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LO SVILUPPO ECONOMICO, FATTORE DI SUPERAMENTO DEL FONDAMENTALISMO RELIGIOSO
Lo sviluppo economico, fattore di superamento del fondamentalismo religioso
In collaborazione con l’Ufficio d’Informazione in Italia del Parlamento europeo e la Rappresentanza in Italia della Commissione Europea. Partecipano: Lucio Battistotti, Direttore Rappresentanza in Italia della Commissione Europea; Brian Grim, President Religious Freedom & Business Foundation, USA; Fouad Makhzoumi, CEO of Future Pipe Industries & Founder of the National Dialogue Party, Libano; Antonio Tajani, Vice Presidente Parlamento Europeo; Michele Valensise, Segretario Generale Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Introduce Roberto Fontolan, Direttore Centro Internazionale di Comunione e Liberazione.
ROBERTO FONTOLAN:
Benvenuti! Scusate questo piccolo ritardo nell’inizio ma c’è stato un contrattempo che riguarda l’Ambasciatore Valensise, che ci raggiungerà tra pochi minuti. Introduco subito questo nostro incontro perché pone vicini due temi, due questioni, che non sempre vengono messi insieme. È un po’ strano pensare alla relazione, se c’è, tra sviluppo economico, benessere e tranquillità, serenità di una società, di una vita sociale e libertà religiosa: c’è un legame tra la libertà religiosa e la vita sociale, lo sviluppo di una società, di un Paese, di una nazione? È interessante da esplorare, questo tema. Sapete che al Meeting piace esplorare temi: questa idea venne fuori nell’occasione di un incontro con Brian Grim, che dopo andrò a presentare, perché la sua Fondazione lavora proprio su questo tema. Da lì sono venuti fuori impulsi, ragionamenti, elaborazioni, sui quali abbiamo raccolto questo tavolo di eminenti personalità. Ve li presento subito nell’ordine ma poi, dando loro la parola, spiegherò qualcosa di più attorno alla loro biografia. Allora, Antonio Tajani, vicino a me, è un amico del Meeting. E’ venuto molte volte, molti di voi lo conoscono già, è Vicepresidente del Parlamento Europeo, ha anche la delega per il Dialogo tra le Religioni nell’ambito dell’Europa. Lucio Battistotti è Direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea: con loro vedremo un po’ l’approccio europeo a questo tema, come l’Europa pensa a questo rapporto. A fianco di Antonio Tajani, c’è Fouad Makhzoumi, che è un imprenditore, un grande imprenditore a capo di un gruppo internazionale con 3500 dipendenti (poi dirò qualcosa di più, forse dirà qualcosa di più lui stesso), un imprenditore libanese che ha una visione del mondo molto interessante su questo tema. E Brian Grim, dicevo, che è Presidente della Religious Freedom & Business Foundation: viene dagli Stati Uniti e ci siamo conosciuti in un’occasione propiziata a Roma da Victoria Alvarado, che vedo qui in prima fila, dell’Ambasciata Americana presso la Santa Sede a Roma. Grazie ancora, ci salutiamo tutte le volte in queste occasioni. Vedo anche, qui davanti, l’Ambasciatore dell’Australia presso la Santa Sede, se non vado errato: grazie della sua presenza. L’Ambasciatore Valensise, che è il Segretario Generale della Farnesina, oltre ad aver coperto numerosi incarichi in diversi Paesi, ci raggiungerà. Ma abbiamo un incontro particolarmente denso, quindi vorrei subito dare la parola ad Antonio Tajani che, come dicevo, oltre che essere un habitué del Meeting, è Vicepresidente del Parlamento Europeo ed ha una storia europea lunghissima, anche se è molto giovane. E’ pure delegato per il Dialogo Religioso dentro l’Europa, perciò il suo punto di vista, che è il punto di vista della visione europea su questo tema, è particolarmente interessante. Questa visione, questo approccio europeo verrà sviluppato da lui e da Lucio Battistotti. Lo sviluppo economico è un fattore di superamento del fondamentalismo religioso? Potremmo anche trasformare in domanda questo nostro titolo. Prego.
ANTONIO TAJANI:
Intanto, buonasera a tutti! Grazie per la possibilità di partecipare al Meeting, di discutere su argomenti di estrema attualità. Non è un ringraziamento formale, perché il tema che affrontiamo oggi pomeriggio riguarda il problema dei problemi. Prima di entrare nel merito, credo sia opportuno inquadrare il ruolo svolto dallo sviluppo economico nelle varie correnti fondamentaliste. Non sempre, infatti, è stata la povertà a provocare tendenze fondamentaliste. Lo sviluppo economico non può essere ritenuto sic et simpliciter un fattore di superamento del fondamentalismo religioso. Nelle tre religioni monoteiste, sono stati motivi diversi a portare alcuni gruppi a promuovere una lettura radicale dei testi sacri.
Nella religione cristiana, ad esempio, la Chiesa Battista, ovvero il primo movimento religioso fondamentalista, si sviluppò come opposizione al protestantesimo modernista.
Nella religione ebraica, invece, è molto radicato il movimento “Gush Emunim” (blocco dei fedeli), il quale sostiene l’appartenenza ad Israele di tutto il territorio attribuito al popolo ebraico nei testi sacri. Il fondamentalismo islamico è emerso da varie correnti nazionaliste e, dalla rivoluzione iraniana del 1979 ad oggi, si è sviluppato a macchia d’olio, soprattutto in Pakistan, Afghanistan, nel Sud Est asiatico, nell’Africa settentrionale e Subsahariana e, in maniera drammatica, in Iraq e Siria. A differenza del fondamentalismo cristiano ed ebraico, uno dei fattori chiave per la diffusione del fondamentalismo islamico è la povertà.
