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NUTRIRE LA PERSONA, ALIMENTARE LA SPERANZA. TRA FAME, SPRECO E SVILUPPO SOSTENIBILE
Nutrire la persona alimentare la speranza. Tra fame, spreco e sviluppo sostenibile
Partecipano: Ertharin Cousin, Direttore Esecutivo del WFP (World Food Programme); Staffan de Mistura, Sottosegretario di Stato al Ministero degli Affari Esteri;José Graziano da Silva, Direttore Generale della FAO (Food and Agriculture Organization); Giuseppe Sala, Amministratore Delegato di Expo 2015. Introduce Alberto Piatti, Segretario Generale della Fondazione AVSI.
NUTRIRE LA PERSONA, ALIMENTARE LA SPERANZA. TRA FAME, SPRECO E SVILUPPO SOSTENIBILE
Ore: 19.00 Sala A3
ALBERTO PIATTI:
Buonasera a tutti e benvenuti a questa tavola rotonda dal titolo un po’ provocante e provocatorio: “Nutrire la persona, alimentare la speranza. Tra fame, spreco e sviluppo sostenibile”. Sono molto onorato di coordinare questo panel di autorevolissime persone che mi permetto di introdurvi brevemente. Ertharin Cousin, alla mia destra: è da pochi mesi Direttore Esecutivo del Programma Mondiale per l’Alimentazione, World Food Programme. Poi abbiamo Graziano da Silva, Direttore Generale della FAO, anche lui una new entry. Abbiamo il dottor Sala, Amministratore Delegato della società Expo 2015 e mi sono permesso di lasciare per ultimo un amico: Staffan de Mistura, che voi tutti conoscete. E’ di questi giorni un allarme FAO, pubblicato anche da qualche giornale tra i meno distratti, in cui si segnala che alcune concause porteranno ad un allarmante incremento dei prezzi delle grandi commodities agricole. Si parla di un 6% in più, in una situazione già sicuramente non tra le più facili. E andando per curiosità a rintracciare chi nel mondo globalizzato, con i mezzi di comunicazione, per primo lanciò un allarme sulla possibile ecatombe per fame nel pianeta, mi sono imbattuto in un radiomessaggio di Pio XII del 4 aprile del 1946, che dice così: “Sopra almeno un quarto dello popolazione mondiale del globo grava l’ombra della fame, che attraverso immense contrade minaccia di mietere intere moltitudini”. Mi ha molto colpito questa sensibilità di Pio XII e come tanta strada abbiamo fatto nella lotta contro la fame e purtroppo quanta ne rimane ancora da fare. La possibilità di aver una discussione questa sera con questi autorevolissimi ospiti ci permette di approfondire questo passaggio drammatico. Soprattutto ci permette di avere due nuovi direttori generali che vengono da un’esperienza importante nei loro rispettivi Paesi, gli Stati Uniti d’America ed il Brasile, di società civile, di impegno attivo esattamente in queste tematiche. Ertharin è stata presidente dei Banchi Alimentari degli Stati Uniti e Graziano è indubbiamente l’ideatore del famoso programma “Fame Zero”, l’implementatore del famoso programma “Fame Zero”.
Io comincerei con Ertharin, esattamente chiedendole come, a partire da questo suo importante background, ritiene di poter implementare e dare impulso a questa grande organizzazione che è il World Food Programme. Con due particolari sottolineature: come è possibile coinvolgere sempre di più quella società civile, presente nei Paesi, che permette di raggiungere alla grande infrastruttura sociale, che il mondo internazionale ha creato attraverso l’“Ultimo miglio”, quella singola persona che ha la necessità; e poi tu hai tutto il tema degli acquisti delle grandi commodities agricole all’interno dei Paesi dove World Food Programme può operare.
ERTHARIN COUSIN:
Buonasera. Un grazie a… no, non cercherò di parlare italiano, assolutamente, il mio italiano è definibile brutale e quindi, pur scusandomi veramente tantissimo, per favore consentitemi di esprimermi in inglese.
Comincio con i ringraziamenti. Ringrazio Alberto per questa opportunità a partecipare qui, probabilmente è la quarta volta, da quando sono diventata direttore esecutivo, che ho avuto l’opportunità di parlare ad un evento con il direttore generale della FAO, Josè Graziano Da Silva, ed è anche la seconda volta, da direttore esecutivo, che partecipo ad un evento con l’amministratore delegato di Expo 2015, Giuseppe Sala, ed è sempre un piacere avere l’opportunità, non soltanto di partecipare a una riunione, ma essere in presenza del mio carissimo amico Staffan De Mistura. Quindi ringrazio tutti per avermi consentito di essere con voi questa sera.
