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L’ITALIA… È MOBILE
In collaborazione con FederlegnoArredo. Partecipano: Francesco Boggio Ferraris, Direttore Scuola Formazione Permanente della Fondazione Italia Cina; Ettore Francesco Sequi, Ambasciatore d’Italia a Pechino; Roberto Snaidero, Presidente FederlegnoArredo. Introduce Adriano Moraglio, Giornalista de Il Sole 24 Ore.
L’ITALIA… È MOBILE
ADRIANO MORAGLIO:
Buongiorno a tutti, grazie per la vostra presenza a questo incontro dedicato al tema dell’Italia che va all’estero. Infatti il titolo lo dice: “L’Italia… è mobile”. Abbiamo con noi Francesco Boggio Ferraris, Direttore Scuola Formazione Permanente della Fondazione Italia-Cina, Ettore Francesco Sequi, Ambasciatore d’Italia a Pechino, Roberto Snaidero, Presidente Federlegno Arredo. Ho il piacere di presentarveli perché affrontiamo con loro la tematica del Meeting in chiave economica. E voglio solo dirvi alcune piccole cose ma importanti per inquadrare il nostro incontro. In economia, la realtà è raccontata dai numeri: quando 16 anni fa entrai al Sole 24 ore, la prima cosa che mi dissero fu proprio questa: i numeri raccontano la realtà. Io provenivo da un’esperienza di giornalismo di strada, perché ho fatto il cronista per dodici anni all’agenzia Ansa occupandomi di cronaca nera, di cronaca politica, un po’ di tutto, e quindi ero in strada. Raccontavo le storie, cosa che un po’ mi è rimasta anche nel modo di fare giornalismo di oggi. Però i numeri, è vero, questa cosa imparai. Che i numeri dicono la realtà e i numeri ci dicono che noi, l’Italia, siamo un bene per la Cina, parafrasando il tema del Meeting. E ve lo dico appunto con i numeri. Nel 2015 l’export italiano verso la Cina ha raggiunto quota 331milioni nel suo complesso, con un incremento del 27,5% sul 2014. E abbiamo dati positivi anche sul I trimestre del 2016. Quindi è un trend in continua salita. Ma bisogna anche dire che l’Italia è il primo fornitore di mobili in Cina, e questo è un dato che rivela come siamo un bene ormai per loro. Alcuni numeri di che cosa amano i cinesi del nostro prodotto: i mobili professionali e commerciali hanno avuto un incremento del 253%, le camere da letto, il 78% in più. L’area living, 58% in più; gli imbottiti, i salotti, divani, poltrone hanno avuto un incremento del 40% e l’arredo bagno il 26% in più. Quindi, 2015 su 2014. E abbiamo un trend di crescita dal 2007 al 2015 del 284%, cioè da 68 milioni ai 331 milioni di fatturato estero, con previsioni che danno al 2020 una crescita a 503 milioni di fatturato. Questi sono i dati che ha diffuso nei giorni scorsi il Centro studi di Federlegno. Ma il secondo evento, il secondo fattore che noi dobbiamo considerare, è questo che vengo a dirvi. Siamo ormai vicini a un grandissimo evento, veramente eccezionale nella sua natura. Avremo il Salone del Mobile a Shangai dal 19 al 21 novembre. Sapete benissimo quale valore ha assunto il Salone del Mobile in questi ultimi anni in Italia. Conoscete le esperienze nell’ex-Unione Sovietica, a Mosca, sapete delle esperienza anche negli Stati Uniti, ma basta sapere che nell’ultima edizione del Salone del Mobile, 25 mila cinesi sono venuti a visitare gli stand di Milano. Un numero impressionante, che sta proprio a dire quello che abbiamo accennato all’inizio: che l’Italia è un bene per la Cina. Quindi noi siamo un bene per la Cina, ma abbiamo un altro elemento che sottolinea questo aspetto. Ce lo dice il messaggio che è arrivato dal Console della Cina a Milano, che si scusa per non poter essere presente, avrebbe voluto esserci ma per la pausa estiva è in Cina. Dice queste parole: “Colgo questa preziosa occasione per porgere i miei saluti al Meeting per l’amicizia tra i popoli. Le relazioni diplomatiche tra la Cina e l’Italia perdurano ormai da 46 anni. L’immenso successo di Expo Milano 2015 ha contribuito a rafforzare e intensificare l’amicizia tra i due popoli e le collaborazioni tra vari settori, dando vita a numerosi frutti concreti. Dal 19 al 21 novembre prossimi” ecco che cita il Salone del Mobile a Shangai, “si terrà a Shangai la prima edizione del Mobile Milano Shangai, dove saranno presenti 50 