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L’UOMO AL CENTRO: TRA IMPRESE E START-UP. UN CAFFÈ CON… I NATIVI DIGITALI
Un caffè con... i nativi digitali
Partecipano: Jesus Colina, Presidente di Aleteia; Paola Sucato, Consulente Web e Social Media. Introduce Santiago Mazza, CEO di Fotonica Srl.
SANTIAGO MAZZA:
Grazie per essere qui oggi al quarto “caffè” della settimana. Oggi il caffè lo prendiamo con i nativi digitali. Nel 2010 ho avuto l’onore di conoscere uno dei papà di Internet, uno che sapeva educare al corretto utilizzo della tecnologia con un’enorme semplicità, un amico del Meeting di Rimini. Era stato invitato qui a tenere un momento pubblico di lavoro, di incontro e ringrazio Paola di essere qui con noi oggi e vorrei ricordarlo rivivendo un po’ l’intervento che aveva fatto Marco nel 2012 sull’innovazione tecnologica. Se per favore possiamo far partire il video dell’intervento di Marco. Grazie.
Video
SANTIAGO MAZZA:
Grazie Marco. Paola! Tornando qui dopo i bei momenti con Marco, sei Consulente Web e Social Media, freelance per alcune testate del settore food del turismo, vivi a Milano, hai due passioni, la cucina e l’astrologia, ma soprattutto sei mamma di Blanca, la bambina che avete visto prima, e Rebecca. Mi sento addosso personalmente un’enorme responsabilità. Alcuni dei presenti mi conoscono, sono sposato con Elisa e ho due figli, una, Giorgia, che ha sei anni e Mattias che ha otto mesi. Personalmente, Paola, mi sento la responsabilità educativa, molto forte nei confronti dei miei figli, soprattutto perché sono un appassionato anche di tecnologia e quindi tendo in qualche modo, come diceva Marco, a dare fiducia ai miei figli, anche se ha sei anni, all’utilizzo della tecnologia. Però la domanda che ti voglio fare è: che posizione dobbiamo avere noi che non siamo nati digitali di fronte a questi strumenti?
PAOLA SUCATO:
Bisogna stare al passo con i fatti. Il punto è: è vero che bisogna lasciare degli strumenti a portata di mano perché loro hanno una propensione naturale al loro utilizzo. Questo però, come diceva giustamente Marco, non vuol dire conoscere realmente gli strumenti e il loro uso. Quindi automaticamente, se decidi di lasciargli degli strumenti, devi essere tu il primo a saperli usare, ad accompagnarli. Poi è Blanca che insegna delle volte delle cose a me. Questo per me è sempre non una campanella d’allarme, però, come dire: sveglia! Ti stai già fermando! Devi stare al passo! Quindi comunque gli adulti, parlo del mondo adulto e non soltanto della famiglia, quindi tocchiamo veramente tutto il mondo adulto, deve stare al passo con i ragazzi, perché se per loro è una propensione naturale per noi è una responsabilità. Questo è importante e parlo di persone, di persone adulte, dall’insegnante alla persona che ti risponde a uno sportello. Se io incontro un bambino per strada ho comunque una responsabilità civile nei suoi confronti. Se lo vedo che attraversa una strada e lo fa male, lo fermo, no? La stessa cosa dovrebbe accadere online. Se noi vediamo delle situazioni che ci insospettiscono, così come facciamo per strada dovremmo in qualche modo semplicemente accompagnarli. Capire e magari insegnare il buon uso. Però il buon uso si può insegnare soltanto se ne riconosciamo l’uso.
