, ci dica qualcosa sulla crisi del parlamentarismo e anche della democrazia, perché sono due concetti connessi.
Maduro. Voglio innanzitutto ringraziare per questo invito al Meeting, è la quinta o la sesta volta che vengo. È sempre un piacere essere qui e vorrei ringraziare per questa opportunità di discutere con voi questo tema molto interessante.
Per rispondere alla domanda, vorrei mettere a fuoco due argomenti. Per prima cosa, bisogna identificare le cause della perdita di rilevanza dei parlamenti, la loro perdita di potere. In secondo luogo, dobbiamo mettere questo in rapporto con una sfida molto più ampia che la democrazia affronta oggi. Quali sono le cause che possono spiegare questa perdita di rilevanza dei parlamenti nella democrazia? Io vedo quattro ragioni principali. La prima è il rafforzamento del potere esecutivo in rapporto con il Parlamento. Questo rafforzamento del potere esecutivo è stato progressivo ma viene da lontano. È cominciato con lo sviluppo di quello che si chiama lo stato regolatore, l’espansione, cioè, delle competenze dello stato in aree che non possono essere oggetto di regolazione parlamentare, fenomeno che ha portato alla crescita di una macchina amministrativa molto forte, controllata dal potere esecutivo. Questa crescita dei poteri dello stato, quello che chiamiamo stato amministrativo, o stato regolatore, ha configurato una crescita del potere esecutivo rispetto a quello parlamentare. La seconda ragione di questo rafforzamento del potere esecutivo ha a che vedere con la crescente interdipendenza internazionale, quella che alcuni chiamano globalizzazione e che, nel nostro contesto continentale, è il processo di integrazione europea. Questa interdipendenza internazionale, e lo dico da europeista convinto, è molto positiva, è stata estremamente positiva, in particolare in Europa. Ci ha dato un livello di vita, una qualità di vita che non potevamo avere in altro modo. Ma ha avuto delle conseguenze importanti anche all’interno del sistema politico dei suoi Stati membri e nel rapporto esecutivo-parlamento. Perché? Perché, per ragioni facili da comprendere, normalmente è il potere esecutivo e non i parlamenti a controllare e guidare la politica internazionale, la partecipazione degli Stati nelle organizzazioni internazionali o nell’Unione europea. Capite bene, infatti, che non è possibile, per arrivare a un accordo internazionale o a una legislazione europea, svolgere un negoziato con la partecipazione di tutti i parlamenti nazionali. Questo spiega perché tradizionalmente la competenza in ambito internazionale, è del potere esecutivo, non del Parlamento. La crescita delle competenze dell’esecutivo in ambito internazionale ha comportato un trasferimento di potere dai parlamenti ai governi. Se una determinata legislazione a livello nazionale è di competenza del Parlamento, la stessa legislazione a livello europeo fa capo ai governi nazionali. Questo è un altro fattore che ha contribuito al rafforzamento del potere esecutivo. E questo rafforzamento è la prima causa della perdita di rilevanza dei parlamenti e, come ho detto, non è un fenomeno recente.
La seconda causa, a mio avviso, è il cambiamento che è avvenuto nella natura dei partiti politici e del discorso politico. La professionalizzazione della politica e il cambiamento del profilo della classe politica, di come vengono scelti i politici, hanno modificato la natura della politica, e cambiato anche il ruolo dei parlamenti, la natura e il profilo dei parlamentari e, in molti aspetti, hanno ridotto la partecipazione all’interno dei partiti. Questo ha fatto sì che una parte importante dei cittadini non si senta più rappresentata dai partiti. Alcuni studi però dicono che le cose non stanno esattamente così. È vero che in molti Paesi c’è stata una riduzione della partecipazione elettorale ma, contemporaneamente, si è registrata una maggiore adesione a movimenti politici alternativi, inorganici, senza rapporto con partiti politici tradizionali né con organizzazioni civiche o sindacati o altre realtà del genere. Questo cambiamento nel rapporto tra cittadini e partiti ha spostato anche il centro dell’interesse all’esterno del Parlamento. Questa è la seconda causa.
La terza causa, a cui ho già accennato e che ha un effetto un po’ paradossale, è questa crescente frammentazione e polarizzazione della politica. Questa frammentazione politica è anche in parte conseguenza del fatto che la gente non si sente più rappresentata dai partiti politici tradizionali e allora si identifica con altri partiti politici. Assistiamo così ad un rinnovamento dei partiti politici, come quello che c’è stato di recente in Europa. Questa frammentazione politica, che ha reso meno facile la costituzione di maggioranze parlamentari, ha un aspetto paradossale. Ci saremmo aspettati, come conseguenza, una maggiore importanza del ruolo del Parlamento. Invece, e qui sta il paradosso, questa frammentazione e polarizzazione rendono molto più difficile per il Parlamento esercitare il suo ruolo principale, quello cioè di conciliare le differenze politiche dei cittadini. È sempre più difficile, nella democrazia in generale e nei parlamenti in particolare, questa riconciliazione, perché, come è stato detto, nel Parlamento non si discute più ma si grida, si parla non per arrivare a un accordo ma per avere un effetto pubblico fuori dal Parlamento. I parlamenti sono diventati centri scenici, teatrali e non svolgono più altre funzioni al di fuori di questa.