Tra le origini del conflitto siriano e dell’espansione del Califfato, ci sono le tremende siccità che hanno costretto migliaia di siriani ad abbandonare le proprie terre per cercare, senza troppa fortuna, un lavoro nella capitale Damasco. La mancanza di prospettive ha spinto soprattutto i giovani a trovare una via di fuga nel fondamentalismo. Purtroppo, la Siria è lungi dall’essere l’unico caso dove la povertà si è rivelata la migliore reclutatrice del fondamentalismo. Basti pensare all’Africa, dove il radicalismo islamico sta trasformando un intero continente in una polveriera. Ciò non riguarda solo l’Africa settentrionale o orientale, dove sono attivi gli aguzzini dell’ISIS o di Al-Shabaab. In Congo, ad esempio, la Chiesa cattolica ha, a più riprese, denunciato la presenza di veri e propri campi di addestramento al jihadismo per bambini e ragazzi tra i nove e i quindici anni. Spesso sono le famiglie stesse ad affidare i propri figli ai fondamentalisti, illuse che questi possano ricevere un’istruzione in Europa o in Medio Oriente. Poco lontano dal Congo, Boko Haram continua ad uccidere centinaia di persone con attentati terroristici non solo in Nigeria, ma anche nei Paesi confinanti del Ciad, Camerun e Niger. Il fondamentalismo islamico non solo prospera tra le popolazioni più povere ma le impoverisce ulteriormente. Invece, come dimostrato dalla ricerca svolta dal dott. Grim, il rispetto e la tutela della libertà religiosa favoriscono lo sviluppo economico di un Paese. Le restrizioni alle libertà religiose provocano conflitti e instabilità politica, un clima di incertezza che scoraggia investitori stranieri. Lo sviluppo economico è un fattore determinante per contrastare il fondamentalismo religioso. È necessario continuare con politiche di sostegno alle economie di Paesi in via di sviluppo. In questo, l’Europa può fare molto. Con la sua politica di vicinato, l’Unione Europea può contribuire al rafforzamento e alla democratizzazione dei sistemi politici e giuridici dei Paesi terzi. Ricordo che l’anno in corso è stato designato come Anno Europeo per lo Sviluppo, con l’obiettivo di aumentare, quasi raddoppiare, gli aiuti dell’UE, che nel 2014 ammontavano a circa 60 miliardi di euro. Anche la politica industriale può giocare un ruolo chiave nella promozione dello sviluppo economico oltre i confini dell’UE, creando e promuovendo partenariati e scambi commerciali. Durante la passata legislatura, nel mio ruolo di Commissario Europeo per l’Industria, ho lanciato le cosiddette “missioni per la crescita”. Ho accompagnato delegazioni di imprenditori europei in Paesi emergenti con l’obiettivo di creare opportunità di business e cooperazione.
Bisogna rafforzare la diplomazia economica dell’Europa e ridare forza a progetti come l’Unione per il Mediterraneo. Lo sviluppo economico da solo non basterà ad impedire che migliaia di giovani siano vittime del fondamentalismo religioso. La povertà non è la sola causa di radicalizzazione. Basta chiedersi perché migliaia di giovani che vivono in Europa, Stati Uniti, Canada o Australia – Paesi sicuramente non poveri – vadano ad arruolarsi per combattere in Siria e in Iraq con il Califfato. Parliamo di oltre 6.000 foreign fighters occidentali; quasi mille provengono dalla sola Francia, circa cinquecento dall’Inghilterra.
Questi giovani sono alla ricerca di qualcosa in cui credere e identificarsi, che ritrovano in un’interpretazione barbara e primitiva dell’Islam. Spesso si tratta di convertiti, che hanno conosciuto l’Islam salafista in Europa senza neanche leggere e studiare il Corano. Quello di cui l’Europa ha urgente bisogno per contrastare la propagazione del fondamentalismo islamico è quella che Delors definì una “dimensione etica e spirituale” per l’unità dell’Europa. L’Unione europea non può essere associata solo con delle banche o dei mercati finanziari. Il dibattito politico non può essere limitato alla moneta unica o al futuro della Grecia nella zona Euro. L’Euro, così come il mercato interno, è uno strumento fondamentale per facilitare la coesione economica, ma non è di certo il fine ultimo del processo di integrazione europeo. Lo scopo di questa integrazione è di assicurare la pace tra popolazioni con storie e identità diverse, attraverso un’unione di valori basata sul rispetto della diversità. Condivido il monito lanciato da Papa Francesco durante la sua visita al Parlamento europeo: "E’ giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana". Per far questo, è necessario che la Politica torni a occuparsi di valori e idee, coinvolgendo soprattutto i giovani. L’educazione deve riscoprire urgentemente la propria funzione e il proprio valore.
La scuola e le università devono essere dei laboratori per le future società, promuovendo il dialogo, il rispetto della diversità e l’impegno politico. Colgo l’occasione per informarvi che il prossimo 17 novembre sarà proprio l’educazione il tema al centro di una conferenza di alto livello, che avrò il privilegio di presiedere nel mio ruolo di Vicepresidente del Parlamento europeo, responsabile per il dialogo interreligioso. Rappresentanti di comunità religiose e filosofiche, così come alunni e insegnanti, saranno invitati a fare proposte su come promuovere, attraverso l’educazione, la tolleranza e il rispetto della diversità. Solo riuscendo a conciliare lo sviluppo economico con quello culturale, proteggendo e valorizzando la nostra identità nel pieno rispetto di quella altrui, riusciremo ad affrontare sfide globali come l’immigrazione. Queste sfide devono unire le future generazioni e non dividerle. Solo insieme, costruendo “ponti” e non ergendo mura, potremo garantire pace e benessere in Europa e nel mondo. Grazie!
ROBERTO FONTOLAN:
Bene, grazie, abbiamo sentito questi tre punti. Lucio Battistotti, a cui do ora la parola, è Direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea e ha una lunga esperienza più che trentennale negli organismo europei. È stato anche responsabile della campagna di comunicazione per l’euro e gli affari economici, forse ci vorrebbe una nuova campagna per l’euro, per rilanciarlo un po’, ma questo non c’entra, ne parleremo in un’altra occasione. Prosegue questo tentativo di approccio al contributo europeo su questo tema.
LUCIO BATTISTOTTI:
Sì, grazie, intanto ringrazio anche gli organizzatori del Meeting di Rimini: anch’io non sono nuovo. È la terza volta che vengo al Meeting, le prime due volte però sono venuto come accompagnatore. La prima volta ho accompagnato il Presidente Barroso qui al Meeting, la seconda accompagnai il Vicepresidente Tajani, allora era Vicepresidente della Commissione Europea. Questa terza volta ho l’onore di portare un piccolo contributo su quanto l’Europa fa per il dialogo. Volevo iniziare il mio intervento con una citazione da Jorge Luis Borges: “E’ più facile morire per una religione che viverla assolutamente”. E’ tratto da Labirinti, un libro del 1962. Ebbene, vorrei dire che l’azione della Commissione europea è proprio volta ad evitare che ciò avvenga. Queste parole, come tutte le espressioni di Borges, sono paradossali e molto ficcanti: dire che è più facile morire per una religione che viverla, è una affermazione forte e pesante. Appunto per questo, la Commissione europea sta organizzando da anni riunioni ad alto livello con le chiese l’associazione le comunità religiose e le organizzazioni filosofiche e non confessionali.
Il dialogo è ora sotto la responsabilità del primo Vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, che lo scorso 16 giugno ha ospitato, assieme al Vicepresidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, una riunione di alto livello con quindici leader religiosi delle comunità cristiana, ebraica, musulmana, indù, buddista e mormone per discutere sul tema: Vivere insieme e accettare le diversità. Tale incontro ha fatto seguito ad un altro che ha avuto luogo il 2 giugno con undici rappresentanti di organizzazioni filosofiche e non confessionali provenienti da tutta Europa. L’incontro con i leader religiosi è stato l’undicesimo di una serie di riunioni organizzate dalla Commissione a partire dal 2005; dal 2009, il dialogo con le chiese, le religioni e le organizzazioni filosofiche e non confessionali è stato inserito nel trattato di Lisbona (articolo 17).
