NULLA DI CIÒ CHE È UMANO MI È ESTRANEO. LUIGI GIUSSANI E LA LETTERATURA

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S.E. Mons. Massimo Camisasca, vescovo emerito di Reggio Emilia; Giancarlo Cesana, professore onorario di Igiene Generale e applicata, Università Milano Bicocca. Introduce Francesco Ferrari, sacerdote della Fraternità San Carlo Borromeo

Uno dei tratti peculiari della personalità di don Giussani è stato sicuramente la sua passione per la letteratura, o più in generale per la bellezza. In questo incontro si renderà presente questa passione come elemento fondamentale del suo pensiero, della sua esperienza di uomo e di cristiano, della sua proposta educativa. Si ricorderà anche don Fabio Baroncini che grazie a don Giussani si è appassionato alla letteratura e ha introdotto migliaia di giovani ad alcuni capolavori della letteratura. 

Con il sostegno di Tracce

NULLA DI CIÒ CHE È UMANO MI È ESTRANEO. LUIGI GIUSSANI E LA LETTERATURA

NULLA DI CIÒ CHE È UMANO MI È ESTRANEO. LUIGI GIUSSANI E LA LETTERATURA

Giovedì 22 agosto 2022 ore 15:00

Auditorium Isybank D3

Partecipano:
S.E. Mons. Massimo Camisasca, vescovo emerito di Reggio Emilia; Giancarlo Cesana, professore onorario di Igiene Generale e applicata, Università Milano Bicocca.

Introduce:

Francesco Ferrari, sacerdote della Fraternità San Carlo Borromeo

 

Ferrari. Buon pomeriggio e buonasera a tutti. Benvenuti a questa 45° edizione del Meeting di Rimini dal titolo *Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, cosa cerchiamo?* Questo incontro è dedicato alla figura di Don Giussani, alla sua persona, in particolare alla sua passione per la letteratura e al ruolo che essa ha giocato nella sua vita, nel suo pensiero e nella sua azione educativa. La prospettiva del dialogo, questo pomeriggio, non è quella di un’analisi di critica letteraria. Il desiderio che ci muove è più quello di approfondire ciò che è essenziale nella persona di Don Giussani attraverso questa porta di ingresso che è la sua passione per l’arte e, nello specifico, per la letteratura. Chi ha letto qualche suo intervento o qualche suo testo, pensiamo per esempio a *Il senso religioso*, ha visto quanto spazio enorme abbia questa passione nel suo annuncio di fede, ma anche nella sua formazione come uomo e come sacerdote.
Nell’iniziare questo dialogo, è importante ricordare, anche con gratitudine, il documento, la lettera che Papa Francesco ha scritto a tutta la Chiesa poche settimane fa sull’importanza della letteratura nella formazione. Era una lettera inizialmente pensata per i sacerdoti, come si vede anche leggendola, ma poi, per esplicita sua intenzione, allargata a tutti i fedeli. Una lettera in cui il Papa richiama proprio l’importanza e il valore per ogni uomo di essere educato e formato da questo mondo così affascinante: la letteratura.
Oggi abbiamo con noi due ospiti preziosi che non hanno bisogno di molte presentazioni, ma due parole le dico comunque: Monsignor Camisasca, fondatore della Fraternità San Carlo, quindi anche padre di casa mia, e vescovo emerito della diocesi di Reggio Emilia e Guastalla, e Giancarlo Cesana, professore onorario di Igiene generale applicata presso l’Università di Milano-Bicocca. Mi permetterò, essendo che con entrambi vivo un’amicizia ormai da tanti anni, di darvi del tu, se per voi va bene.
Io penso che i nostri ospiti siano preziosi per il tema di oggi per due ragioni. La prima è che entrambi hanno goduto di una conoscenza personale di lunghi anni con Don Giussani e anche di una collaborazione, una condivisione della sua responsabilità sul movimento. La seconda ragione è che entrambi hanno pensato, hanno riflettuto sull’incontro che hanno fatto, sul dono dell’incontro con Don Giussani. Penso ai numerosi libri che Don Massimo ha scritto sulla storia del movimento e su Giussani. Ultimo, una *Introduzione a Don Giussani* uscita poche settimane fa, di cui magari dopo parleremo. Penso ai tanti articoli anche di Giancarlo sulla figura di Don Giussani e anche alla prefazione che ha fatto al volume, uscito anch’esso poche settimane fa, che raccoglie gli interventi di Don Fabio Baroncini sulle sue presentazioni, soprattutto a studenti universitari, delle grandi opere che Giussani aveva proposto a tutto il movimento.
Penso che per queste ragioni possiamo iniziare subito. Se posso, inizierei il dialogo con alcune domande. Partirei da te, Don Massimo. Da sempre hai cercato di approfondire il pensiero di Giussani. È uscita, come dicevo da poco, una riedizione rivisitata e ampliata per dei corsi che hai tenuto in università su Giussani. La domanda è questa: cosa stai scoprendo rispetto al tema di questo incontro? Nello specifico, se ci puoi aiutare, dove nasce la sensibilità di Giussani per la letteratura e che posto ha avuto la letteratura nell’educazione che lui ha ricevuto?