imprese italiane testimoni dell’eccellenza italiana del settore e dell’arredamento. La città è pronta” dice il Console generale della Cina a Milano, “ad accoglierli con entusiasmo. Sono certo che il Salone del mobile a Shangai diventerà un evento significativo per Federlegno Arredo e altresì un altro punto di riferimento nelle relazioni cino-italiane. Desidero quindi porre i miei ringraziamenti a tutti coloro che cooperano per costruire l’amicizia tra i due Paesi. I miei auguri al Meeting e al Salone del mobile. Wang Dong”. E così, questo è un altro esempio di quanto l’Italia sia un bene per la Cina, ma allora si impone, caro Roberto, la domanda: se noi siamo diventati un bene per la Cina, e lo documentano le cose che ho detto poc’anzi, la Cina è un bene per noi? Questo è un interrogativo. La Cina è un bene nel nostro modo di pensare alla Cina e nel nostro modo di operare, di fare con la Cina? Io non vi nascondo, scusatemi questo aspetto personale, che nutro verso la Cina una certa diffidenza, un certo timore. L’avverto sovente come un pericolo: mi viene da pensare alle copie che sono state fatte dei nostri prodotti. Ma davvero può essere un bene per noi la Cina? I nostri giovani possono fare un passo verso quel Paese invece che fare l’Erasmus in Europa o andare negli Stati Uniti. Può valer la pena? Può valere la pena per i nostri giovani? Abbiamo, e concludo, lascio parlare loro, tre testimoni del fatto che la Cina può essere un bene per l’Italia, un bene per tutti noi. Allora, do subito la parola a Francesco Boggio Ferraris. Francesco dirige la scuola di formazione permanente della Fondazione Italia-Cina. E lui ha un’esperienza veramente interessante di cosa è la Cina. Allora, Francesco, puoi iniziare a rispondere alla domanda che ho posto?
FRANCESCO BOGGIO FERRARIS:
Intanto, buongiorno a tutti. Grazie dell’invito, della parola, degli stimoli, delle suggestioni create in questo incipit del nostro incontro. Vorrei, prima di entrare nel merito della risposta che è stimolante e nello stesso tempo complessa, giocare un po’ a carte scoperte. Io sono innamorato di questo Paese. Lo dico da docente di lingua cinese che a suo tempo, 16 anni fa, si è fatto questa domanda, da giovane studente universitario e si è detto sì, oltre all’Erasmus, io voglio provare questa carta perché ho sentito un’attrazione molto forte, irresistibile, che all’epoca vivevamo in pochi. Oggi, all’università dove insegniamo abbiamo tantissimi ragazzi che questa domanda se la fanno e si danno una risposta molto netta, molto forte. All’epoca, avevamo un po’ più di dubbi. Forse è anche questo un sintomo di tempi più interconnessi, più globalizzati e credo siano un vantaggio. Detto questo, quello per la Cina è un amore che non può essere però cieco, diciamolo subito, perché io nel mio lavoro, nella mia quotidianità, nella mia frequentazione di questo Paese, di questa cultura, di queste persone, perché dobbiamo parlare di persone, vivo costantemente grandi difficoltà e grandi crisi, a volte. Perché siamo di fronte a una cultura con la C maiuscola, quanto la nostra, tanto importante quanto la nostra, antica quanto la nostra, che va affrontata spogliandosi un po’. Cercando una via di incontro. Allora, per venire poi alla domanda nel merito, credo ci possano essere due ordini di risposta. La prima è un po’ più di testa, la seconda un po’ più di cuore. Diciamo che la risposta di testa alla domanda se si può superare questa difficoltà di interpretazione, di paura che la Cina ci fa, è lasciare che la Cina si scopra e si lasci scoprire da noi: la prima risposta è un po’ pragmatica, realista. La seconda, quella di cuore, contempla il fatto che abbiamo di fronte una cultura complessa da conoscere, ma scopriremo, se faremo questo viaggio, molto più vicina alla nostra tradizione, al concetto etico di famiglia che abbiamo in Italia, alla nostra cultura mediterranea, più di quanto inizialmente ci eravamo figurati, proprio per via di scogli iniziali insormontabili, apparentemente. La risposta che devo dare da Fondazione Italia-Cina, è: parliamo con i numeri, come diceva Il sole 24Ore. La realtà va raccontata con i numeri, la risposta