"Questo dialogo è più importante che mai", ha dichiarato Frans Timmermans. "Le nostre società devono far fronte a sfide fondamentali e le chiese e le religioni possono svolgere un ruolo importante nel promuovere la coesione sociale e colmare i divari. I leader presenti qui oggi sono partner della Commissione europea e in questa sede possono farla partecipe delle loro esperienze nel campo della lotta al fondamentalismo e alle discriminazioni e della creazione di un clima di fiducia e comprensione reciproca".
Antonio Tajani, Vicepresidente del Parlamento europeo, responsabile per l’attuazione del dialogo, ha aggiunto: "Il radicalismo e il fondamentalismo possono essere sconfitti solo se restiamo uniti. Il dialogo tra le religioni è fondamentale per difendere i valori delle nostre società. Le istituzioni europee dovrebbero promuoverlo tanto a livello di capi religiosi ed esperti di teologia, quanto coinvolgendo i giovani. Dobbiamo investire di più non solo nell’economia, ma anche nel futuro dei nostri giovani. Abbiamo bisogno di politiche che favoriscano i valori fondamentali quali la pace, la solidarietà e il rispetto della dignità umana tra le generazioni e società future". La Commissione contribuisce allo sviluppo dello spirito comunitario mediante il dialogo, come in questo caso, e il finanziamento di progetti volti a creare una migliore comprensione interculturale, interreligiosa e interconfessionale. Nell’ambito del programma “Europa per i cittadini” 2014-2020, la Commissione cofinanzia progetti con un bilancio complessivo di 185,5 milioni di euro destinati a sensibilizzare ai valori dell’UE, come la tolleranza e il rispetto reciproco, e a promuovere l’impegno della società civile. Il programma “Diritti, uguaglianza e cittadinanza” 2014-2020 sta finanziando nel 2015 progetti finalizzati a prevenire e combattere l’odio e l’intolleranza antisemiti e antimusulmani, nonché progetti che promuovono lo sviluppo di strumenti e pratiche volte a prevenire, monitorare e combattere i discorsi di incitamento all’odio su Internet, anche mediante l’elaborazione di argomentazioni che confutino tali discorsi. Gli strumenti politici e legislativi europei possono sostenere tali interventi a livello nazionale e locale. Determinate forme di reati legati all’odio e all’incitamento all’odio sono già state vietate dalla legislazione europea, in particolar modo:
1. dalla decisione quadro sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia mediante il diritto penale; 2. la direttiva sui diritti delle vittime che entrerà in vigore a novembre 2015 e provvederà a migliorare in modo significativo la tutela delle vittime di reati e infine 3. la rete di sensibilizzazione al problema della radicalizzazione istituita nel 2011. L’agenda europea sulla sicurezza e l’agenda per il mercato unico digitale contribuiranno alla lotta contro i reati dettati dall’odio e all’incremento dell’attività di prevenzione e delle misure di de-radicalizzazione.
Nel corso della riunione dello scorso 2 giugno sono stati affrontati diversi temi: come promuovere la fiducia tra i cittadini e le comunità; come vivere insieme e costruire una società in cui ciascun individuo e ciascuna comunità che creda nei valori fondamentali europei possa sentirsi a casa; e infine come gestire le differenze in una società eterogenea. In quella occasione, Frans Timmermans ha dichiarato: “Nelle nostre eterogenee società europee, il dialogo è essenziale al fine di creare una comunità in cui ognuno possa sentirsi a casa. Vivere insieme significa riuscire ad accettare le differenze anche quando vi è un profondo disaccordo. Grazie ai loro contatti con i cittadini, le organizzazioni non confessionali oggi qui riunite possono aiutarci a trovare soluzioni pratiche per affrontare le problematiche legate alla società e a capire in che modo le risposte politiche possano essere di aiuto”. I primi risultati di queste riunioni ad alto livello saranno oggetto di dibattito nel primo convegno annuale sui diritti fondamentali dell’UE che si terrà il 1° e 2 ottobre 2015. Il tema centrale del convegno sarà Tolleranza e rispetto: prevenire e combattere l’odio antisemita e antimusulmano in Europa. Il Convegno avrà lo scopo di migliorare la cooperazione reciproca e favorire un maggiore impegno politico per la promozione e la protezione dei diritti fondamentali in Europa, nonché di rafforzare il dialogo tra l’UE e le istituzioni internazionali, i responsabili politici, del mondo accademico e della società civile, e di approfondire la comprensione delle sfide per la tutela dei diritti fondamentali. Il Convegno si terrà a Bruxelles e riunirà un numero selezionato di partecipanti di alto livello provenienti da tutta l’UE: ministri nazionali, i rappresentanti delle principali organizzazioni non governative e istituzioni internazionali, parlamentari europei e rinomati studiosi e filosofi. La Commissione ha già raccolto alcuni input su un certo numero di domande che saranno al centro delle discussioni durante il convegno. Recenti rapporti mostrano un aumento del sentimento di paura e insicurezza tra le comunità ebraiche e islamiche nell’Unione europea (rif.1 – pag 8). Un preoccupante incremento di episodi di intolleranza religiosa è stato osservato negli ultimi anni, fino agli attacchi terroristici a Tolosa, Bruxelles, Parigi e Copenaghen. Negli ultimi anni, vi è stato anche un notevole aumento del numero di Paesi in cui gli ebrei sono stati perseguitati (rif. 2 – pag.8). Nel 2013, una indagine dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea sulla esperienza del popolo ebraico e sulla percezione della discriminazione subita ha dimostrato che la stragrande maggioranza degli intervistati ebrei, in particolare in alcuni Stati membri, ha ritenuto che l’antisemitismo era aumentato nel corso degli ultimi cinque anni (rif.3 – pag.8). Un altro studio recente (rif.4 – pag.8) ha dimostrato che l’ostilità radicata in alcune ideologie teologiche di estrema destra e di negazione dell’Olocausto sono in crescita in Europa. Preoccupanti tendenze sono state rilevate anche per quanto riguarda l’odio anti-islamico, nonostante il monitoraggio e la raccolta di dati siano più limitati in questo caso. Tuttavia i rapporti di alcune organizzazioni della società civile e di associazioni islamiche forniscono sempre più evidenze in molti Paesi europei, in particolare negli ultimi due anni, di tassi molto elevati di episodi di intolleranza, inclusi atti di violenza verbale e fisica. In Francia, per esempio, un aumento del 53% degli attacchi individuali contro i musulmani sono stati registrati nel 2014 rispetto al 2012, e almeno 153 episodi di islamofobia contro persone e luoghi di culto sono stati registrati quest’anno nel mese che ha seguito gli attacchi di Parigi. Fatti di islamofobia si sono verificati anche in altri paesi dell’UE, come in Svezia, dove un totale di 327 reati di islamofobia sono stati registrati dal Governo nel 2013, e numerosi attacchi alle moschee sono stati segnalati alla fine del 2014 e all’inizio del 2015. In questo contesto, l’UE ha l’obbligo storico di tornare alle origini dell’integrazione europea: garantire un comune futuro migliore, lasciando per sempre alle spalle i terribili spargimenti di sangue che hanno segnato la nostra storia. Vivere insieme in una società pluralista non è possibile se i suoi membri si sentono minacciati, discriminati e insicuri: ogni cittadino, ogni comunità deve sentirsi a casa nella UE. Promuovere una società aperta, pluralista e inclusiva, che si basa sui diritti fondamentali, è la chiave. Ritrovarsi in grado di discutere incoraggiando la comprensione reciproca è un altro elemento indispensabile. Il Convegno esaminerà le tendenze e le ragioni alla base degli episodi di intolleranza che si sono verificati nell’Unione europea, e il loro impatto sulla vita e sui diritti delle persone. Si esploreranno anche le vie più appropriate per affrontare questi fenomeni. Saranno incentrate su progetti, politiche e atti legislativi intesi a combattere crimini quali l’odio, e discorsi di incitamento all’odio e alla discriminazione. Si esaminerà il ruolo delle istituzioni comunitarie e internazionali, degli Stati membri, delle autorità locali, della società civile, dei leader delle comunità, dei media, dell’istruzione e del mondo del lavoro per lo sviluppo di una cultura della tolleranza nell’UE.