Camisasca. Buon pomeriggio a tutti. Desidero iniziare con un ricordo personale. Anni ‘62-‘65, gli anni del liceo, Giussani insegnante di religione. Rimasi molto impressionato, ascoltandolo, dal suo ricorso ad autori come Leopardi, Pascoli, Pavese, Ada Negri, Thomas Mann, Péguy, Mounier, Miłosz e tanti altri. Alcuni li conoscevo, altri mi erano completamente ignoti. Io ero già un buon lettore di testi letterari e poetici, ma quello che mi fulminò fu la profondità delle sue scelte e la sua capacità di cogliere strati nascosti dell’umano che non avrei mai saputo trovare in quelle stesse opere senza il suo aiuto. Per esempio, mi chiedevo: ma perché sceglie proprio queste poesie di Pascoli? Per esempio, *Il libro*. Giussani ce la leggeva in classe, anzi, la recitava a memoria, e si chiedeva: cosa vuol dire mistero nella vita e come può svelarsi il mistero? E perché ci leggeva Mounier? È vero, solo le *Lettere sul dolore*, non le sue opere politiche, ma presentandoci le *Lettere sul dolore* già anticipava allora, all’inizio degli anni Sessanta, i temi del fine vita. In quegli anni erano solo adombrati dalla stanza laica. E poi mi chiedevo: chi gli ha fatto conoscere il drammaturgo lituano Oscar Miłosz?

Ecco, questi ricordi e queste domande mi introducono subito a una questione: perché Giussani nei suoi anni di seminario e nei primi decenni del suo ministero ha letto così tanto? Che cosa cercava? Il 17 luglio scorso Papa Francesco ha scritto una lettera sul ruolo della letteratura nella formazione. Come è stato detto, leggo due righe: “È possibile riconoscere la presenza dello spirito nella variegata realtà umana. È possibile cogliere il seme già piantato dalla presenza dello spirito negli avvenimenti, nella sensibilità, nei desideri, nelle tensioni profonde dei cuori e dei contesti sociali, culturali e spirituali attraverso la letteratura.”

Ecco, posso dire che Giussani ha operato in modo analogo, cioè penso che egli cercasse innanzitutto la bellezza drammatica – sembra un ossimoro, ma vanno tenuti assieme questo sostantivo e questo aggettivo, bellezza drammatica – della vita, per scoprirne il peso. Nessuno come Ratzinger ha saputo esprimere tutto questo parlando di Giussani. Lo ha definito “un uomo ferito dal desiderio della bellezza”. E poi ha aggiunto: “La lama della bellezza lo colpisce fino ad aprire in lui una ferita metafisica”. In questa splendida frase di Ratzinger, ontologia ed esistenza si fondono in un unico percorso. Nella bellezza, la nostalgia dell’infinito si fa sensibile. Si affaccia lì, celato, Cristo, con più emozione e più realismo di qualunque trattato teologico o libro di pietà.

Per questo motivo, Don Giussani si è sempre rivolto con estremo interesse al fatto artistico, fin dall’infanzia, alla musica innanzitutto, accompagnato dal padre, come sappiamo, poi alla poesia e alla letteratura, introdotto dagli insegnanti di seminario, ma soprattutto introdotto ad essa dalla sua passione per l’uomo, e innanzitutto dalla sua passione per l’uomo Giussani. Egli non ha mai sentito un verso, una melodia o visto un dipinto come un evento riservato a uomini particolari, colti. Ha riconosciuto invece in tutta l’opera artistica un’espressione dell’umano che aiuta la comprensione della vita. Un canto, una poesia, non erano ai suoi occhi, al suo cuore, cosa diversa dalle montagne, dai mari, dai fiori, da tutto ciò che può colpire, rallegrare, rimandare a tutta la realtà, all’infinito, con maggior chiarezza e forza. Lui stesso l’ha scritto, ha scritto questa frase stupenda: “Nella bellezza, è a qualcosa d’altro che l’uomo rende il suo omaggio, da cui aspetta: lo aspetta”. Il fatto artistico così è diventato il cuore della sua pedagogia, come sa bene chi ha vissuto o vive la vita di CL. Perché? Perché nella bellezza è nascosta la verità cui tutti, in modo consapevole o no, aspiriamo.
Lavorando in questi ultimi due anni al libro appena uscito, *Introduzione a Don Giussani*, ho avuto l’occasione di riflettere sul fatto che egli è stato per me il maestro che mi ha introdotto con più consapevolezza alla parola poetica e letteraria. Attraverso di essa ho potuto conoscere meglio me stesso e il valore della mia vita. Quindi posso dire, concludendo la risposta a questa prima domanda, che Giussani, anche attraverso gli autori che mi ha fatto conoscere, mi ha spalancato a tanti altri autori che lui non citava. Insomma, pur non essendo egli tutto, mi ha aperto alla totalità.