La quarta causa è un un cambiamento negli spazi e negli attori, di quello che chiamo il processo editoriale della democrazia. Quali sono gli argomenti di cui noi ci interessiamo da un punto di vista politico? Dipende dalla loro rilevanza pubblica. Una volta erano i temi con i quali si aprivano i telegiornali e di cui discutevamo in famiglia o con gli amici. Oggi questi processi editoriali non sono più i partiti, questi intermediari della democrazia, non sono più i partiti, non sono più i sindacati, non sono più i media tradizionali, i giornali tradizionali, questi processi sono cambiati. Anche questo ha reso meno importante il Parlamento e ha dato più rilevanza ad altri spazi pubblici, dove la discussione politica ha più visibilità rispetto a quello che si svolge nel Parlamento che diventa un sottoprodotto di ciò che si discute nelle reti sociali.
E questo mi porta all’ultimo punto, che è legato a un cambiamento molto più fondamentale che sta avvenendo nella democrazia e che spiega in parte perché i cittadini si sentono sempre meno rappresentati dalle loro istituzioni politiche, dai loro attori politici, un fenomeno che ha un grande impatto sulla democrazia. Noi sappiamo che ci sono diversi indici, ranking internazionali sulla democrazia, molto controversi, ma sappiamo almeno una cosa. Sappiamo, cioè, che il grado di soddisfazione della gente, nei confronti dei sistemi democratici nazionali, sta scendendo in modo generalizzato. Se si chiede alla gente quale sia il regime politico che preferisce, la risposta è: “la democrazia”; allo stesso tempo, però, è sempre meno soddisfatta della democrazia stessa. A mio avviso, questo ha molto a che fare con ciò che chiamo una trasformazione nel tempo, nello spazio e nei modi della politica. E questa trasformazione, che non ho il tempo di discutere nel dettaglio, ha un impatto su tre presupposti fondamentali della democrazia. La democrazia non è solo il diritto di voto. Il diritto di voto ha come punto di partenza l’idea che ciascuno di noi ha una uguale dignità politica e deve avere voce in capitolo nel processo di decisione collettiva. Ma questo ha certi presupposti, presupposti cognitivi, come l’idea che se noi esprimiamo un’opinione, la presunzione è che questa opinione esprima ciò che vogliamo veramente. Questo presuppone che noi abbiamo una capacità di percezione della realtà. Ma le modalità in cui formiamo le nostre preferenze politiche stanno cambiando. Le reti dei social, la differenza tra lo spazio politico nazionale e l’interdipendenza fra i vari Paesi impatta molto le modalità attraverso cui si formano le nostre preferenze politiche di cui spesso non siamo neanche consapevoli. A questo riguardo, Umberto Eco portava come esempio Funes, il personaggio di un racconto di Jorge Luis Borges, che aveva una memoria infinita, che conosceva tutto ma che non riusciva a trasformare questa memoria in conoscenza, e non era in grado di articolare una posizione su nulla. Questo è un po’ quello che ci succede oggi con Internet. Abbiamo accesso a tutto ma confondiamo questo con la conoscenza. Lo stesso vale per la dimensione di come definiamo ciò che è vero o falso, o anche con la terza dimensione, quella deliberativa: come comunichiamo tra di noi nel processo democratico. In un mondo sempre più polarizzato, radicalizzato, diventa molto difficile deliberare insieme, arrivare a un accordo.
Violini. Grazie a Miguel Maduro perché ci ha detto delle cose molto importanti, ma soprattutto ci ha detto che le istituzioni funzionano così come sono, tendenzialmente non benissimo, ma hanno comunque un sostrato importantissimo di parola, di pensiero, di comunicazione, di capacità di identificare anche le proprie preferenze, perché le preferenze non sono più stabili, gli interessi molte volte sono instabili e quindi trasferirle poi in sede di rappresentanza diventa problematico. Francesco Palermo, a lei la parola per concludere questo primo giro.