pragmatica è: noi non possiamo permetterci il lusso di ignorare la Cina, sarebbe antistorico, perché in questi ultimi 40 anni, dalla fine degli anni ’70, da quando la Cina si è trasformata, con una rapidità che non staremo a descrivere, ed è passata, senza trasformarsi, da un Paese socialista ortodosso alla seconda più grande economia di mercato del mondo, noi ci siamo distratti un attimo nel tentativo di comprendere meglio quella cultura: guardavamo a ovest, a Occidente, l’americana e l’anglosassone che ci arrivava, e ci siamo distratti. La Cina è arrivata ad essere il secondo padrone del mondo. E quindi oggi commetteremmo un errore gigantesco nell’ignorarla. Poi dobbiamo anche entrare dentro i dati dell’export per avere una grossa scoperta. Sono contento che siano stati citati. Forse non tutti sanno che il 50% dell’export nostro italiano verso questo Paese, nonostante la frequentazione dei nostri turisti nelle nostre città faccia pensare ad altro, è quello che dal dopoguerra in poi noi abbiamo esportato in Cina, la metà di quello che esportiamo là tutt’oggi. Significa che noi abbiamo partecipato all’industrializzazione di questo Paese. Se questo Paese è diventato un colosso della tecnologia, dell’informatica, in tutti i campi, c’è molta Italia, in questo ragionamento, spesso involontariamente. Oggi invece ci troviamo di fronte a una sfida nuova, perché nel nostro export – e qui invece gli amici di Federlegno sono sul fronte, c’è l’opportunità di spostare la bilancia sul made in Italy, che chiamiamo con semplicità made in Italy ma in realtà abbraccia tantissime categorie. Poi siamo a Rimini, nella città di Fellini, viene da pensare che quel concetto di “dolce vita”, o di qualità della vita, è quello che possiamo offrire a un popolo che ha bisogno in questo momento di tornare a una qualità della vita all’interno di queste megalopoli che la velocità della crescita ha sottratto. Allora, la città in cui vive l’ambasciatore è una città di 22, 23 milioni di abitanti; negli ultimi 30 anni, questa città, Pechino, è cresciuta di 8,2 milioni. Ma è ancora più impressionante pensare che negli ultimi 10, di questi 30 anni, è cresciuta di 6 milioni. E che ogni giorno, nell’ora di punta, ci sono 5,6 milioni di persone nelle strade, in macchina, che tornano a casa o vanno a lavorare. E non deve neanche spaventarci come la città più grande e più faticosa per il nostro concetto di vivere insieme, di comunicare, e di vivere la socialità. Perché una città, Chongqing, di abitanti ne ha 33 milioni. E, cronaca di questi giorni, in vista delle Olimpiadi invernali del 2022, Pechino si stia preparando, non so avete letto quest’estate la notizia che diceva che il comune di Pechino chiede ai suoi abitanti di lasciare il centro, di andare a vivere in periferia. Perché il centro è diventato invivibile, si è raggiunta una densità abitativa che è più tipica del mondo animale, dei formicai, che delle persone, della società. Beh, Pechino ha un grande sogno: arrivare nel 2022 ad aver creato un agglomerato di 130 milioni di abitanti che si chiamerà Jing-Jin-Ji, spostando verso l’esterno, però, in aree lontane dal centro, gli uffici, le fabbriche e trasformando il centro della città in un centro molto più vivibile. Noi abbiamo molto da fare. Quindi, la Cina è un bene per noi, in questo senso. E’ un senso che sta tra l’industriale, la progettualità, l’imprenditorialità e la cultura. Da soli non si può fare nulla, nel senso che, per costruire questa opportunità che la Cina ci offre, bisogna che arriviamo alla seconda risposta, entrare in sintonia con questo mondo. Perché la Cina ha un orgoglio, una capacità di ergersi ovviamente al suo interno come soggetto molto forte culturalmente, quando si guarda allo specchio, e quindi qualsiasi cosa va costruita in un ottica di lungo periodo e di coltivazione. Perché per noi si è complicata, essendo un po’ sempre in ansia, essendo la nostra una cultura che si è trasformata in una cultura di urgenza. Questa urgenza non è quasi mai vissuta, basta frequentare questo Paese come ha fatto l’ambasciatore per un anno e ci si accorge che il concetto di tempo è molto diverso dal nostro.