Ferrari. Grazie, Don Massimo. Una domanda a te, Giancarlo. Giussani ha parlato spesso di cultura, intendendo, se non mi sbaglio, per cultura non una vastità di erudizione, ma un punto di vista sintetico sulla vita e sul mondo. La sua passione per la letteratura cosa rivela a noi della concezione di cultura che aveva Don Giussani?

Cesana. Innanzitutto, devo dire che ho avuto un avvicinamento al Movimento problematico, nel senso che quando avevo 17 anni ho detto al nostro parroco di far venire GS a Carate, che è il mio paese, e lui li fece venire, fece venire quelli di GS, che a noi sembravano una realtà, diciamo, più sviluppata perché era l’unico gruppo cattolico misto che ci fosse in circolazione. Però, quando sono arrivati questi di GS, si sono messi a parlare di Gesù Cristo. Il mio interesse fondamentale era il cambiamento sociale e mi ricordo che avevo fatto una grande discussione sulla caritativa, cosa rilevante per quello che dico dopo, perché loro dicevano, come dicono ancora oggi a GS e al CLU, di andare in caritativa per imparare l’amore di Dio. Io gli dicevo: “E ai poveri cosa gliene frega se voi imparate l’amore di Dio? E la giustizia?” Avevano ragione, come in tante altre cose. Comunque, io feci un gruppo contro GS, cattolico, dicevamo i vespri tutte le sere e andavamo anche a Messa. Noi dicevamo i vespri in chiesa e GS li diceva nella casa parrocchiale, che era distante cinque metri dalla chiesa, c’era una strada da attraversare. Ogni tanto mettevo dentro la testa, incuriosito dalla personalità di quelli che erano miei compagni, perché allora GS era seguito fondamentalmente dagli universitari, dalla personalità di questi ragazzi universitari, per la serietà con cui coltivavano l’amicizia con i ragazzi delle medie. E una sera sono andato a un incontro dove parlava uno, uno di questi, che è anche un mio amico, bravissimo a giocare a pallone e negli sport in genere, ma a scuola, diciamo, io pensavo di essere più bravo sostanzialmente. Presentò l’Ulisse di Dante, e io mi sono detto: “Come fa questo qua a presentare l’Ulisse di Dante?” E l’ha presentato in un modo tale che io ne rimasi profondamente colpito, io non avevo mai sentito una cosa così. Perché sì, Ulisse, avevo studiato anch’io la Divina Commedia, avevo fatto il liceo; Ulisse era stato messo fra i fraudolenti dell’inferno perché aveva fatto il cavallo di Troia, che aveva ingannato i Troiani e conquistato la città. Ma l’idea che la fraudolenza di Ulisse fosse molto più profonda e più radicale, come può essere la fraudolenza delle persone intelligenti, che sono sempre pericolose, come può essere la fraudolenza di queste persone, che aveva convinto i suoi amici a passare le Colonne d’Ercole, il confine della terra, a entrare praticamente nel mistero, a entrare in ciò che non appartiene all’uomo con una nave piccola, con una piccola imbarcazione, cioè con dei mezzi inadeguati, cioè l’uomo che si è appropriato delle facoltà di Dio, e per questo sono affondati. E sono morti tutti. Io questa cosa non l’avevo mai sentita. Avevo letto le critiche di De Sanctis, ma non avevo mai sentito un’impostazione così. E poi da uno che io non mi sarei mai aspettato fosse in grado di farla. E quindi lì ho capito che c’era anche un’altra scuola, una scuola oltre la scuola, più profonda della scuola, un altro insegnamento, e mi sono messo a ricercarlo. Da lì è cominciato il mio avvicinamento vero al Movimento, cioè a questo, come dice Baroncini, di cui parlerò poi alla fine, Don Fabio Baroncini, che anche lui è stato colpito da Giussani perché Giussani proponeva un modo intelligente di vivere la fede, intelligente non nel senso della fisima intellettuale, ma come scoperta appassionata della verità, della verità che illumina la realtà ed aiuta ad affrontare la difficoltà, anche quando la difficoltà è imponente. Questo, questo modo di vivere la fede, non quella fede che praticamente è un racconto per bambini, una favola per bambini di cui si sente spesso parlare e che è la cosa che a me dà letteralmente più fastidio. Una intelligenza vera della realtà. Questa è stata la mia introduzione al Movimento e dopo dirò un’altra cosa.

