Chi siamo
NON DI SOLO STATO VIVE LA SCUOLA
Partecipano: Mariapia Garavaglia, Senatrice della Repubblica Italiana, Membro della 7ª Commissione permanente (Istruzione Pubblica, Beni Culturali); Mariastella Gelmini, Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca. Introduce Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà. In occasione dell’incontro proiezione del video di FisicainMoto-Ducati.
MODERATORE:
Come Meeting abbiamo le nostre buone abitudini quasi fissazioni, la fissazione che ogni anno c’è un’incontro sulla scuola perché, se ricordate, ci sono stati gl’incontri con il ministro Berlinguer, gl’incontri con il ministro Moratti, con il ministro Fioroni, e anche quest’anno non potevamo mancare appunto, perché possono cambiare tanti argomenti ma questo tema dell’educazione e dell’istruzione ce lo abbiamo veramente nel cuore da quando ci siamo e quindi non possiamo mancare dal riproporlo. Non è scontato che gli interlocutori politici vengano, per cui siamo molto grati al fatto che vengano regolarmente e anche quest’anno siano venuti a questo incontro dal titolo “Non di solo stato vive la scuola”, nel massimo livello di rappresentanza, perché abbiamo Mariapia Garavaglia, Senatrice della Repubblica Italiana, Membro della Settima Commissione Permanente dell’Istruzione Pubblica e Beni Culturali, e Ministro del governo ombra. Quindi la ringraziamo della sua presenza, e abbiamo Mariastella Gelmini, Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca. Siccome appunto questo tema è un tema in cui siamo tutti molto caldi e anche molto informati, forse è il tema su cui la gente che viene al Meeting è più ferrata, abbiamo pensato di svolgerlo non in termini generali riproponendo le idee di fondo dell’educazione ma a guisa di minitavola rotonda, con alcune domande che porremo ad entrambi i nostri interlocutori per entrare nel merito della questione. Infatti dal punto di vista generale, noi sappiamo quali sono i nostri cavalli di battaglia, ne abbiamo parlato tante volte: la libertà d’educazione, che in questi anni per noi ha voluto dire parlare di autonomia all’interno della scuola statale; pensate al tema delle fondazioni, discusso l’anno scorso anche con Fioroni; la parità, i voucher, la dote e poi ancora il tema della valutazione, il metodo della valutazione degli insegnanti, il doppio canale, il decentramento sul federalismo ecc.. Tutte queste cose sono temi di fondo, questa volta invece noi entreremo nel merito, chiederemo ai nostri interlocutori cosa ne pensano e cosa succederà prossimamente. Per dare il la a tutto, abbiamo pensato di fare un piccolo filmato che dice l’idea di scuola che ci piace. Il video FisicainMoto-Ducati nasce dalla collaborazione del Liceo Malpighi di Bologna e dalla professoressa Elena Ugolini in un esperimento di rapporto scuola-impresa che ha dentro tutti, enti locali e altre istituzioni. Esso dà l’idea della scuola che ci piace, una scuola dove uno possa introdursi alla vita ma nello stesso tempo una scuola che non sia solamente pragmatica. Quindi darei via al filmato e poi cominceremo il dibattito.
Proiezione del Video
MODERATORE:
Allora vedete che grazie a questa collaborazione che nasce appunto dal liceo Malpigli, tutti gli studenti di Bologna possono andar lì e partendo dall’interesse della moto, capire tutte le leggi sulla velocità, l’accelerazione e altro. Partendo dalla pratica arrivano poi allea teoria, senza quindi quel pragmatismo che può rovinare. Questo per dire un esempio già in atto, con le leggi che ci sono, perché qui evidentemente c’è di mezzo l’investimento dell’impresa privata, la collaborazione della scuola libera, il provveditorato degli studi che ci sta, l’ente locale che collabora per rendere migliore la scuola italiana. Questo è un po’ allora il senso dell’incontro di oggi. Non vogliamo essere qui per criticare ma per capire come dalle situazioni difficili si può migliorare, si può uscire, perché per noi il rilancio del sistema culturale italiano passa dall’educazione. Abbiamo avanzato due anni fa l’idea di emergenza educativa ma evidentemente dal percorso dell’istruzione pubblica e privata come prima domanda, darò la precedenza ai problemi della spesa. Perché da più di una legislatura, dal 1996, il Ministero dell’Economia ha posto sotto osservazione la spesa del Ministero dell’Istruzione. Infatti la cosa oggettiva è che secondo le statistiche siamo tra i paesi che spendono di più non per l’università, lì spendiamo poco, ma siamo tra il quarto e il sesto paese dei paesi dell’Ocse, cioè i paesi sviluppati, che spendono per l’istruzione. Quindi non spendiamo poco, spendiamo male e nel Quaderno bianco dell’istruzione preparato dal precedente ministro Fioroni e nel decreto 112 del 25 giugno 2008 si prospettano tagli pesanti alla spesa. Il decreto chiede un piano entro 90 giorni dalla pubblicazione e vorremmo sapere quali sono le linee, non vorremmo entrare evidentemente in quello che può essere riservato, ma quali sono le linee culturali che secondo i nostri interlocutori è fondamentale tenere presente in una questione di tagli. Si sa che si è speso male, ma dovendo tagliare la spesa, quali devono essere i criteri per cui le riduzioni non taglino il buono e il cattivo? Prima di tutto la nostra amica Garavaglia.
MARIAPIA GARAVAGLIA:
Grazie a voi per avermi invitato qui su questo tema. Frequentare come visitatrice il Meeting è un conto, essere chiamati su uno dei temi più sensibili per tutta la storia non solo del Meeting, anche di Cl e della CdO, è una cosa che mi riempie di orgoglio e sono qui per cimentarmi con una platea proprio perché è attenta e attende vorrei dire delle cose che non sono riuscita a dire in parlamento. Poco fa il professor Vittadini ha dovuto dire, ha dovuto citare il decreto legge 112, che era un decreto di finanziaria con grandi articoli sulla scuola. I libri, i tagli, il rapporto docente alunno erano dentro ad un pacchetto che veniva analizzato, studiato dalla commissione bilancio, non dalla commissione scuola, per cui non abbiamo potuto fare emendamenti, ma abbiamo parlato, abbiamo dato pareri. Chiedevamo ai nostri colleghi del centro destra di riprenderci il protagonismo della Settima Commissione: noi eravamo quelli della scuola, dovevamo dare noi al governo e credo senza fare un torto al ministro Gelmini, anzi forse rafforzandola, il parere della commissione di competenza, poi sarebbe passato con la fiducia. Ma il parere su questa parte che riguarda le scuole dovevamo darlo noi. Ad esempio i tagli, se ci fosse stata nel dibattito parlamentare la possibilità di discutere, avremmo chiesto regione per regione quanto avrebbe dovuto dare la regione Veneta – può darsi che per la qualità della sua scuola sia in credito – quanto la regione Campania la quale, nonostante magari una scuola che non funziona al meglio, potrebbe essere addirittura in debito; se ci fosse stato dibattito parlamentare avremmo potuto dire: lì si possono tagliare 100 insegnanti e là 3000, invece non siamo entrati nel merito. I dirigenti regionali e i dirigenti provinciali hanno a che fare adesso con dei tagli e si è detto che noi abbiamo il rapporto insegnanti e studenti di 1 a 9, mentre in Europa è 1 a 12. Io qui è una cosa la voglio confessare, che è una cosa che dovrebbe riempirci d’orgoglio, perché noi abbiamo anche gli insegnanti di sostegno, noi abbiamo anche gli insegnanti di religione quindi, quando noi diciamo che abbiamo un rapporto più elevato, è che noi facciamo entrare nell’intero budget degli insegnanti anche queste categorie. In Francia, in Germania ancor di più in Inghilterra i bambini, i ragazzi che hanno delle difficoltà sono affidati ai servizi sociali, noi li affidiamo alla scuola che vuole renderli cittadini, per cui quando ci sono delle difficoltà aggiungiamo l’insegnante non cacciamo lo studente. Quello che vorrei dirvi è questo: vorrei un metodo, un metodo sicuro. La scuola travalica i governi, l’anno scorso c’era qui Fioroni, quest’anno c’è il ministro Gelmini fra tot anni ci sarà il ministro? Ma la scuola riguarda il futuro degli italiani, dei cittadini che diventeranno dei partner europei che ci travalicano. Non riuscirò qui a dirvi che io voglio quella riforma, io sono qui a dirvi che se ci sono sprechi quelli si tagliano, perché è un fatto morale, ma dove non ci sono sprechi non si può tagliare in maniera lineare. Lì va vista un’operazione che nel decreto Tremonti purtroppo non abbiamo potuto discutere bene, perché ha preso una parte di un comma di una finanziaria Fioroni, il 622, che a proposito delle due strade, i licei e gli istituti tecnici e i corsi professionali, diceva: poiché l’obbligo all’istruzione è fino a 16 anni, pensate che civiltà poter studiare obbligatoriamente fino a 16 anni, allora questo vale anche per la formazione professionale. Il primo biennio avrebbe avuto delle materie accreditate, almeno l’ italiano, almeno la storia cioè le materie fondamentali dovrebbero poter essere insegnate in un biennio unitario, non unico, in un biennio unitario per tutti i nostri ragazzi, così non mettiamo barriere al futuro perché nella scuola ci giochiamo il futuro.