In conclusione, la Commissione europea deve continuare a lavorare per fare propria la definizione di Europa che lo storico francese Lucien Febvre diede in un corso di lezioni tenuto al College de France nell’inverno 1944/45: "L’Europa è una civiltà che può consolidarsi ed espandersi solo a patto di non prevaricare le altre civiltà: quelle che la compongono e quelle che ha di fronte. Lievito e fermento, non veicolo di egemonie e fonte di dominio".
ROBERTO FONTOLAN:
Grazie e intanto dò il benvenuto all’Ambasciatore Valensise che ha superato un piccolo contrattempo. Grazie non solo per questa citazione. A volte è un po’ strano che per avere citazioni e temi forti sull’Europa dobbiamo andare a 60 anni fa, a un periodo dei padri. A volte abbiamo bisogno anche dei figli, che possano essere una fonte per riguardare all’ Europa con una prospettiva più forte, più alta. Proprio il tema delle giovani generazioni che toccava lei, poi quei 185 milioni di euro con i quali vengono finanziati progetti: qui ci sono anche tanti giovani, ci sono start up, fatevi sotto, perché l’Europa fa tanto, e a volte facciamo fatica a conoscerlo. Ma ora vorrei dare la parola a Brian Grim: viene dagli Stati Uniti e perciò lo accogliamo con un caldo benvenuto qui al Meeting. E’ il Presidente della Religious Freedom & Business Foundation, membro del consiglio del World Economic Forum. Sul ruolo della fede, è un consulente sulla fede geopolitica per la Tony Blair Foundation: vi ricordo che qualche anno fa intervenne qui proprio Tony Blair: Grim è uno dei principali esperti sull’impatto socio-economico della libertà religiosa e quindi è proprio centratissima la sua presenza qui oggi. Prego, Brian, a lei la parola.
BRIAN GRIM:
Grazie. Devo farvi le mie congratulazioni per questo fantastico Meeting. Già solo le persone sedute a questo tavolo rappresentano un esempio eccellente di come si possano coniugare insieme economia, società civile e Governo per risolvere insieme i problemi più grandi di questo nostro mondo. Vorrei farvi vedere una presentazione in power point: vi parlerò di alcuni fatti legati all’estremismo, due fatti e due strategie tra loro opposte su come combattere l’estremismo. Un giorno stavo parlando a Ginevra al Forum Mondiale dell’Economia, si parlava di ricerche sulla libertà religiosa e si diceva che laddove c’è libertà religiosa c’è un clima migliore per lo sviluppo economico. Oggi però mi concentrerò solo sull’estremismo. Ci sono quindi due fatti. Il primo è questo: una economia povera non causa estremismo. Ci sono Paesi molto poveri in cui non c’è estremismo. Ci sono Paesi molto ricchi dove invece l’estremismo è presente e l’estremismo non è il prodotto di un’unica religione. In Norvegia, Anders Breivik ha ucciso 77 persone e la Norvegia è un Paese molto ricco. A Londra, tre ragazzine hanno deciso di rinunciare al sogno britannico e si sono unite all’Isis; lungo le strade di Londra un soldato britannico è stato assalito da due jihadisti. Il secondo fatto è il seguente: ci sono diverse strade che portano all’estremismo. Per esempio, Breivik era un nazionalista, forse era anche una persona disturbata mentalmente e questo lo ha portato all’estremismo. Le tre ragazzine inglesi non hanno trovato nessuna soddisfazione nel lavoro che facevano a scuola, negli esami che dovevano fare, volevano qualcosa di più dalla loro vita, volevano contare di più e chi ha ucciso il soldato britannico a Londra non si chiamava Mohamed o simili, la persona che ha ucciso questo soldato si chiamava Michael. Erano persone comunque cresciute come cristiani, erano state attirate dalla Jihad come strada facile per arrivare alla fama, alla notorietà e anche a una sorta di potenza, di forza personale, anche se corrotta. Ecco, sono i risultati di questa ricerca e ci sono tra loro due strategie opposte. Una prospettiva è dal punto di vista dell’Isis. L’Isis è nato in Siria qualche anno fa. L’Iraq del Nord si trovava in una situazione particolare che ha creato un’apertura all’Isis. In uno studio, una indagine che abbiamo svolto al nostro centro di ricerca, abbiamo intervistato degli iracheni chiedendo loro quale fosse la peggiore preoccupazione. Questo, prima che l’Isis arrivasse in Iraq. 5,4,3,2 e 1, nell’ordine, le risposte. Numero 5: conflitto etnico, 4 conflitto religioso, 3 corruzione, 2 crimine: e quale può essere la preoccupazione numero 1 in questa lista? Disoccupazione. L’Isis ha riscontrato questo tipo di situazione e ci ha visto un’opportunità, ma si può guardare a questo tipo di opportunità e pensare che abbiamo una popolazione istruita, ci sono delle risorse naturali. Si può intervenire e dare vita ad una economia. L’Isis ha fatto lo stesso tipo di pensiero: ha voluto dar vita ad una propria economia, ai suoi affari. La seconda strategia è come l’economia può essere di profitto per la pace. Con le Nazioni Unite stiamo lavorando a una iniziativa: Business For Peace, Economia per la pace. Il Segretario Generale Ban Ki-moon ci ha aiutato a lanciare questa iniziativa lo scorso anno in Indonesia e abbiamo riscontrato che ci sono quattro modi in cui l’imprenditorialità può in effetti aiutare la pace. Ad esempio: il commercio transfrontaliero, il supporto agli imprenditori, l’incoraggiamento alla diversità della forza lavoro e la comprensione interculturale. Una società che fa questo è per esempio la BMQ. Ogni anno danno un premio a dieci società che portano avanti questo tipo di comprensione. Un altro esempio di una grande multinazionale è la Ford. Però adesso vi faccio l’esempio di una società piccolina. Sono due ragazzi di Gerusalemme, uno è musulmano, l’altro è ebreo. Hanno ricevuto un premio per la loro azienda che opera nel turismo, porta i turisti a visitare la Terra Santa, dal punto di vista degli ebrei, dei musulmani e dei cristiani. Hanno avuto buoni profitti. Adesso sono presenti in otto Paesi del Medio Oriente, guadagnano bene e costruiscono pace. Questo è solo un esempio. Quindi, premiare questo tipo di attività. Insieme alle Nazioni Unite sono previste proprio delle attività di questo tipo, cioè premi a questo tipo di attività di piccole aziende, imprese e soprattutto imprese guidate da donne. Quindi, premi per portare all’attenzione del mondo, proprio come facciamo oggi, il fatto che l’imprenditorialità e l’economia possono essere un elemento fondamentale per costruire la pace e la comprensione reciproca. Ora vi faccio un esempio di un grande programma orizzontale, di come quindi l’economia e la fiducia reciproca e la fede possono essere un antidoto contro l’estremismo violento. Quest’anno Lord Michael Hastings ci ha ospitato alla House of Lords di Londra proprio per parlare di questo progetto. Questo progetto si basa sulla libertà religiosa per combattere l’estremismo violento. La base è molto semplice. Si basa semplicemente su una storia della Bibbia che forse in molti conosceranno, quella del buon samaritano. Un avvocato andò da Gesù e chiese: “Cosa devo fare per guadagnarmi la vita eterna?” E Gesù rispose quello che dice il Vecchio Testamento, la Torah: “amare Dio e amare il tuo prossimo”. E allora venne chiesto a Gesù: “ma chi è il mio prossimo?”