Palermo. Grazie per l’invito agli organizzatori un grazie anche ai colleghi per avermi risparmiato parte del lavoro nell’analisi della crisi dei parlamenti. Aggiungo un paio di riflessioni e magari anche qualche possibile annotazione su come uscirne. Uno degli ulteriori motivi della crisi del parlamentarismo è dato dal fatto che i parlamenti, come li conosciamo oggi, sono macchine costruite nell’Ottocento e concepite per le funzioni che dovevano svolgere allora, che erano essenzialmente quella di rappresentare il ruolo del compromesso tra l’aristocrazia e la borghesia. Questo dovevano fare e questo facevano molto bene, in un contesto in cui votava, nell’Europa continentale, qualcosa come l’1,5% e il 2% della popolazione. Il cambiamento che hanno avuto si è realizzato attraverso i partiti di massa. Il compromesso, che una volta era semplicemente tra due classi sociali, si è allargato ai partiti che hanno assorbito questa funzione compromissoria e questo ha consentito ai parlamenti di andare avanti e di funzionare come luoghi della decisione del compromesso, rispetto a tematiche che venivano da fuori, per un periodo abbastanza lungo. Quando sono entrati in crisi i partiti di massa, e in Italia più che in altri Paesi, ma in realtà la tendenza in modo più o meno rapido, più o meno drammatico, la stiamo vedendo ovunque, sono inevitabilmente entrate in crisi anche le macchine, perché, semplicemente, da questo punto di vista, il Parlamento è una macchina vecchia e la crisi è direttamente proporzionale alla sparizione degli attori, di coloro, cioè, che devono far funzionare questa macchina. Da questo punto di vista, è difficile tornare indietro e forse è anche poco utile perché non torneremo mai più a quella situazione che avevamo in precedenza. Ci può piacere, ci può dispiacere, ma probabilmente come tecnici di queste materie dovremmo cercare di guardare alle soluzioni piuttosto che rimpiangere i bei o brutti tempi passati. Vi faccio un esempio banalissimo. Esiste in Italia un istituto che è favoloso, che esiste veramente soltanto in Italia ed è intraducibile in qualsiasi altra lingua, ma forse l’avrete sentito nominare: è il mitico decreto mille proroghe. Il mitico decreto mille proroghe è un decreto che viene presentato annualmente dal Governo e che serve sostanzialmente a spostare i termini delle varie leggi. La legge dice che entro una certa data si deve fare una certa cosa? Ovviamente non si riesce a rispettare il termine e allora si modifica la legge cambiando la data, dicendo non più il 30 giugno ma il 31 dicembre. È una cosa illeggibile sostanzialmente. Ci vogliono molti lavori di ricostruzione del lavoro parlamentare per capire di che cosa si sta parlando. Bene, arriva il decreto mille proroghe, inizia il mail bombing, lo spamming a tutti i parlamentari dicendo “guardate che se approvate questo provvedimento si fa qualche cosa di molto negativo” e uno non riesce a rendersi conto. Un esempio concreto che vi faccio è di qualche anno fa, quando un decreto mille proroghe prorogò i termini per la distinzione, nei caseifici, della produzione dei formaggi duri da quella molli. Ora, qualcuno può essere un esperto della materia, ma chi è che in Parlamento sa la differenza nella produzione tra i formaggi duri e i formaggi molli? Lo si può pretendere da un parlamentare? probabilmente no. Arriva il mail bombing che ti dice che se approvi questa cosa fai un favore alla camorra. Ti scrivono che i proprietari dei caseifici campani non hanno i soldi per fare questa separazione e così vendono le loro aziende. La camorra le rileva e controlla l’economia casearia.
E tu cosa ne sai? Devi votare “sì” o “no” a questo decreto e sei completamente perso. Una volta, i partiti avevano le persone esperte dei vari problemi e quindi ci si poteva fidare del compagno di partito che ti sapeva dire, in buona fede: “devi votare a favore oppure devi votare contro” perché era uno che aveva fatto un lungo percorso parlamentare, aveva studiato le materie e sapeva di cosa si parlasse. Oggi, con la deprofessionalizzazione della politica, inevitabilmente si creano anche problemi di questo tipo e il nostro povero parlamentare scoprirà magari dopo vent’anni se, del tutto involontariamente, ha fatto un favore alla camorra o no.