Ferrari. Grazie, Giancarlo. Su questo aneddoto di Giancarlo mi permetto di raccontare anche una cosa per una nota ironica. Anch’io da giessino ero rimasto colpito dalla lettura dell’Ulisse dantesco e ricordo che un giorno in classe (io non ero uno studente modello, diciamo), la professoressa iniziò a parlare dell’Ulisse e io mi alzai e dissi: “Non sono d’accordo”, solo che poi non seppi supportare la tesi e fu un disastro. Però anche a me colpì l’Ulisse dantesco, mi sono lanciato in un folle volo. Una domanda a Don Massimo. Sono meravigliose le pagine di Don Giussani su Leopardi, per dirne uno. Penso alla presentazione che troviamo nelle “Mie letture”, penso ad alcune pagine famose delle Tischreden dove parla addirittura di Leopardi come di un amico. Allora vorrei chiederti: aiutaci a capire, che tipo di esperienza era per Giussani incontrare un autore, incontrare un’opera?

Camisasca. Ho riflettuto molto su questo tema perché è naturale, i libri di Giussani sono pieni di rimandi a poeti, a testi di prosa, a opere teatrali, a diari, a biografie. E non si tratta, guardate bene, soltanto di citazioni, come se Giussani volesse sostenere le sue tesi facendole arricchire da un altro, ma sono contributi accolti come parte integrante di un racconto. Bene, le citazioni insomma non hanno lo scopo di dimostrare che Giussani ha ragione, ma di approfondire il significato, di aprire l’orizzonte di chi legge, di chi medita. E gli autori, basta andare in fondo, sono centinaia e centinaia. Ma il rapporto che Giussani ha vissuto, entro qui nella domanda, con gli autori di testi poetici e letterari, non può essere descritto per tutti allo stesso modo. Con taluni, penso per esempio a Pasolini, ha scoperto una sintonia di giudizio su quanto stava accadendo nella società. Tutti e due hanno avvertito la rivoluzione antropologica culturale degli anni Sessanta, operata dalla borghesia capitalista. Accanto a Pasolini potrei citare Testori, T.S. Eliot e altri. Ma con altri autori, Giussani ha convissuto. Ha vissuto una vera e propria esperienza comune. Gli esempi più evidenti sono quello che citava adesso Ferrari, Leopardi e anche Péguy. Però Leopardi e Péguy li ha incontrati in momenti diversi della sua vita. Mi soffermo sul primo, su Leopardi. Ecco, cosa vuol dire questa affermazione che Giussani fa e che citava Francesco, cioè che Leopardi è stato suo amico? Per sua affermazione, Giussani sostiene di aver incontrato Leopardi a 12-13 anni. Se non l’avessimo sentito dire tante volte da lui, crederemmo che sia una balla: come fa uno a 12-13 anni a incontrare Leopardi fino a farsene segnare fino a quel punto? Essendone stato allora molto ferito, in certi mesi leggevo solo sue poesie col capo reclinato e non studiavo altro. Questo suo ricordo rimane per me un fatto molto impressionante. Non solo mi rivela la profondità di un ragazzo che già sente così acutamente il mistero della sua esistenza, la possibilità della solitudine e del nulla, da identificarsi con un itinerario poetico e vitale tra i più grandi della nostra letteratura. Ma ciò che è grande, più ancora, è che Giussani si è staccato da questo itinerario. Avrebbe potuto perdersi se avesse continuato a seguire soltanto Leopardi, invece per grazia riesce a scoprire un nuovo sguardo. Rimane legato al poeta di Recanati come si rimane legatissimi e amici con coloro che sono stati decisivi nella nostra vita, ma fa dei passi oltre. Nell’inno, lo sappiamo tutti, alla sua donna, Leopardi teme che la bellezza intravista nella donna amata abiti lontanissima, sia irraggiungibile come un ultimo beffardo affronto di chi ci ha voluti mortali. Giussani invece, ascoltando le lezioni di Don Gaetano Corti, arriva a riconoscere in quella donna colui che il cristianesimo chiama Verbo. Cioè la bellezza, l’abbiamo sentito tante volte, la bellezza è diventata uomo. Quando lessi questa strofa la prima volta, dissi: “Che cos’è il messaggio, l’annuncio cristiano, se non questo?” Ecco, la bellezza poetica di Leopardi lo feriva non solo perché gli parlava del mistero, ma perché lo richiamava all’urgenza che tutti venissero raggiunti da quell’annuncio dell’incarnazione. Quindi, se da un lato la sua vita è stata segnata dall’attrattiva dell’arte, dall’altro lato, proprio questa attrattiva fa nascere in lui una passione per l’uomo, una divorante passione per tutti gli uomini.

Ferrari. Grazie, Don Massimo. Ora, permettetemi di fare una domanda a entrambi, partendo da te, Giancarlo, più personale, cioè: quali opere ti hanno segnato maggiormente? Che impatto ha avuto sentire parlare Giussani di letteratura? Ma se puoi farci qualche esempio sulle opere che hanno poi segnato il tuo cammino?

