Chi siamo
LO SPORT TRA PASSIONE ED EMOZIONI: CALCIO, SUPERBIKE E FORMULA 1
Lo sport tra passione ed emozioni: calcio, superbike e formula 1
Partecipano: Fabio Guadagnini, Direttore Fox Sports Italia; Vitantonio Liuzzi, Pilota di F1 per la Scuderia Force India; Marco Melandri, Pilota BMW Motorrad Goldbet pro WSBK. Introduce Nestore Morosini, Direttore del Magazine Online Automobilissima.it
LO SPORT TRA PASSIONE ED EMOZIONI: CALCIO, SUPERBIKE E FORMULA 1
Ore: 11.15 Sala D3
Partecipano: Fabio Guadagnini, Direttore Fox Sports Italia; Vitantonio Liuzzi, Pilota di F1 per la Scuderia Force India; Marco Melandri, Pilota BMW Motorrad Goldbet pro WSBK. Introduce Nestore Morosini, Direttore del Magazine Online Automobilissima.it
NESTORE MOROSINI:
Buongiorno, io sono Nestore Morosini, sono stato tanti anni al Corriere della Sera, ho seguito prima il calcio, poi la Formula 1, sono onorato di essere qui. Vi presento i nostri amici: Fabio Guadagnini, neodirettore di Fox Sports, un canale Sky, Marco Melandri, che è inutile presentare, e un altro dei beniamini del motorismo internazionale, Vitantonio Liuzzi.
Vedo che la platea, Fabio, è caldissima, anche le ragazze…
FABIO GUADAGNINI:
Bene, benissimo, d’altronde se lo merita, abbiamo due grandi sportivi con noi.
NESTORE MOROSINI:
Vorrei presentarvi innanzitutto il nuovo canale che Sky ha prodotto a pagamento, Fox Sports, di cui dal 31 luglio Fabio Guadagnini, che chiamerò solo Fabio perché se no è troppo difficile, è diventato direttore. Ci dovrebbe essere una clip che vi illustra il nuovo canale sportivo, dopo Fabio vi parlerà di Fox Sports e dei suoi programmi. Vorrei fare un saluto personale ad un vecchio amico del motorismo, Camillo Marchetti, che è stato per non so quanti anni – adesso ne ha 90, credo – capo ufficio stampa dell’Alfa Romeo. Abbiamo vissuto degli anni splendidi in Formula 1, con lui: adesso Camillo si gode a Rimini una meritata pensione. E’ lì, in terza fila. Bene, ora vediamo la clip di Fox Sports e magari anche una clip dei 10 anni di Sky che ha introdotto la televisione a pagamento portando lo sport in tutte le case.
SPOT FOX SPORTS
NESTORE MOROSINI:
Ecco, questa è un’anticipazione di quello che sarà. Prima di fare parlare Fabio, ovviamente dobbiamo parlare dei 10 anni, anzi, dobbiamo vedere la clip dei 10 anni di Sky che, arrivato in Italia, ha conquistato un pubblico via via sempre più numeroso e oggi ci propone lo spettacolo sportivo ad altissimo livello Ecco la clip dei 10 anni di Sky.
SPOT SKY SPORT
NESTORE MOROSINI:
Allora, caro Fabio, molto emozionante: la cosa più bella che ho visto, a parte i goal di Milito per la Champions, è stato il salto di Lebron James che fa la schiacciata. Qui siamo in situazione di par condicio: due milanisti e due interisti, non ci sono juventini, sono tutti là. Allora, come Fox entrerà nelle nostre case, portando le immagini di Marco Melandri e Vitantonio Liuzzi, che adesso abbiamo qui sul palco?
FABIO GUADAGNINI:
Allora, intanto ho scoperto che Marco è un addicted ai canali Fox, quelli delle grandi serie tv. Ho scoperto che abbiamo un fan in più di cui ignoravo l’esistenza, non sapevo che ci fosse questa partecipazione: ti ringrazio per questo, e anzi ti coinvolgeremo nel progetto.
MARCO MELANDRI:
Senza My Sky sarei rovinato.
FABIO GUADAGNINI:
Anch’io! Chiaramente sono emozionato per questo mix, per il calore e la quantità dell’attenzione, dell’affetto e della vicinanza, ma anche per quello che ho visto poco fa. Ho avuto la fortuna di partecipare al progetto Sky proprio dall’inizio, cioè da maggio 2003, quando abbiamo cominciato a mettere insieme le due tv a pagamento che in quel momento c’erano sul mercato in Italia, Stream Tv e Telepiù, per creare questa nuova realtà. Sono passati 10 anni e ho avuto una partecipazione diretta, la possibilità di essere calato all’interno di questo progetto. E poi, le immagini che abbiamo visto, al di là del fatto che siano state proposte da Sky, credo che tocchino veramente il cuore di tutti noi che siamo accumunati dalla passione per lo sport, perché lo sport è comunque una grandissima scuola di vita, qualunque sia la disciplina. Lo sport ha delle regole che chi partecipa, chi vuole entrare in quel mondo, in quella dimensione agonistica – perché di agonismo e di competizione si tratta – deve osservare. Sono regole fondamentali, magari scontate, però è giusto ricordarle perché si tratta del rispetto dell’avversario, sul quale si deve prevalere, perché la vita di tutti i giorni ci insegna che siamo comunque giocoforza calati in una competizione, però con dei punti di riferimento e delle regole. Credo siamo tutti consapevole che è importante.
Attraverso lo sport abbiamo cercato di raccontare tutto questo, lo faremo anche nei prossimi anni; abbiamo spaziato, abbiamo avuto l’opportunità di fare comunicazione e realizzare un buon prodotto di intrattenimento. Io continuo a dire, quando mi chiedono che cosa è lo sport, che lo sport, secondo me, è la più bella forma di intrattenimento, di svago, del mondo, perché non invecchia e non invecchierà mai, nonostante negli anni passino nuovi modi di fruire la televisione. Voi rappresentate in gran parte le nuove generazioni e avete un approccio certamente diverso rispetto a quello che avevo io 15 o 20 anni fa, in cui c’era una televisione completamente diversa, una televisione che in qualche modo dovevo subire, perché c’era un palinsesto, un tipo di programmazione che veniva deciso dall’alto per cui io ero telespettatore passivo davanti al teleschermo. Oggi voi avete la fortuna di essere più liberi, più emancipati attraverso il mondo digitale, attraverso il web ma anche attraverso la televisione. E Sky, a mio avviso, ha avuto un ruolo importante. Quando diciamo che c’è la libertà di scelta, lo diciamo perché, attraverso My Sky, ad esempio, c’è la possibilità come sapete di scegliere tempi e modi di fruizione e c’è un’ampiezza di contenuti tale per cui ognuno di noi si sente libero di partecipare. Poi, fortunatamente, cerchiamo sempre di fare una televisione vicina al nostro pubblico, ai nostri abbonati che possono interagire davvero, attraverso i loro consigli e anche le loro critiche, per creare un prodotto migliore, più accattivante e anche più vicino alla realtà perché, soprattutto in questo periodo, in un contesto economico così difficile, essere attaccati con i piedi a terra, sulla realtà, sul nostro tessuto sociale, è certamente fondamentale.