MARIASTELLA GELMINI:
Mi associo alla collega nel ringraziare davvero di cuore gli organizzatori del Meeting per questa grande opportunità che ci viene regalata. Io devo dire che da molti anni partecipo come molti di voi al Meeting, ma quest’anno per me è un po’ come il primo giorno di scuola, è la prima volta che da ministro partecipo a questo evento e devo dire che da giovane ministro cattolico sono particolarmente felice di questa circostanza e anche un po’ emozionata e vi voglio da subito rivolgere una domanda e la rivolgo anche al ministro ombra e a Vittadini: siamo veramente sicuri che il dibattito sulla scuola che oggi è tornato d’attualità, grazie a Dio si comincia di nuovo a discutere di un tema così importante per la competitività del sistema-paese e per ciascuno di noi, ecco, io vi chiedo, siamo veramente convinti che si possa ridurre un tema così importante, così alto, esclusivamente a un problema economico? Siamo davvero convinti che la qualità della scuola dipenda non da un progetto educativo ma da quanti soldi s’investono in questa istituzione?
Beh io ho delle perplessità, credo che occorra il coraggio di affrontare il problema alla radice e dobbiamo interrogarci sul tipo di scuola che noi vogliamo. Non possiamo dare giudizi che non partano da un dato di realtà, il constatare che, se fosse solo un problema di risorse investite e un problema di numero di ore, la nostra scuola dovrebbe essere la migliore d’Europa, visto che siamo tra coloro che spendono di più e che hanno il maggior numero di ore di lezione. E invece così non è, la nostra scuola è ricca di esperienze e voi me lo insegnate e devo dire che in questi giorni al Meeting ho avuto la possibilità di arricchirmi con molte esperienze con molte testimonianze di buona scuola, però mediamente la nostra scuola vive un momento di criticità fortissimo e allora credo che ciascuno di noi, non solo le istituzioni ma in modo particolare tutti i cittadini italiani, le famiglie in primis, si debbano interrogare sul tipo di scuola che vogliono. Si deve avere, come diceva don Giussani, la capacità e il coraggio di correre il rischio educativo, di mettersi in discussione e allora poi si capisce, si comprende da un dato di realtà che non è che investendo più risorse, spendendole male che si può avere una scuola di qualità. Ci sono scuole non statali che con meno soldi rispetto alla scuola pubblica ma con una governance che funziona, con una partecipazione diretta delle famiglie, ottengono risultati straordinari spendendo di meno. Allora questa è la strada che dobbiamo seguire. Non ci dobbiamo dividere tra scuola statale o non statale, la scuola è sempre pubblica ed è l’istituzione per eccellenza, e non viene mai meno la responsabilità e il dovere di educare le giovani generazioni. Allora questo governo cosa fa? Non è vero che è insensibile al tema della scuola, la scuola è centrale nel programma di governo, noi lo stiamo dimostrando non rinviando i problemi al prossimo governo, facendo un passo indietro rispetto alle nostre responsabilità ma avendo il coraggio di seguire la strada del cambiamento e non una comoda difesa di uno status quo. Questo è quello che sta facendo il governo anche grazie ad una finanziaria rispetto alla quale io oggi ho assunto una decisione importante, ho reso consultabile via internet il bilancio del ministero. Perché l’ho fatto? Perché credo che sia mio dovere compiere una grande operazione di verità. E’ giusto che il paese sappia le condizioni di crisi economiche in cui versa la scuola e guardate è troppo comodo trovare nella Gelmini o nel Tremonti di turno il capro espiatorio. Io ho 35 anni e sono qui da pochi mesi, non credo di avere la responsabilità di un bilancio che per il 97 % è ingessato in stipendi bassi che non nobilitano la funzione straordinaria dell’educatore. Io credo che, e lo dico senza ideologia, che sia finita un’epoca, quella in cui si trattava la scuola come se fosse un grande ammortizzatore sociale, un grande stipendificio. Questa mentalità, questo modo di pensare ci ha portato ad avere oggi una scuola che non ci soddisfa, che deve assolutamente migliorare, che deve essere una scuola che abbia la possibilità di crescere anche per il futuro. Con il 97 % delle risorse ingessate vuol dire rinunciare ad avere una scuola che funzioni. Io questa responsabilità non me la voglio assumere e chiedo e so perfettamente di non avere la bacchetta magica, so che mi attende un compito straordinario, ma sono disponibile al confronto con tutti, innanzitutto con l’opposizione, con l’associazionismo straordinario che è presente nel mondo della scuola, con le parti sociali, con gli enti locali. Ma smettiamola di dire che servono più risorse per far funzionare la scuola, cominciamo a spendere meglio le risorse che ci sono. Io credo che veramente, come sottolineerò nel piano programmatico che a settembre presenterò nelle commissioni parlamentari, dobbiamo incominciare a non finanziare il costo storico ma definire un costo standard e finanziare quello; noi dobbiamo liberare risorse per valorizzare il ruolo dell’insegnante, per avere degli insegnanti che siano valutati in base al merito e non solo per l’anzianità di servizio. Credo che sia molto il lavoro da fare ma il primo compito è quello di renderci conto che se vogliamo voltare pagina e se vogliamo scommettere su una scuola di qualità, abbiamo il dovere d’impiegare meglio le risorse che abbiamo a disposizione e questo è possibile e io lo dimostrerò nel piano programmatico che ho preparato durante l’estate. Solo liberando le risorse non possiamo consegnare al paese una scuola che prepari i ragazzi al futuro, una scuola che deve diventare la scuola che costruisce la persona, una scuola che rende ciascuno protagonista, come dice il vostro titolo. Oggi i ragazzi si sentono protagonisti, gli insegnanti sono i protagonisti della scuola? Non sempre, anzi quasi mai. Ecco se noi vogliamo tornare ad una scuola che non tratti i ragazzi come scatole vuote ma come persone che vanno formate in toto, ecco io credo che dobbiamo discutere, dibattere magari anche in maniera accesa, sul progetto educativo. Questa è la scommessa, le risorse si possono trovare e si possono liberare. Credo che sia un pretesto fuorviante, invece, continuamente rinviare la soluzione dei problemi, perché c’è sempre questo piagnisteo che le risorse sono poche. Io dico che si possono impiegare meglio e che insieme dobbiamo scommettere veramente su una scuola di qualità. La scuola si può migliorare ma guardando i problemi per quello che sono.