. E Gesù racconta la storia del buon samaritano. Chi era il samaritano? Non era ebreo. Era uno straniero, di un’altra religione, quello che aiutò a rialzarsi l’uomo caduto sulla strada. “Questo è il tuo prossimo” disse Gesù. Quindi, la fede delle persone deve basarsi proprio su questo: l’amore per il prossimo. Quando si combina quest’idea con l’economia e l’attività economica, si creano milioni di possibilità. Quest’anno a Londra stiamo facendo un progetto pilota che poi dovrà essere esportato in tutto il mondo, che chiamiamo “Empowerment+”, emancipazione più, contro il radicalismo, attraverso l’incoraggiamento all’imprenditorialità e l’emancipazione. Ci sono dei corsi in cui vengono date capacità pratiche, vengono insegnate attività che consentono di avviare nuove imprese: questo avviene all’interno di gruppi. Per concludere, farò solo un ultimo esempio. Avrete forse sentito parlare di Jihadi John, quel jihadista che tagliava la gola alle persone e veniva visto poi nei video. In realtà, si tratta di un imprenditore con una formazione nel settore dell’informatica, che però aveva perso di vista il modo in cui le sue conoscenze e la sua attività economica avrebbero potuto contribuire al bene della società in cui viveva. L’elemento che manca qui è proprio l’etica, amare il prossimo e utilizzare le proprie attività economiche per migliorare la società e aiutare gli altri. Credo che in questo Meeting, che mette insieme la società civile, il Governo e gli economisti, possiamo fare molto per combattere l’estremismo. Si tratta solo di mettere in pratica questo semplice principio: ama il tuo prossimo. Grazie.
ROBERTO FONTOLAN:
Grazie, Brian, perché il lavoro della sua Fondazione è veramente interessante. Io ho letto diverse cose e vi invito a scoprirlo perché i loro paper e le loro analisi sono interessanti e si fanno delle grandi scoperte. Anche alcuni degli esempi che ha fornito qui oggi danno l’idea del loro tipo di lavoro: sono contento che ci sia un nuovo amico del Meeting da oggi. Ora vorrei presentavi Fouad Makhzoumi che, come dicevo, è un grande imprenditore. Nato in Libano, ha studiato negli Stati Uniti, ha iniziato la sua attività imprenditoriale in Arabia Saudita e, passo dopo passo, come succede nei grandi imprenditori che hanno visione, sguardo, che guardano al mondo intero, dalla sua energia, intelligenza e abilità e anche dal suo approccio culturale è nato un grande gruppo internazionale che, come dicevo, impiega oltre 3500 persone in tutto il mondo, in diversi Paesi: molto nell’area Europa e Medio Oriente ma anche Thailandia, India, Indonesia e Singapore. E così il suo punto di vista, anche dopo quello che ci ha detto Brian Grim, è particolarmente significativo, particolarmente interessante: è una scoperta per noi la sua presenza qui oggi. Speriamo che sia solo l’inizio di una amicizia. Prego.
FOUAD MAKHZOUMI:
Grazie, Roberto. Grazie per averci invitato a questo Meeting, questo evento fantastico. Quando vedo questo pubblico così ricco e variegato, credo che davvero abbiamo l’opportunità, come diceva Brian, di costruire insieme un futuro. Storicamente, noi non veniamo invitati alle conferenze sull’Euromed. Quando veniamo invitati, non vediamo così tanti giovani. Molte sono persone per lo più adulte, molto esperte, e la loro esperienza sicuramente è importante ma, dal punto di vista di quello che vogliamo fare per il futuro, forse ci vorrebbero più giovani. Non so quale sia la percentuale, il mix tra ebrei, musulmani e cristiani presenti qui oggi. Però è molto importante, se vogliamo ottenere dei risultati, avere proprio un approccio dal basso verso l’alto, per quanto riguarda la partecipazione. Gli intellettuali certo comprendono l’importanza del dialogo perché senza la libertà religiosa non è possibile lo sviluppo economico, non ci può essere nessun tipo di sviluppo. La libertà religiosa è proprio il pilastro portante della crescita economica. Non vi parlerò della storia del cristianesimo e dell’Islam. Molti di voi la conoscono già, ma devo comunque ricordare come nel XVI e XVII Secolo l’Europa e il cattolicesimo abbiano trascorso 150 anni molto difficili per arrivare alla separazione, alla distinzione tra Chiesa e Stato. Negli Stati Uniti si è dovuto attendere il 1776, la Dichiarazione dei Diritti della Virginia, per poter garantire la libertà di religione. Nel mondo musulmano, per 400 anni abbiamo cercato di capire che cosa dovevamo fare perché molti regimi politici, in particolare proprio i politici, si servono della religione per giustificare la dittatura e il potere dello Stato. Ricordo un’esperienza fatta in seguito all’11 settembre. Ricordo che stavamo lavorando ad un progetto di pace dal 1993 e il Presidente di questo progetto ci invitò alla Casa Bianca tre settimane dopo l’11 settembre. Nel dibattito con i funzionari di alto livello della Casa Bianca, ci fu detto che noi arabi dovevamo decidere se volevamo stare con gli Stati Uniti o contro gli Stati Uniti. La mia reazione è stata questa: io non sarei venuto fino a qui dal Libano se fossi d’accordo con Osama Bin Laden. Noi siamo contro il terrorismo, noi siamo contro queste azioni terribili, ma è importante che l’Occidente ci comprenda così che possiamo lavorare insieme e insieme lottare contro quest’ondata di terrorismo. Dal 1948, la maggior parte dei Paesi arabi usa il pretesto dell’esistenza di Israele per giustificare il passaggio verso la dittatura. Con questo pretesto, quindi, di