Lo sport è una grande opportunità di svago, e quindi dobbiamo essere grati ad atleti come Marco e come Vitantonio che, attraverso le loro prestazioni agonistiche, ci permettono anche di sognare, di entrare per qualche secondo nel loro cervello, nelle loro fasce muscolari, nei momenti in cui riescono a fare delle prestazioni agonistiche che sono veramente al di là di quello che è l’umano. Chi di voi ha avuto la possibilità di percepire o vivere un po’ lo scenario di un circuito, che sia delle due o quattro ruote, ha capito che bisogna esser atleti veri e atleti seri, uomini veri, per riuscire a competere a questo livello.
Durante la mia ultima esperienza professionale, ho avuto la possibilità di spaziare su tanti sport e adesso abbiamo creato Fox Sports: è un canale che è entrato a piena efficienza due giorni fa, sabato, anche attraverso l’inizio dei campionati di calcio internazionale. Al di là di quelli che sono i dettagli di programmazione, è un canale che sostanzialmente racchiude il meglio del calcio europeo in questo momento: il campionato inglese, il campionato spagnolo, il campionato francese, quello olandese, il Fed Cup. Un canale votato a mettere insieme i grandi campioni che in questo momento sono i più chiacchierati e certamente fra gli idoli di molti appassionati di calcio, anche presenti tra voi oggi.
Credo che il messaggio importante che Fox Sports, attraverso questo grande canale di calcio, vuole portare, sia un’altra evoluzione del tifo, della passione per il calcio e lo sport, che ha valicato certamente i nostri confini. Io da ragazzo ero in qualche modo ghettizzato a seguire una squadra italiana perché i media, in quel momento, non mi offrivano altre opportunità che di seguire la mia squadra, senza poter conoscere effettivamente che cosa il calcio mi potesse proporre a livello planetario. Non dimentichiamo che il calcio coinvolge nel mondo oltre un miliardo e 600 milioni di persone, ci sono circa 260 milioni di persone direttamente coinvolte nell’ambito del calcio, ci sono oltre 2 milioni di allenatori nel mondo: sono cifre veramente importanti, un fenomeno sportivo planetario, in costante evoluzione e crescita. Da questo punto di vista, per me è fondamentale che nel 2014 sia nostro dovere, oltre che, se volete, business, offrire il meglio di tutto quanto il pianeta terracqueo riesce ad offrire nel mondo del calcio. Una delle missioni di Fox Sports è proprio questa: permettere a tutti di vedere i migliori campioni in attività, perché poi la bellezza del calcio sta soprattutto nel coefficiente tecnico e nel valore di grandi giocatori come Ibrahimovic, Messi, Lavezzi, Cavani o grandi allenatori come Mourinho e Ancelotti, che ieri sera abbiamo avuto l’opportunità di fare vedere in diretta nei rispettivi ritorno, a Stamford Bridge, per Josè Mourinho, esordio, sulla panchina del Real Madrid, per Carlo Ancelotti. Tantissime storie, tante opportunità per emozionarci, un po’ come ho fatto io poco fa rivedendo quel filmato con le bellissime immagini dei nostri dieci anni di storia.
NESTORE MOROSINI:
Eh, devo dire, Fabio, che la prospettiva del tuo lavoro è non soltanto gravosa ma anche molto interessante, molto bella. Marco, vogliamo dire una cosa: sei arrivato qui, hai appoggiato la moto ed è finita dentro un fosso? Non basta cadere in pista?
MARCO MELANDRI:
No, è successo in bicicletta, però, vabbè, sorvoliamo.
NESTORE MOROSINI:
Marco, che differenza c’è tra il correre nella MOTOGP e il correre nella S
uperbike?
MARCO MELANDRI:
Sono moto sulla carta con caratteristiche molto diverse.
NESTORE MOROSINI:
Qui ci sono almeno il 15, 20% di ragazzi che lo sanno già.
MARCO MELANDRI:
Sulla carta la Superbike è una moto derivata di serie, preparata per andare in pista, che di fatto negli ultimi anni, con l’evoluzione tecnica, non è realmente così, perché le CRT che corrono in MOTOGP sono Superbike, “fatte male”, quindi il livello tecnico è cresciuto tanto, e anche il peso: mi pare ci siano solo 4 chili in meno per la MOTOGP rispetto alla Superbike, oltre ai freni in carbonio anziché in acciaio nella Superbike. Le differenze tecniche sono minime, così come i tempi sul giro, perché a Silverstone, dove abbiamo fatto l’ultimo Gran Premio, la pole position di side era esattamente identica al decimo di quella della MOTOGP dello scorso anno. Ormai sono le gomme che fanno per lo più la differenza: Bridgestone per MOTOGP e Pirelli per Superbike, non tanto la differenza come tempi sul giro quanto come sensazione di guida.
NESTORE MOROSINI:
Non converrebbe avere, come in Formula 1, lo stesso pneumatico?
MARCO MELANDRI:
Ma no, noi abbiamo tutti Pirelli in Superbike, hanno tutti Bridgestone in MOTOGP.
Da una parte può essere un bene e dall’altra, secondo me, è giusto che un campionato del mondo sia aperto a tutti quelli che hanno la possibilità di andarci. Poi, se esplode in macchina, è un conto, in moto un’altra cosa.
NESTORE MOROSINI:
Si, discutevamo prima che quando un pneumatico esplode in auto, ne hai altri tre e bene o male, insomma… Vitantonio, anche tu Formula 1, bolidi da DTM, quasi, no? Perché guidando una Mercedes di quel genere, tu guidi “un altro mostro”. Ecco la differenza: una volta i piloti di Formula 1 correvano anche nelle categorie sport e facevano delle prestazioni eccezionali: la famosa 1000 Km di Monza è stata veramente una gara sportiva fino a quando non è diventata il palliativo degli uffici stampa delle case automobilistiche. Adesso, invece, sta riprendendo un certo tipo di competizione.
