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“OSPITE ATENIESE, HAI MAI VISTO UN UOMO FELICE?”
La letteratura della Grecia arcaica oscilla tra una franca adesione alla vita e una malinconia soffusa: la coscienza greca da un lato “pretende” la felicità, dall’altro percepisce la precarietà della condizione umana, esposta ai capricci della fortuna e minata dalla morte. La mostra Ospite ateniese, hai visto mai un uomo felice?, attraverso un percorso combinato di testi letterari e di immagini, vuole proporre al visitatore alcuni momenti significativi di questa riflessione.
I sezione
Il titolo e il percorso della mostra prendono spunto dal dialogo tra Creso, re dei Lidi, e Solone, il saggio ateniese venuto a visitare il suo regno.
L’episodio è narrato da Erodoto, storico ateniese del V secolo a.C. Creso, padrone di un vasto impero, vive in un’evidente condizione di benessere e desidera da Solone una conferma della sua felicità.
Tuttavia il saggio ateniese gli spiega che per giudicare della beatitudine di un uomo bisogna aspettarne la morte.
Questa “fiaba” famosa illustra con grande chiarezza che cosa sia la felicità per la sapienza arcaica: non una dimensione dell’esistenza, ma una categoria del giudizio. Gli uomini possono essere chiamati felici, ma non possono vivere la felicità.
II sezione
Pindaro, poeta lirico del VI-V secolo a.C., è il cantore delle imprese sportive. Nei suoi epinici la vittoria è celebrata come la cosa più bella che la vita può concedere, il momento in cui l’uomo “tocca il cielo con un dito”.
Il campione vittorioso vorrebbe che la dolcezza del successo durasse per sempre, ma è ben presto richiamato all’asprezza del limite umano: l’unico possibile consolidamento è nella dimensione della memoria, in quella eternità gloriosa che il canto dei poeti assicura agli uomini meritevoli.
Così l’attimo fugace della vittoria assume valore in quanto eco di una felicità totale e incondizionata che, in un’opposizione tipica della sensibilità arcaica, è propria degli dei “sempre beati”. Gli uomini invece sono gli “infelici mortali”, per natura precari e transeunti.
III sezione
Nella terza sezione è toccata la tragedia, che ai temi della condizione umana e del destino dedica gran parte delle sue forze. Il poeta tragico più sensibile al problema della beatitudine è Sofocle.
All’ultima fase della sua produzione appartengono alcuni drammi – i cosiddetti “drammi della speranza” – nei quali la sofferenza (in tutte le sue forme: malattia, frustrazione, paura, angoscia) non è solo strumento di catarsi e fonte di apprendimento, ma percorso obbligato che, per un imperscrutabile disegno divino, conduce alla salvezza.
Il personaggio esemplare è Filottete: l’eroe trascorre dieci anni incarcerato nell’isola di Lemno, solo e malato, vittima di indicibili privazioni; lo sostiene però la tenace speranza di essere nato per un destino diverso, di avere diritto a ben altro premio. Nel finale, Filottete che, dopo l’intervento risolutore di Eracle, si avvia alla guarigione e alla gloria, è figura dell’uomo, per nascita destinato alla felicità. Per Filottete, come per Edipo ed Elettra, la felicità non è un barlume o un riflesso, ma la condizione ultima e definitiva del vivere.