ADRIANO MORAGLIO:
Francesco, scusa, mentre ci preparavamo a questo incontro abbiamo usato un termine: percorso. Abbiamo la necessità di fare tutti quanti noi interessati alla Cina un percorso di avvicinamento, perché – ce lo spiegavi prima e ti chiedo se puoi approfondirlo – dobbiamo imparare a conoscere la loro cultura, c’è un aspetto conoscitivo che dobbiamo mettere in campo. Il loro modo di atteggiarsi, di comportarsi, la loro necessità di avere del tempo per conoscersi, far passare del tempo. Persone che operano in istituzioni che stanno solo un anno, e lo diceva prima l’ambasciatore, non hanno senso. C’è l’esigenza di una continuità di rapporto. Puoi approfondire questo?
FRANCESCO BOGGIO FERRARIS:
Assolutamente. Per farlo, se mi permetti, faccio un salto indietro nel tempo per arrivare all’oggi, non vogliamo ovviamente tediare nessuno, però noi abbiamo esempi fantastici, importantissimi, noi italiani, dei maestri da cui imparare molto. Di solito, in questo tipo di incontri si cita Matteo Ricci, i gesuiti italiani che nel XVII secolo hanno fatto tantissimo, ma visto che stiamo parlando con gli amici di Federlegno, ogni volta che io, per esempio, faccio a piedi la strada che separa i nostri uffici a Milano da via Clerici a Foro Bonaparte, ho sempre una suggestione molto forte, non gliel’ho mai detta, ma a piedi passo per una zona – chi è di Milano mi capirà – tra via Broletto e via dell’Auro, siamo proprio nel cuore di Milano, passo davanti ad una zona nella quale alla fine del 1600 c’era una parrocchia, la parrocchia di S. Marcellino, oggi c’è una banca, segno dei tempi anche questo. In questa parrocchia nacque una persona, Giuseppe Castiglioni, che poi divenne missionario gesuita ma fu soprattutto un grandissimo pittore. Allora, prospettiva dei tempi, Giuseppe Castiglioni visse in Cina alla corte di tre imperatori per 51 anni, diede un contributo all’incontro tra le arti, l’arte rinascimentale italiana e l’arte figurativa cinese, che noi non immaginiamo neanche. I quadri di Giuseppe Castiglioni, che sono nei musei di tutto il mondo, sono qualcosa di irripetibile perché i soggetti della natura e della cultura taoista sono raffigurati con l’estro rinascimentale italiano. Quindi, noi abbiamo dei maestri fantastici, purtroppo spesso e volentieri non ne analizziamo la storia. Oggi, che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo comprendere che la cifra identitaria del nostro interlocutore, di questo Paese, è in questa fase storica un nodo complicato, perché lui stesso ha avuto un’evoluzione nel suo pensiero molto profonda. Oggi troviamo, per semplificare al massimo il ragionamento, il pensiero di Laozi, quindi il taoismo, 2500 anni di cultura che hanno insegnato la virtù dell’armonia, ecco una delle parole chiave che stanno nel dna e nel cuore di ogni cinese. Al contempo, in questa sorta di sincretismo molto forte che vive nel nostro amico cinese, c’è anche però la virtù della benevolenza e qua troviamo anche un file rouge, un trait d’union molto forte con la nostra cultura dovuto alla cultura di Confucio, un filosofo, un pensatore che ha segnato l’identità. E poi, allo stesso tempo, abbiamo anche l’arte della guerra, e da lì i cinesi imparano la resilienza. Oggi diciamo anche l’aggressività, perché se seguiamo da vicino la cronaca, tornando all’economia, le acquisizioni delle squadre di calcio, per rimanere nell’attualità più stretta, mi dicono: pazienza, benevolenza, sì, armonia, ma sono molto decisi, i cinesi, hanno il coltello dalla parte del manico e in più c’è un quarto aspetto che dall’Occidente facciamo molta fatica a capire, e infatti non c’è un termine italiano per renderlo. Ma gli analisti cinesi che si osservano mentre osservano la realtà che li circonda, lo hanno individuato, si chiama xx ching e si potrebbe tradurre come quell’insieme delle caratteristiche particolari della nazione. Ovvero, è il considerare in blocco gli ultimi 100 anni della storia cinese: i cinesi sentono di essere stati violati dalla fine dell’800 in poi e di aver giocato un ruolo marginale nella storia dell’umanità, e oggi vogliono con grande forza, anche perché noi da qui percepiamo spesso solo il timore, riprendersi il gioco, la scena.