Cesana. Sì, ecco, io, cominciando a seguire Giussani, a seguire il Movimento, ho scoperto il genio. Il genio non nel senso di una specie di malattia in positivo, per cui il genio è un tipo un po’ strambo, cioè non regolare sostanzialmente, ma il genio nel senso che Giussani stesso definisce: colui che sa vedere e indicare ciò che tutti gli altri cercano ma non sanno vedere e indicare. Io in Giussani, seguendo lui e le sue citazioni, ho scoperto questo, la genialità, la genialità nell’affrontare la realtà, cioè una capacità inusitata di affrontare la realtà, di giudicarla. Il giudizio. Comunione e Liberazione, è diventato noto per il giudizio, per l’intelligenza del giudizio e perché appunto il genio non è solo Einstein che scopre la relatività, il genio è anche Eliot che, per definire gli uomini di oggi, dice, perché Eliot a me è quello che piace di più, rispondo anche alla tua domanda, dice: “Cercano di uscire dal buio interno ed esteriore sognando mondi così perfetti che renda inutile essere buoni”. È la moralità di oggi. O ancora, quando descrive la drammaticità del rapporto tra la Chiesa e l’uomo, e quindi dell’uomo con la verità, con la possibilità di incontrare la verità, quando dice: “Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa? È tenera dove loro sarebbero duri, ed è dura dove loro sarebbero teneri. Perdona i peccati, ma è inflessibile sul vero. Ricorda loro cose che non vogliono sentire, cioè la vita e la morte. Perché dovrebbero amare la Chiesa?”. E infatti… Oppure quello che dice Miłosz, per dire proprio delle frasi su cui si imposta la vita, quando dice che “amare può essere come mordere un sasso”. O i santi di Martindale con l’introduzione di Giussani. Chi sono i santi? Sono gli uomini veri. Ecco, io ho imparato questa genialità, ho riconosciuto questa genialità e da qui mi sono avvicinato alla fede secondo la definizione che ha dato Ratzinger: “La fede è un’obbedienza di cuore alla forma di insegnamento cui siamo stati consegnati”, un’obbedienza. Obbedire vuol dire seguire l’altro più di sé. Io penso una cosa, non sono d’accordo con te, ma mi fido più di te al punto tale da obbedirti, da venirti dietro. Perché la fede è questo, no? Quando Gesù dice: “Volete andarvene anche voi?” Perché non capisco niente e devo starci lo stesso. In nome di che cosa? Perché la fede appunto è un affidamento, e questa genialità è l’aspetto che mi ha attratto di più, che mi ha convinto e che mi ha trascinato, e che ancora oggi mi tiene dentro la strada da cui sono sempre tentato di uscire.

Ferrari. Grazie, Giancarlo. Massimo, anche a te la stessa domanda. Quali opere ti hanno segnato di più, hanno segnato il tuo cammino, tra le tante che hai incontrato attraverso Giussani?