VITANTONIO LIUZZI:
Guarda, ovviamente la differenza è abissale, tra le due vetture. Io quest’anno mi cimento in un campionato che si chiama “Superstars” che è un po’ la Superbike delle 4 ruote…
NESTORE MOROSINI:
…dove vinci sempre!
VITANTONIO LIUZZI:
No, purtroppo ancora no, però non mi lamento, siamo molto competitivi. Adesso mancano tre gare a fine campionato, però il progetto Superstar è portare delle macchine derivate dalla serie, senza elettronica e con tantissimi cavalli, perché guido una macchina da più di 600 cavalli senza controller, con freni standard ovviamente adattati. Con 1500 chili, quando arrivi a Monza a 310 Kmh è dura frenare, non è come la Formula 1 che freni a 100 metri. Però quello che mi piace della categoria è che è molto umana, molto divertente e la passione è la stessa. Io mi diverto tanto quanto prima e forse anche di più, perché lì si riesce anche a fare a sportellate.
NESTORE MOROSINI:
Ecco, magari, oltre le sportellate si guadagna qualche soldo? Eh?
VITANTONIO LIUZZI:
Gergo tecnico, ovviamente.
NESTORE MOROSINI:
Qualche euro si guadagna!
VITANTONIO LIUZZI:
No, in Formula 1? Ultimamente diciamo che si è abbassato un po’ tutto perché, purtroppo, la crisi mondiale sta facendo pagare le conseguenze a tutti gli sport ma anche a tutti i lavori, a tutte le professioni. Quindi, ci adattiamo e va bene così, perché mi diverto tantissimo e la passione è quella che mi porta avanti, che mi dà l’adrenalina di continuare a correre e la motivazione a svegliarmi ogni giorno.
NESTORE MOROSINI:
Anche per le sportellate, ovviamente.
VITANTONIO LIUZZI:
Ovviamente.
NESTORE MOROSINI:
Fabio, come tutti i giornalisti avrai avuto una passione, a parte il Milan. Un pilota che ti ha entusiasmato di più?
FABIO GUADAGNINI:
Ah, la partecipazione maggiore ce l’hai quando sei ragazzo. Io sono sempre stato nell’ambito della Formula 1 e in particolare, pur avendo dichiaratamente – perché credo faccia un po’ parte del DNA di tutti – una simpatia di base per la Ferrari, perché è la nostra nazionale che gioca un mondiale, da ragazzo mi infiammavo in particolare per i piloti italiani. Quando giocavo a biglie con gli amici, adesso è un gioco un po’ passato di moda ma forse qualcuno ricorderà le biglie di plastica con le facce dei ciclisti, nel periodo del dualismo Moser /Saronni, per esempio. Io sostituivo le faccine dei piloti di Formula 1 e ci mettevo i piloti italiani: Arturo Merzario o la povera Lella Lombardi, che è stata una delle poche pilota donne nella storia della Formula 1.
NESTORE MOROSINI:
Clay…
FABIO GUADAGNINI:
Clay Regazzoni, che era in buona parte italiano oppure Vittorio Brambilla, che una soddisfazione al Gran Premio d’Austria, sotto la pioggia, ce l’ha data, anche se poi per la felicità stava esultando e fece un testa coda subito dopo il traguardo. Rischiò veramente la pelle però, insomma, ero molto italiano da quel punto di vista e mi chiedevo come mai la Ferrari invece, almeno negli anni ’70 – ’80, fosse un po’ restia a prendere i piloti italiani. Una cosa che ho capito poi, perché la Ferrari punta sempre ai piloti top, di vertice assoluto, a prescindere dalla nazionalità, perché il fattore nazionale italiano è rappresentato proprio dalla scuderia. Le mie passioni principali sono state quelle e mi hanno maturato dentro quasi una sindrome che io definisco la sindrome del gufo, però in termini positivi. Io vivo lo sport sempre sperando in qualche modo che Davide riesca a battere Golia. Devo dire che negli sport abbastanza scientifici, come la MOTOGP o la Superbike, la Formula1, capita raramente, devono esserci una serie di circostanze.
Da questo punto di vista, il calcio dà più soddisfazioni. Se uno veramente vive il calcio con un po’ di distanza, non ha quella partecipazione da tifoso nel momento in cui segue la Juventus. l’Inter. il Milan, la Roma, insomma, le squadre che fanno parte del nostro cuore. Dove la razionalità, credo siamo tutti d’accordo, è una cosa passata, perché un tifoso non è certamente razionale ma quasi religioso, perde un po’ di lucidità. A quel punto ti prendi delle soddisfazioni, perché nel calcio la storia ci insegna che squadre magari nettamente inferiori, attraverso una serie di circostanze che sono una maggiore aggressività, un gioco magari un po’ più difensivista – noi italiani abbiamo fatto scuola nel mondo sulla capacità di stare arroccati in difesa e giocare di rimbalzo, giocare di contropiede -, danno luogo a colpi di scena. Credo che il bello dello sport sia anche questo, fermo restando che poi lo sport premia soprattutto il valore, il talento e la capacità, anche la serietà della preparazione degli atleti, Marco e Vitantonio ne sono degli esempi. Senza una abnegazione religiosa nel praticare lo sport, non si arriva a certi risultati, soprattutto oggi. Forse, 20, 30 anni fa, quando i livelli sportivi erano comunque un po’ più bassi, c’era più goliardia. Ora lo sport professionistico non concede più margini di questo tipo. Un grande talento non riesce a vincere quanto meriterebbe se non è anche un grande atleta, quindi se non è serio e preparato dal punto di vista anche mentale, psicofisico. Voi ne siete l’esempio, ormai non c’è più margine per traccheggiare un po’.
MARCO MELANDRI:
No, adesso anche piloti di moto e auto sono tutti sportivi veri, lavorano con un preparatore fisico, con un dietologo, ogni tot mesi fai test fisici per capire il tuo livello e dove devi lavorare di più o di meno: il livello è cresciuto tanto, a 360 gradi. Come detto prima, adesso lo sport è uno stile di vita, non è più un passatempo perché, fino a qualche anno fa, poteva essere anche un passatempo per un professionista. Adesso invece devi svegliarti e pensare cosa puoi fare per migliorarti.