ADRIANO MORAGLIO:
Bene, grazie Francesco, torneremo. Ambasciatore, un anno e mezzo a Shangai e a Pechino, che cosa c’è di interessante in questo Paese?
ETTORE FRANCESCO SEQUI:
Dovremmo passarci le ore, però intanto volevo dire che questa è la terza volta che vengo qui al Meeting e ogni volta è sempre più interessante, vengo dal 2005 e credo che sia veramente un’esperienza straordinaria. Allora, siccome dicevamo che i numeri non mentono mai, anch’io vorrei citare qualche numero che serve a capire meglio e arrivare poi alla risposta. I numeri: stamattina mi sono divertito a metterne insieme qualcuno. Il tasso di sviluppo che c’è stato fino adesso, il 7%, corrisponde a 730 milioni di dollari, solo quel 7% equivale all’intero reddito nazionale della Svizzera o dell’Olanda, a un terzo del nostro reddito nazionale. Abbiamo detto che è la seconda potenza economica, il Paese che oggi deposita più brevetti e il secondo Paese per numero di pubblicazioni scientifiche: un terzo degli acquisti mondiali di beni di lusso sono fatti dai cinesi, sono 600 milioni di internauti e l’80% della popolazione fa acquisti da tablet o da smartphone. Uno dei miei hobby preferiti, quando ho qualche visita, qualche ministro che passa, è fare con il telefono dei trasferimenti con due o tre digitazioni, un’autenticazione con impronte digitali di una somma modesta al mio numero due (che tra l’altro viene proprio da Rimini, vedo qui sua moglie mentre io sono qui e lui è a sostituirmi, quindi gli sono doppiamente grato). Devo dire che ogni volta che faccio questa operazione, questo trasferimento dell’equivalente di 1 euro, i nostri visitatori sono assolutamente emozionati e increduli rispetto alla semplicità con cui questo tipo di transazioni sono fatte. È venuto qualche tempo fa un sottosegretario che addirittura si è voluto scaricare questa applicazione che è l’equivalente cinese di WhatsApp e ha voluto vedere se riuscivo a fargli un trasferimento anche se lui non aveva un conto, cosa che ho fatto. Quindi, un Paese molto avanti. Abbiamo giovani, per quanto la popolazione tendenzialmente invecchi abbiamo 420 milioni di persone comprese tra 0 e 25 anni, che sono più dell’intera popolazione degli Stati Uniti e 200 milioni tra 15 e 20 anni. E possiamo continuare, perché è chiaramente un Paese prorompente. Quest’anno a Pechino, mi sono reso conto di alcune cose, alcune delle quali sono state dette con grande eloquenza dal prof. Boggio Ferraris: certamente c’è una vitalità straordinaria. E’ un paese vitale, un Paese vibrante: quello che mi colpisce sono soprattutto i giovani, molto, molto attenti alle tecnologie, moderni, anche molto simpatici nel momento in cui il rapporto si consolida. Il rapporto è difficile perché ci sono due dimensioni, una formale, ufficiale, estremamente rigorosa e definita da una serie di standard comportamentali, e una interpersonale. Faccio sempre l’esempio del Direttore Generale del Ministero degli Esteri, che parla un italiano perfetto, scherza molto, ma quando mi deve dire le cose in modo formale, persino in piedi, persino al bar, chiama un interprete e me le dice in cinese, perché c’è una differenza di canoni comportamentali. Alla luce di tutto questo, certamente non possiamo fare a meno di considerare quello che la Cina ci può portare. Va anche detto che l’Italia ha una situazione di grande privilegio perché non molti sanno, ad esempio, che Matteo Ricci ha escogitato un sistema di translitterazione degli ideogrammi che è quel sistema che oggi permette a questi 600 milioni di internauti cinesi, di mandarsi gli sms con WhatsApp: loro scrivono con i caratteri latini e poi, grazie al sistema che ha escogitato Matteo Ricci, questa parola viene trasformato in ideogramma. Quindi, senza Matteo Ricci questo non sarebbe possibile. Altra cosa: mi ha interessato molto quello