Il WFP nel 2011 ha dato assistenza, aiuti alimentari, per un centinaio di milioni di persone in 75 paesi. Questo sforzo è stato portato avanti dalle 14.000 persone che lavorano nell’ambito del programma alimentare mondiale ogni giorno. Tuttavia riconosciamo che il lavoro, il lavoro di alimentare le persone più vulnerabili, i più poveri, coloro che hanno fame, non può essere raggiunto soltanto da una organizzazione che lavora da sola. Nemmeno quando lavoriamo in collaborazione con le altre organizzazioni appartenenti all’ONU. Ogni anno noi lavoriamo con 2.000 ONG ed è soltanto con il supporto di queste 2.000 OMG, che rappresentano milioni di persone in tutto il mondo, che siamo riusciti proprio a nutrire quel centinaio di milioni di persone. Però questo non è abbastanza. Noi, come comunità di persone a cui stanno a cuore certi problemi e tutti quanti voi qui presenti, ci rendiamo conto che è soltanto attraverso un lavorare assieme che possiamo costruire una certa resistenza, che garantisce ad organizzazioni, tipo la WFP, di non essere quasi più necessarie ad un certo momento. Noi possiamo costruire questa capacità da parte della gente, delle famiglie, di poter alimentare e nutrire i propri bambini.
Nella storia del mondo, i giovani non sono mai stati così vicini gli uni agli altri come qui oggi e anche nel mondo, attraverso internet, attraverso tutti gli strumenti che ci dà internet, Facebook, Twitter…, oppure tutti gli altri strumenti che conoscete meglio di me e che non voglio nemmeno stare a cominciare ad elencare. Attraverso questi strumenti si superano le barriere, quelle del linguaggio, delle differenze geografiche e anche culturali, e quando ci si trova tutti insieme nello spirito, appunto, di fare la differenza, l’opportunità di creare tutte quelle capacità che ci permettono di porre fine al problema della fame, diventa una realtà.
Sulla base della mia esperienza personale, ritengo che questo sia possibile, avete già sentito nell’introduzione che sono stata responsabile dei Banchi Alimentari degli Stati Uniti. Io sono stata coinvolta, anche molto, in campagne che hanno garantito, in tutto il Paese, che persone che non avevano mai potuto votare prima, potessero votare. Ho organizzato sforzi per garantire che le donne, soprattutto quelle povere, potessero avere il diritto a garantire una educazione ai propri figli, e quando ero veramente giovanissima, ho lavorato per i cuccioli di foche, per essere sicuri che potessero vivere senza che venissero ammazzati per ricavarne la pelliccia. Le analogie ci sono in tutte queste attività. Io ritengo, ed è una mia convinzione centrale, fondamentale, che è la gente che faccia la differenza. La gente che lavora assieme nell’impegno di raggiungere un risultato comune, per il bene comune, può superare tutti gli ostacoli. Ci sono persone che sostengono che la fame esiste da quando esiste l’uomo sulla terra, però questo non è un motivo sufficiente per continuare in questa direzione. Noi tutti quanti assieme possiamo, sì, fare la differenza. C’è una mostra qui sulla costruzione del duomo di Milano. I cittadini di Milano pensavano che attraverso il lavoro, l’innovazione, la formazione, la ricerca e lo sviluppo, e attraverso un impegno nei confronti di un obiettivo, sarebbe stato possibile creare appunto la più grande cattedrale di quei tempi. Ed è nell’ambito di quello stesso spirito, con quegli stessi strumenti, lavorando assieme, che possiamo appunto avere innovazione da parte dei giovani, grazie anche a ricerca e sviluppo, per essere sicuri di seminare quei semi di cui sicuramente Josè Graziano parlerà, per poter coltivare tutto il cibo necessario per alimentare i propri figli. Un desiderio illimitato serve per raggiungere un obiettivo. Tutti quanti assieme appunto possiamo porre termine alla fame, e questo è quello a cui credo fermamente e questo è quello a cui cerco di contribuire nell’ambito del WFP per fare la differenza. Grazie per questa opportunità.
ALBERTO PIATTI:
Grazie a Ertharin. Questo paragone di un bene comune alla costruzione della cattedrale, del duomo, mi sembra molto interessante. Confesso che noi abbiamo lavorato, noi fondazione AVSI, in tanti Paesi nel mondo con il World Food Programme, soprattutto in situazioni di insicurezza alimentare, o in occasione di gravi catastrofi, così come abbiamo avuto la possibilità, e abbiamo la possibilità, di cooperare con la FAO, per esempio facendo le scuole di agricoltura di campo, Farmer field school, come le chiamano. Abbiamo un programma in corso in Myammar in questo momento, ma mi pare che, dando la parola a Graziano, Ertharin forse abbia introdotto una cooperazione che è qualche cosa di più, forse una concezione all’origine dell’azione e non la società civile semplicemente come implementatore di politiche altrui. Forse è un passaggio cruciale, che l’esperienza delle tante politiche pubbliche contro la fame, che Graziano Da Silva ha fatto in Brasile, può aiutarci ad approfondire.