SANTIAGO MAZZA:
Tu hai un contributo se non erro …
Video
PAOLA SUCATO:
Piccolo, eh! Semplicemente volevo farvi sapere come sta crescendo Blanca. Quando lei era piccolina, verso i sei anni, c’erano le pennette, ve le ricordate le pennette? Si disegnava con le pennette e lei usava gli espositivi con la pennetta o addirittura già con le dita in alcuni casi, per giocare. Quando si è ritrovata davanti una tastiera e le hanno detto: “Se schiacci qui riconosci là?”. “Sì”. Schiaccia il dito e l’ha vista apparire sullo schermo e ha detto: “Bellissimo, pazzesco!”. Era veramente incredula e poi ha fatto un passo indietro e ha detto: “Ha ragione lei!”. La tecnologia spesso è come ce la immaginiamo e a volte è difficile immaginarla e non la immaginiamo, con un approccio completamente antropologico la complichiamo, quando magari potrebbe essere più semplice, come insegnano i bambini, appunto. Quindi se lasci una macchina digitale in mano a una bambina piccola e capisce che deve schiacciare là, lei comunque … Erano tutti quanti dalla sua altezza, c’erano tutte queste foto prese dal basso, bellissime alcune, e anche a noi ha dato un altro punto di vista. E’ questo il bello. E’ vero che anche loro ci possono insegnare, però così come il nonno che accompagna un bambino riscopre un qualcosa che non aveva notato grazie allo sguardo di un bambino, la stessa cosa la dobbiamo vivere anche online attraverso gli strumenti. I colori possono essere bianco/nero, possono essere bianco, nero, blu, rosso…
Allora dobbiamo avere sempre quell’approccio lì. Le periferie, i colori più sottili, i colori più indefiniti sono le famose periferie cui a volte i bambini arrivano un po’ prima. Semplicemente perché magari non sono già direzionati, perché se no sono guidati a usare quella luce lì. Quindi è vero che Blanca ha giocato da subito, però sapendo che suo padre era comunque capace nell’uso di questi strumenti chiedeva anche sostegno. Bello, no? Perché se no il bambino a chi deve chiedere? Se non lo chiede ai genitori, ai fratelli, a chi deve chiederlo? E’ fondamentale che s’impari a giocare insieme, è anche quello un modo di giocare. Verso i quindici-sedici anni aveva fatto un blog, tra l’altro aveva fatto un lavoro, è stato il suo primo lavoro con tanto di paghetta e quando le ho detto “Amore, guarda che faccio così, ti trattengo le tasse”. “Quali tasse? Non so niente di tasse…” Eh, no, ti insegno, ti spiego. Però era questa la bellezza. Lei ha raccontato la sua esperienza con un blog su quello che era questo gioco che le piaceva. Lo raccontava agli altri utenti. Quello è stato, secondo me, un modo bello per giocare insieme. Adesso scrive ogni tanto una rubrica. Magari parla poco di computer perché tende ad usare di più il mobile, tutto quello che si può portare dietro, tanto che è diventata bravissima su tutte le possibili applicazioni, soprattutto fotografiche devo dire. Instagram sì! Spiega l’uso di Instagram in agenzia, te lo posso assicurare… quindi, sì, lasciar liberi di comunicare, ricordando che i primi modelli sono gli adulti. Comunque loro istintivamente ci guardano come dei modelli e non bisogna mai rischiare la delusione perché se diventi un modello, non perdente ma che in qualche modo non riesci ad assolvere al compito che lui ti assegna, perdi l’autorevolezza necessaria nel processo educativo. Quindi anche nell’approccio tecnologico, secondo me, bisogna che ci sia più profondità e più conoscenza da parte del mondo adulto.