Un altro problema è quello che vorrebbe raffigurare nel Parlamento la molteplicità della società. Anche questo è un fenomeno tipicamente italiano: abbiamo creato un Parlamento inizialmente grande perché l’idea era che tutta la pluralità della società dovesse passare attraverso la rappresentanza parlamentare. Ma questo oggi non sarebbe possibile nemmeno avendo un Parlamento di diecimila persone. Allora il tema è cercare di modificare il tipo di rappresentanza che c’è in Parlamento. Adesso abbiamo una rappresentanza solamente politica, si potrebbe pensare di passare a una diversificazione delle funzioni, così come si fa in economia, dove nessuno mette tutti i soldi in una cosa soltanto; allo stesso modo, in politica, potremmo differenziare anche la rappresentanza parlamentare. Per esempio, si parla spesso di rappresentanza dei territori. Ne parlavamo anche con riferimento al caso spagnolo, ma non funziona. L’unica camera, la seconda camera territoriale, che funziona come tale, non è una seconda camera, è il Bundesrat in Germania, che non è una camera e non funziona come tale, non è democratica, non è eletta, viaggia su istruzioni dei governi delle regioni e quindi non è una camera. Si potrebbe pensare di dare a una seconda camera delle funzioni diverse. Quando il Parlamento fa una legge, poi la perde completamente di vista e qui abbiamo la soverchiante preponderanza dei governi. I governi hanno gli apparati tecnici che scrivono le leggi, le fanno approvare dalla propria maggioranza parlamentare, spesso senza nemmeno sapere cosa si approva, se i formaggi duri e molli fanno il favore alla camorra o meno, e poi, approvata la legge, ci si dimentica completamente della sua attuazione, che di nuovo va nelle mani dell’amministrazione. Non c’è uno strumento di valutazione. Avrebbe molto più senso se il Parlamento si occupasse di queste cose, di valutare cosa succede dopo l’approvazione delle leggi, piuttosto che limitarsi a schiacciare un bottone, a mettere un timbro e ad approvare quello che ha deciso qualcun altro altrove. Un’altra cosa da fare sarebbero dei piccoli interventi tecnici, ad esempio sui regolamenti parlamentari, che non sono molto “sexy” e non si vendono molto bene come titoli dei giornali, ma si rivelerebbero molto importanti. Non tutti sanno, per esempio, che in Germania e in diversi altri Paesi non esiste il Gruppo misto. Il Gruppo misto è una sinecura dove vanno tutti quelli che escono dai partiti, che creano delle frammentazioni nei diversi partiti, ed hanno incentivi di varia natura e non perdono niente. Se invece manca il Gruppo misto c’è necessariamente una maggiore compattezza. I cambi di casacca dei parlamentari, che spesso si vogliono limitare con strumenti abbastanza draconiani, in verità si impedisce semplicemente così. In Germania se tu non fai parte di un gruppo sostanzialmente non hai più nessuno dei benefici dei parlamentari: non hai un ufficio, non hai l’ufficio legislativo, non hai l’ufficio stampa.
Un’altra cosa importante è la razionalizzazione dei tempi. Il professor Maduro, che è molto esperto tra le altre cose di questioni europee, potrebbe raccontarci molto bene come lavora il Parlamento europeo. Il parlamentare europeo non si trova “perso”, come spesso accade nei parlamenti nazionali, perché gli viene affidato un dossier a inizio legislatura e sostanzialmente, per cinque anni, si occupa di un tema. Quindi, anche se all’inizio non è un grande esperto, nel tempo lo diventa e può essere più efficace rispetto a uno che non sa assolutamente di che cosa parla. Noi abbiamo l’abitudine, in Italia, di parlare male del nostro Parlamento. Non sappiamo, però, che dal punto di vista quantitativo il Parlamento italiano è quello che lavora di più di tutti al mondo, sia in termini di ore impegnate, sia in termini di leggi approvate, che alla fine sono pure troppe; dovrebbe lavorare di meno e meglio. Neanche questa è una riforma particolarmente vendibile come titoli dei giornali, però certamente si potrebbe fare.
Ultimo punto, la questione della funzione del Parlamento, non come contrapposizione tra maggioranze e minoranze con tutte le conseguenze che questo comporta, ma piuttosto come luogo dell’accordo tra le diverse idee e forze politiche. Diceva Friedrich Dürrenmatt, che è un grandissimo scrittore svizzero, che vi consiglio di leggere se non l’avete fatto, che il mondo o diventa come la Svizzera o è destinato al declino. Cosa è che ha la Svizzera di particolare? Ha un sistema consociativo. Questa parola in italiano ormai è diventata una parolaccia, ma in verità obbliga tutti a mettersi d’accordo, perché non c’è una maggioranza predefinita, il governo si compone in modo proporzionale alla composizione del Parlamento e poi sui diversi provvedimenti si trova l’accordo o meno. Questo matura moltissimo le forze politiche. È un modello che cerca di guardare alle minoranze, a tutelare le voci minoritarie piuttosto che a produrre dei chiari vincitori. Bisogna tutelare i perdenti più che garantire i vincitori. I parlamenti potrebbero funzionare meglio se non fossero delle macchine per delle maggioranze che votano in blocco ma delle sedi per formulare delle coalizioni. Probabilmente, in questo modo, si potrebbero fare più cose.