MODERATORE:
Secondo grande tema l’autonomia. Nel seminario di Caserta, Fioroni aveva annunciato la trasformazione delle scuole in fondazioni. Scuole come fondazioni, per noi voleva dire qualcosa d’importante cioè che, anche nella scuola statale i genitori, i professori, i presidi le autorità avessero potere reale nel condurre la scuola. Perché anche all’estero c’è un pubblico che può essere gestito a livello locale pur rimanendo pubblico e questo sembra che sia un tema assolutamente importante. Che progetti avete in questo senso?
MARIAPIA GARAVAGLIA:
Dirò che qui prima di me c’è stato il ministro Fioroni che quello che ha detto ha fatto, nel senso che un conto è avere delle idee da proclamare e un conto è entrare nel merito. Purtroppo noi non chiediamo più soldi alla scuola e sui tagli non eravamo contrari ai tagli, volevamo capire come tagliare perché il progetto educativo è legato anche alla composizione delle classi, al rispetto della autonomia. L’autonomia periferica è quella della costruzione delle classi poi si chiedono le classi degli immigrati, ma la costruzione della classe avviene a livello territoriale con i dirigenti scolastici. L’autonomia degli enti locali che è legata ai plessi, l’autonomia degli enti locali è legata ai servizi integrativi. Nella finanziaria di Fioroni c’era l’utilizzo della scuola anche per il territori, c’erano soldi su questi servizi. L’autonomia purtroppo costa, perché si fanno delle scelte che sono legate al territorio, che sono legate al recupero, perciò non si può nella scuola buttarla in economicismo, non ci arriverò mai, non mi farete mai dire che la qualità della scuola è legata ai soldi, però se è una priorità del paese, allora è anche una priorità nelle finanziarie. Si capisce dove si allocano le risorse, spendere meglio sì, ma bisogna allocarle le risorse e sull’autonomia ci vogliono fondi per il recupero delle dispersioni, degli abbandoni, per l’integrazione con quel 20% di attività che possono essere legate proprio alla cultura territoriale. L’autonomia è l’altra gamba, forse addirittura l’altra faccia, comunque appartiene al cuore della sussidiarietà. Io ho un suocero che ha inventato la sussidiarietà in Europa con la sentenza Wander off e ha detto che la sussidiarietà è la decisione il più possibile vicino al cittadino. Ma le decisioni, oltre ad aver bisogno di norme, hanno bisogno di fondi, perché l’incremento non può essere solo funzionale, deve essere anche gestionale. Cari amici io sono qui ad aspettare, vorrei parlare in parlamento di questi argomenti, ma stamattina in una conferenza stampa ho saputo che avremo di nuovo un decreto. I decreti sono veloci, qui al Meeting c’è questa possibilità di dialogo e di ascolto e voi che sarete degli altoparlanti, dei riferimenti ma un opinione pubblica se non è in parlamento che dibatte, come fa a saperlo l’opinione pubblica? Parliamo solo con le battute sui giornali, per cui si continua a ritornare sul ministro, anche quando il ministro ha già smentito. Noi non abbiamo bisogno di riempire i giornali, abbiamo bisogno di riempire il cuore e la mente delle famiglie, degli amministratori. L’autonomia con il federalismo sarà essenziale che sia gestita in maniera corretta, altrimenti avremo decentramento, che è un’altra cosa rispetto all’autonomia. Quindi io, alla domanda precisa del professor Cittadini, sono qui a dirvi che continueremo nella scia di Fioroni, e quindi saremo a favore dell’autonomia più spinta, perché allora lì ci sarà concorrenza e uso questa parola che ancora sembra economicista ma non lo è, perché la concorrenza è il confronto fra le capacità educative, fra le capacità gestionali. Il recupero di fondi, magari inutilmente destinati a qualcosa per evitare le economie, invece quei fondi si possono utilizzare per servizi anche di carattere inclusivo. Se non è la scuola che aiuta ad essere attenta ai fenomeni intorno a noi, nel nostro paese, in Europa, parlo proprio anche del paese di 1000 abitanti, se non è la scuola che ci prepara a quello, chi ci preparerà? Ma l’autonomia occorre che sia sostanziata. Norme ci sono, noi abbiamo avuto il coraggio di portarle fino alle estreme conseguenze, ma alle estreme conseguenze esigeranno i fondi. Siccome è un diritto l’istruzione, la formazione, il conoscere per sapere, il sapere per fare è sulla testa degli studenti, non sulla testa dei titolari della scuola, che siano cooperative, che siano fondazioni, è sulla testa degli studenti e quindi uno stato, nel pluralismo delle istituzioni e nel pluralismo sociale, deve far arrivare i soldi sulla testa di coloro che sono i fruitori, perciò la fondazione o un altro strumento va bene, purché ci sia un momento di gestione completamente responsabilizzato: tot teste, tot trasferimenti. Superiamo anche quella cosa antistorica del finanziamento alle scuole paritarie, che per altro Fioroni ha molto implementato, recuperando anche 150 milioni che nella finanziaria Moratti erano stati sottratti e che quest’anno il governo non lo ha aumentato. lo capisco, non ha aumentato le statali, le ha tagliate e ha dovuto non dare niente e tagliare di pari percentuale anche le paritarie. I fondi questo sono, i fondi sono l’occasione per farsi misurare anche sul progetto educativo; le due cose s’intendono insieme: senza soldi anche il progetto educativo non ha strumenti in cui inserirsi.