Qui la Blanca semplicemente mi stava spiegando un app fotografica perché ho detto “sì l’ho vista, l’ho anche usata ma non mi ricordo come si fa…”. Mi ha detto “mamma, fammi una foto poi te la spiego”. Quindi è vero che lei si è fatta fare questa foto da me, nell’uso però mi ha spiegato anche un qualcosa di molto più profondo che si lega anche alla conoscenza di se stessi. Mi ha detto: “Vedi, qui ci sono anche dei micromovimenti di cui forse a volte noi non ci accorgiamo, perché in un’immagine non c’è il subito prima, il subito dopo, il momento; il frame è sempre a volte molto breve”. Poi, ripeto, Blanca, così come diceva del cielo stellato, è in grado di lasciare qualsiasi dispositivo a casa e andare in fattoria dalla sua amica, che vieta l’uso di qualsiasi cosa perché anche lei ovviamente non li sa usare e di conseguenza glieli sta insegnando Blanca, ad osservare le orme dei cinghiali nel bosco o a prendere una gallina in braccio (quella gallina si fa prendere in braccio solo da lei e pochi bambini, non certo da me). La conoscenza che noi vediamo come ancora in cartolina, invece i bambini sono capaci di approfondire anche a livello di relazione con le persone e con gli animali. Adesso, senza stare a pensare quello che può essere il divertimento di una pagina Facebook o il divertimento di un approfondimento simpatico su dei gattini, oggettivamente mia figlia, la grande, che è del ’96, quindi nata ben cinque anni prima di Blanca, senza il suo gruppo Facebook, legato alla scuola, farebbe ben poco, perché è lì che si concentra, sono quelli i luoghi. Ma come dire? Se vivo in un paese e c’è la piazza dove i ragazzi si incontrano per condividere i compiti, per capire, per condividere conoscenza ed informazioni, ben venga. Certo se la vedo un po’ più sola o che in qualche modo frequenta una persona che in qualche modo non mi dà totale fiducia le chiedo “scusa, ma quello lì dove lo hai incontrato?” o “scusa, ma quello lì non ha degli amici in comune con te, come mai? Perché?”. Esattamente come succede sulla strada. Quindi il punto è ricordarsi che questi strumenti non sono altro che luoghi e come in tutti gli altri luoghi un genitore accompagna il figlio. Direi che più o meno…
Video
SANTIAGO MAZZA:
Questa è straordinaria no? Come molte volte pensiamo che il digitale o Internet sia qualcosa di lontano, qualcosa di effimero, qualcosa di vuoto, lontano dalla nostra realtà, dalla nostra persona e quindi ti ringrazio perché questo metodo, questo rapporto evidenzia da un lato che non c’è più distinzione tra il reale e quello che è la rete o il digitale, è tutt’uno. Sono – ieri dicevamo appunto che Internet non è una massa, un gruppo, un computer – sono sempre più persone, luoghi dove si condividono beni, servizi, e si trasmettono, si condividono anche esperienze di persone, si trasmette anche conoscenza, know how. Le conoscenze scientifiche che abbiamo vissuto negli ultimi anni, grazie a Internet stanno trasformando completamente tutto, perché c’è una predisposizione alla condivisione del sapere, in sé. Quindi, tornando ai nati digitali, la nostra responsabilità è totale nel far entrare, nell’accompagnare, ma senza avere la pretesa di distinguere tra virtuale o il computer e la vita reale, è un tutt’uno. Come dicevi tu, Paola, e come dicevo anche l’anno scorso, è come se mia figlia Giorgia Mazza la lasciassi a Rimini in piazza Ferrari sola per sei ore, o tre ore o mezz’ora. Invece l’atteggiamento a me spontaneo è di accompagnarla, stare con lei.
PAOLA SUCATO:
O perlomeno dire “lì c’è Julio che è il gelataio, c’è la strada, devi usarla in questo modo, quello è il semaforo, laggiù puoi trovare la nonna che ti aspetta dall’altra parte”. Quindi comunque va conosciuto un luogo e noi simo i primi a doverlo conoscere.
SANTIAGO MAZZA:
Paola, quali sono i pericoli che si corrono dentro la rete? Molte persone hanno il terrore dei social network, di Facebook oppure del digitale in sé.
PAOLA SUCATO:
E’ fortemente legato a un senso di inadeguatezza. Tutte le persone che si spaventano e dicono “Ah, Facebook è pericolosa!” spesso, nel 90% dei casi, non sono su Facebook. E’ facile condannare uno strumento, condannare qualcosa quando non lo conosci. Lo fai come reazione naturale, non lo conosco, non lo uso, quindi mi tolgo e lo giudico. Infatti ogni volta che vi parlano male di questi strumenti chiedete: “Ma li sai usare? Li conosci?”. “Riportami delle esperienze vere perché nella maggior parte dei casi è semplicemente un forte senso di inadeguatezza che allontana, impaurisce e che non è men che meno adatto”. E’ come “Stai attento!”. A cosa? Se non mi dici a cosa stare attento? E’ così generalizzato che molto probabilmente non starà attento perché non sa a cosa stare attento.