FABIO GUADAGNINI:
Io avrei un piccolo tema da approfondire, visto che, in modo assolutamente immeritato, rappresento uno sport di squadra, quello più diffuso nel mondo che è il calcio. Invece qui abbiamo due grandi campioni di due sport assolutamente individuali e ultra selettivi, perché in Formula 1 ci sono 22 piloti nel mondo, nella MOTOGP stessa cosa, nella Superbike stessa cosa. Però anche la storia recente della Formula 1 ci ha posti di fronte al tema della squadra. La Ferrari rappresenta una grande squadra e sappiamo che la squadra prevale sulle individualità. Chiedo il vostro pensiero: con il vostro compagno pilota, nel momento in cui il team è fatto da due piloti, c’è questo senso di squadra o poi alla fine, quando si è in pista, prevale l’individualismo e il risultato singolo?
VITANTONIO LIUZZI:
Almeno per quanto riguarda la Formula 1, penso che ci si provi: poi è sempre difficile, quando ti arriva la chiamata via radio, far passare il compagno di squadra, si fa sempre finta di non sentire la radio, i disturbi, ci si inventa di tutto, perché purtroppo è così. Io sono stato sempre dell’idea che con il compagno di squadra si possa essere grande amici, però poi, quando si abbassa la visiera, si corre per se stessi, sportellate e via. Ovviamente l’interesse è quello del team, perché bisogna lavorare insieme, dividersi le perimetrie, cercare di migliorare tutti perché è un vantaggio per entrambi i piloti. E capita che in pista, qualche volta, magari si agevoli il compagno, se c’è bisogno: è un take and give, diciamo, si dà quello che si riceve in base al tipo di amicizia che si ha. Dovrebbe capitare sempre di più perché ovviamente è il team che deve vincere, la squadra, poi a volte ci sono degli individualisti, un po’ più egoisti, ma è cosa che non paga.
NESTORE MOROSINI:
Invece nella moto non succede.
MARCO MELANDRI:
Non tanto, l’anno scorso è successo perché Biaggi venne aiutato per un paio di gare. E vinse il mondiale proprio per mezzo punto, però, di fatto nelle moto il compagno di squadra è il primo rivale perché è quello che ha la moto come la tua e quindi è il primo che devi riuscire a battere. Di solito, poi, come ha detto Tonio, si lavora per sviluppare una moto piuttosto che una macchina e quindi bisogna avere interscambi di telemetrie e di opinioni per cercare di migliorare. Personalmente, quando mi chiesero a tre gare dalla fine se volevo una mano risposi di no, perché di carattere preferisco perdere da solo che vincere perché sono stato aiutato, comunque voglio cercare di guadagnarmi tutto quello che ho fatto e non avere regali, anche perché non sono stato abituato ad averne e comunque la vita non te ne dà. Voglio cercare di arrivare dove posso e farlo da solo, poi se non vinco vuol dire che devo lavorare di più.
NESTORE MOROSINI:
Era l’assunto di Enzo Ferrari, che di piloti se ne intendeva. Gli chiesi una volta: “Qual è il rivale di Niki Lauda?”. Lui mi rispose: “Il suo compagno di squadra”, che quella volta che era Regazzoni.
FABIO GUADAGNINI:
Se posso aggiungere, Jacques Villeneuve, che lavora con noi a Sky Sport F1, mi ha detto esattamente la stessa cosa, anzi, peggiore: non stiamo a fare delle ipocrisie sul senso di squadra, la cosa peggiore in qualifica è avere il tuo compagno di squadra davanti. Quando capitava a me – aggiungeva – mi veniva il sangue agli occhi.
NESTORE MOROSINI:
Meglio due posizioni indietro ma davanti al compagno. Però qui siamo al Meeting dell’amicizia…
FABIO GUADAGNINI:
…e quindi non va bene, non è molto fair.
NESTORE MOROSINI:
Caro Marco e caro Vitantonio, c’è amicizia nei vostri sport? Onestamente?
MARCO MELANDRI:
No.
NESTORE MOROSINI:
Ha detto no.
MARCO MELANDRI:
In Superbike c’è più umanità, io sono molto amico di Carlos Checa, però poi quando si corre, si lotta per lo stesso obiettivo e si è molto vicini, qualcosa cambia. Se corri categorie diverse, riesci ancora a essere amico ma poi, quando corri nella stessa categoria, qualcosa cambia. L’importante secondo me è che ci sia rispetto e comunque stima reciproca, poi l’amicizia è difficile che ci sia.
VITANTONIO LIUZZI:
Confermo che è molto difficile gestire un rapporto di amicizia, io però ho cambiato un po’ idea da quando sono entrato in Formula 1e ho avuto una carriera parallela a un mio ex-compagno di squadra, Christian Klien. Prima correva con la Jaguar, poi con la Red Bull: correndo insieme siamo diventati molto amici ma poi abbiamo avuto un conflitto di sedile per una stagione. Ci dividevamo il posto alla Red Bull, quattro gare io e quattro lui, mors tua vita mea, diciamo così a livello sportivo. Non è stato facile, adesso è quasi diventato uno dei miei testimoni di matrimonio, quindi siamo veramente molto legati, siamo rimasti molto, molto amici, perché siamo riusciti a dividere la parte personale da quella sportiva. Quando chiudiamo la visiera, non vediamo in faccia nessuno, perché ovviamente devi correre per te stesso.
FABIO GUADAGNINI:
Credo sia un fattore che forse meriterebbe un’analisi da parte di psichiatri e psicologi perché poi, se pensiamo anche ai momenti drammatici, e purtroppo sport come la MOTOGP e la Superbike ce ne offrono, emerge una grande coesione, una solidarietà, un’unione tra piloti. Mi ricordo per esempio quando, qui a Imola, morì Ayrton Senna o Roland Ratzenberger, ci fu veramente la sensazione di un gruppo di piloti uniti in questo momento estremamente difficile. E’ bello vedere quanto sia polarizzata questa situazione, questo rapporto di massima competizione, di massima rivalità, addirittura all’interno della stessa squadra, e poi invece un’empatia veramente molto forte nei momenti importanti.
NESTORE MOROSINI:
Marco parlava di stima reciproca: è questo.