MARIASTELLA GELMINI:
Parliamo di autonomia e di fondazioni. Io credo che il giorno in cui tutte le scuole, indipendentemente che siano statali o non statali, potranno costituirsi in fondazioni, io credo che quello sarà un bel giorno, non per la politica ma un bel giorno per il paese e per i nostri ragazzi. Mi auguro veramente che in parlamento si possa affrontare questa discussione, non con stupidi steccati ideologici ma partendo ancora una volta da un dato di realtà, ovvero dalla prova provata che quelle scuole che sono fondazioni funzionano, hanno una governance più snella, hanno meno burocrazia, c’è più responsabilità e capacità decisionale in capo ai dirigenti. Tutte cose che servono alla scuola in quanto tale e allora noi dobbiamo partire da questa consapevolezza, si discute tanto di autonomia, ma è una bugia dire che oggi l’autonomia in Italia esiste, perché il meccanismo è ancora completamente centralistico, è fatto di circolari, di decreti, di provvedimenti che sono utili solo per il contenzioso giudiziario. Io credo che dobbiamo avere la capacità di semplificare ma anche di non avere paura di applicare il principio di sussidiarietà. Allora non ha senso che i dirigenti scolastici non abbiano la possibilità di decidere perché tutto è in capo al ministero; io non ho paura di un dimagrimento del ministero dell’istruzione, credo che sia un opera buona e giusta e non ho paura di dare fiducia ai protagonisti della scuola che fino ad oggi sono sempre stati difesi ma ritenuti incapaci di responsabilità. Io sono convita che se noi ci misuriamo con la competenza dei dirigenti scolastici e diamo davvero la possibilità di decidere, io sono convinta che ne deriva un vantaggio enorme per le scuole. Io veramente spero e sono convinta che la politica sia sufficientemente matura non per fare un dibattito ideologico sulle fondazioni, non è un modo per privatizzare la scuola, non è questo l’intendimento del ministro. Se prendiamo atto che la governance scolastica così com’è non funziona, non basta dire che non va bene, bisogna poi indicare delle soluzioni, mi pare che anche il ministro Fioroni fosse d’accordo su questo tema, sulla possibilità di costituire le scuole in fondazioni, quella è la strada. Così come la responsabilizzazione dei dirigenti scolastici è importante, cambiare anche la modalità di reclutamento degli insegnanti e finalmente introdurre uno status giuridico dell’insegnante, avere un contratto differenziato, premiare gli insegnanti sulla base del merito. Questi sono i temi che devono animare il dibattito sulla scuola, perché ci vogliamo ridurre solo a parlare di tagli, ma quali tagli, la scuola così com’è funziona o non funziona? Le risorse sono ben spese? Io credo di no e siccome noi sappiamo che lamentarsi, chiedere nuove risorse non è possibile, cominciamo davvero a liberare quelle che ci sono. E non è vero che l’autonomia costa di più, in Lombardia abbiamo moltissimi esempi di applicazione dell’autonomia, di applicazione del principio di sussidiarietà, l’autonomia costa meno, fa risparmiare, velocizza i processi e io devo dire che ho costituito al ministero, sia alla scuola ma anche per l’università, un ufficio della semplificazione, perché noi abbiamo perso la memoria storica del numero di provvedimenti normativi che dovrebbero governare la scuola come anche l’università, e lavoriamo per sommatoria. Io credo invece che dobbiamo cominciare ad eliminare tutte quelle leggi che creano confusione, che sono contraddittorie, che animano il contenzioso e non dobbiamo avere paura di scommettere sull’autonomia, perché veramente è la strada che anche a livello europeo porta ad una riqualificazione delle scuole e dobbiamo avere fiducia nelle persone, dobbiamo responsabilizzarle e poi premiarle. Io lo voglio dire qui, il merito non è uno strumento elitario, è un modo per premiare i meritevoli, è un grande strumento di giustizia sociale, perché chi non ha santi in paradiso è solo grazie al merito che va avanti. Oggi la scuola parla poco di autonomia, di valutazione, di merito. Io credo che su questi tre elementi dobbiamo confrontarci con l’opposizione, con tutti i protagonisti della scuola, ma il cambiamento parte dalle riforme. Oggi la scuola è una macchina con un motore che non funziona, non basta mettere benzina perché il motore riparta, bisogna aggiustare il motore, paradossalmente mettere ulteriore benzina in questo momento vorrebbe dire disperderla. Quindi non perdiamo tempo, è già stato discusso negli anni passati, nelle legislature passate. Teniamo tutto ciò che di buono è stato fatto perché io l’ho detto da subito, non penso alla grande riforma e non demonizzo tutto ciò che è stato fatto prima, ma laddove c’è la necessità di intervenire, facciamolo subito senza pregiudizi, senza dividerci e andando in maniera pragmatica a fare delle scelte che se rinviate nel tempo facciamo pagare, ci assumiamo la responsabilità di far pagare un prezzo enorme al Paese, in modo particolare ai nostri giovani. Si parla sempre di giovani e poi sono all’ultimo posto, diamo un segnale concreto di una centralità dei nostri giovani, io credo che sia importante per un Paese che vuole scommettere sul presente ma che soprattutto crede in una prospettiva futura, nel primato della politica, permettetemi di dirlo. Grazie.
MODERATORE:
Il ministro ha già introdotto il tema degli insegnanti, di come trattare gli insegnanti. E’ appena stato chiuso il decimo corso delle SSIS, l’idea è che appunto non sia più questo il metodo di reclutamento, ma allora qual è il metodo di reclutamento che i nostri interlocutori pensano essere opportuno dopo l’università per chi voglia andare ad insegnare? E in generale, che cambiamento pensano di attuare rispetto allo stato giuridico degli insegnanti? E’ un tema che tra di noi ricorre spesso: sono i peggio pagati d’Italia, non hanno scatto di carriera per formazione e capacità, sono assunti centralmente. Io ho letto sulla stampa alla fine di luglio la dichiarazione del ministro sul criterio premiale, dare di più agli insegnanti che sono impegnati. Allora come configurare questo? Alternando l’ordine comincia adesso il ministro.
MARIASTELLA GELMINI:
Uno dei primi provvedimenti che ho assunto è proprio la chiusura, la moratoria sulle SSIS. L’ho fatto per non essere ipocrita e per non distribuire illusioni che diventano poi cocenti delusioni. Io credo che le SSIS dovessero essere chiuse prima, posto che dal 2007 i ragazzi che frequentano le SSIS non hanno la possibilità di accedere alle graduatorie. Quello era un modo per creare precariato, la sinistra parla sempre di attenzione al precariato, però poi quello era un modo per creare nuovi precari, per distribuire illusioni veramente pesanti, con una grande responsabilità morale. Io ho deciso di applicare una moratoria e di costituire un gruppo ristretto di persone, di professori, che stanno lavorando per individuare una modalità diversa, che si basa sul praticantato, perché io credo che l’insegnamento sia un’esperienza, non è solo frutto di una conoscenza e credo che voi me lo insegnate questo. Un insegnante impara, certo deve essere preparato ma poi tenere una classe è un’esperienza unica, per certi versi irripetibile, perché cambiano le persone, cambiano i contesti, quindi io credo che sia più utile, anziché due anni di ulteriore studio dopo una laurea comunque impegnativa, che si introduca il praticantato, e mi sto muovendo in questa direzione. Così come con riferimento agli insegnanti ho posto, all’indomani della mia nomina durante l’audizione nelle commissioni, il tema di un recupero della consapevolezza della funzione sociale straordinaria che sta in capo all’insegnante e ho anche detto che questo non è un lavoro per tutti, cioè che non è che chiunque possa fare l’insegnante. Vedete, qualcuno mi ha rimproverato di non essere insegnante e quindi di non comprendere i problemi. In realtà è vero, non sono un insegnante, non lo nego ma ho una mamma che ha insegnato, mia sorella tuttora insegna e so la passione che anima la straordinaria maggioranza degli insegnanti e a volte lo stato di frustrazione nel vedere che la società non comprende la fatica dell’insegnare, la fatica di correre quel rischio educativo di cui parla don Giussani. Allora ho posto da subito la necessità di pagarli meglio, e mi è stato detto, come fai a pagarli meglio? Cominciamo a cambiare le cose; se lasciamo le cose come stanno, siamo certi che gli insegnanti non li pagheremo mai meglio, anzi li pagheremo sempre di meno, e allora credo che responsabilmente si debba invece mettere mano alle condizioni del bilancio, così come il governo sta facendo in ogni settore, in primo luogo nell’istruzione, per arrivare a fare quei risparmi, e la finanziaria già lo prevede: prevede la possibilità di reinvestire un 30% dei risparmi nella premialità degli insegnanti. Allora noi dobbiamo, e c’è già un disegno di legge depositato in parlamento, rivedere la modalità del reclutamento e innanzitutto lo status professionale dell’insegnante. L’insegnante deve essere valutato per ciò che fa e laddove raggiunge buoni risultati, laddove riesce a creare un empatia con la classe, ad essere un buon educatore, è giusto che questa fatica trovi un riconoscimento anche economico. Io sono certa che lo possiamo fare e credo anche che se ho introdotto la valutazione del comportamento, è proprio in questa direzione, innanzitutto per pensare ad un giudizio complessivo, perché un ragazzo è ciò che impara, il risultato che consegue nelle singole materie, ma è anche e soprattutto ciò che è, come si comporta, va valutato come persona. Lo stesso vale per l’insegnante. In capo all’insegnante non c’è solo il compito di trasmettere dei saperi e delle conoscenze, c’è innanzitutto la funzione educativa e allora la valutazione del comportamento va nella direzione non di un ritorno al passato ma di una lotta contro quella dittatura del relativismo che sta impoverendo la società prima che la scuola. Io non ho paura di pronunciare queste parole, perché qualcuno ci accusa, mi accusa, che chi in qualche modo combatte il relativismo non crede alle differenze, non crede al pluralismo. Ebbene, le vostre esperienze, le vostre vite, questo evento straordinario del Meeting mettono in evidenza che è esattamente il contrario. Laddove si ha la capacità di mettere al centro la persona, lì ci sta l’accoglienza, l’incontro, una maturazione che deriva dalla conoscenza reciproca, ed ora questa è la scuola che io vorrei, vorrei per ogni ragazzo italiano, indipendentemente dalle condizioni sociali, da dove vive. Ogni scuola deve essere in grado di garantire questa ricchezza e io credo che sia una ricchezza faticosa da costruire ma è una fatica che dobbiamo fare volentieri perché la missione è particolarmente alta. Io credo che ne valga la pena se vogliamo davvero credere in un futuro per l’Italia, qualcuno diceva se vogliamo recuperare l’identità nazionale, l’identità nazionale passa da lì, passa dalla scuola, dalla capacità di dare ai giovani la forza di credere in qualcosa.