SANTIAGO MAZZA:
E’ così. Le scuole! Ieri è stato qui il Ministro Giannini il quale ha detto “informatica ed inglese fin dalla scuola primaria, più soldi per rafforzare le reti di connessione fisse, lavagne multimediali, formazione obbligatoria permanente”. Questa è la rivoluzione che ieri Giannini e Renzi hanno dichiarato proprio qui al Meeting di Rimini. Cosa ne pensi? Strumenti messi a disposizione, risorse messe a disposizione per le scuole, possono cambiare, possono aiutare veramente a ritornare noi genitori educatori dei nostri figli o i maestri ad essere educatori dei propri alunni?
PAOLA SUCATO:
Il punto è che se ci sono gli strumenti ma non c’è chi li sa usare ed è l’educatore che deve saperli usare, si va in pochi posti. Penso a come Blanca userà ovviamente meglio tutti gli strumenti che daranno in dotazione alle scuole dei suoi professori. Quindi il punto è: non è più una responsabilità istituzionale, è una responsabilità della persona. Tu genitore, tu insegnante hai la responsabilità di usare degli strumenti che nella maggior parte dei casi (non parlo di un Ipad, parlo di un qualsiasi tablet che va bene) i ragazzi usano. Quindi deve esserci questo passaggio culturale, il sentire questa responsabilità in un momento in cui a livello sociale tutti un po’ la scaricano. Bisogna essere capaci di prendersela questa responsabilità. Sono io che devo insegnare, che devo dare un tablet a mio figlio. Ok, però vuol dire che se io regalo un tablet a mio figlio minimo devo saperlo accendere, devo saperlo usare. Parlo dei genitori e parlo ovviamente anche degli insegnanti.
SANTIAGO MAZZA:
Focus, tecnologia o digitale in sé non è soltanto Internet. Ho visto lunedì che esiste una nuova frontiera che sono i makers, coloro che hanno a che fare con il digitale, i nuovi artigiani. Tu sei un appassionata di cibo e di cucina. Ieri sera ero a cena con Amleto, responsabile di Mediterranean FabLab, dove attualmente stanno creando una stampante in 3D per stampare la pasta, per stampare il cibo. Cosa ne pensi?
PAOLA SUCATO:
Penso che sia proprio un passaggio epocale, in più con dei costi bassissimi. E’ un passaggio importante, non bisogna averne paura, bisogna mettere in rete tutta la conoscenza che c’è sia a livello industriale che artigianale per poter utilizzare questo tipo di tecnologia. Penso che la capacità di progettazione anche dei bambini e dei ragazzi sia fondamentale. Così come nella scuola materna le maestre fanno costruire cose ai bambini, questo secondo me andrebbe fatto anche con l’approccio dei makers. I ragazzi devono diventare dei makers. Ho mia figlia maggiore, la Rebecca, che è portatrice di un handicap, le manca il braccio destro, però lei di fatto la segue molto come possibilità, perché immaginiamo quello che può essere anche solo nelle protesi il cambiamento, per non dire nell’alimentazione.
SANTIAGO MAZZA:
Mi colpisce di Rebecca perché in un intervento, se non ricordo male, aveva dichiarato che in tutti questi anni aveva trovato delle protesi statiche, nel senso che…
PAOLA SUCATO:
Sì, le possibilità funzionali sono ancora minime, adesso riesce a muovere le dita, ma il peso è enorme. Soprattutto la persona che non è nata con quell’arto non lo vive in modo naturale e per di più lei dice giustamente “io faccio molte più cose senza che non con la protesi”. Certo questa possibilità dei makers sta nell’alleggerire i materiali e disegnarli, ma soprattutto nella personalizzazione che genera un bellissimo connubio tra l’industriale e l’artigianalità. La progettazione è più importante, ma la creazione, i processi sono decisamente abbreviati. E’ come un nuovo mondo anche quello, bisogna capire da che parte cominciare. I discorsi che facevamo ieri erano appunto su quello. Allora, facciamo questo, facciamo quell’altro, però se tutte queste informazioni non confluiscono in una conversazione si rallenta, bisogna andare veloci, semplicemente stare al passo con una tecnologia che è avanti. Bisogna crescere culturalmente e non avere paura soprattutto. E la paura, siamo sempre lì, è un senso di inadeguatezza.