MARCO MELANDRI:
Sì, assolutamente: non essere amici non vuol dire provare odio l’uno per l’altro ma non andare la sera a cena insieme dopo la gare. Però, come ha detto Tonio, quando smetti di correre nella stessa categoria puoi diventare amico dell’altro. In Superbike è successo un mese fa che abbiamo perso un ragazzo in gara: c’è stata subito coesione tra piloti per cercare di far sì che la tragedia almeno servisse a rendere il futuro di tutti più sicuro. Comunque siamo tutti professionisti e andiamo nella stessa direzione.
NESTORE MOROSINI:
Allora, Fabio ha già detto quale sarà il suo futuro. Caro Marco e caro Vintantonio, qual è il vostro futuro?
MARCO MELANDRI:
Vorrei saperlo: per adesso, il mio futuro è che mi sto allenando bene, sono rimaste cinque gare alla fine del Mondiale, sono ancora in lotta per il campionato, quindi non sarà un finale di stagione facile, soprattutto perché nel garage regna un’atmosfera difficile visto che BMW chiuderà. A fine anno parte il Motorsport, quindi siamo tutti in cerca di occupazione. Spero di riuscire a trovare una soluzione per il prossimo anno: il mio manager sta lavorando bene e sono abbastanza tranquillo.
NESTORE MOROSINI:
Ha parlato in politichese, cioè non ha detto niente con una bellissima frase molto lunga. Vitantonio.
VITANTONIO LIUZZI:
Anche io al momento sono nel buio più totale, perché mi sto cimentando in questa categoria superstar, sto facendo anche gare nel mondo dei prototipi, cosa che potrebbe continuare anche per il futuro, magari nella categoria massima delle chiamate. E sto trattando situazioni ancora aperte in Formula 1, non facili per la situazione economica di tutti i team: però, sai, la speranza è l’ultima a morire. Non posso negare che la Formula 1 mi manchi ma sto valutando anche un altro paio di opportunità a ruote coperte, come il DTM, che è una categoria bellissima della Formula 1.
NESTORE MOROSINI:
E dà una popolarità mica male, in Europa.
VITANTONIO LIUZZI:
Indubbiamente, ecco perché l’obiettivo post Formula 1 è cercare di entrare in una categoria a ruote coperte, dove ci si diverte.
NESTORE MOROSINI:
Adesso non voglio fare il pedante, ma il vecchio Giulio Cesare diceva che era meglio essere il primo in un paesino che il secondo a Roma. Non sarebbe meglio essere il primo nel DTM piuttosto che il penultimo o quintultimo o il decimo in Formula 1?
VITANTONIO LIUZZI:
La soddisfazione di salire sul podio è sempre la più bella emozione che un pilota possa provare: sono ritornato sul podio nella passata stagione, nella categoria superstar, quindi potrebbe essere così. Però la Formula 1, per quanto mi riguarda, dà emozioni tali a livello di vettura, una tale dosa di adrenalina che è difficile stare lontano. Ovvio che un anno come il 2012 per me è un anno di sofferenze, perché purtroppo la vettura è 5 secondi più lenta e non si può fare niente per cercare di arrivare a punti o a podio, però in un team di media classifica come quelli che sto trattando al momento, potrebbe essere un’alternativa valida. Ovvio che HTM è sempre HTM.
NESTORE MOROSINI:
Ci vuole la macchina.
VITANTONIO LIUZZI:
Ci vuole la macchina.
NESTORE MOROSINI:
Senti, Marco, hai mai pensato di darti all’automobilismo?
MARCO MELANDRI:
Mi piace molto la pista. Nel 2005 Toyota mi propose un test di due giorni con la Formula 1 a Le Castellet, purtroppo la Honda me lo vietò; a inizio 2009 feci un paio di gare di un campionato…
VITANTONIO LIUZZI:
…corremmo insieme.
MARCO MELANDRI:
Corremmo assieme, feci Qatar Dubai, era spettacolare, meglio delle ferie: ci cambiavamo tutti nello stesso stanzino e giravamo con il pullman come a scuola, però c’era gente del calibro di Vitanatonio, Villeneuve, Frentzen. C’erano piloti che io guardavo solo dal di qua della rete quando ero piccolino, per me era emozionante anche quando andavo a vedere le prove il venerdì a Imola. Addirittura, in una gara ero in testa, non so perché davanti a Vitantonio ho rotto il cambio, mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca. Infatti sono due anni che sto spingendo, prima chiedevo sempre indicazioni a Vitantonio su come fare, poi, visto che ero partito bene e lui male, ero rimasto davanti.
NESTORE MOROSINI:
Quando si rompe il cambio, spesso non è colpa di chi lo ha fatto.
MARCO MELANDRI:
Beh, se il pilota sbaglia è il pilota che sbaglia, ma se si rompe la macchina, è quella che si rompe. E’ vero che bisognava scambiare in modo particolare, io con i piedi non ero capace di frenare e dare il colpo di gas. Mi sono detto: le marce entrano lo stesso, faccio senza, poi ho capito perché.
VITANTONIO LIUZZI:
Per fortuna si è rotto, se no mi arrivava davanti.
MARCO MELANDRI:
Adesso, da quando sono in BMW con Superbike mi piacerebbe un test con il DTM, ma per adesso continuo a rimandare questo sogno.
NESTORE MOROSINI:
Hai sentito cosa ha detto quando hai affermato che tanto le marce entrano lo stesso?
MARCO MELANDRI:
In moto, la frizione non si usa mai, quindi ho detto: in macchina è uguale, un cambio è un cambio.
NESTORE MOROSINI:
Un cambio è un cambio, ho capito. Alla moto hai mai pensato?
VITANTONIO LIUZZI:
Ho avuto la fortuna di guidare una MOTOGP nel 2007, in un evento in cui John Hopkins provò la mia Toro rosso e io provai la Suzuki. Ma sul tempo, ovviamente, le quattro ruote fanno la differenza, però devo dire che è stata un’emozione incredibile. Spero un giorno di poterla riprovare, perché la moto ha prestazioni che non pensavo. Stavo impennando sul rettilineo a 300 all’ora, è stata una cosa veramente emozionante.
NESTORE MOROSINI:
Marco, perché si cade tanto adesso?