dover proteggere questi Paesi da Israele, noi priviamo la gente di tutti i loro diritti. Dal 40 al 60%, le risorse energetiche derivano proprio da questa regione del Medio Oriente, inclusi Iran e Iraq. In tutto il mondo c’è stato un incremento del reddito procapite tra il 2004 e il 2009, del 7, 8%. La mancanza di democrazia in questa Regione utilizzata dai politici ha creato un così forte divario dal punto di vista del benessere che abbiamo sentito parlare di persone come Saddam Hussein, Gheddafi, Mubarak, e parliamo di decine di miliardi di dollari di ricchezze private mentre il reddito procapite medio, per esempio, è 200 dollari al mese. Se vogliamo veramente lottare contro il terrorismo, l’Europa – sono d’accordo con il Commissario – non può più rimanere in disparte e dire: questo non ci riguarda. Ogni giorno arrivano in Europa migliaia di persone dall’Africa, arrivano in Italia. Dobbiamo lavorare insieme per capire che la mentalità dei musulmani è un po’ diversa, quando si tratta di parlare con la gente e della gente. Non si è riusciti ad arrivare alla Dichiarazione del Califfato perché, dopo il collasso dell’Impero ottomano, alcuni leader arabi non hanno voluto accettare il principio dello Stato-Nazione perché ritenevano che si trattasse di un principio, di un concetto occidentale imposto su questa Regione. Ed è così che si continua a promuovere questo concetto del Califfato. Come diceva Brian, alcuni vedono in questo un ritorno storico ed è per questo che vengono attratti da questi movimenti fondamentalisti. Certo, noi potremmo cercare di spiegare le varie differenze all’interno dell’Islam, però è molto importante capire quello che può essere l’accordo tra gli Stati Uniti e l’Iran. Come sapete, noi arabi abbiamo due grandi Paesi che sono alla guida dei due segmenti dell’Islam: sunniti, per quanto riguarda l’Arabia Saudita, e l’Iran, per quanto riguarda invece il movimento sciita. Gli sciiti ritengono di poter avere una guida spirituale attraverso il proprio leader. Quindi, abbiamo il leader supremo e poi una piramide che arriva fino alla gente. Per quanto riguarda i sunniti, invece – all’origine dell’Islam noi non abbiamo mai creduto in un sistema gerarchico – ogni singola persona può comunicare direttamente con Dio. Ecco perché un accordo con l’Iran può controllare la Siria, ecc., mentre un accordo con i sunniti può essere un problema, perché tutti riconosciamo che quando Osama Bin Laden non ha più controllato Al Qaeda era in effetti oggetto di minacce da parte di Zarqawi ed altri. Ecco perché, se noi non ci impegniamo attraverso l’istruzione, attraverso l’occupazione, per spiegare ai giovani quali sono i fondamenti dell’Islam, non riusciremo mai a raggiungere il nostro obiettivo. Nella nostra fondazione a Beirut – io sono ritornato nel 1992 – abbiamo dato vita ad una formazione insieme agli Stati Uniti per questo programma di micro crediti. Ci sono più di 10 mila beneficiari oggi con la propria impresa di 3/5 persone. Ci sono 35 mila persone che partecipano a questa formazione professionale e la maggior parte di queste persone non imbraccia le armi, perché noi abbiamo dato loro una dignità attraverso la possibilità di trovare un lavoro invece di doversi mettere in fila ad aspettare per ottenere il sussidio. Per concludere, posso dire che in base ad uno studio del 2011 delle università di Georgetown e Brigham Young, la libertà religiosa è uno dei fattori più significanti per quanto riguarda la crescita economica globale. La ricerca infatti ha fatto un paragone tra il PIL e la crescita di 173 Paesi e ha trovato un nesso positivo tra la libertà religiosa e 10 dei 12 pilastri della competitività globale. Secondo lo studio, tra gli effetti della libertà religiosa c’è una riduzione della corruzione, infatti 9 su 10 dei Paesi più corrotti hanno forti restrizioni in termini di libertà religiose. Più pace: quando la libertà religiosa non viene rispettata si hanno violenze e conflitti; regole meno dannose, perché alcune restrizioni religiose possono veramente ostacolare le attività economiche; responsabilità ridotte, più diversità e crescita. La libertà di religione può contribuire ad un pluralismo che di per sé è associato alla crescita economica, e un’ampia diversità di congregazioni religiose può contribuire in modo notevole per quanto riguarda le attività economiche. Dobbiamo tenere conto del fatto che la vera religione, il vero Islam, ci insegna come comportarci con i nostri amici, con il nostro prossimo. Noi nell’Islam diciamo che la religione non è una idea che ci viene imposta. O si crede o non si crede. In conclusione, in Europa e nell’Occidente in generale non si comprende il fatto che c’è una differenza tra l’Isis, la Muslim Brotherhood, Al Qaeda o altri movimenti estremisti. Per me tutti i gruppi religiosi che sono pronti ad utilizzare la forza e la violenza per respingere altre religioni sono terroristi. Quindi, cerchiamo di non differenziare tra le persone che si occupano di politica. In Egitto, forse la Fratellanza musulmana non è stata trattata in modo equo. Però questo non giustifica il fatto che cittadini egiziani vengano uccisi in reazione a cambiamenti del Governo del Paese. Il mio suggerimento è che in futuro ci sia un maggiore coinvolgimento della popolazione e della gente, perché la gente deve capire che il resto del mondo non è contro di loro, il resto del mondo è pronto ad accettarli, a fare affari con loro e ad abbandonare queste idee estremiste perché tutti vogliamo vivere una vita dignitosa, quindi vogliamo dare ai giovani un’alternativa ad Al Qaeda e all’Isis. Grazie.
ROBERTO FONTOLAN:
Bene, grazie Fouad Makhzoumi, perché questo punto di vista ci ha portato proprio dentro questa tensione drammatica che viviamo. Ed ora la parola all’ambasciatore Michele Valensise, che è Segretario Generale della Farnesina, del nostro Ministero degli Esteri, dopo una lunga carriera che lo ha portato un po’ da tutte le parti, anche a Beirut durante la guerra civile, Brasilia, Bona e così via. Quindi non mi dilungo su questo, perché i nostri tempi sono stretti e vorrei sentire il suo approccio. Ambasciatore, come l’Italia può contribuire, come sta contribuendo a questo fattore di sviluppo economico che è insieme così intrecciato al tema della libertà religiosa? Grazie.