SANTIAGO MAZZA:
Non aver paura, non aver paura del diverso. Lo ripeto da lunedì, non aver paura di quello che a volte non conosciamo. Dover riscoprire, curiosità di andare a fondo alle questioni per rispondere al reale, per rispondere a quello che i nostri figli ci chiedono, essere genitori in pieno, senza scartare nulla di quello a cui la realtà ci provoca. E se ci manca la conoscenza in rete, oggi c’è tantissima disponibilità di persone a collaborare. La rete effettivamente ci può aiutare se la viviamo come tale e la smettiamo di pensare che la rete sia qualcosa che è fuori da me. Ormai viviamo tutti con i nostri smartphone iperconnessi ovunque. Sarà sempre più così…
PAOLA SUCATO:
Ma soprattutto chi ti dice che tu non ci sia già? E che tu non lo sappia? Spesso i professori e io non ci siano. Sei sicuro? Dico io. Sei proprio sicuro? Prova a cercarti all’interno, non solo su Twitter, prova a digitare il tuo nome su Twitter, tu azienda, tu persona, abbi il controllo su quello che dicono su di te. E’ fondamentale ma se non ci sei non lo puoi fare.
SANTIAGO MAZZA:
Grazie Paola. Jesus! Grazie di essere venuto qui con noi ad affrontare questo tema che è fondamentale, perché comunque i nostri figli sono i nati digitali. Hai lavorato come giornalista a Roma per ventidue anni, sei cofondatore dell’Agenzia Zenit, sei Presidente di Aleteia, sei consulente del Consiglio Pontificio per le Comunicazioni Sociali creato da Papa Benedetto XVI. So anche che hai comunque una grande responsabilità con una nuova attività che stai portando avanti se non erro da due anni, due anni e mezzo su Aleteia. Ci puoi aiutare un poco su quali sono i numeri che oggi sono in rete, quali sono oggi i dati da cui partire e fare le nostre considerazioni?
JESUS COLINA:
Grazie, Santiago. Io sono veramente contentissimo di essere qui per la prima volta. E per me il Meeting di Rimini era come il Woodstock cattolico, non l’avevo mai potuto vivere, lo sto vivendo con voi. Vi devo dire che è ancora meglio di quello che mi avevano raccontato. Un’altra cosa per la quale sono felicissimo è il tema di questo Meeting, “Verso le periferie del mondo e dell’esistenza”. Non so se voi conoscete com’è nata questa storia di questo Papa argentino che abbiamo adesso. Nelle Congregazioni generali prima del Conclave, quando tutti i Cardinali si radunavano, Bergoglio ha parlato tre minuti e ha detto solo questo: “La Chiesa deve non pensare più a se stessa, ma riuscire nelle periferie dell’esistenza, dove l’uomo soffre”. Queste parole sono state decisive. Un Cardinale non le ha capite bene e gli ha detto: “Senta, me le può dare? Non le ho scritte”. E il giorno dopo è arrivato con le parole scritte, ma non gliele ha date. Questo Cardinale che è l’Arcivescovo di Cuba, le ha poi fatte copiare. Allora io credo che questa preoccupazione di Bergoglio, arrivare alle periferie dell’esistenza, ci interpelli particolarmente oggi e in rete, in Internet.
Vorrei proprio cominciare con un po’ di analisi di che cosa sta succedendo oggi. Noi stiamo vivendo una rivoluzione e non so se vi siete resi conto. Credo che in un certo senso sì, ma in un certo senso no. Vediamo prima i numeri, perché di questi magari vi siete già resi conto. Noi oggi abbiamo 2,5 miliardi di persone collegate ad Internet e + 10% da un anno. Di questi 1,9 miliardi sono collegati alle reti sociali con una crescita del 25% in un anno. Facebook sono 1,2 miliardi, con una crescita del 20%, il che vuol dire che Facebook è il terzo paese se volete al mondo dopo la Cina e l’India come numero di abitanti. Twitter che ha 900 milioni di profili dei quali 250 milioni sono attivi, ha una crescita maggiore in questo momento nella fascia di età di 55-64 anni. Il che va un po’ contro quello che molte volte si dice nei convegni sui nativi digitali, come se chi ha sessanta anni fosse già fuori: non è vero.