MARCO MELANDRI:
Si è sempre caduti tanto, comunque è che si cerca sempre di alzare il limite, di migliorarsi, quindi inevitabilmente si esagera. Adesso sembra si cada di più perché, con la tanta tecnologia che abbiamo sulla moto, il pilota difficilmente riesce a guidare, come si diceva una volta, sopra i problemi. La moto è talmente performante, talmente perfetta, che un piccolo errore lo paghi con una caduta. Difficilmente vedi una grossa sbandata recuperata o una grande spazzolata in frenata, come era anni fa. Adesso l’elettronica gestisce la moto, quindi il pilota, secondo me, può fare la differenza solo quando tutto va bene. Ma quando le cose non vanno bene, se il set up non è giusto, il pilota deve solo cercare di limitare i danni.
NESTORE MOROSINI:
Fabio, ma in una competizione ad altissimo livello, voi avrete anche la MOTOGP il prossimo anno? Quante telecamere ci sono in un circuito?
FABIO GUADAGNINI:
Sì, il prossimo anno. Ma dipende dalle caratteristiche dei circuiti. Però la MOTOGP, in particolare, è molto evoluta dal punto di vista di produzione televisiva. Ci sono mediamente da ventiquattro a trenta telecamere lungo il tracciato, più quelle on board: il numero varia rispetto alla disponibilità dei team e delle moto. Parliamo mediamente di 30, 35 on board camera, poi chiaramente alcune non vengono utilizzate però, come diceva Marco, c’è un monitoraggio altissimo. Sono rimasto colpito dai primi incontri che abbiamo fatto con Dorna, l’organizzazione che presiede la MOTOGP, perché anche la produzione televisiva oramai ha raggiunti livelli di sofisticazione tali che corrono in parallelo con la grande tecnologia che c’è nelle vetture o nelle moto di queste competizioni. Tant’è che, per risolvere un problema della on board camera, che è il vetro della microcamera che si rompe per le vibrazioni, abbiamo dei piccoli ammortizzatori: devono essere telecamere con poco impatto quindi minimalizzate il più possibile, per non avere problemi di aerodinamica. Dorna ha aperto un laboratorio con degli ingegneri per trovare un composto sui vetri delle telecamere che abbia una resistenza maggiore. Lo produce con Fuji, una multinazionale giapponese che è specializzata su questo fronte e stanno brevettando un nuovo vetro appositamente studiato per questo tipo di procedimento. Questo dà l’idea della raffinatezza e della sofisticazione. Abbiamo la possibilità di fare Superbike, Marco, lo seguiamo attraverso Uno Eurosport, che è un canale nostro partner da tanti anni, quindi abbiamo la possibilità di seguire le sue gare. E’ stato molto diplomatico, magari lo rivediamo in MOTOGP in futuro, non si sa mai.
MARCO MELANDRI:
Ma quest’altro anno mi piacerebbe guardarlo su Sky.
FABIO GUADAGNINI:
Magari lo fai direttamente con noi.
MARCO MELANDRI:
Visto che mi piace vedere la Formula 1, vorrei vedere come seguire la MOTOGP, sarà sicuramente spettacolare.
FABIO GUADAGNINI:
Grazie, avremo cinque anni di accordi con MOTOGP, Formula 1 e Superbike su Eurosport. Da appassionati, possiamo coronare il sogno di offrire una grande stagione. Chi è abbonato sa che abbiamo un decoder con la interattività: in questo momento abbiamo 9 canali, ad esempio per la Formula 1, e stiamo preparando un modello molto simile per la MOTOGP. Potremo scegliere di salire a bordo con i grandi campioni e avremo l’on board camera per i dati di ascolto e fruizione. Sulla Formula 1 abbiamo l’on board camera dedicata a Fernando Alonso: un canale frequentatissimo perché ti dà un’esperienza sensoriale che si avvicina di più a quella che provano loro quando sono in pista. Non la stessa, ancora, per carità.
NESTORE MOROSINI:
Soprattutto perché il sedile con cui tu segui on board è bello imbottito.
FABIO GUADAGNINI:
Il massimo sarebbe potere inserire almeno una parte della forza g, quindi delle sollecitazioni centripete e centrifughe che loro subiscono: però, una parte.
MARCO MELANDRI:
Noi, solo quando cadiamo.
FABIO GUADAGNINI:
Però voi avete la piega: se riuscissimo a farla attraverso il decoder, saremmo arrivati.
NESTORE MOROSINI:
A me è venuta una curiosità, sentendo parlare di televisione. Ma a voi, Vitantonio, la telecamera dentro dà fastidio? Perché svela le cose belle ma anche le cappelle che fate alla guida: vi dà fastidio?
VITANTONIO LIUZZI:
Tantissimo perché purtroppo ormai non si nasconde più niente agli ingegneri, oramai le telecamere dicono tutto. Quindi, le bugie bianche non si riescono più a dire, quando succede qualcosa: magari si rompe il cambio o qualcosa di simile, si fa un errore, come è successo nell’ultimo periodo di Montecarlo dove Massa è uscito due volte dalla stessa curva. Le telecamere sono molto importanti per svelare la realtà e purtroppo alle volte, a un pilota, dà fastidio. Ma la tecnologia è andata avanti.
NESTORE MOROSINI:
Adesso vorrei chiedere a tutti e tre, poi lo chiederò anche a me stesso: qual è la cosa più inverosimile che avete visto nello sport, in qualunque tipo di sport? Cominciamo da Fabio.