Violini. Devo confessare che anch’io, se dovessi trovarmi a votare sulle forme di produzione dei formaggi molli o dei formaggi duri, avrei qualche difficoltà, tutti noi l’avremmo. L’idea della specializzazione è effettivamente un’idea molto semplice eppure non è ancora, diciamo così, passata nel nostro sistema. Le ultime considerazioni di Francesco Palermo ci portano al secondo giro di riflessioni ed è quello sulla forma di governo in rapporto al parlamento. Fino a qui, abbiamo detto, è preponderante il Governo, per mille motivi, e il Parlamento è in declino, ma noi sappiamo anche che tra Parlamento e Governo ci possono essere diversi tipi di relazione e soprattutto ci sono diversi tipi di relazione tra il popolo sovrano e il Parlamento o il Governo, sistemi parlamentari e sistemi presidenziali. Anche questi non funzionano benissimo, però ci possono essere sistemi che funzionano meglio o peggio, tanto che il nostro governo attualmente ha pensato di proporre una riforma che vedremo poi che fine farà. Ecco, vorrei che adesso focalizzassimo un po’ l’attenzione sulle forme di governo, cosa sono, come funzionano. La parola a Francesco Palermo.
Palermo. Prendiamo la forma di governo tedesca. È una forma di governo molto parlamentare che però privilegia assolutamente la stabilità. Ci sono mille sistemi e mille tecnicismi, nei quali non entrerò, che fondamentalmente garantiscono la vita del governo per la legislatura e la nascita del governo, prendendosi tutto il tempo necessario. Questo ha comportato che in Germania, fino ad oggi, ci sono stati, con quello attuale, nove cancellieri, mentre in Italia l’attuale Presidente del consiglio è il numero trentuno. Questo più o meno a parità di legislature, ce n’è una in meno in Germania. In Italia ci sono stati sessantotto governi, mentre in Germania sono stati venticinque. Allora, da questo punto di vista, è un sistema che funziona. Non funziona, però, soltanto per il fatto di avere delle regole tecniche molto dettagliate, ma anche per tutto ciò che sta attorno a questo. Cercherò di identificare brevemente qualche punto. Le regole tecniche e costituzionali sono molto importanti. In Germania, si sa, c’è stata una reazione molto forte a quello che era successo con la Repubblica di Weimar e quindi si è costruito un sistema in cui è disciplinata qualsiasi cosa. Tanto che si potrebbe dire anche quante volte al giorno il cancelliere può andare in bagno, insomma tutto è disciplinato in maniera molto dettagliata. Comunque questo non basta, perché intorno ci sono regole che garantiscono e puntellano questo sistema. Per esempio, esiste una legge sui partiti che in Italia, come sappiamo, per varie ragioni, non è mai stata approvata. I partiti politici tedeschi sono delle associazioni private, come qualsiasi altra associazione, come la bocciofila di Rimini, con tutto il rispetto per la bocciofila di Rimini. Il problema è, per l’appunto, che da noi i partiti non hanno una disciplina legislativa. In Germania sì. E questa disciplina prevede, tra le altre cose, che i partiti debbano essere seri. Giuro, esiste proprio questo aggettivo. La serietà dei partiti si misura con una serie di criteri. Non è possibile, per esempio, per un partito nascere come un fungo e presentarsi immediatamente alle elezioni regionali o federali. È possibile a livello locale, ma ci vuole del tempo perché il partito maturi. Ci vogliono poi delle regole organizzative all’interno del partito. Serve anche un’organizzazione democratica dei partiti, tema su cui anche la Germania adesso si sta molto interrogando perché, come si sa, è in forte crescita un partito che è attualmente sotto osservazione dei servizi segreti, per mancato rispetto dei valori costituzionali. Quindi qualche problema ci sarà. Tra pochi giorni, in Germania, ci saranno delle importanti elezioni regionali e tra un anno ci saranno quelle federali. Il numero dei partiti, anche lì, sta cominciando, nonostante tutto, ad aumentare; quindi, non è tutto oro quel che luccica, assolutamente, però certamente il sistema è più solido. Esistono delle associazioni politiche lautamente finanziate dallo stato in parallelo ai partiti, formalmente indipendenti ma ideologicamente vicine, che fanno formazione politica, che coinvolgono le persone, che colmano quel gap che era stato menzionato prima tra i partiti e le persone. Questo crea una cultura politica più forte. Questa idea, poi, che in Italia spesso si propaganda, per la quale bisognerebbe conoscere il vincitore delle elezioni e chi sarà il capo del governo la sera stessa delle consultazioni, è qualcosa che in altri contesti non è assolutamente dato per scontato. Anzi, in Germania, e non solo, passano mesi prima di avere il governo, mesi di trattative, trattative molto pesanti. L’attuale accordo di coalizione, che per la prima volta in Germania è fra tre partiti contro i due del passato, ha richiesto ventidue gruppi di lavoro, 144 pagine di accordo di coalizione, un libro, una monografia con tanto di note, e più mesi di lavoro di confronto. Prima si lavora e dopo parte il Governo, e da lì poi cominciano le regole costituzionali che sono molto severe. Il Governo ha tutta una serie di regole fin dall’esordio: deve nascere con una maggioranza assoluta nel Parlamento senza fiducia iniziale, senza nemmeno dibattito, perché si prende atto di quello che è successo prima. Il Parlamento sostanzialmente non si può sciogliere. E veniamo al voto di fiducia. Esiste uno strumento, di cui spesso si parla, la fiducia costruttiva, che potrebbe avere un senso in altri contesti, ma in Germania, con tutte queste cautele che ci sono intorno, è stata usata una volta sola nella storia