MICHELE VALENSISE:
Grazie mille, buona sera. Mi sento un po’ come quelli che arrivano a metà del primo tempo, quindi vorrei scusarmi innanzitutto con il Vicepresidente Tajani per non avere avuto la possibilità di sentire il suo intervento, di cui però ho avuto una sintesi. E vorrei ringraziare il Meeting dell’Amicizia per questa opportunità d’incontro, e congratularmi innanzitutto con gli organizzatori per il titolo che hanno voluto dare a questo panel: Lo sviluppo economico è un fattore di contenimento del fondamentalismo. Quando ho letto la prima volta l’invito, ho pensato che ci potesse essere un punto interrogativo alla fine del titolo. Invece ho visto con piacere che questo non è un dubbio, non è un interrogativo che pone l’organizzazione di questo incontro, ma è un’affermazione. Io credo che sia giusto considerarla come un’affermazione, anche perché la tentazione, quando si parla di fondamentalismo, e poi delle degenerazioni del fondamentalismo che ci interessano di più, come l’estremismo o il terrorismo, è sempre di prendere una piccola scorciatoia per dire che sì, esistono, però non ci sono cause sociali, religiose, politiche, etniche, con la tentazione di mettere in ultimo piano la realtà economica. Ora, è vero che, come ha detto Brian Grim molto chiaramente prima, ci sono delle realtà nelle quali il terrorismo non è figlio della povertà, ci sono dei Paesi che producono terrorismo loro malgrado, che sono vittime del terrorismo, pur avendo delle situazioni economiche lusinghiere. Un esempio su tutti, l’Arabia Saudita. Ci sono altri Paesi che sono molto più indigenti e che per loro fortuna non producono fondamentalismo, estremismo o terrorismo. Pensiamo ad un qualsiasi Paese dell’Africa Sub-Sahariana, il Botswana, per fare un esempio; un Paese povero ma che per sua fortuna non ha terrorismo. Allora, è vero che il binomio ricchezza-povertà ed estremismo-terrorismo non è sempre connesso; è anche vero quello che dice un grande studioso dell’Islam, quando parla di due fattori che sono prevalenti nello scatenamento degli elementi estremistici e terroristici: una gioventù urbana povera e una borghesia religiosa in lotta, in polemica con le elite di alcuni Paesi islamici. Tutto questo è vero. Però è anche vero – e da qui l’apprezzamento per il fatto che non avete il punto interrogativo – che la povertà, l’arretratezza economica, l’indigenza, la mancanza di prospettive in un futuro degno di questo nome, siano un incubatore straordinario di estremismo, di fondamentalismo e qualche volta purtroppo anche di terrorismo. C’è un dato in particolare – e mi sembra che ne abbia fatto cenno anche qui, con grande chiarezza, Brian Grim – che può essere utile tenere a mente, uno dei pochi che citerò, quindi non abbiate timore. Ma mi ha colpito e lo volevo condividere con la platea. Negli ultimi trent’anni del secolo scorso, dal 1970 al 2000, l’80% delle guerre civili nel mondo si sono prodotte in Paesi nei quali il 60% della popolazione aveva meno di 30 anni ed era senza lavoro e il 60% di questa stessa popolazione era sottooccupata o non occupata. È un qualche cosa che fa riflettere sulla miscela esplosiva che sottosviluppo, arretratezza economica, mancato sviluppo possono determinare in termini di fondamentalismo, estremismo e terrorismo. Allora, se posso cercare di portare il discorso anche in termini di politica delle cose che si fanno, come reagiamo noi italiani, come reagisce l’Italia, come reagisce l’Europa a situazioni di questo genere? Intanto – e mi piace parlare dell’Italia, non del Governo italiano, di questo o di un altro, perché qui possiamo veramente essere orgogliosi di avere una certa continuità di analisi e di azione – abbiamo da tempo messo al centro della nostra azione un dialogo diverso con tutta la Regione mediterranea e medio- orientale. Questa è una priorità che perseguiamo, che abbiamo fatto valere in sede europea con qualche successo, almeno in progressione rispetto alla situazione che vedeva l’Europa meno attenta rispetto a questi mesi, a queste settimane, su quello che succede sul fronte mediterraneo e medio-orientale. Allora, significa aver posto con forza a livello nazionale, a livello europeo, la questione della priorità dei rapporti con il Mediterraneo e con il Medio Oriente. E significa aver posto con forza anche la questione delle risorse necessarie per incoraggiare una sorta di nuovo “piano Marshall”, chiamiamolo così, in maniera molto ambiziosa, nei confronti di Paesi con i quali l’Italia ha un dialogo straordinariamente proficuo, in prima fila tra i Paesi europei, e con i quali l’Italia può sviluppare delle politiche di partenariato, consentitemi di dire, meglio di tanti altri in Europa e nel mondo. Perché siamo un Paese privo di sospetti, di volontà egemoniche, siamo un Paese che ha una grande tradizione di cooperazione, di volontariato; e sempre più impostiamo questo tipo di cooperazione in termini di aiuto allo sviluppo di imprenditorialità, di potenzialità economiche e di sfruttamento da parte di questi Paesi di risorse a volte molto consistenti di cui dispongono. Quindi, il piano, l’idea, non da oggi ma oggi perseguita con maggiore incisività, maggiore rigore, è fare veramente quello che l’Italia è per vocazione storica e geografica, cioè un pivot della politica medio-orientale, mediterranea, non solo nazionale ma anche europea. Intorno a quali punti in concreto ruota questa azione? Ci sono tante priorità, tante esigenza, tante potenzialità. Però io vorrei sottolineare con voi stasera due punti che ribadiamo e mettiamo costantemente al centro delle nostre attività di cooperazione con i Paesi terzi. Il primo: puntare esattamente al ruolo dei giovani e delle donne. Ha ragione Fouad Makhzoumi, una maniera per prosciugare l’acqua del fondamentalismo, l’acqua dell’estremismo e del terrorismo, è puntare direttamente sui giovani, sulle giovani generazioni, tenendo anche presente dati che è bene non dimenticare. Oggi nel mondo ci sono quasi due miliardi di persone che hanno tra i 10 e i 24 anni. Una fetta enorme dell’umanità, come mai è stato nel passato. Qual è l’imperativo con i giovani? Istruzione, formazione professionale. E non è un caso, vedete, che qualche sciagurato movimento terrorista se la prenda così tanto e in maniera così atroce con le scuole, con la formazione, con gli istituti di formazione. Pensiamo a Boko Haram in Nigeria. L’obbiettivo sembra essere, più che i palazzi del potere, i luoghi della formazione, i luoghi dell’istruzione, le scuole, l’officina della tolleranza di domani che il terrorismo non vuole, che il terrorismo combatte. Allora, molta parte di questa attenzione, e attenzione nuova, va verso le giovani generazioni: programmi di assistenza, programmi di rafforzamento della capacità di diffondere l’istruzione, capacità di agire sulla formazione professionale. E al discorso dei giovani è naturalmente collegato il discorso delle giovani, cioè della condizione femminile. Elemento importantissimo, perché ci sono molti Paesi nei quali la condizione femminile è ancora a livelli per noi del tutto inaccettabili. Un secondo e ultimo punto prioritario, che collochiamo all’interno di queste nostre azioni e che non perdiamo di vista, è quello del nesso tra migrazioni e sviluppo. Le migrazioni, se gestite bene, come devono essere gestite, e non demonizzate, possono essere – dico possono, e lo dico con molta cautela – un fattore di sviluppo importante. Anche qui, un ultimo dato, perché lo trovo illuminante. Abbiamo visto dai numeri che ci ha fornito la Banca Mondiale che la diaspora degli emigrati africani, prevalentemente africani, negli anni ha prodotto delle rimesse pari a 436 miliardi di dollari. È una cifra colossale, a cui bisogna aggiungere probabilmente una cifra di analoga portata, che è andata indietro, attraverso canali non ufficiali. Ecco allora che attraverso le migrazioni il mondo industrializzato, il mondo più sviluppato, svolge un’opera di trasferimento di risorse di cui è bene essere coscienti.