JOSÉ GRAZIANO DA SILVA:
Grazie tante, anch’io mi scuso perché non parlo italiano, lo capisco perfettamente, però non voglio cimentarmi con l’italiano in questa sessione, magari l’anno prossimo. Il mio bisnonno viene dalla Calabria e quindi dalla prossima volta cercherò veramente di parlare italiano. Io sono veramente lieto di essere qui con Ertharin, io penso che questo sia un’ulteriore occasione di discussione e di dibattito in cui siamo insieme, perché appunto siamo insieme nel supporto di una causa contro la fame e sono anche lieto perché per la seconda volta incontro il dottor Staffan de Mistura, sempre parlando delle stesse problematiche, e con il dottor Giuseppe Sala sono lieto perché sosterremo insieme l’Expo di Milano del 2015, e faremo questo sforzo comune. Vorrei dire alcune cose sulla base della mia esperienza. In primo luogo su quello che penso sia il ruolo principale della società civile. Secondo me, la società civile ha un ruolo complementare rispetto a quello dei governi. Dovremmo evitare di cercare di sostituire i governi, però dovremmo piuttosto integrare il loro lavoro, la loro attività, e anche aiutare i governi a fare meglio il lavoro che cercano di fare. Ci sono delle cose che soltanto la società civile può fare, oltre che aiutare i governi a fare il loro lavoro. Vorrei condividere con voi l’esperienza che abbiamo fatto quando abbiamo lanciato il programma “Fame Zero” in Brasile. Tra parentesi c’è un libro della storia del programma “Fame Zero”, può essere scaricato da internet in inglese e in portoghese. Lascerò una copia all’amico Alberto Piatti che mi ha invitato e mi ha dato la possibilità di spiegare il tutto. L’esperienza che vorrei riferire qui a tutti voi è questa: quando il presidente Lula prese la decisione di dare tre pasti al giorno a tutti i Brasiliani, significò che ciascun Brasiliano sarebbe stato capace di fare colazione, pranzare e anche cenare prima di andare a letto. Questa semplice modalità di dire le cose è stata abbracciata da tutta la società brasiliana, e noi abbiamo cominciato a ricevere tantissime domande su come collaborare e quindi abbiamo istituito un consiglio, con la collaborazione delle chiese, degli agricoltori, dei contadini, dei sindacati e tutti quanti hanno aiutato il governo e hanno voluto che le loro proposte fossero prese in considerazione. Questo è “Fame Zero”: praticamente tutto questo mettere insieme delle proposte ha dato via a quello che si chiama il progetto “Fame Zero”, nulla di più. Cose di cui ci occupavamo a livello più basso, le abbiamo portate a livello nazionale, abbiamo cercato di implementarle con il governo e la società civile. Però al tempo eravamo davanti a un problema specifico, problema che alle volte può risultare un pochettino difficile da capire: i nostri dati mostravano che allora avevano più o meno 50 milioni di persone in Brasile che erano assolutamente denutrite, in condizioni di fame, però non riuscivamo a trovarle. Questo era un primo problema che dovevamo affrontare, non riuscivamo a trovare le persone che avevano fame e sapete. Perché? Perché effettivamente le persone che hanno veramente fame sono invisibili, non hanno un numero, non hanno un conto in banca, non hanno nemmeno una carta d’identità, per la maggior parte queste persone non hanno nemmeno un indirizzo dove le si possa trovare e quindi per il governo sono del tutto invisibili. Non riuscivamo ad entrare proprio in contatto con queste persone, non sapevamo dove vivessero, non avevano indirizzo, non avevamo un loro elenco. Quindi ho chiesto alla società civile di intervenire per aiutarmi in ogni piccolo villaggio, in ogni contea e realizzare un elenco delle famiglie più povere del villaggio; soprattutto la chiesa, o le chiese direi, hanno svolto un ruolo molto importante. Con la Società san Vincenzo de’ Paoli, in una zona semiarida del Brasile, difficile di raggiungere in automobile, una zona di montagna, in due mesi siamo riusciti a mettere insieme un elenco delle persone più povere abitanti in quella regione. Tuttavia c’è un altro ruolo, forse ancora più importante, che la società civile può avere nella lotta contro la fame: può rappresentare la voce di coloro che hanno fame. Non si può trovare un sindacato o un’unione degli affamati, non esiste; non esiste nemmeno un’organizzazione, anche come cooperative, di coloro che hanno fame, non si organizzano in associazioni, sono persone che non hanno un giornale loro, non hanno una radio, non hanno nemmeno dei rappresentanti perché non votano. Quindi rappresentare la voce di coloro che hanno fame, parlare a loro nome, è molto importante. E bisogna essere anche sicuri del fatto che una persona che ha fame non sostiene i propri diritti, non combatte per i propri diritti: chi ha fame è sottomesso, non alza la propria mano. E’ un’oppressione di tipo diverso, non è un’oppressione politica, non è una cosa dove ci si può organizzare e votare contro. Chi ha fame è qualcuno che non ha speranza e quando veramente si toglie speranza alle persone gli si toglie anche la cittadinanza, gli si toglie anche la speranza di lottare per un mondo migliore. Quindi bisogna ridare a queste persone speranza, opportunità di combattere per un mondo migliore per loro, per un mondo senza il problema della fame; bisogna dire a queste persone che è possibile, che siamo pronti a produrre abbastanza cibo per alimentare tutte le persone del mondo. Eppure abbiamo 900 milioni di persone che ancora soffrono la fame. Questa è una cosa che soltanto la società civile può fare. Ti ringrazio Alberto per avermi dato questa opportunità.