repubblicana. La questione di fiducia, su cui in Italia tutti i governi di qualunque colore o anche tecnici si basano, in Germania è stata posta cinque volte dal 1949 ad oggi. Sono degli strumenti che devono funzionare da deterrente, da extrema ratio, da martelletto da rompere per tirare il freno di emergenza quando ce n’è bisogno, ed è fondamentale che ci siano in una Costituzione. Ma se intorno non c’è tutta una serie di altre regole, che creano poi una cultura politica, allora si rivela uno strumento molto difficile. Dico solo una cosa, con riferimento all’Italia. Oggi si vorrebbe una forma di governo del tutto nuova, non sperimentata. Va benissimo sperimentare, non è che non si possano inventare delle formule nuove. Certamente si potrebbe dire, copiamo dalla Germania, forse sì, potrebbe funzionare, forse no, non è tanto questo il tema. Il tema è cosa succede alla rappresentanza e qui forse un supplemento di riflessione andrebbe fatto. Si può anche decidere di avere un modello molto orientato, all’opposto di quello che ho appena detto con la Germania, cioè sapere subito il vincitore, attribuire al vincitore anche direttamente una automatica maggioranza parlamentare, forzando così certamente la volontà popolare. Ma la Costituzione italiana è disegnata per il compromesso, e qui torniamo a quello che dicevo prima: abbiamo delle soglie di maggioranze parlamentari per tutte le garanzie costituzionali, che sono molto basse, al massimo il 60%, per l’elezione dei giudici costituzionali da parte del Parlamento. Ma il Presidente della Repubblica si può eleggere a maggioranza assoluta, la Costituzione si può modificare a maggioranza assoluta, i membri laici del Csm si possono eleggere con i tre quinti dei presenti dopo la terza votazione e così via. Se automaticamente si crea una maggioranza parlamentare che può fare da sola tutte queste cose, allora c’è un problema di sbilanciamento ed è su questo che bisognerebbe riflettere. Probabilmente, se l’obiettivo è garantire la stabilità dei governi e non si vuole guardare a regole parlamentari molto stringenti, come quelle che ci sono in Germania, andrebbe benissimo l’elezione diretta, ma bisogna innalzare le soglie, altrimenti le maggioranze controllano anche i meccanismi di garanzia. E qui c’è qualcosa su cui interrogarsi.
Violini. Professor Maduro.
Maduro. Comincio parlando del caso portoghese, poi affronterò l’impatto della dimensione europea nelle forme di governo nazionale. Abbiamo qui con noi Paul Kahn, che ha scritto molto sull’importanza della cultura politica nella costituzione, perché una costituzione è il prodotto di una cultura politica non soltanto di regole. Questo ha un rapporto molto forte con quello che sto per dire. In realtà, le stesse regole costituzionali possono produrre delle forme di governo che in pratica sono molto diverse e hanno risultati molto diversi, perché l’interazione tra le regole costituzionali e altre regole produce risultati diversi, la stessa pratica degli attori politici legittima certe interpretazioni delle regole costituzionali, ma non altre. Vi faccio un esempio di comparazione tra l’Italia e il Portogallo. L’Italia e il Portogallo sono regimi semipresidenziali. L’aspetto interessante è che il Portogallo, teoricamente, sarebbe un regime semipresidenziale con più potere al Presidente della Repubblica perché, al contrario del caso italiano, in Portogallo il Presidente è eletto direttamente, ha una legittimità democratica diretta, è eletto da un suffragio diretto e universale. E ha, come in Italia, il potere di nomina del governo e del capo del governo. Ma in Portogallo, oggi, anche se sarebbe teoricamente possibile e si è verificato all’inizio della nostra pratica costituzionale, oggi sarebbe impossibile avere governi di iniziativa presidenziale o governi tecnici, come dite voi in Italia. Non perché la Costituzione non lo permetta, ma perché politicamente non sarebbe più accettabile come interpretazione di queste norme costituzionali. Questo vuol dire che regole simili possono, con la pratica politica, produrre risultati molto diversi. In Francia, per esempio, il regime è diventato più presidenziale quando si è cominciato a far coincidere le elezioni parlamentari con quella del Presidente della Repubblica. Il semplice fatto di organizzare le legislative nelle stesse date delle presidenziali ha fatto coincidere la maggioranza presidenziale con la maggioranza parlamentare, permettendo al Presidente della Repubblica di essere lui il vero leader del governo. Adesso, con le elezioni anticipate che ha voluto Macron, questo è cambiato di nuovo. Ma vuol dire che il primo punto è questo: la pratica politica è importante tanto quanto le regole di quello che è una forma di governo. Uno degli errori comuni che si fanno nelle proposte, negli emendamenti costituzionali, nelle proposte di riforma del sistema politico, è che si compara sempre un modello politico nella sua attuazione concreta con la concezione di un sistema politico idealizzato soltanto negli ambiti delle regole. E quando guardiamo un sistema politico soltanto come un insieme di regole, abbiamo un’immagine troppo idealizzata, che poi non è quella che sarà l’attuazione concreta di quel modello di governo. Questo spesso ci porta a un ciclo negativo, in cui passiamo da un modello all’altro, perché stiamo sempre facendo questa comparazione che non è reale. Un altro amico, il professore americano Neil Komesar, afferma che si sta sempre comparando un’istituzione nella sua situazione pratica con un’istituzione idealizzata, quando la realtà è che noi dobbiamo essere consapevoli che stiamo sempre facendo delle scelte tra alternative imperfette.