Camisasca. Sì, bene, leggo i miei fogli perché non sono capace di parlare senza prepararmi. Come ho detto, don Giussani mi ha fatto conoscere autori e testi, non solo di letteratura, ma anche di storia e di teologia, che non avevo mai incontrato. Ma nello stesso tempo ha aperto la mia mente e la mia curiosità ad altri autori, non necessariamente citati o ricordati da lui, ma semplicemente per il fatto che lui aveva depositato in me un seme, il gusto per la scoperta dell’umano attraverso le parole e le opere, come diceva adesso benissimo Giancarlo, di alcuni geni di cui è ricca la storia. Il genio è colui che trova ciò che tu avresti sempre voluto trovare, ma che lo trovi soltanto quando lui te lo dice. E desidero allora portare qui qualche esempio, sia di autori che lui mi ha fatto conoscere e che mi hanno sempre accompagnato, sia di grandi opere poetiche e letterarie a cui spesso ritorno. Paul Claudel. Certamente Paul Claudel è un autore che ha affiancato tutta la mia vita, soprattutto le sue tre opere teatrali fondamentali. Claudel è stato un autore prolifico oltre ogni dire: *L’annuncio a Maria*, che gran parte di noi conosce, *Destino a Mezzogiorno* (non so come si traduca adesso), e il suo capolavoro *La scarpetta di raso*. La prosa di Claudel è difficile, perché è una prosa barocca, ricca di simboli, di immagini che si richiamano reciprocamente, ricca di suoni, di colori. Ecco, che cosa mi ha insegnato *L’annuncio a Maria*? Nel libro di Baroncini c’è proprio una lettura de *L’annuncio a Maria*, come nelle mie letture. Io l’avrò sentito leggere e spiegare da Giussani decine e decine di volte. Io direi così, da parte mia, che ne *L’annuncio a Maria* e più in generale nel teatro di Claudel ho trovato una fenomenologia dell’amore, una fenomenologia dell’amore carnale e spirituale. Claudel ci fa scoprire che ogni amore, non solo quello passionale, ma anche quello trasgressivo, custodisce dentro di sé un appello all’eternità e alla verginità. E tutto ciò si disvela quando l’uomo e la donna si lasciano condurre a quel sacrificio di sé che rende eterno ogni movimento del cuore. Durante gli anni del liceo, don Giussani mi ha messo in mano alcuni testi di due teologi che poi non ho più lasciato: Henri de Lubac e Jean Daniélou. Ho detto “mi ha messo in mano” perché Giussani metteva in mano dei libri, consigliava ma lasciava anche dei libri da leggere a chi lo incontrava, anche in confessionale, come sappiamo dalla vita di Savorana. De Lubac. De Lubac è stato il grande teologo del Novecento che ha invitato tutta la Chiesa alla riscoperta dei Padri. Le sue opere ci permettono di scoprire o riscoprire il tesoro della sapienza cristiana che ha costituito il nervo di millenni di storia. Mi ricordo che al liceo mi fece leggere *Cattolicesimo: i rilievi sociali del dogma*. Daniélou. Oltre che studioso delle origini cristiane, è stato un geniale catechista. I suoi libri, come per esempio *Dio e noi*, che fra l’altro ha influenzato la scrittura de *Il senso religioso*, ancora oggi sarebbero fondamentali per la crescita e la maturità di un uomo o di una donna che voglia approfondire le ragioni della propria fede. Peccato che siano introvabili, perché su Daniélou è scesa una “damnatio memoriae” che rende quasi impossibile leggere i suoi libri. Un giorno, durante una lezione al Berchet, Giussani mi disse più o meno così: “I due più grandi autori che ha avuto l’Italia sono cristiani: Dante e Manzoni, e hanno attinto dalla loro fede la loro grandezza”. Posso dire che *La Divina Commedia* e *I Promessi Sposi* sono stati compagnia importante per tutta la mia vita. E accanto a loro, a Dante e Manzoni, ringrazio Dio di avere dato al mondo Dostoevskij. Poeti italiani. Beh, Giussani, come ho detto, citava Pascoli, poi successivamente ci avrebbe fatto leggere Montale, ma a quei tempi Rebora, come per esempio *Il pioppo”, Ada Negri, in cui trovava riverberi profondi della sua scoperta dell’uomo e del mistero della vita, l’eterna giovinezza, la misteriosità del senso della vita che si nasconde là dove poi esce per riempire la nostra esistenza. Tanti altri autori hanno poi accompagnato la mia vita, non necessariamente citati: Ungaretti, non l’ho mai sentito citare da Giussani. Per me invece ha avuto una parte importante nelle mie letture poetiche. Ma, come ho detto, la cosa importante è che Giussani ha aperto la mia vita alla finestra della vita. Grazie.

Ferrari. Grazie, Don Massimo. Giancarlo, da poche settimane è uscito questo volume di Don Fabio Baroncini che raccoglie i suoi interventi, le sue presentazioni di queste grandi opere che Giussani ha proposto a tutto il Movimento. Tu sei stato coinvolto anche nella promozione di questo libro, hai curato la prefazione e il libro stesso. Mi è sorta una domanda che sento urgente, guardando a Don Giussani e, in generale, alla sua persona. La esprimo in modo diretto: come non essere dei ripetitori, ma veri discepoli? Non semplicemente riproporre, e penso che nelle opere di Baroncini questo emerga, ma rivivere la stessa passione, lo stesso incontro con gli autori.