ALBERTO PIATTI:
Grazie. Mi pare che sia stato introdotto un nesso con il titolo importante, sia nel primo e soprattutto nel secondo intervento, perché una persona che ha fame, è stato appena detto, non ha più speranze. Io amo ripetere questa geniale e sintetica espressione di Benedetto XVI, riguarda l’innata dignità o nativa dignità, a seconda delle traduzioni, che porta ogni essere umano in quanto relazione col Creatore, relazione con l’infinito. Certamente una persona che vive di stenti e non ha la possibilità di avere accesso al cibo per ragioni diverse, questa innata dignità fa fatica a farla emergere. Ma il nostro lavoro non è solo di nutrire la persona, ma di alimentare la speranza, e così sempre nella Caritas in veritate il Papa dice una frase molto interessante: “È necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita, nei quali la ricerca del vero e del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinino le scelte dei costumi, dei risparmi e degli investimenti”. Credo che la piattaforma spettacolare, l’occasione unica dell’Expo 2015, possa essere una grande opportunità perché ci sia un’azione incidente sulla mentalità, non solo degli addetti ai lavori, ma una grande possibilità di condividere con tutto il mondo questa nuova sensibilità necessaria, con una sottolineatura che mi permetto di fare prima di dare la parola a Giuseppe Sala: questo è il primo Expo con uno sforzo in corso importantissimo, perché non siano presenti solo i governi o le delegazioni sociali, ma la società civile e i rappresentanti del popolo e della gente.
GIUSEPPE SALA:
Grazie ai miei colleghi per la loro calda attenzione che mi auguro si riverberi su questo consesso rispetto al nostro lavoro. Expo è un grande evento, lo è nei fatti, lo è nella sostanza, è qualcosa che mette a confronto i Paesi, le istituzioni, con la società civile e da un lato con i visitatori. E’ un grande evento, perché, se pensate, nasce nel 1851, cioè qualcosa che ha 160 anni di storia e che ogni 5 anni si ripropone: nel 2010 a Shangai, nel 2015 a Milano, nel 2020 ci sono città candidate come San Paolo, Dubay. Ciò vuol dire che il suo senso ce l’ha, poi il problema è che va interpretato in un’ottica che adesso è vicina ai tempi che cambiano. È un grande evento – e questo lo dico perché ne sono profondamente e sinceramente convinto – è una grande opportunità per il nostro Paese. Noi puntiamo ad avere 140 Paesi presenti. Pochi minuti fa abbiamo avuto l’annuncio dell’adesione del Ghana, che porta a 95 i Paesi già presenti, ma pensate al fatto che nel 2015, in quei sei mesi, almeno 100 Capi di Stato o Primi Ministri verranno in Italia, come il nostro Presidente Napolitano ha fatto a Shangai. Pensate, nei 150 anni di storia d’Italia non c’è mai stato un momento in cui il mondo, anche il mondo politico con la “p” maiuscola, si sia mosso verso Italia. Ora, il nostro scopo è quello di dargli un’interpretazione, che è un’interpretazione adatta ai tempi. Non sono più i momenti delle interpretazioni muscolari, delle prove di forza, bisogna allinearsi i tempi, ma, vi ricordo, c’è stato un unico Expo in Italia nel 1906, a Milano sempre. Allora era importante il tema dei trasporti. Il 1906 è l’anno in cui si apre attraverso il Gottardo la possibilità del collegamento diretto tra Milano e Parigi: ecco quello era il senso del momento. Ora quello che noi capiamo è che, oggi come oggi, un evento del genere non è sufficiente che tragga la sua genesi in un’ottica di allineamento al progresso tout court. D’accordo sulla visione positivista che noi abbiamo e che ci sforziamo di avere, ma credo che tutti noi riteniamo che il progresso in sé, il progresso non governato non è più sufficiente per farci dire: vivremo in un mondo che è un mondo adatto a noi. Quindi, da questo punto di vista, l’attenzione si sposta da una logica di tipo “i trasporti” a una logica di tipo “quella dell’alimentazione”, quella della nutrizione, alla consapevolezza che è l’uomo che domina il pianeta, ma che utilizza la terra, le risorse della terra per nutrirsi. In questo momento è il pianeta che ci richiede uno sforzo indietro, perché possa continuare a svolgere questa sua missione. È chiaro che il nostro percorso va in parallelo con altri discorsi, ne sono stati descritti alcuni e ovviamente c’è un’accelerazione di tante problematiche relative appunto al tema di cui stiamo parlando. Sapete degli obiettivi del millennio, che tra l’altro trovano proprio casualmente, da un certo punto di vista, nel 2015 una loro sintesi. Ma sapete anche che a Rio – io sono stato recentemente a Rio – è stato detto che non arriveremo all’ottenimento di quegli obiettivi, che non vuol dire che il lavoro non è stato fatto e che non bisogna rilanciare, ma c’è indubbiamente un momento di crisi economica, c’è un momento di situazione in cui i cambiamenti climatici, l’acqua – poi parleremo un attimo dell’acqua – la popolazione che aumenta – 7 miliardi di persone oggi, eravamo 1 miliardo nel 1900 e saremo nel 2040 10 miliardi – evidenziano una serie di complessità. Ora, la nostra sintesi in tutto ciò