L’Unione Europea impatta sui sistemi politici e sulle forme di governo nazionali in diverse maniere. Una l’ho già menzionata: il rafforzamento del potere esecutivo, perché il potere esecutivo ha molto più potere nella politica europea che i parlamenti nazionali. Un secondo elemento è il rafforzamento delle entità indipendenti, il rafforzamento dell’autonomia e dell’indipendenza delle banche centrali, delle autorità regolatrici della concorrenza, per esempio. Questo è stato molto influenzato dall’Unione Europea, che ha introdotto una maggiore indipendenza di queste istituzioni. Più recentemente, l’Unione Europea ha cominciato ad avere un impatto sullo stato di diritto, per esempio, sull’indipendenza delle Corti e sotto questo aspetto avrà sempre un ruolo nella garanzia della separazione dei poteri a livello nazionale. Questo, ovviamente, è contestabile, ed infatti molti dicono che l’Unione Europea non dovrebbe avere un ruolo in questo, che questa è una questione del dominio interno; ma, se ci pensate bene, c’è una giustificazione che non è solo quella di dire che l’Unione Europea deve garantire che tutti i suoi Stati membri rispettino lo stato di diritto e la democrazia. Ci starebbe anche un argomento per questo. Ma questa non è la ragione principale per cui l’Unione ha questo ruolo. La ragione principale è che l’Unione Europea non può agire in conformità con uno stato di diritto se ciascuno dei suoi Stati non è uno stato di diritto. I diritti che i cittadini europei hanno, che sono attribuiti dalle regole europee, sono per la maggior parte applicati, per esempio, dai tribunali nazionali. Se un tribunale nazionale, che è quello che applica il diritto europeo, non è indipendente, allora non è solo un problema per la garanzia dei diritti nella sfera interna di quello Stato, è anche un problema per la garanzia dei diritti europei in quello Stato membro. Nel futuro avremo la stessa questione nel dominio della democrazia. La democrazia dell’Unione Europea ha una forma di legittimità diretta che è il Parlamento europeo che è co-legislatore e che ha anche il potere di scrutinare la Commissione Europea, l’organo esecutivo europeo. Questo organo, il Parlamento Europeo, se le sue elezioni hanno luogo a livello nazionale, se a livello di uno Stato membro non c’è libertà di stampa, non c’è libertà di espressione, non c’è libertà di organizzazione politica, allora i membri del Parlamento europeo eletti da questo Stato, che faranno legislazione per tutti gli altri Stati membri, per tutta l’Unione Europea, non sarebbero stati eletti democraticamente. La mancanza di democrazia in uno Stato membro non è solo un problema democratico per quello Stato membro, diventa un problema democratico per tutta l’Unione Europea. Questa è la sfida europea: il rapporto con il sistema politico e le forme di governo nazionali. Questo farà sì che ci sarà progressivamente una crescita del ruolo dell’Unione Europea nelle forme di governo, nella garanzia della democrazia e dello stato di diritto nei suoi Stati membri. Questo, da un lato, è fonte di una garanzia ulteriore. Dall’altro, sarà motivo di tensione crescente con la sovranità nazionale.
Violini. Grazie, professore, veramente molto chiaro. Si capisce che le dinamiche di queste forme di governo possono essere tutt’altro che l’oggetto di un dibattito pro o contro rispetto alle riforme. Questo dibattito non potrebbe essere mai chiuso perché siamo di fronte ai grandi problemi delle nostre istituzioni, però una considerazione rispetto al vostro sistema può arricchire la nostra conoscenza. Professoressa Chamarro.