FABIO GUADAGNINI:
In questo caso mi autocito perché è stato un momento anche un po’ imbarazzante che ho vissuto nel lontano 1994, l’anno fantastico dei giochi olimpici in cui, soprattutto grazie ad Alberto Tomba, Debora Compagnoni e ai fondisti, abbiamo ottenuto tantissime medaglie. E’ stato anche l’anno in cui Manuela Di Centa ebbe la possibilità di vincere la coppa del mondo di sci di fondo: era chiaramente la prima donna italiana a vincere un trofeo che, come sapete, fa parte del monopolio dei Paesi scandinavi, per lo più, quindi è stata una grande possibilità di commentare in diretta, ai tempi per Tele+. Arrivammo a Oslo, tappa finale della coppa in cui a Manuela bastava un quinto posto nella 30 km per vincere. Quel giorno il programma prevedeva una 30km femminile e una 50 km maschile. 50 km vuol dire quattro ore di telecronaca, perché chiaramente bisogna commentare tutti e non soltanto i primi. Fortunatamente la 30 km era partenze in linea, per cui è durata circa due ore. Io inizio partendo dal maschile, dovevo andare in bagno, tra tensione e adrenalina, può capitare che non ne hai il tempo, anche perché eravamo in queste cabine di commento di fianco alla tribuna d’onore del re di Norvegia, e quindi c’era un po’ di confusione su dove fosse il bagno più vicino. Per cui, ho detto: vabbè, tanto ce la facciamo, mancano un paio d’ore e alla prima pausa vado. La neve era pesantissima per cui questi andavano lenti. Faccio la gara maschile, c’è un piccolo problema perché va per le lunghe e iniziano subito la femminile. Non riesco a fare la pausa, allora mi dico: ce la devo fare. Per farla breve, è stata una sofferenza bestiale, perché chiaramente la vescica reclamava un momento di libertà. Però nella concitazione nella gara Manuela riesce a chiudere in quarta o quinta posizione, non ricordo. Quindi celebriamo la coppa del mondo: io ero insieme a Mario Cotelli che faceva il commento tecnico. Insomma, alla fine vince e io non ce la facevo più. Inizia tutta la cerimonia di premiazione, ecc., ad un certo punto guardo in basso e vedo una bottiglia d’acqua. Durante l’inno nazionale non ce l’ho più fatta, ho approfittato della pausa per arraffare la bottiglia e nella cabina mi ha visto solo Coltelli che praticamente si è rovesciato sulla sedia. Fortunatamente nessuno a casa ha colto nulla: l’inno nazionale mi ha dato quel minuto di tempo per poter dare pace alla mia vescica, dopo di che abbiamo continuato in diretta. E’ stata la cosa più imbarazzante e inverosimile che mi sia successa, anche quasi blasfema nei confronti del nostro inno di Mameli, che non ho certamente onorato in un momento così importante.
VITANTONIO LIUZZI:
Per me, sicuramente nel 2008, quando stavo disputando una gara con la speed car in Qatar. Avevo un pilota di moto che stava primo e io stavo cercando di uccidermi per rosicchiare decimi di secondi, speravo in un suo errore e niente, lui non lo faceva, finché per fortuna ha rotto il cambio e ho tirato un sospiro di sollievo.
MARCO MELANDRI:
Se quello che ha raccontato Fabio è una cosa divertente, per me purtroppo è routine. Io vado in bagno spesso, a volte in griglia mi devo portare un barattolo. A un certo punto, chiamo tutti i meccanici intorno alla moto, mi stringo e.. la devo fare, i bagni sono lontani. La leggenda narra che qualche pilota la faccia nel giro di ricognizione in moto, però io non ce la farei.
NESTORE MOROSINI:
Adesso vi racconterò un episodio mio: 1977, mille chilometri di Monza. L’Alfa Romeo è in testa e sta vincendo il titolo mondiale. Camillo Marchetti mi guarda e mi dice che devono tornare al box perché c’è una ruota che non funziona bene. La coppia era Merzario e Vittorio Brambilla. Al box i meccanici si mettono a lavorare e una ruota non esce fuori, Brambilla li caccia via dicendo “ghe pensi mi” e con una mano sola svita il mozzo e mette su la ruota che ha vinto i Mondiali. Io non avevo mai visto un uomo con la forza di Vittorio Brambilla.
MARCO MELANDRI:
Adesso lo sport di un certo livello è business. Non puoi essere te stesso ma devi essere quello che l’ambiente, la stampa, in quel momento vuole. Vediamo che spesso la verità fa polemica: non è normale, bisognerebbe fare qualche passo indietro per riavvicinare gli sportivi che, alla fine, sono persone normali.
FABIO GUADAGNINI:
Sì, sono d’accordo. Facendo il mestiere del giornalista, è giusto fare un po’ di autocritica perché un tempo forse c’era maggiore propensione a vivere con più senso dello humour queste storie legate alle grandi rivalità sportive, perché in fondo gran parte della storia dello sport è proprio scandita da grandi rivali. Se pensiamo a qualunque disciplina, la prima cosa che ci viene in mente sono due avversari che ci hanno emozionato. Prima ho citato Moser-Saronni, la mia generazione è cresciuta emozionandosi per il ciclismo anche perché erano due caratteri completamente diversi. Tra l’altro, un mese fa ho letto un articolo di altissimo giornalismo: per la prima volta Saronni è andato a fare visita a Francesco Moser nella cantina di vini dei figli. Dopo un primo momento molto fair, hanno iniziato a beccarsi e il giornalista ha riportato tutto. Ci sono dichiarazioni divertenti, tipo Saronni che dice: “Ma io sono venuto qua perché mi interessava per lo più il nipote”. E Francesco: “Sì, però almeno sei venuto a chiedermelo, se no col cavolo che ti davo il nipote”. “Guarda che in realtà non sono venuto per tuo nipote ma per comprare il tuo vino”. E lui si gira verso i figli e fa: “A questo qui, aumentiamogli il prezzo del 30%, che non è un cliente particolarmente ben voluto”. Lo sport porta anche a queste cose, come dice Marco. Ora è aumentata molto la comunicazione, spesso situazioni di questo tipo, di rivalità, non vengono lette secondo i veri valori dello sport ma manipolate per creare polemica gratuita o un’immagine negativa. E’ un gran peccato. Io resto un gentleman, però nel mondo giornalistico avremmo tantissimi aneddoti divertenti da raccontare, ma spesso poco eleganti per colleghi che non ci sono. Ve ne racconto uno perché vi dà un po’ l’idea di come negli anni ’70 e ’80 si vivevano determinate situazioni. E’ stata una generazione, quella degli anni Settanta, lo dico per i più giovani, in cui lo sci si è fatto conoscere in Italia ed è diventato uno sport nazionale grazie al talento di questi atleti ma anche grazie alla capacità di Coltelli, il direttore tecnico che adesso ha settant’anni e vive in Valtellina, che aveva capito il meccanismo con cui relazionarsi con i giornalisti per cui, ogni tanto, se non c’era la notizia se la inventava lui. Una volta mi raccontò di Piero Gros. Pierino era un grandissimo slalomista ma sicuramente non un discesista: doveva cominciare a fare le discese libere per vincere la Coppa del Mondo e doveva fare i punti in combinata, la disciplina che metteva insieme il piazzamento in slalom e in discesa libera. Una sera Coltelli, d’accordo con Pierino, inscenò una litigata assolutamente strumentale davanti ad alcuni giornalisti, in cui lui obbligava Gros, durante la discesa libera, a mettere degli sci lunghi 220 metri. Erano gli sci da chilometro lanciato: “No, io non li metterò mai”. “Li devi mettere perché te lo ordino io”. Il giorno dopo, due o tre giornalisti di quotidiani titolarono a piena pagina: “Grande conflitto Gros obbligato a mettere degli sci da chilometro lanciato”. Era una bufala pazzesca, però anche un elemento che generava una relazione tra gli atleti e i giornalisti e che poi sfociava nell’ironia e nella goliardia. Dava una prospettiva di sport differente. Oggi è triste constatare che gli atleti sono quasi costretti a dei cliché, a dire cose controllate, politiche.