MARIAPIA GARAVAGLIA:
Ci sono delle cose che possono essere continuate in questo senso. Nel senso che sul reclutamento degli insegnanti abbiamo già delle cose, tanto per far sapere da che parte stiamo. Appena il ministro aveva assunto l’incarico, aveva dato questo giudizio, che gli insegnanti italiani sono mal pagati. In una società consumistica purtroppo si misura l’autorevolezza, lo status sociale anche da questo. Però questa situazione deriva da una storia, gli insegnanti sono all’interno del comparto del pubblico impiego, con quello che ne viene, quindi se lavoreremo su uno status giuridico diverso, figurarsi se non saremo attenti, perché nel famoso 112 si parla anche lì degli insegnanti e non nei termini detti poco fa dal ministro Gelmini. Le SSIS: avevamo presentato un emendamento non solo per la moratoria, ma proprio per intervenire, perché l’insegnante davvero deve scegliere di fare l’insegnate. Oggi insegnano matematica solo il 17% di quelli che si sono laureati in matematica, gli altri si sono laureati in qualsiasi cosa, in biologia, in scienze naturali, quindi il rispetto del ruolo e il rispetto dei discenti significa presentarsi davvero con le carte in regola rispetto a ciò che si vuole tramandare. Sono d’accordo, ed è nel disegno di legge di agosto che spero discuteremo e non diventi decreto legge, che per il primo ciclo basti la laurea in Scienze pedagogiche ed educative ma per le altre materie occorre che ci sia il praticantato. Era già nelle intenzioni, credo lo avesse già detto qui Fioroni, un praticantato con un tutor, con una valutazione, perché non è detto che alla fine del praticantato si sia in grado davvero di insegnare. Io ho insegnato, ho colleghi insegnanti e so che qualche volta è un danno quello che viene perpetrato in classe. Quindi la valutazione della metodologia didattica è necessaria. Il governo, se arriva a tanto, avrà non solo la mia firma ma un plauso che cercherò di suscitare in maniera generale. Il ministro precedente ha avuto il coraggio di fare una cosa che credo possa essere solo gradita in questa sede. In un atto pubblico, nel decreto del ministro del 31 luglio 2007, nella parte che presenta le linee programmatiche, ha fatto un capitolo con queste parole, che nella storia della Repubblica non c’erano mai state: centralità della persona umana; le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende con l’originalità del suo percorso individuale e l’unicità della rete di relazioni che la legano alla famiglia e agli ambiti sociali. La persona umana centrale per noi significa proprio senza discriminazioni, non voglio farmi scappare un lapsus: tutti i bambini, tutti i ragazzi, tutti i giovani, non con l’aggettivo italiani, tutti quelli che entreranno nella scuola del nostro Paese, se sarà una scuola che avrà una visione come quella che noi vorremmo mettere in campo, saranno tutti un investimento morale e anche materiale per il nostro Paese e quelli che non hanno l’aggettivo italiano di fianco saranno un ponte. A proposito di citazioni di parole grandi, che ci danno il senso della vita, oltre al relativismo, in questi giorni abbiamo sentito dallo stesso alto maestro la condanna di tutti i razzismi, di tutti i tipi evidentemente, non aveva in mente solo quelli legati ai fatti più esteriori. La scuola questo deve fare, se la scuola non fa questo ci farà vivere uno contro l’altro, saremo noi e gli altri, ma la identità vale, noi e gli altri, affinché anche gli altri hanno la loro identità. Il meticciato, come una volta in questa sede è stato detto, non funziona nel formare la coscienza del cittadino, del responsabile futuro, perché è la scuola che deve impedire queste situazioni che non valorizzano la inviolabilità, l’originalità, la dignità della persona umana. Se gli insegnanti saranno preparati a questo compito, avremo bisogno di costruire pesantemente il loro curriculum di studi, anche di verificare poi pesantemente, cammin facendo, la validità delle loro capacità metodologiche e didattiche. In questo momento, però, abbiamo anche tanti insegnanti che sono già sulla cinquantina e sono ancora lontani dalla pensione e se il ministro Gelmini conosce mamma e sorella e anche colleghi di questi parenti, sa che alle frustrazioni corrisponde anche il fatto che vedono che il mondo cambia. Se c’è un posto nel quale si capisce che il mondo cambia è l’inizio di ogni anno scolastico. Io oggi avrei paura ad affrontare delle classi che invece per 29 anni con grande passione e con amore ho frequentato. C’era nella finanziaria scorsa un malloppino, 250 milioni, affinché questi insegnanti vicino ai 50 anni, con 5 o 6 settimane sabbatiche potessero partecipare a corsi di aggiornamento e riqualificazione, corsi faccia a faccia in un sito, all’università o ondine. Come ogni ragazzo è una persona, anche ogni insegnante è una persona e dobbiamo averli a cuore entrambi, affinché le relazioni che stabiliscono fra di loro siano fondate su norme scritte, finanziate, applicabili. Non voglio essere fraintesa, non ho chiesto più soldi per la scuola, ho chiesto di spendere meglio facendo in modo che i tagli diventino selettivi.
MODERATORE:
Entriamo in un tema che evidentemente abbiamo già toccato più volte nel dibattito, che per noi è caldissimo, la parità. Proprio l’anno scorso il ministro Fioroni aveva annunciato una timida apertura, perché diceva che si cominciava ad introdurre l’idea che si potesse centralmente finanziare anche la scuola paritaria. Le regioni negli anni scorsi sono state all’avanguardia, perché hanno introdotto prima i voucher, penso innanzitutto alla Lombardia poi ad altre regioni, e poi la dote, che è l’idea che ogni famiglia possa scegliere la scuola dove spendere questo finanziamento. Mariapia Garavaglia ricordava alla conferenza stampa un’altra forma assolutamente interessante come il credito d’imposta. Ecco, forse questa è la cosa che ci lascia più con i nervi scoperti, perché è la battaglia oserei dire dei cattolici, ormai decennale. Possiamo sperare che nel prossimo futuro succeda qualcosa dati i tagli? Noi lo pensiamo, anche se posso dire un giudizio in più, che forse non è un problema di tagli ma di razionalizzazione della spesa, quindi chiedo ad entrambi i miei interlocutori questo, quindi prima al ministro.