è: non ha più senso che ci sia qualcuno che venga e ti dica: “Ti racconto come stanno le cose, ti dico la mia verità”. E’ un momento in cui nessuno, nel mondo così basato anche su tante incertezze, è in condizioni di farlo. Quello che noi riteniamo possa funzionare è invece un concetto di contribuzione di tutti, di piattaforma aperta, una sorta di agorà moderna, in cui la società civile, oltre ai Paesi, dica la sua e in cui la partecipazione della gente possa condizionare quello che succederà. E quindi quello che noi facciamo, quello che noi offriremo, è questo palcoscenico di sei mesi, è questa piattaforma che è tesa a raccogliere i pensieri, le opinioni. Noi non daremo risposte, o le daremo molto parzialmente, noi cercheremo di dare alle persone la giusta conoscenza rispetto alle domande. Ci sono una serie di temi enormi relativi all’alimentazione. Potremmo parlare degli OGM, oppure di ciò di cui tutti parlano ma che nessuno sa cos’è, ma parliamo ad esempio un attimo dell’acqua: oggi l’acqua è un tema che è veramente di estrema importanza. Pochi mesi fa, il premier cinese Wen Jiabao ha annunciato un piano di investimenti di 500 miliardi di euro per il problema dell’acqua in Cina. Se qualcuno legge il giornale in questi giorni, vede il conflitto latente tra India e Pakistan perché entrambi dal fiume Indu prendono risorse, perché il Pakistan prende il 90% delle sue risorse idriche per la sua agricoltura da quel fiume e da quando gli indiani hanno portato le centrali idroelettriche si è ridotta la portata del 30%; ma vediamo anche che siamo in una situazione in cui a Bolzano, non a Lipari, il sindaco sta razionando l’acqua. Quindi ci sono una serie di temi che ci fanno dire che noi possiamo presidiare il dibattito nel modo giusto e su dei livelli di interesse importanti per la gente. C’è però una cosa che riguarda poi la nostra disciplina di lavoro: noi riteniamo che sia francamente impensabile che la gente verrà all’Expo per farsi puramente educare, bisogna trovare delle formule, e questo è il nostro sforzo, per cui ci sia insieme educazione e intrattenimento, piacere della visita e piacere dell’esperienza. D’accordo, poi la tecnologia ci aiuterà, ci saranno una serie di cose. Vi faccio un piccolo esempio di come si svolge l’Expo: quando un Paese aderisce e decide di venire a portare il suo sapere sull’alimentazione, normalmente fa un concorso di idee al suo interno per definire quello che vuol dire. Ecco, il Paese più avanti di tutti è la Svizzera: è stato il primo Paese che ha aderito, il primo che ha firmato il contratto, ha lanciato questo concorso di idee europeo, hanno ricevuto 120 proposte e poi da buoni svizzeri hanno fatto le cose per bene, da un lato c’erano le proposte, dall’altro su busta separata il nome dello studio che le presentava, in maniera da non farsi condizionare e ha vinto questo piccolo studio svizzero. Vi racconto la proposta, perché da un po’ il senso di quello che vedrete voi all’Expo: quello che la Svizzera rappresenterà è uno spazio comune, che sarà, immaginate qualcosa del genere, la mostra, lo spazio per il dibattito, l’esibizione e poi ci saranno dei silos di vetro che saranno riempiti di singole materie prime, pensiamo al riso, saranno riempiti di chicchi di riso. Loro prenderanno questa scusa per dare due messaggi: da un lato c’è, se vogliamo, lo scopo educativo e da lì faranno capire dove il riso va, come saranno le nuove colture di riso, come il nuovo riso attecchirà in tutti i vari climi; dall’altro questi silos di vetro avranno un rubinetto in fondo e i visitatori potranno, utilizzando dei sacchettini, spillare il riso, prendersene quanto potranno e portarselo via. Ma gli svizzeri diranno: quando il silos è vuoto, noi non mettiamo più neanche un chicco di riso. E quindi lì introduce un altro tipo di riflessione sulla scarsità delle risorse, sulla necessità di avere dei comportamenti di vita diversi. Ecco, voi immaginate poi tutta una serie di Paesi, ognuna avrà il suo modo di dire, il suo modo di pensare sull’Expo. Noi riteniamo che tutto ciò, questa piattaforma, questo scenario, questo palcoscenico, in sei mesi possa permetterci di raggiungere l’obiettivo di invogliare tutti, invogliare i Paesi, la società civile, la politica, ma veramente con un’ottica di servizio e non di protagonismo. Chi lavora per Expo, deve avere uno spirito di servizio totale, per permettere al nostro Paese di mettersi al centro di questo dibattito, che è un dibattito di grande importanza. Permettetemi di chiudere, e qui mi ricollego a quanto diceva l’amico Graziano da Silva rispetto a chi ha fame, a come ragiona e a cosa ha in testa, ecco permettetemi di concludere citando le parole di una persona, di una donna che come pochi ha capito e ha vissuto ciò profeticamente e direttamente. Parlo di Madre Teresa di Calcutta e le parole sono: “Vi sono molte persone al mondo che muoiono di fame, ma un numero ancora maggiore muore per mancanza di amore. Ognuno deve sapere di essere desiderato, di essere amato, di essere importante per Dio. Vi è fame di amore, vi è fame di Dio. Grazie”.