Un altro dato per inquadrare questa rivoluzione: in Cina ci sono 600 milioni di internauti, dei quali il 70% usano dei dispositivi mobili, Tablet o Smartphone, cioè la Cina è uguale come numero di presenze in rete agli Stati Uniti e all’Europa messi insieme. Credo che il grande pericolo che noi abbiamo è che rimaniamo a questi numeri. Questo ha un impatto nella vita delle persone. La vita delle persone non è più la stessa e il modo di fare solidarietà, come dicevi prima, non è più lo stesso. Basta vedere il challenge del secchio d’acqua fredda per la SLA. La nostra vita viene cambiata e forse su questo non ci rendiamo conto. Diamo un po’ alcuni esempi di alcuni aspetti di come la nostra vita sta cambiando. Per esempio, in alcuni Paesi più evoluti, alcuni Paesi in Europa, anche negli Stati Uniti, una coppia su 5 si incontra in linea, 3 coppie gay su 5. Un altro dato, non si tratta qui di satanizzare, di dire questo è male o bene, siamo davanti a un dato e lo analizziamo. Un terzo delle istanze di divorzio nel 2011 in Inghilterra conteneva la parola Facebook negli atti. Un altro dato interessante: 189 milioni di utenti di Facebook si collega unicamente con dei dispositivi mobili. Cioè questa realtà, questa rivoluzione non passa già dai computers, ma soprattutto dai dispositivi mobili, che nella nuova frontiera sono i wearings (42,37), cioè dispositivi che indossi.
Un altro dato: nel 2008 le reti sociali per la prima volta hanno superato il porno in termini di attività online. E comunque il porno è l’argomento più ricercato in assoluto. L’Italia è la prima in Europa. Google trends ti dice un po’ quali sono le tendenze secondo le parole di ricerca e abbiamo messo un po’ a confronto alcuni temi, per esempio, sesso, Dio, Barack Obama, Gesù, e amore. Abbiamo scoperto che il sesso come argomento è una cosa che supera tutto, vedete le proporzioni, è abissale. Quell’altra colonnina grande è la parola “love”, amore. Poi c’era la parola Dio, che è in rosso, la parola verde è Gesù. La parola Chiesa (Church) ha più traffico, più ricerca che la parola Dio o Gesù. E Barack Obama è un poveraccio, non lo “fila” nessuno! Qual è la lezione che voglio trarre da questo? Nella società capitalistica, prima della rivoluzione che stiamo vivendo, la periferia dell’esistenza era soprattutto la povertà, l’emarginazione, l’esclusione. E pertanto, il grande ideale era la ricchezza. Nella nostra società questi numeri che abbiamo visto che cosa ci stanno dicendo? Che tu vali, tu sei qualcuno, se hai molti amici su Facebook. E’ il bene più grande che tu hai. Poi questi amici magari non li hai mai visti in vita tua, ma questo è il tuo valore, come prima era se avevi una Fiat o una Rolls Royce. Che c’è dietro? Che nella rivoluzione digitale che stiamo vivendo la periferia dell’esistenza si concentra nella solitudine. Cioè le reti sociali, questa esplosione, sono anche un segno, una risposta a quella sete di amore, di amicizia, di contatto, che tutti noi sentiamo, in un certo senso ci mettono di fronte a noi stessi. E in questo senso, come prima il grande ideale era la ricchezza, il grande ideale è l’incontro, è l’esperienza dell’altro in tutte le sue possibilità.