Cesana. Il libro è stato curato da Paola Navotti, sostenuta dall’Associazione Baroncini, che è stata fondata dopo la morte del medesimo ed è presieduta da Alessandra Pedocchi, perché noi valorizziamo molto le donne seguendo Baroncini. Mi si dice, magari molti non lo conoscono, Baroncini è stato il primo prete del Movimento, il primo diventato prete, il primo del Movimento diventato prete. Non so se è vero, però una volta che siamo andati a colazione con Giovanni Paolo II e c’era anche Giussani, il Papa a un certo punto, di punto in bianco, dice: “Ma chi è stato il primo prete del Movimento?”. E Giussani risponde: “Don Fabio Baroncini”. E il Papa: “E chi è Baroncini?”. Non aspettando risposta, evidentemente, perché Baroncini diceva come non ripetere. Era un seguace. Ripetere, dal latino, vuol dire “ripeto”, cioè “domando nuovamente”. Quindi la ripetizione è una sequela che domanda. Se c’è dentro la domanda, non è una ripetizione bolsa, pesante, eccetera, ma è una ripetizione che è una domanda. E Baroncini era esattamente questo, perché lui riproponeva i testi su cui Giussani aveva fondato la sua genialità, anche la sua genialità educativa, proprio come domanda, come domanda che innanzitutto lui aveva, che faceva sorgere in chi l’ascoltava e che poi riportava avanti. Perché, tra l’altro, lui ci lavorava molto, ha letto tantissimo per preparare questi testi, c’è nel libro, ci sono tutte le sue letture di autori che io non sapevo neanche che esistessero, che però erano letture che lo aiutavano a portare avanti questo lavoro, che lui ha fatto veramente in modo sistematico. E non tanti hanno fatto questo. E l’ha fatto per anni, portando al Movimento migliaia di ragazzi, di ragazzi di GS e del CLU. Ci sono stati anni in cui appunto i ragazzi che arrivavano al CLU a Milano erano di Varese, della Brianza, e di Don Pontiggia, per citare un altro che ha fatto molto, perché la forza del Movimento è stata certamente Giussani come fondatore, ma poi anche questi che l’hanno seguito, come Don Massimo che c’è qua adesso. Non è nato tutto da uno, è nato da una comunione, cioè da un legame tra persone. E le letture di Fabio erano a questo fine: per introdurre questa cultura, e Don Massimo ha fatto capire benissimo come sono andate le cose, su cui la sensibilità e il sentimento della vita di Giussani si impiantava e si trasmetteva appunto a noi. Tra l’altro, la lettura finiva sempre in una frequentazione, ma anche con Giussani, perché dopo che lui aveva letto questi testi se ne parlava, si domandava, ci si confrontava, si discuteva, si diceva che magari non si era d’accordo… E così anche con Don Fabio. Don Fabio è stato per anni proprio il riferimento di tantissimi che erano in difficoltà, che avevano problemi, eccetera, tant’è che la sua mancanza si sente veramente molto. Proprio lui come seguace, è uno che ha seguito, che ha seguito Giussani e ha messo a disposizione la sua vita e la sua funzione di parroco per questo, facendo vedere anche una grande apertura nei confronti di tutti, perché non solo aiutava quelli di CL, aiutava tutti. Sempre un passo indietro, seguendo. Tant’è vero che il suo motto diceva due cose, fondamentalmente: primo, che siamo qua provvisori, “siamo qui provvisori”; il secondo punto diceva “davanti ai muli, dietro i cannoni, lontano dai superiori”. Ed era il modo con cui lui viveva l’autorità, servendo, seguendo e servendo. E per questo gli siamo molto grati.

Ferrari. Grazie. Faccio un’ultima domanda. Mi permetto di fare un’altra domanda a testa rapida, per concludere. La prima, Don Massimo, è questa: io, forse anche per età, ho seguito, diciamo, mi sono impattato con l’attenzione che Giussani ha dato, e qui se sbaglio sono disponibile a essere corretto, negli ultimi anni alla Madonna, sostenuto anche dalle parole di Dante, dal commento all’Inno di Dante del Paradiso. La mia domanda è questa: che cosa ha ricevuto, cioè come la letteratura ha aiutato questa fase, se non sbaglio, finale di Giussani in cui la sua attenzione è stata più dedicata a Maria? Ecco, se puoi dirci qualcosa su come Dante ha aiutato Giussani in questo? Perché ha dedicato così tanta attenzione, per esempio, all’Inno alla Vergine?

Camisasca. Penso che gli ultimi anni di Giussani, i suoi interventi così frammentati, non siano ancora stati adeguatamente meditati ed è naturale che sia così, perché troppo poco tempo è passato e poi per entrare in questi discorsi, in queste parole, in questa dimensione mistica di Giussani occorre essere mistici. E non è un caso che lui abbia scelto San Bernardo. Non lo ha scelto, penso sia stato scelto da San Bernardo, cioè ha sentito una tale comunanza, non tanto di parole, ma di esperienze, con l’esperienza finale di un poeta che si affida a un mistico per compiere gli ultimi passi della sua vita, da sentirlo come compagno di viaggio. Giussani ha avuto come compagno di viaggio Virgilio. È stato un uomo della ragione. Ha avuto come compagno di viaggio Beatrice. È stato un cantore della Grazia. E ha avuto come compagno di viaggio, infine, Bernardo. Cioè è stato un uomo che si è lasciato sprofondare in qualcosa di indicibile. Vi ricordate tutti la misericordia, dobbiamo cancellarla dal vocabolario perché non è una parola che descriva qualcosa che gli uomini possano descrivere, qualcosa che viene da oltre, di indicibile. Ecco, quindi penso che l’ultimo capitolo del mio libro è dedicato a Maria. E io mi sono non solo, direi, rallegrato, divertito anche, ma stupito nel raccogliere tutti questi frammenti. Che sono come dei bagliori, come dei lampi nella notte. Quando, non sono delle definizioni, quando dice Giussani, ecco, in Maria c’è tutta l’umanità, tutta l’umanità è raccolta ed è racchiusa. Ha delle espressioni su Maria che sono veramente di grandi uomini che nella storia della Chiesa si sono sprofondati nella soglia del mistero. E perciò penso che lui, la sua vita, possa essere anche vista appunto come questo percorso dantesco tra Virgilio, Beatrice e San Bernardo. Mi è venuto in mente adesso che me l’hai chiesto.