MARIASTELLA GELMINI:
Da poco abbiamo presentato al Consiglio dei Ministri un progetto di legge sull’introduzione dell’educazione civica, proprio per insegnare ai ragazzi i principi costituzionali, per far conoscere le nostre istituzioni, ma se vogliamo veramente che la nostra costituzione abbia un valore profondo e sia praticata e vissuta, dobbiamo ricordare che nella Costituzione è contemplato sia il diritto allo studio, cioè l’aiuto per i più meritevoli indipendentemente dalle condizioni economiche, sia la libertà di scelta educativa in capo alle famiglie. E allora credo che non possiamo chiedere ai ragazzi di conoscere la Costituzione quando noi siamo i primi a tradirne i principi fondamentali. Se vogliamo essere coerenti e quindi insegnare in modo giusto ai ragazzi la nostra Carta Costituzionale, dobbiamo sapere che oggi il principio di libertà di scelta educativa delle famiglie è un principio che è quantomeno compresso, in alcuni casi non è nemmeno riconosciuto. Io credo che ancora una volta la politica dovrebbe da un lato affermare questo principio, ma poi viverlo, e allora ci sono delle esperienze che ci indicano la strada. Non è sempre necessario scoprire qualcosa di nuovo, ci sono delle regioni, in primo luogo la Lombardia, con il presidente Formigoni, ma non solo, che hanno sperimentato e con successo alcune pratiche, penso alla pratica del buono scuola, tanto criticata e, ne parlavamo prima in conferenza stampa, anche alla dote per le famiglie. Sono alcuni esempi, io credo che noi dobbiamo partire da lì e mettere in comune, fare in modo che diventino patrimonio comune di conoscenza, quelle esperienze positive che hanno dato valore, che hanno dato risultati positivi. E certamente se vogliamo fare in modo che le famiglie, anche quelle più in difficoltà, possano scegliere liberamente come educare i propri figli, dalla capacità di liberare risorse e di spendere meglio, ci torno ancora su questo concetto, deriva la possibilità di garantire il principio che oggi in alcuni casi è osteggiato ma che non è concreto, non ha una concretizzazione. Io credo che dobbiamo davvero in maniera bipartisan su questo tema uscire ancora una volta dall’ideologia, evitare di demonizzare le scuole paritarie, come troppe volte sento ancora fare e trovare gli strumenti per aiutare le famiglie e per renderle protagoniste dentro la scuola. Io ho registrato e ho anche denunciato un cortocircuito nel sistema educativo, nella comunità educante, tra le famiglie e gli insegnanti. Io credo che dobbiamo superare nel rispetto reciproco dei ruoli questa conflittualità, che ogni tanto si evince all’insegna di un buonismo che poi non aiuta i ragazzi, ma finisce per penalizzarli e per disorientarli e dobbiamo, visto che andremo a modificare la governance delle scuole, trovare nuove modalità perché la famiglia sia protagonista in ambito scolastico, perché possa determinare, contribuire a determinare la tipologia di scuola e l’indirizzo educativo. È un fatto importane, oserei dire di civiltà e credo che ancora una volta si possa, e mi piacerebbe che questa legislatura si caratterizzasse su questo tema, per davvero fare qualche passo in avanti. Io ho pensato anche di utilizzare gli strumenti tecnologici, le innovazioni tecnologiche che abbiamo a disposizione, proprio per creare un circuito virtuoso di messa in comune delle conoscenze e delle esperienze con gli insegnanti ma anche con le singole scuole. Ecco, guardiamo, affrontiamo i problemi che esistono ma non tacciamo gli esempi positivi di scuole che riescono ad essere davvero un modello educativo, una scuola dove i ragazzi si recano volentieri, una scuola che sa intercettare la fiducia e la stima di tutto un territorio. Ecco, io credo che questa legislatura debba rappresentare un momento importante per applicare questo principio.
MARIAPIA GARAVAGLIA:
Non credo di dire una cosa che non è condivisa, e comunque anche se sembra banale è vera. La scuola è di tutti e quando i bambini, i ragazzi, i giovani varcano i cancelli la mattina, a loro non importa di chi è la scuola, il loro diritto è varcare quel cancello e trovare lì ciò per cui una comunità civile deve impegnarsi a dare per realizzare le finalità di promozione della persona, di formazione, di trasmissione di sapere e per imparare a vivere. In fondo la scuola deve dare una mente ben organizzata non una mente piena, come diceva Edgar Morin. La parità. Nel 2004 e nel 2008 abbiamo avuto delle sentenze che dicono che i soldi, che i fondi pubblici per le paritarie, devono passare dalle regioni. Quindi credo che abbiamo spiattellato lo strumento di come rendere effettiva la parità tra le scuole statali e non statali, ma chi è un abitueé, avrà sentito che Fioroni sulle scuole paritarie pretendeva che ci fosse almeno una distinzione tra il profit e il non profit, perché c’è già una bella differenza. E poi siccome vogliamo valutare lo Stato, vogliamo valutare anche il non stato, per i contenuti, per la qualità degli insegnanti, per la qualità dell’apprendimento e quindi non può essere che diamo gli stessi fondi con regole diverse. Forse quel regolamento va portato avanti e da questo punto di vista abbiamo una storia alle spalle che, come si suol dire per chi è un giurista, crea un precedente. Le scuole materne, sapete benissimo che la maggior parte sono di iniziativa non statale, i licei linguistici. E’ la sussidiarietà più tipica, lo Stato non li ha, li ha l’iniziativa privata, non statale; molte accademie, molte scuole coreutiche, cioè noi abbiamo una platea ormai sulla quale possiamo garantire che un confronto serio su qualità dei contenuti, sulla qualità gestionale, potrebbe davvero non favorire gli steccati, perché abbiamo già un lavoro da fare. Ho pensato però, siccome è un dente scoperto anche per il ministro, non solo per me, , quando taglieremo i finanziamenti ad alcune scuole in alcuni comuni di montagna o con mille abitanti, li taglieremo alle scuole delle suore, non alle scuole dello Stato.
MODERATORE:
Abbiamo molti argomenti ancora da discutere, ci sarebbe la formazione professionale, piuttosto che il federalismo, il decentramento, ma data l’ora ed anche gli impegni successivi, dovremmo concludere con un’ultima domanda, sapendo che non si conclude l’argomento, e la domanda riguarda la valutazione intesa in due sensi, la valutazione degli studenti e la valutazione delle scuole. Perché ha a che fare con quello detto in precedenza? Perché se andiamo a prefigurare un sistema paritario, un sistema dove la spesa deve essere legata alla qualità, bisogna pur valutare, anche perché poi si dicono in giro tante di quelle scemenze, come quella che si dice sui giornali, anche da parte di certi studiosi, per cui la scuola privata avrebbe dei rendimenti peggiori di quella pubblica. E’ una bufala, dipende da uno studio non accurato sul piano scientifico. Vi rimando a articoli specifici sull’argomento, ma non credete più a questo basso giornalismo, a questo basso uso degli statistici, perché sono cose che non stanno né in cielo né in terra. Se andassero a fare questo tipo di studi all’estero, boccerebbero i professori, certe volte anche perché gli economisti che si mettono a fare gli statistici sono degli ignoranti, permettete la collera personale. Ciò detto, valutazione, come valutare gli studenti, visto che è difficile avere un paradigma comune di certificazione, come certificare le competenze, ha ancora senso il valore legale del titolo di studio? Questa è una prima domanda che capisco ci terrebbe qui almeno venti giorni, però insomma, cominciamo. Ma il secondo aspetto riguarda come introdurre la valutazione esterna delle scuole, quella che c’è in tutto il mondo. E’ stato appena rinnovato l’Invalsi, ci sono state due sperimentazioni dal 2001, con alterne vicende, che però nell’idea della valutazione trovavano abbastanza concordi entrambi i ministri. Allora cosa avverrà di questo? Chiedo ai nostri interlocutori quest’ultima domanda dicendo anche che se hanno delle considerazioni conclusive le possono fare in quest’ultima domanda. In questo caso comincia la Garavaglia e finisce il ministro.