NESTORE MOROSINI:
L’esempio di Alonso di qualche settimana fa…
FABIO GUADAGNINI:
Sì, anche se Fernando è uno che con Twitter esce un pochino, e si permette qualcosa.
NESTORE MOROSINI:
Prima ho chiesto a te, ma non a Marco, qual è il più grande pilota.
MARCO MELANDRI:
Io ero tifoso dei motociclisti in generale, mi piacevano tutti, anche quelli che arrivavano dietro, perché ero consapevole che faticavano forse ancora di più di quelli che vincevano.
NESTORE MOROSINI:
Perché nella moto il tifo è per il pilota mentre nelle auto è per la macchina?
MARCO MELANDRI:
Questo dovreste dircelo voi che fate i giornalisti, io non lo so, sono un pilota. Evidentemente nella moto il pilota è più esposto rispetto a quello che è il pilota della Formula 1 dove vedi solo il casco, non lo so.
NESTORE MOROSINI:
Sei d’accordo Vitantonio? Ci devi dire anche tu il tuo idolo, quale è stato il più grande pilota nella storia dell’automobilismo.
VITANTONIO LIUZZI:
Gilles Villeneuve, mi piaceva tantissimo perché era un pazzo e quando saliva in macchina era adrenalina pura. A volte non faceva il bene del team perché magari rischiava troppo: adesso vedi molti piloti che non rischiano, che fanno sempre i calcoli, i farmacisti. Invece Gilles era uno istintivo, gli serviva un centimetro di spazio per buttarsi dentro e superare, lui c’era. Ha fatto la storia della Formula 1 che io ogni tanto, ogni mese, riguardo in video. Soprattutto rivedo la gara di Dijon, dove Gilles Villeneuve e Renè Arnoux hanno fatto due giri di fuoco.
NESTORE MOROSINI:
Penso l’abbiano vista tutti, anche i ragazzi di quindici anni.
VITANTONIO LIUZZI:
Si, a ruotate e sportellate, è stata qualcosa di incredibile.
NESTORE MOROSINI:
Anch’io avrei un episodio. Gilles Villeneuve veniva chiamato l’aviatore perché un giorno eravamo, con un carissimo collega fotografo, Ercole Colombo, dietro la prima curva dopo il rettilineo di Zeltweg. Alla partenza si vede un grande trambusto di monoposto che scattavano a destra e a sinistra. Colombo mi fa: “Buttati giù, buttati giù”. Ci siamo buttati sotto il guardrail mentre la macchina volava per tutta la chicane. Alla fine della corsa gli ho detto: “Ma Gilles, sei matto!”. E lui: “Per quale motivo mi critichi? Sono l’aviatore”. Da quel giorno è stato chiamato l’aviatore, era uno così. Bene, vogliamo andare controcorrente: c’è qualcuno che vuole fare una domanda o due?
DOMANDA:
Da Liuzzi volevo sapere la sua opinione su come vede il futuro della Formula 1, soprattutto dal punto di vista dello spettacolo. A Melandri volevo chiedere, riferito al caso della Russia, se l’adrenalina può anche incidere a livello delle decisioni del pilota in pista, ad esempio se alzare o no la mano per fermare la corsa, in una situazione di pericolo.
MARCO MELANDRI:
L’adrenalina ha sicuramente un effetto molto importante sulle decisioni e sulla velocità del pilota. E’ vero anche che un grosso problema è che i piloti non li metterai mai d’accordo. Se i primi cinque reputano che non ci siano le condizioni per andare avanti, il sesto, soprattutto se è giovane, la vede come opportunità per fare risultato. Un incidente come quello della Russia poteva succedere anche con piste asciutte perché con il problema tecnico di un pilota, di un altro che lo centra e cade al primo giro, è difficile avere un’immagine ben chiara della situazione. Soprattutto, non ti aspetti nel rettilineo di trovare un pilota per terra. In quel momento ero nel camion che mi cambiavo e non sapevo bene come fossero le condizioni della pista: quando avevamo finito la gara, venti minuti prima, stava diluviando. Per fortuna, solo gli ultimi due giri furono così difficili, quindi capisco la decisione della direzione di gara di far finire la corsa, perché comunque eravamo tutti sgranati. L’adrenalina ha un effetto fondamentale su tutto, basta vedere il battito del cuore alla partenza, che rischia di arrivare a 170, 180 battiti senza fare alcuno sforzo fisico.
VITANTONIO LIUZZI:
Per quanto riguarda il futuro della Formula 1 a livello di spettacolo, credo ci sia un grosso punto interrogativo: si sta cercando di fare di tutto per rendere le gare più vivaci. Negli ultimi anni, abbiamo visto competizioni molto più livellate, molti più sorpassi, più adrenalina a livello di piste ma anche a livello di competizioni. Sono stati introdotti sistemi un po’ artificiali che hanno cambiato lo spettacolo anche a discapito della sportività e del pilota, che magari ci mette di più del suo. Però purtroppo la tecnologia è arrivata a questo livello: arriviamo in fondo a Monza a 360km/h e stacchiamo a 90mt dalla curva. Questa evoluzione tecnologica ha diminuito lo spettacolo. Nella prossima stagione ci sarà un grosso cambio generazionale con i nuovi motori 1.6 turbo. Potrebbe cambiare tanto, ci saranno delle modifiche ma continuerà ad essere divertente. Vedremo più sorpassi perché il turbo sarà un cambio enorme e molti team dovranno lavorare duramente per riuscire a raggiungere il livello che si è raggiunto finora. Quest’anno hanno fatto la loro parte e modificato il risultato dei Gran Premi, ma c’era sempre suspense fino all’ultima curva perché l’esplosione delle gomme poteva cambiare il risultato. Anche in modo più artificiale, c’è sempre adrenalina, perché fino all’ultimo giro tutto può cambiare.
Trascrizione non rivista dai relatori