Ferrari. Grazie, bello. Giancarlo, un’ultima domanda anche a te. Sentendo anche gli interventi di questo pomeriggio, è appassionante vedere che apertura di orizzonte, quanti autori, tu prima hai fatto un accenno alla scoperta dell’intelligenza della fede. Ecco, le mie domande sono: puoi approfondire per aiutarci anche a capire perché è desiderabile questa apertura di mente e di passione? Quindi ti chiedo un approfondimento su cos’è l’intelligenza della fede per Don Giussani.

Cesana.
L’intelligenza della fede, che poi penso sia anche la ragione di queste letture e della proposta di questi autori che sono veramente commoventi. L’intelligenza della fede è una comprensione profonda della realtà che non deriva tanto da una elaborazione intellettuale delle cose, anche, ma questo è l’aspetto, diciamo, più secondario. Deriva soprattutto da un attaccamento, da un’energia affettiva, dall’impegno della propria energia affettiva con la realtà e con le persone. L’intelligenza deriva da questo, è affettiva. Senza affezione non c’è intelligenza. È qualcosa di freddo, che praticamente non approfondisce veramente le cose, mentre l’intelligenza vera taglia, ferisce, ferisce chi la vive e ferisce chi l’ascolta. E Giussani, da questo punto di vista, ci ha insegnato veramente molto, perché, come si dice, una frase un po’ banale, io dicevo sempre che sentendo Giussani si capisce che il cristianesimo non è uno sport per signorine, è ben altro. È qualcosa di profondamente serio che implica un rapporto con la realtà, e bisogna appunto ritrovare questa energia affettiva, far rinascere questa energia affettiva. Come lui disse nell’84, quando guardando i ragazzi dell’equipe del Clou disse: “Voi siete grandi, siete forti, siete belli, siete più belli di come eravamo noi”. Ma era appena successo il fatto di Chernobyl, ma è come se foste stati colpiti da radiazioni, siete stati svuotati della vostra energia affettiva. E allora come si fa a far rinascere l’energia affettiva? Con le prediche? Con i sermoni morali? No, si fa con un incontro, cioè qualcosa che mette in moto, che mette in movimento tutta la personalità, l’intelligenza ma anche l’emotività, l’affetto, ecco questo, che ci sia questo incontro. Dobbiamo pregare la Madonna appunto che ci faccia sempre vedere questa possibilità per non perderci, perché quello che realizza un’esperienza come la nostra è l’entusiasmo. Entusiasmo vuol dire Dio dentro l’uomo, questa è l’intelligenza.

Ferrari. Io ringrazio molto i nostri ospiti, Giancarlo e Don Massimo, per la bellezza di questo incontro, per la ricchezza di queste risposte, e per la possibilità per me di veder rinascere anche il desiderio di conoscere, di incontrare questi autori, di rileggere le parole di Giussani, di poter riaprire appunto gli orizzonti del cuore e della mente a questa vastità di passione e di intelligenza. Io per concludere mi permetto di leggervi tre righe in questa lettera di Papa Francesco, che penso sia una bella sintesi di tante anche delle cose che sono emerse. Questa lettera sul ruolo della letteratura, che in fondo forse ci dice perché è così appassionante questo tema. L’urgente compito, dice, di tutti noi come l’urgente compito missionario, è che tutti possano incontrarsi con Gesù Cristo fatto carne, fatto umano, fatto storia. Dobbiamo stare tutti attenti a non perdere mai di vista la carne di Gesù Cristo. Quella carne fatta di passioni, emozioni, sentimenti, racconti concreti, mani che toccano e guariscono, sguardi che liberano e incoraggiano, di ospitalità, di perdono, di indignazione, di coraggio, di intrepidezza, in una parola di amore. Ed è proprio a questo livello, dice il Papa, che una assidua frequentazione della letteratura può rendere i futuri preti, ma poi dice, ma tutti gli uomini, ancora più sensibili alla piena umanità del Signore Gesù, in cui si riversa pienamente la sua divinità. Penso che la bellezza ci intercetti così tanto, questa passione di Giussani, perché capiamo che c’è una fioritura dell’umano e quindi anche della possibilità di incontrare la persona di Gesù Cristo.
Prima di ringraziare ulteriormente i nostri ospiti, un avviso: in questo particolare momento storico, dove sempre più incognite ci fanno chiedere come è possibile costruire dialogo e pace, non potevamo non sentirci provocati e riaccesi da quanto ci ha detto il Cardinal Pizzaballa nel suo intervento all’incontro inaugurale pochi giorni fa. Per questa ragione il Meeting devolverà parte delle donazioni raccolte nel corso di questa settimana per l’emergenza in Terra Santa. È anche un invito a donare con generosità. Ringrazio ancora Don Massimo e Giancarlo per l’incontro e buon Meeting a tutti.

Data

22 Agosto 2024

Ora

15:00

Edizione

2024

Luogo

Auditorium isybank D3
Categoria
Incontri