ALBERTO PIATTI:
Vi è fame di amore, e vi è fame di Dio. Devi continuare…
STAFFAN DE MISTURA:
Mi sento a casa qui. È la terza volta che vengo e ogni volta che esco dal Meeting sono pieno di energia. E so che parlo a nome dei miei amici e dei miei colleghi. Non ci eravamo parlati, non ci eravamo coordinati, ma vi voglio raccontare, se me lo permettete, un aneddoto che riguarda Madre Teresa di Calcutta e che in qualche maniera ricollega il messaggio che stiamo sentendo e abbiamo sentito da chi, con grande competenza e autorevolezza, ce l’ha dato nei vari argomenti, con quello che è il tema del Meeting: alla fine tutti questi enormi problemi hanno una soluzione, ma ci sembrano interminabili. Io da 42 anni ho lavorato con le Nazioni Unite, in 18 zone di guerra e in zone di carestia quando l’India, la Cina avevano le loro carestie e ci sembrava impossibile cambiare qualcosa. Ma qualcosa è cambiato, può cambiare, deve cambiare, a condizione che ci ricolleghiamo con quello che è l’energia del messaggio dell’infinito. Ed è qui dove viene l’aneddoto, se mi permettete. Volate con me indietro, sia geograficamente che temporaneamente. Volate con me in Sudan nell’86. La città di Giuba, cristiana, è assediata. La città è assediata e la popolazione sta morendo di fame. Nessuno si muove. Il governo non si muove perché in fondo non vuole dimostrare la sua incapacità di salvare la città. I guerriglieri la assediano, pur avendo la propria popolazione in quella città, perché c’è dentro una guarnigione. Il mondo vuole reagire. Io allora lavoravo col World Food Program e avevo come consulente un collega della FAO. E il messaggio era: “Dobbiamo fare qualcosa, facciamo un appello, ci procurano un aereo”. Ma i guerriglieri avevano dei razzi, dei SAM7 che abbattono gli aerei quando si avvicinano con la ricerca del calore. L’avevano già fatto due volte. Quindi non era facile raggiungere la città. Sfidiamo comunque i guerriglieri, annunciando che eravamo pronti a portare cibo su un’operazione chiamata “Arcobaleno”: ogni nazione che ci aveva dato un po’ di cibo o un finanziamento dell’aereo aveva il suo colore. E annunciamo la rotta, annunciamo il giorno e l’ora, e i guerriglieri rispondono: “Vi abbatteremo comunque”. Il governo risponde: “Noi siamo furiosi con te, De Mistura, perché ci stai imbarazzando”. L’ONU mi manda un messaggio dicendo: “Calmati, non stai irritando un po’ troppo tutti?”. Ebbene, quella sera, appare, letteralmente appare nel mio ufficio, Madre Teresa di Calcutta, che io non conoscevo, mai vista, infatti non la riconosco, seguita a ruota da una suora chiamata Mirtilla, mi ricordo. Ambedue si presentano, Madre Teresa con un fare piuttosto diretto, dice: “Sono qui per aiutare. Ero ieri a Castel Gandolfo, il Santo Padre sentiva la BBC con un gruppo di giovani e vuole cercare di salvare la città di Giuba. Ebbene, io stavo andando in Kenya per la mia comunità laggiù e ho deciso di fermarmi. Cosa posso fare? Mi spieghi il problema”. Le spiego: i guerriglieri, la guerra del Sud, del Nord. “Troppo complicato, troppo complicato. Fammi parlare con il Presidente che impedisce la partenza dell’aereo, oppure con i guerriglieri”. Dico: “I guerriglieri sono nella giungla, non posso portarla lì, Madre Teresa. Beh, ma il presidente non c’è attualmente, sta in America”. “Nessun problema, parliamo con Ronald. È una brava persona”. “Chi?”. “Ronald Reagan, e anche sua moglie. Me lo chiami subito”. Io, allora non avevamo telefonini, non avevamo nulla, mi metto sulla radio, mi metto in contatto col centralino, dal centralino mi passano il centralino della Casa Bianca e dico: “Buonasera, De Mistura del World Food Program, c’è qui con me Madre Teresa che vorrebbe parlare col Presidente Reagan”. Il centralino mi dice: “Senta, oggi ha già chiamato Napoleone e Giulio Cesare…ah si certo, certo…auguri”. “Grazie. No stia fermo, c’è Madre Teresa qui”. “E cosa fa a Khartum, non è di Calcutta?”. “È in viaggio a Khartum. Mi dia almeno la possibilità di parlare con l’ufficiale di servizio!”