Questa è la vera rivoluzione che stiamo vivendo. Il tema di questo Meeting aggiunge come sotto-titolo “Ma il destino non ha lasciato solo l’uomo”, cioè c’è una speranza. In questa nuova società, dove è la solitudine proprio la grande sofferenza – la depressione è la malattia del XXI secolo e lo sarà ancora di più – in questa società perché c’è la possibilità dell’incontro? Perché c’è la comunità, ci sono reti sociali per tutto dappertutto, c’è quella ricerca della trascendenza. C’erano due domande che hanno fatto a Blanca nelle due interviste e non credo che si siano messe d’accordo per niente. I personaggi che intervistano erano tutti totalmente, radicalmente opposti. E c’era: “Che cos’è la cosa più importante della vita?”. Tutte due le volte ha detto: “Non so, sto cercando”. Questo è quello che ci accomuna tutti, che sei credente o no. E il dubbio è la ricerca che ti porta avanti ed è quello che ci fa essere comunità. Noi volevamo presentarvi un po’ qual è stata la nostra esperienza in questo senso di rispondere a questa domanda. Per fare questo abbiamo creato due anni fa una rete che cerca ascolto, dialogo, risposta a quelle che sono le domande che le persone si fanno in Internet. E l’abbiamo fatto prima che Papa Francesco fosse eletto. Ma Papa Francesco nella Giornata delle Comunicazioni Sociali dice di come la missione dei credenti, della persona umana in definitiva, che sia su Facebook o su rete, sia quella dell’incontro vero, e come oggi la testimonianza cristiana, grazie alla rete, significhi raggiungere le periferie dell’esistenza. Allora noi abbiamo tentato di vivere questa mission, abbiamo in Papa Francesco il migliore testimonial. Papa Francesco è stato non scelto, ma riconosciuto da Facebook come il trending topic dell’anno, nel 2013 è stato il personaggio di cui si è parlato di più su Facebook. Noi insieme a un’agenzia di business digitale abbiamo fatto uno studio sui grandi personaggi in Internet, Google, Facebook e Twitter principalmente, e Papa Francesco nel 2013 è stato il personaggio più ricercato e più menzionato, oltre Obama, Snowden, un senatore americano e Putin.
Molto più interessante ancora è il fatto di vedere che Papa Francesco è il terzo in assoluto, tenendo in conto le star del mondo dei giovani, cioè One Direction e Justine Bieber. Cioè anche i giovani lo seguono. Perché questo fenomeno Francesco? Forse lui che è argentino può dirlo meglio di me. Però, perché? Perché il Papa tocca il cuore. Il Papa non usa i media, il Twitter che è il suo grande media, è come una cassa di risonanza per dire le stesse cose due volte. Lui ogni Twitter è capace di toccare il cuore delle persone così come con i gesti su Youtube. Lui tocca il cuore, lui raggiunge la periferia dell’esistenza della persona che non incontrerà mai di persona, ma solo già con i suoi gesti riesce a toccare il suo cuore. Per fare questo noi ci serviamo delle nuove possibilità che offre la rete: c’è il web listening che ti permette di capire di che cosa si discute in rete, ci sono strumenti di software che agevolano. Il problema che molte volte abbiamo noi cattolici è che parliamo troppo e ascoltiamo poco. E le persone prima di tutto hanno bisogno di essere ascoltate.
Grazie al web listening possiamo capire quali sono i trending topic e non sempre sono evidenti, molte volte sono rivolti all’attualità, ma tante altre volte nascono dai gruppi di discussione e tante volte sono paralleli, non c’è interazione con i media tradizionali. A questi trending topic cerchiamo di offrire una risposta in chiave di dialogo, non solo nel web, ma per email, sulle reti sociali, nei dispositivi mobili. C’è un Comitato editoriale per garantire un livello di rigore, una rete di esperti, di più di 300 esperti, una squadra editoriale in sei lingue e abbiamo dei partners. I partners sono la ragione di essere della nostra iniziativa, perché quando tu vedi che c’è un grande interesse, per esempio la parola “suicidio” nel Google trends è altissima. Che cosa posso dire io a una persona che sta cercando su Google l’argomento? Però ci sono dei centri, associazioni, movimenti, facoltà che hanno una vita alle spalle, tanti casi, e loro possono dare una risposta competente. Sono loro i nostri partners e noi tentiamo di aggregare, aggreghiamo a questi 1700 followers (52,45). Questi sono un po’ i numeri di oggi. Raggiungiamo dopo un anno e mezzo 2.200.000 utenti unici. Però alla fine la domanda che si poneva Blanca è la domanda che ci poniamo noi. Per questo io credo che non ci sia differenza tra il mondo digitale e il mondo reale, ma il mondo reale è digitale e il mondo digitale è reale. E alla fine sono le questioni dell’uomo, le questioni antropologiche quelle che ci interpelleranno sempre di più.
SANTIAGO MAZZA:
Dicevi che viviamo uno dei grandi problemi legati alla solitudine. Secondo te è anche la solitudine un problema educativo e anche gli strumenti attuali ci portano verso una solitudine maggiore?