MARIAPIA GARAVAGLIA:
Grazie. Abbiamo fatto emergere, praticamente in tutto ciò che ci siamo sforzati di dire, che ci manca il parametro per sapere chi sta facendo il suo compito bene, chi male, chi sprechi i soldi, chi li spende bene. Però trovandomi qui io non lascio cadere neanche quell’idea che la scuola non statale tutta funzioni bene, perché spero che anche voi siate un po’ scocciati a vedere la differenza fra le scuole di ispirazione cristiana che ottengono il massimo dei risultati e i votifici che ottengono soltanto il massimo di reddito da parte dei proprietari. Quindi almeno questa differenza va stabilita, perché questo è il dato. Noi la valutazione la vogliamo anche per questo, perché quei diplomi limitano poi la capacità di protagonismo di coloro che li hanno voluti facilmente e al di fuori della fatica di raggiungere il merito. È evidente che rispetto ai ruoli, ciascuno di noi ha maggiore o minore visibilità, ma un dispiacere piccolo rispetto ad altri l’ho avuto pure nella discussione che riguardava il dare 25 punti in più agli ottimisti. Era una misura di Fioroni, che siccome conosce bene le facoltà di medicina e le facoltà in cui c’è il numero chiuso, aveva pensato di far valere il voto di maturità, chi aveva ottenuto il massimo dei voti alla maturità, si sarebbe visto 25 punti aggiunti. Era un modo piccolo, immediato per far capire che hai studiato e io te lo riconosco. In un decreto che c’entrava come il due di picche è stata cancellata questa norma. Perciò parlo qui con pudore, perché so che sono di più le cose che ci uniscono di quelle su cui ci differenziamo, ma sta diventando difficile farlo sapere, perché se parliamo in pochi, solo 5 o 6 della commissione, e poi si vota solo con il voto di fiducia, come si fa a sapere che anche 25 punti abbiamo cancellato con un decreto? Cioè c’è qualche cosa che va riassestato, perché se è vero che abbiamo messo la scuola al centro dei programmi del governo, e spero che sia vero, allora deve discendere una sequela di valutazione. Ma il ministro in commissione, nell’audizione, ha detto che spingerà l’Invalsi ad essere snella, capace d’agire e quindi figurarsi, evviva se otterremo questo risultato. La valutazione è indispensabile, ma dobbiamo trovare dei meccanismi che la rendano nazionale come negli altri paesi: test uguali per tutti, voti uguali per tutti, ci andrà bene? Decidiamo cosa sarà bene per l’Italia, io non lo so, posso solo dirvi che la valutazione è indispensabile perché è legata a tutto, è legata al merito, è legata al futuro dei nostri giovani, quindi del nostro paese, è legata anche al reclutamento, è legata a far valere la scuola pubblica in quanto pubblica, paritaria e non paritaria, perché se posso valutare, posso anche scegliere, altrimenti per qualche motivo i genitori scelgono, sempre validissimo, certo, ma non perché hanno sperimentato la concorrenzialità in termini di progetto educativo e di contenuti. Quindi la valutazione è una parola che sembra così facile da dire, trovo che sarà complesso realizzarla, ma potete essere sicuri che per la parte che rappresento la valutazione sarà uno dei temi su quali concentrarsi, lavorare, discutere, confrontarci, purché ne avremo la possibilità.
MARIASTELLA GELMINI:
Condivido le parole della collega Garavaglia là dove parla di una necessità di valutare. Nel nostro paese, secondo me, esiste ancora una grande preoccupazione rispetto alla valutazione, si ha quasi paura, si vede la valutazione come un elemento che discrimina, come se dovesse servire a bocciare e a punire. In realtà è esattamente il contrario. La valutazione è innanzitutto un modo per misurare le risorse che investiamo in qualunque servizio, in modo particolare in uno così importante come la scuola. Ed è un modo per premiare la fatica, l’impegno, i risultati raggiunti, anche a volte in condizioni difficili. Io credo che una valutazione deve riguardare non la presunta qualità dei processi e delle strutture, ma deve misurare il risultato dell’azione educativa sul singolo ragazzo, quanto a valore aggiunto di nozioni, di conoscenze, ma anche di crescita personale, rispetto all’ingresso, e deve anche tener conto della dispersione scolastica, perché anche questo è un tema estremamente delicato. Il contesto conta e anche il punto di partenza di una classe è un elemento che deve rilevare ai fini della valutazione. Insomma, noi stiamo compiendo grandi sforzi in questa direzione. Io voglio ringraziare anche il presidente dell’Invalsi, il professor Cipollone, che si è appassionato a questa materia e che oggi ci mette nelle condizioni di offrire alla scuola un sistema che dovremo sperimentare, dovremo verificare, con la massima disponibilità a metterlo a punto e anche ad emendarlo. Ma certo è un sistema che ci consente di provare a sperimentare la qualità dell’apprendimento dei ragazzi, la capacità dei dirigenti scolastici e anche degli insegnanti. Io credo che non ci sia nulla di male in questo, anzi, è un modo per rimettere ancora una volta al centro la persona. Non è possibile che un’istituzione come la scuola, a cui è affidata la persona, a cui è affidato il capitale umano, possa pensare di risollevarsi e migliorare, pensando che il capitale umano lo si possa mettere da parte, che non sia un’istituzione fatta di persone. Ecco, io credo che la valutazione sia l’elemento che ci consente di pensare alla scuola e di misurare la scuola, come servizio alla costruzione della persone, dove i ragazzi cerchino il senso della vita. La valutazione è anche questo, è soprattutto questo. E credo che sia corretto poter avere criteri di valutazione del sistema del liceo, ma permettetemi di spendere una parola anche sulla formazione professionale. Perché io l’ho detto, il mio intendimento è di portare alla serie A tutti i sistemi formativi, compresa la formazione professionale. E credo che il paese abbia bisogno di professionalità in questo senso e all’interno della finanziaria noi abbiamo introdotto anche un elemento che farà cadere il ricorso della regione Lombardia, ovvero la possibilità di assolvere l’obbligo di istruzione anche attraverso i percorsi della formazione professionale. Io sono particolarmente orgogliosa di questo provvedimento, perché se vogliamo personalizzare i percorsi scolastici, se vogliamo, come diceva quel video all’inizio, creare un ponte fra la scuola e l’impresa, se vogliamo mettere i nostri ragazzi nella possibilità di conseguire un diploma, una qualifica, e poi di poter accedere al mercato del lavoro, beh, io credo che la formazione professionale debba avere pari dignità rispetto al sistema dei licei. Non è nulla di meno, è una cosa diversa, ma ugualmente importante. Allora vedete, in conclusione, davvero, il lavoro da fare non manca, la possibilità di errore nemmeno, perché è un compito particolarmente difficile e gravoso, ma io non mi sento sola in questo percorso complicato, sento di poter contare sull’appoggio, ma soprattutto sull’esperienza, anche sulle critiche, di tutti coloro che vivono il mondo della scuola e che vogliono offrire la propria esperienza e il proprio contributo. Sappiate che le porte del ministero sono aperte, sono aperte a tutte le buone esperienze presenti nel nostro paese, che io sarò felice di poter imparare dal vostro percorso, dalla vostra testimonianza e dalla vostra esperienza, così come da sempre, e anche quest’anno mi è capitato, venendo al Meeting. Il Meeting è innanzitutto un’occasione di ascolto ed è una straordinaria opportunità per imparare, in modo particolare per il ministro.