. Me lo passano, e a quel punto lì lui mi dice: “Senta, io non ho tempo da perdere. Mi dica la prima volta, a che ora, in che luogo Madre Teresa ha incontrato il Presidente Reagan”. E Mirtilla aveva un libricino verde, grosso così, e subito lo cita e guarda: il 7 Febbraio quando ci fu l’inaugurazione della chiesa a Washington. A quel punto lì, il nostro amico dell’ufficio mi chiama Sir, che già era un po’ più rispettoso, e mi dice: “Senta, un momento, mi deve dire anche qual è l’ultima volta che Nancy Reagan ha incontrato Madre Teresa”. Di nuovo Mirtilla: “Beh era New York quando ci fu l’inaugurazione di quell’ospizio”. A quel punto lì silenzio. Si mette in contatto. Dopo di che mi fa sapere: “Il Presidente vuole parlare con Madre Teresa, ma tra un’ora esatta nell’Ambasciata”. Era l’ultimo controllo, se riuscivamo a entrare in Ambasciata voleva dire che avevamo anche le carte in regola. Corro all’Ambasciata, chiusa. Corro a un cocktail dove c’era la festa nazionale, c’era l’ambasciatore americano, con Madre Teresa in macchina del World Food Program. Corro dall’ambasciatore, dico: “Senti, – si chiama George – ho qui con me Madre Teresa, tra 47 minuti chiama il Presidente Reagan”. E lui dice: “Caro Staffan, qui in Sudan fa molto caldo e uno dei sintomi principali, quando si è disidratati, è una leggera fibrillazione delle gambe, dopo di che un tremore, poi se non si prende acqua e sale si comincia a vagheggiare e tu devi prendere un bicchiere di acqua con sale”. Dico: “Questo lo dovrai prendere te, perché tra 37 minuti Reagan viene. Vieni fuori con me, ti presento Madre Teresa”. La quale impaziente, un po’ irritata, anche perché è una donna d’azione, stava li e dice: “E allora?”. L’ambasciatore americano ha quasi un attacco di cuore. Corre all’Ambasciata: i marines, la moglie, tutti intorno a guardare questo telefono che doveva squillare. E Madre Teresa: “Preghiamo!”. E tutti col rosario, compresi i marines, in attesa della telefonata. Squilla il telefono, si lancia l’ambasciatore, dice: “Presidente – non l’aveva forse mai incontrato, se l’ha incontrato, l’ha incontrato per due minuti, ma Reagan non chiamava l’ambasciatore in Sudan ogni mattina – sono, sono George, grande piacere di parlarle…si molto…si lo so, è qui Madre Teresa, gliela passo”. Madre Teresa parla col Presidente Reagan come a uno studentello: “Allora, guarda qui…mah…come…ma dobbiamo fare…lei promette?… mi manda un telex di conferma?”. Chiedo a Madre Teresa: “Ch’è successo?”. “Beh, mi ha detto che è d’accordo, che lui farà pressione sul Presidente sudanese di far partire questo aereo, però purtroppo il Presidente è già partito, è andato a New York, alle Nazioni Unite, ma gli manda a contattarlo alle Nazioni Unite un certo George Bush”. “Ho capito, e quindi lo manda e ci manderà un telex di conferma”. Il telex arriva la mattina dopo, e nel telex dice: “Ho fatto quello che lei voleva, Madre Teresa, ho mandato il mio vice, George Bush, ha parlato con il Presidente, che mai e poi mai e poi mai aveva tentato di fermare l’aereo”. L’aereo è partito, abbiamo preso delle precauzioni, abbiamo avuto un aereo civetta che volava alto perché i missili lo guardassero mentre, con Madre Teresa a bordo, con un vecchio DC9, carico di cibo, siamo atterrati a Giuba, e da allora mai più Giuba è stata assediata.
Messaggio: noi possiamo mettercela tutta, ma ci vuole quella forza straordinaria della fede concreta, che Madre Teresa ci aveva insegnato. Grazie.
ALBERTO PIATTI:
Grazie infinite Staffan, chissà Madre Teresa, che ci guarda da cielo, come sorriderà di tutto questo episodio. Io vorrei ancora rubare la vostra attenzione, per gli ultimi tre, quattro minuti, per una domanda secca e una risposta altrettanto nervosa. Questo titolo del Meeeting di Rimini, così evocativo e provocante, questo legame dell’essere umano, questa natura dell’uomo come rapporto con l’infinito, questa speranza che bisogna suscitare nuovamente, come dà forma al vostro lavoro?
ERTHARIN COUSIN:
Grazie, una volta un uomo molto saggio disse al genitore di un bambino che aveva fame, “per il genitore di un bambino che ha fame, un pezzo di pane è la faccia di Dio, il volto di Dio”. Il Word Food Program, non riceve contributi da nessun governo. Ogni anno noi raccogliamo circa 3,5 – 4 milioni di dollari da governi, dal settore privato, dagli individui privati, ed è la generosità a nutrire la consapevolezza che la geografia degli affamati non deve definire la nostra compassione. Questo garantisce che continuiamo ad avere le risorse, risorse per dare a queste persone il supporto necessario per nutrire, appunto, coloro che sono più vulnerabili e che hanno più fame. Il riconoscimento degli individui è una cosa molto importante, ed è a questo che poi rispondono anche i governi nel dare assistenza finanziaria. Questo spirito, non è lo spirito di un Paese, non è lo spirito di un Presidente o dell’altro. Lo spirito, che alimenta tutto il supporto che noi riceviamo, deriva da ciascuno di noi, perché noi riconosciamo tutti quanti, indipendentemente da chi preghiamo, la responsabilità che abbiamo di servire, proprio come una risposta, di garantire che nessuna madre, appunto, debba guardare il proprio bambino in volto, senza avere la capacità di dargli da mangiare. Grazie.