JESUS COLINA:
Sì e no, sono strumenti. Tu sei padre di due figli, se io fossi nei tuoi panni, – io sono un padre un po’ più vecchio, i miei figli sono più grandi e hanno vissuto un po’ la mia reazione – se io fossi nei tuoi panni, avrei paura di una cosa: che con questi strumenti i ragazzi non sanno più annoiarsi, non sentono più la noia, perché c’è sempre qualcosa da fare, o il tablet o il telefonino, e non so quante volte voi, qui non abbiamo tanti nativi digitali, quante volte vi siete annoiati e quante volte nella noia la vostra creatività ha fatto il salto? Perché vi siete confrontati con voi stessi e avete fatto quel lavoro interiore che fa esplodere la creatività? Mi fa paura quando parliamo della solitudine, che la solitudine è anche qualcosa con cui convivere, è qualche cosa da imparare, perché prima o poi ti arriva. Tante volte i genitori usano gli strumenti, lo schermo per capirci, come la babysitter, ed è terribile. E’ anche un modo di togliersi la propria responsabilità (ti do l’iPad così è finita, stai buono…). Questo mi fa paura, perché a quel punto non li lasciamo di fronte a se stessi. E devono imparare anche ad annoiarsi ed imparare la solitudine, perché la solitudine ti arriverà, perché ti capiterà un trauma di rapporti di amore, di qualsiasi cosa. Lo diceva anche Marco, della mamma ad esempio che teme che suo figlio non mangia. Dobbiamo accettare anche questo. Rischiare. In questo senso vedo un rischio. Ma Paola ci aiuta tanto su questo punto. Non vorrei assolutamente presentare nessun momento, gli strumenti e gli ambienti come fattori di rischio, sono dei mezzi, le reti sociali sono come la piazza, gli strumenti sono come un coltello, che può servire per tagliare il miglior prosciutto spagnolo o per ammazzare qualcuno. Qui parliamo della stessa cosa.
PAOLA SUCATO:
Come una matita bella, appuntita… Io ad esempio sembra che sia sempre lì sul mio tablet a fare delle cose. No, non è così, nel senso che da quando mondo è mondo i bambini giocano con quello che hanno, se hanno delle matite giocano con le matite, se hanno la terra e dei sassetti giocano a cucinare con la terra e i sassetti, così come abbiamo fatto tutti noi.
JESUS COLINA:
Non con le bambole che ti fissano, però…
PAOLA SUCATO:
Non con la paura delle bambole, sì, in effetti delle bambole mai, peluche tantissimi però, te lo assicuro, quindi mi devi ancora spiegare la differenza… Però non confondiamo, il problema della noia, spesso è un problema anche lì dell’adulto. C’è chi dice “oddio, mio figlio è da solo a casa che non sta facendo niente, allora il corso di quello e quell’altro, il lasciar la spesa…”. Ma anche il lasciarlo da solo, che sia un iPad, che siano le matite, che sia la televisione, vanno insegnati, educati all’uso, perché poi lo star da soli, come dici tu, è una grande ricchezza. Così come stiamo da soli con un libro, stiamo da soli con un iPad, con l’erbetta davanti a giocare con le formichine, non è quello il problema, è il confrontarsi in modo più silenzioso forse. La solitudine è un’altra cosa, il silenzio ancora un’altra. Non vorrei che passasse come noia. Tu vuoi dire che la noia è creativa. E’ bellissimo, è stupendo che la noia sia creativa, sia una grandissima risorsa. Però non deve essere per forza considerata “ho il bambino da solo a casa”. Ho il bambino da solo a casa che sa star da solo, che ha una serie di strumenti che gli ho insegnato ad usare e quindi può fare a meno.
SANTIAGO MAZZA:
Confrontarsi, aprirsi al reale, insisto su questo, aprirsi anche a rispondere un po’ alla domanda che Blanca ci ha posto più volte: “cosa vogliamo veramente dalla vita?”. In questa curiosità continua, spiccata, è lì dove sicuramente possiamo riscoprire noi stessi e stare di fronte alle periferie che esisteranno comunque sempre. Grazie per essere con noi. Domani abbiamo l’ultimo “Caffè” della settimana e lo prendiamo con i social network.