Chamarro. Come hanno già detto i miei colleghi, non c’è una forma di governo perfetta. Di solito si tende ad idealizzare nelle regole un modello e dopo abbiamo sempre questa percezione che non funziona come noi avevamo pensato. In secondo luogo, non è soltanto un problema di regole perché le stesse regole possono funzionare in forma assolutamente diversa. Prendiamo il sistema spagnolo. Noi abbiamo avuto un’esperienza di Costituzione tardiva perché uscivamo da una guerra civile; questo è molto importante, non abbiamo partecipato alle due guerre mondiali, ma abbiamo avuto una guerra civile tra il 1936 e il 1939. Allora sappiamo bene cosa sia la polarizzazione e la frammentazione politica. Quando si è fatta la Costituzione, prima di tutto c’è stato il consenso. Il nostro è un sistema di collaborazione, un sistema di equilibrio, di moderazione e la formula di governo parlamentare prevede questi principi di equilibrio e moderazione. Quello che si è disegnato nella Costituzione spagnola è un modello che si ispira a quello che si era fatto prima in Europa guardando, in particolare, al modello tedesco. Si è realizzato così questo sistema parlamentare razionalizzato, ma con un elemento che è un differenziale rispetto a tutti voi, ed è la monarchia parlamentare. Abbiamo un Capo di Stato che non è eletto democraticamente ma che, in questi quarantasei anni dall’approvazione della Costituzione, ha fatto sì che il Paese abbia avuto solo sette Presidenti del consiglio e due sovrani. La monarchia parlamentare è un sistema molto particolare perché è soprattutto un simbolo; infatti, non ha il potere di decidere nulla. Ma questa formula, nella transizione, fu accettata per il ruolo integratore della corona e anche oggi il Capo dello Stato, il re, è simbolo dell’unità e della permanenza, ma deve avere esemplarità e lealtà istituzionale. Si può dire che il re non nomina il Presidente del Consiglio dei ministri, non ha potere per dire di no a una legge, non ha nessun potere attivo. Regna ma non governa. Incoraggia, ammonisce e viene consultato. È un potere simbolico. Ma ha una capacità, quella di influenzare attraverso la funzione del discorso. E abbiamo un esempio molto vicino: in occasione della dichiarazione di indipendenza della Catalogna, il governo non ha fatto nulla è intervenuto soltanto il re, con un discorso il 3 ottobre 2017. Quella del sovrano è anche una presenza internazionale. Il sistema di oggi, la monarchia, deve affrontare sfide, sfide storiche, sfide anche funzionali e familiari perché ogni volta che c’è un problema familiare, è un problema per il Capo dello Stato. Nell’ottobre 2023, la Principessa Leonor ha giurato sulla Costituzione davanti alle Cortes, al Parlamento. È stato un momento interessante perché parliamo di continuità, permanenza, stabilità. Dall’altra parte, dobbiamo parlare dell’instabilità. Da noi c’è stato un funzionamento fino al 2015 poi, con un Parlamento polarizzato, frammentato, tutto ha cominciato a diventare più difficile. Il Presidente del governo deve avere la fiducia della Camera dei deputati. Il Senato è irrilevante, non ha voce in capitolo. Il re ha il potere di proporre, dopo aver consultato tutti i gruppi. Dopo il 2015, abbiamo iniziato a incontrare difficoltà per la formazione del governo, per ottenere non solo la maggioranza assoluta, ma anche la maggioranza semplice, perché la frammentazione e la divisione hanno reso veramente difficile la formazione dei governi. Dopo il 2018 abbiamo avuto, per la prima volta, la sfiducia costruttiva, una sfiducia che è stata definita più distruttiva o anche “fiducia Frankenstein”, perché ci sono tutti contro la maggioranza e tutti vogliono dire la loro, anche quelli che non accettano la Costituzione, che non sono d’accordo e che vogliono l’indipendenza dalla Spagna. Allora si può dire che adesso, dopo il 2023, la coalizione ha bisogno dei voti dei parlamentari per nominare il Presidente del Governo. Questo si presta a delle condizioni un po’ difficili, per esempio l’amnistia. Ora si chiede anche il referendum di indipendenza e la sovranità fiscale. Allora, siamo in un tempo diverso, siamo preoccupati, ma forse abbiamo una sfida in Spagna. Ma la sfida è come tornare al dialogo e come non creare muri tra due parti, perché ciò che ci preoccupa, anche in ciò che vediamo, sono le contrapposizioni frontali mentre abbiamo bisogno di ponti. C’è il rischio di vedere l’avversario politico come un nemico. Questo è il pericolo, in questo momento, in Spagna; è un momento di forte polarizzazione. Bisogna parlare come abbiamo fatto qui e per tutto questo, questo incontro del Meeting è veramente stimolante perché la pace si fa con i ponti e non con i muri, ma per fare in ponti bisogna dialogare fra tutti.
Violini. Penso che, questa sera, abbiamo aperto questioni piuttosto che chiuderle, ma il Meeting serve anche a questo. Grazie ai nostri ospiti e a tutti voi e buon Meeting!