JOSÉ GRAZIANO DA SILVA:
Vorrei utilizzare questi tre o quattro minuti per dirvi che cosa ho detto a Sua Santità Papa Benedetto, durante un incontro che abbiamo avuto a Giugno, all’inizio del mese. Il segretario generale Ban Ki-moon mi aveva chiamato per sapere il mio parere sull’opportunità del Meeting, della Conferenza di Rio, Rio+20, per lanciare un enorme campagna contro la fame. Io gli ho detto che sarebbe stata una cosa bella, che però avremmo avuto bisogno di partners forti, non di muoverci soltanto all’interno del sistema delle Nazioni Unite, comunque il mio supporto lo avrebbero avuto interamente, visto che avrei incontrato il Papa dopo alcuni giorni e gli avrei chiesto anche il suo supporto.
Durante l’udienza con Sua Santità, ho avuto l’opportunità di sollevare, appunto, questo discorso della sfida “Fame Zero” ed immediatamente lui ha abbracciato questa sfida, esprimendo il supporto di tutta la Chiesa per lavorare a questo progetto nei successivi anni. La sfida “Fame Zero” ha quattro principali dimensioni: la prima è quella di combattere la malnutrizione tra bambini e questo è particolarmente importante in momenti di crisi. Oggi, per esempio, il bambino è la persona più colpita, soprattutto perché abbiamo la tendenza a sostituire frutta, ortaggi, latte e altri prodotti con prodotti più energetici, fatti appunto con lo zucchero, quindi dolci, caramelle, cose gasate e quindi non è appunto solo il problema della malnutrizione che hanno i bambini durante le crisi, ma anche quello dell’obesità, che pure rappresenta un problema, altrettanto importante.
La seconda dimensione è quella di sostenere i piccoli agricoltori. Abbiamo 500 milioni di piccoli agricoltori in tutto il mondo, la maggior parte di essi sono proprio a livello di assistenza, non sono nemmeno in grado di produrre abbastanza per nutrire le proprie famiglie. Se potessimo migliorare la loro produzione, la loro produttività, facilmente potremmo trovare abbastanza cibo per dare da mangiare a tutto il mondo, non soltanto adesso, ma anche nel futuro. Dobbiamo vedere il piccolo agricoltore, non come parte del problema della fame, ma come parte della sua soluzione. La terza dimensione è trovare una maniera più sostenibile per migliorare la produzione. Oggigiorno possiamo produrre di più, però, effettivamente, usiamo delle enormi risorse naturali e questo non è assolutamente sostenibile. L’ultima dimensione, dove vi invito, appunto, ad unirvi a noi, è che dobbiamo ridurre lo spreco alimentare. Lo spreco alimentare, oggi, soprattutto nei Paesi sviluppati, rappresenta un terzo di tutto il cibo che ingeriamo. Se potessimo evitare lo spreco alimentare nei nostri pasti, nei ristoranti, e potessimo darlo ai banchi alimentari, e potessimo anche adottare diverse culture dell’alimentazione, per esempio evitare di mangiare tanta carne, evitare di mangiare dei prodotti che richiedono molti sforzi per la loro produzione, tanta acqua, potremmo condividere più cibo con gli altri. Quindi vi chiedo di sostenere questo programma della “Fame Zero” e vi chiedo di unirvi a noi in questo sforzo per cambiare le modalità in cui produciamo gli alimenti e li ingeriamo, per riuscire ad avere cibo per tutti nel prossimo futuro. Grazie
ALBERTO PIATTI:
Con l’accordo di Giuseppe Sala e di Staffan faccio due sintetiche considerazioni finali. La prima è un obbiettivo che mi ero un po’ segretamente posto ed avevo anche a loro proposto, l’obiettivo di avvicinare queste istituzioni internazionali, che giocano un ruolo così importante per tutto quello abbiamo ascoltato, a noi, al popolo, per capire come possiamo essere parte attiva e cooperatori con loro e nello stesso tempo scoprire che, dietro un ruolo istituzionale, esistono delle persone che hanno degli ideali per cui hanno dato la vita. Nello stesso tempo, abbiamo anche compreso che il problema della fame ha un altro gravissimo problema, che sempre parallelamente lo accompagna, quello dell’educazione, educazione alla libertà, educazione al significato dell’esistenza, educazione anche dal punto di vista scolare.
L’ultima citazione è del mio collega agronomo, Graziano: i 500 milioni di famiglie Dirette Coltivatrici sono una risorsa enorme e non parte del problema, dobbiamo riuscire a raggiungerli per aiutarli a sviluppare quelle risorse che potenzialmente hanno.
Noi speriamo, nei prossimi anni, di avervi ancora ospiti e di continuare questa modalità di dialogo con la gente, con il popolo, come amava ripetere don Giussani. Grazie a tutti e buonasera.