MODERATORE:
Io faccio dibattiti sulla scuola da quando avevo, non dico i calzoni corti, ma quasi, perché mi ricordo che nel 1988, facciamo un convegno a Roma abbastanza garibaldino, mi ricordo che venne il cardinal Poletti, dal titolo: Non di sole aule vive la scuola, in cui si partiva su questi temi. E per questo che dico che si vede il percorso fatto, come è stato detto nel dibattito, un po’ collettivo, molto più che negli anni scorsi, non tanto per colpa delle persone, penso per una coscienza collettiva della necessità… Si è entrati oggi nel merito di questioni precise, si sono capite posizioni spesso convergenti verso un cambiamento della scuola. E noi non siamo quelli che misuriamo le belle intenzioni, diciamo: adesso vediamo, come dire, se siete coerenti fra un anno, perché io penso che non ci siano qui a questo tavolo solo buone intenzioni, ma un desiderio sincero di costruire, di lavorare nelle differenze di posizioni politiche. Noi vorremmo accompagnare questo. Allora dico brevemente che cosa è la condizione per questo accompagnamento. Il primo è che la libertà di educazione, ricordata da entrambi i nostri interlocutori, bisogna viverla, noi dobbiamo essere un soggetto vibrante nella scuola, dobbiamo costruire prima di pensare il cambiamento del sistema. Bisogna essere un soggetto che vive il protagonismo, qualunque sia la condizione, come abbiamo sempre fatto, anche nella scuola, come è capitato l’anno scorso a Modena, più stalinista, anche nella scuola più inefficiente. Educare, l’abbiamo visto nelle carceri, si può fare ovunque. Noi dobbiamo vivere questo, come studenti, come professori, essere un soggetto vivo, vivente, vivace, che si educa nelle ore di scuola e non solo nel monte ore, quelle vengono dopo; si educa prima ancora che con i libri di testo, con il dialogo, con il paragone, con l’affronto. Questo è il nostro compito primo, perché se non si è vivi come studenti e come professori, non c’è libertà di educazione che tenga. Si cambiano i sistemi, ma si muore. E il primo problema della scuola italiana è la mancanza di questo soggetto, la mancanza educativa, vivente, ideale, vibrante, passionale. Noi non abbiamo paura del confronto tra ideali diversi, vogliamo che il nostro ideale cristiano sia la risposta al nostro cuore, ma come ci ha insegnato Giussani nel ’54, che sia anche il paragone con qualunque altro ideale che si pone. Ma ci vogliono ideali. Da questo punto di vista, allora, si capisce che le cose che abbiamo detto oggi vanno in fila, non sono punti diversi, perché evidentemente… l’autonomia, ma l’autonomia è l’idea che un soggetto che vive nella scuola deve poter, come è stato detto prima dal ministro, vivere, avere la possibilità di essere, come dire, qualcuno che decide del proprio futuro. Come abbiamo detto e abbiamo discusso con Berlinguer, un’autonomia che rispetti le minoranze, perché se c’è il 60% che la pensa in un modo, il 40% deve essere tutelato, ma dentro qui è chiaro che se i genitori decidono solo delle merendine scolastiche e delle gite e neanche troppo di queste, si scoraggiano. Oggi è così. Se il preside decide del 3% della spesa, è un preside che viene mortificato nella sua professionalità. In una delle indagini più interessanti sulla scuola, è dimostrato che ciò che favorisce l’incremento della qualità della scuola non è l’aumento della spesa, anzi questo è correlato negativamente, ma l’autonomia nei programmi, nei budget, nella libertà degli insegnanti, e, oserei dire, della vivacità degli studenti. Quindi autonomia vuol dire aumento della qualità, aumento della parità, aumento della possibilità per tutti. E poi, evidentemente, legato a questo, la libertà dell’insegnante. L’insegnante non può essere un postino, con tutto il rispetto dei postini, io rispetto profondamente i postini, ma sono lavori diversi. Anche il postino deve essere creativo, salvo consegnare la posta. Ma l’insegnante deve poter decidere dei programmi, deve poter essere, come è stato detto nel dibattito, valorizzato. Se uno si forma è diverso da chi non si forma, se uno migliora, è diverso da chi non migliora, questo, che c’è sempre, deve essere anche nella forma giuridica. Senza questo l’insegnante si mortifica. Sbaglia, perché dovrebbe lo stesso, per la passione, come dimostrano molti di noi qui, andare avanti, ma evidentemente lo stato deve riconoscere questo. E terza possibilità, che viene insieme evidentemente, è la parità. A parte il fatto che i premi Nobel, come mi hanno detto tante volte, dicono che la parità favorisce la qualità della scuola statale, la parità, è stato detto prima, l’idea di queste fondazioni, pubbliche e private, che sfumano la contrapposizione. Per fortuna non siamo più al tempo dell’articolo 7 della Costituzione, non lo tira fuori più nessuno, meno male, cioè, chi lo tira fuori è veramente un dinosauro. Voglio dire, oggi parità significa valorizzazione di una diversità di forma giuridica, che può essere a sfumature diverse, anche perché, se no, a proposito di dinosauri, essendo il 4%, la scuola non statale dobbiamo metterla nelle specie in via di estinzione. Chiediamo all’UNESCO di metter dentro, dopo il panda, oppure la tigre del Bengala, anche la scuola privata italiana. Quindi abbiamo poco tempo per cambiare, voglio dire. E, come vediamo dall’esempio del Malpighi di Bologna, vediamo che questa cosa è a favore di tutti. E poi voglio menzionare quello di cui non abbiamo parlato nelle domande e che ha ricordato il ministro Gelmini alla fine, cioè la valorizzazione della formazione professionale, che qui al Meeting abbiamo sempre visto importantissima, perché troviamo qualcosa che è la continuazione di don Bosco: gente che sarebbe chiusa alla vita e che invece nella formazione professionale trova una grande possibilità. Qui dobbiamo ringraziare regioni come la Lombardia, dove hanno cominciato a far questo. E per concludere la valutazione, anzi non per concludere perché c’è ancora il punto della spesa. Chi ha, come dire, il coraggio di vivere, ha il coraggio di essere valutato, magari male, perché così può migliorare. Un uomo non ha paura di essere valutato, se la valutazione non è isterica, se la valutazione è fatta bene, è un modo con cui innanzitutto uno si autovaluta. E allora si capisce anche il tema della spesa, perché io dico sempre che, in termini generali investimento per lo sviluppo, equità ecc. vanno bene, ma lo spreco non è né equità, né sviluppo. E’ spreco. Io non voglio pagare uno che usa la scuola per altri scopi. E’ spesa sociale. Lo spreco è spreco e nella scuola c’è spreco. L’idea detta prima del costo standard è formidabile, perché vuol dire che ogni scuola ha quello che gli si deve per quello e il resto è spreco, e io non voglio finanziare lo spreco. Non è vero che lo spreco è aiuto alla povertà. E’ spreco. Allora capite che, da questo punto di vista, essere un soggetto vibrante vorrà dire guardare insieme questo, rinvitare i nostri interlocutori, continuare il dialogo con tutti, secondo me questo, se posso una battuta finale politica, è frutto di un riformismo bi-partisan, di una coscienza comune. Quindi, detto questo, andiamo avanti. Vogliamo collaborare a questo cambiamento, che è il punto di sviluppo. Da questo punto di vista do due avvisi esemplificativi: uno che con DS, la Foe e la Fondazione della sussidiarietà, lanceremo per l’anno prossimo, per tutti gli insegnanti che vogliono, un corso di formazione, in quattro lezioni col professor Rigotti, rifondativo di cosa voglia dire insegnare, proprio per dare un esempio di quello che noi vogliamo fare: autoformarci e poi fare conoscere la validità di questo. E secondo, invito tutti, siccome dibattiti come questo o altro fan fatica ad andare su certi giornali, hanno poco spazio, a usare i nostri strumenti, perché anche da questo punto di vista, l’informazione è educazione. Usate il sito del Meeting, usate il sussidiario.net, informiamoci e facciamo sì che questa partenza che viene dal Meeting sia la partenza di una cultura diversa, non presuntuosa, umile, ma diversa. Grazie.
(Trascrizione non rivista dai relatori)