Allora alcuni, pochi esempi di quello che fa l’Italia in questo momento, di quello che fa il Ministero degli Esteri, anzi di quello che fa il Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, da qualche mese a questa parte, avendo una legge approvata nel Parlamento del 2014 definitivamente integrato l’attività di cooperazione delle attività, come è giusto, di politica estera e di proiezione degli interessi nazionali all’estero. Alcuni esempi flash, per dire quanto in questo momento noi facciamo affidamento sul mondo della cooperazione. Io ho in faccia una serie di lampade, quindi intravedo appena il pubblico, spero che tra il pubblico ci siano dei giovani, dei rappresentanti di organizzazioni non governative, dell’associazionismo per il volontariato, perché questi sono i nostri migliori alleati, voi siete, se ci siete, i nostri migliori alleati nello sviluppo di politiche efficaci di aiuto, di assistenza e di cooperazione. Allora, qualche esempio flash per dire quanto per noi sia determinante, sia importante questo impegno nel settore della cooperazione, anche in funzione del contenimento di fenomeni fondamentalistici e terroristici. Abbiamo dei buoni record in Africa, abbiamo delle operazioni in corso in particolare nel Sael in termini di formazione professionale; abbiamo con la sponda Sud del Mediterraneo – quella che può rispondere non certo con la Libia di oggi, ma per esempio con il Marocco e la Tunisia – importanti iniziative di promozione del dialogo interreligioso da una parte e di aiuto alla imprenditoria, quindi anche al micro-credito per fasce giovani della popolazione. Abbiamo una serie di programmi di assistenza allo sviluppo dell’agricoltura, questi Paesi devono seguire la loro vocazione naturale, non vedersi imposti dei moduli di sviluppo che sarebbero estranei alla loro tradizione. Penso infine all’Afghanistan, e ci penso non solo ricordando l’impegno politico e militare dell’Italia in tutti questi anni ma anche l’impegno di cooperazione. Noi siamo abituati a parlare male dell’Italia, è un po’ il nostro sport preferito, però quando si studiano bene i dati, quando si vede bene che cosa questo nostro Paese combina quando salta le frontiere e va a lavorare fuori, c’è di che essere orgogliosi, noi tutti. E allora, in Afghanistan mi colpisce, e spero colpisca anche voi, un semplice dato: quattordici anni fa, quando c’erano ancora i talebani, c’era un milione di giovani in Afghanistan che andava a scuola. Tredici anni dopo l’intervento occidentale di cui l’Italia ha fatto parte, i giovani che vanno a scuola oggi sono otto milioni, in Afghanistan. All’epoca dei talebani, c’erano 21 mila insegnanti in tutto il Paese, oggi ce ne sono 190 mila. E questo è parte di un disegno certamente internazionale, ma nel quale l’Italia ha dato un contributo – tra l’altro, con dei caduti, che mi piace ricordare, delle nostre Forze Armate – essenziale che non è ancora finito, che dovrà andare avanti. Abbiamo delle scadenze di ridimensionamento della presenza militare attualmente prevista in Afghanistan, ma abbiamo però in programma, come alcuni altri Paesi, una permanenza in termini di prosecuzione di attività di cooperazione, di sostegno allo sviluppo del Paese. Concludo: tra qualche giorno a New York si approva la strategia globale per lo sviluppo fino al 2030. Sono obiettivi che la comunità internazionale si dà. All’interno di questi obiettivi, ciascun Paese, in particolare i Paesi occidentali sviluppati, devono fare la loro parte. Noi non ci tireremo indietro. Per farlo però abbiamo bisogno di idee, e grazie a Dio ne abbiamo; di passione, e grazie a Dio ne abbiamo; ma abbiamo, ahimè, bisogno anche di risorse, e grazie a Dio speriamo di averne. Non ne abbiamo tante in questo momento, ma speriamo di averne di più. Lo dico perché in questo momento per le politiche di cooperazione, le politiche di aiuto ai Paesi e quindi gli strumenti con cui rispondere a questo tipo di sfida, alla sfida dello sviluppo in termini di contenimento del fondamentalismo e dell’estremismo, le risorse che abbiamo a disposizione non sono ideali. Vi lascio con questa brevissima carrellata su quello che facciamo in termini di cooperazione e su quello che fanno i nostri più comparabili vicini e partner. Allora, l’Italia ha per l’intera cooperazione uno stanziamento che è pari allo 0,16% del bilancio dello Stato. La Francia ha lo 0,36, la Germania lo 0,41, l’Inghilterra lo 0,71. C’è di che riflettere e c’è di che lavorare per aumentare queste risorse, non a beneficio di questo o di quello, ma a beneficio di Regioni che meritano di essere assistite nel loro e nel nostro interesse, essendo questo interesse ormai evidentemente complementare e dovendo noi considerare che la spesa per l’aiuto, la spesa per la cooperazione, sono spese di ritorno di cui beneficiano anche, se non soprattutto, le nostre società. Grazie mille per l’attenzione e buon lavoro a tutti.
ROBERTO FONTOLAN:
Grazie, ambasciatore, sono molto contento che abbia citato l’Afghanistan perché poche ore fa, proprio in questa sala, abbiamo avuto l’occasione di uno straordinario incontro e dialogo con la First Lady dell’Afghanistan, in cui questa amicizia con quel Paese è stata ricordata molto profondamente. Si era immaginato di poter fare un piccolo, secondo giro, ma non abbiamo più il tempo perché tra pochi minuti inizia l’incontro che prende in esame, illustra il titolo generale del nostro Meeting. E noi tutti, moderatori e ospiti, abbiamo sempre questo impegno, che non ci devono essere sovrapposizioni con quel tipo di incontro. Ma io penso che ci siano dei punti fondamentali che abbiamo potuto seguire con grandissima attenzione, con grandissima curiosità e interesse. I tre punti che ricordava Antonio Tajani all’inizio, il grande quadro dell’attività europea, e questo è veramente un tema importante, che andrebbe conosciuto: fate anche una campagna di comunicazione, non solo sull’euro, ma anche su queste cose. Le interessantissime analisi e scoperte condotte dal lavoro della Fondazione di Brian Grim: penso che si sia capita l’importanza e spero che sia l’inizio di un lavoro insieme con il Meeting. La personalità prorompente di Fouad Makhzoumi, che ci ha fatto capire con quanta passione si può costruire qualcosa in qualunque condizione del mondo. E infine, quello che diceva l’Ambasciatore Valensise, che ha riccamente dato indicazione su quella che è la nostra possibilità di contribuire a questo momento fondamentale del mondo. Vi ringrazio tutti e vi auguro buon proseguimento. Grazie.