che dicevi a proposito di Confucio, che è conosciuto in Europa grazie a un gesuita italiano, un certo Prospero Intorcetta, che tra l’altro è sepolto ad Angiola, città dove tra poco verrà fatto il G20, che ha tradotto in latino Confucio. Quindi, Confucio è conosciuto in Europa grazie ad un altro italiano e così via, fino ad arrivare ai giorni nostri. Il Ministro della Finanze, in un Paese dove è difficilissimo per tutti gli ambasciatori arrivare persino ai Viceministri, mi ha chiesto di essere invitato a cena alla residenza. Gli abbiamo fatto una bella presentazione su quello che a lui interessava, cioè il jobs act, ci siamo spostati a cena e da lì ci ha chiesto di continuare a mantenere aperto un dialogo. Abbiamo fatto una videoconferenza con i suoi tecnici, proprio perché i cinesi, in un periodo di trasformazione, di transizione estremamente complesso, che tra l’altro riguarda anche tematiche relative al mercato del lavoro molto, molto complicate, sono interessati in modo sincero a sapere cosa sta facendo l’Italia. E’ sorprendente ma ci dimostra anche qual è la grande potenzialità di interrelazione che abbiamo noi italiani con i cinesi, perché la cosa da dire è che la Cina considera l’Italia e l’italiano medio come gli unici portatori di una tradizione culturale, di una tradizione storica più o meno analoga alla loro o sullo stesso livello di dignità. Però dobbiamo fare attenzione a una cosa: ho notato che c’è una cattiva conoscenza dei cinesi rispetto all’Italia e una cattiva conoscenza degli italiani rispetto alla Cina. I dati che ho dato all’inizio dimostrano quanto sorprendente è lo sviluppo, l’accelerazione della modernizzazione della Cina: questo da noi non è totalmente percepito. Abbiamo dei cinesi ancora un’idea quasi attutita, vecchia di qualche anno, così come i cinesi hanno spesso di noi l’idea di un Paese che ha certamente una grande storia, Marco Polo, Matteo Ricci, ecc., ma non sono totalmente consapevoli di quello che l’Italia ha saputo fare nel frattempo. Un Paese che giustamente è il secondo Paese manifatturiero in Europa, il quinto nel mondo, un Paese che è all’avanguardia in una serie di settori, per esempio la ricerca sulla fisica delle particelle: il Direttore dell’Istituto di Fisica Teorica cinese ha studiato in Italia, parla italiano e nessuno lo sa. I cinesi non sanno che, secondo le statistiche, l’Italia è il secondo, diciamo il terzo, se consideriamo Hong Kong, Paese nel mondo per performance e direi efficienza del sistema sanitario, e dobbiamo anche lì cercare di spiegarlo. Cosa abbiamo fatto? Abbiamo riflettuto su quanta straordinaria massa di reciproca conoscenza ci sia da sviluppare e quanto in realtà noi possiamo e dobbiamo fare per svilupparla, perché i nostri concorrenti sono spietati. La Cina è un Paese dove la concorrenza rispetto ai nostri partner è spietata. Giustamente, il punto è che non possiamo essere assenti e dunque bisogna che ci organizziamo in modo tale da essere efficienti ed efficaci. Quindi, visto che si parlava di percorso, abbiamo escogitato un concetto evocativo – ai cinesi piace vedere le cose da un punto di vista evocativo -, da un punto di vista non della quotidianità ma del lungo periodo. E il concetto che abbiamo sviluppato per promuovere l’Italia, l’imprenditoria italiana, le collaborazioni di vario tipo, è “road to fifty”, la strada verso i 50. Cosa vuol dire? Nel 2020, più o meno, Italia e Cina celebreranno 50 anni di relazioni diplomatiche. 50 anni è un bel numero, già nel 2015 sono stati 45, un numero non particolarmente significativo e sono stati celebrati in pompa magna, quindi per i 50 anni ci saranno certamente grandi celebrazioni. Ma il 2020 corrisponde anche all’anno in cui il tredicesimo piano quinquennale, che è decisivo in questo processo di trasformazione, di transizione cinese, arriverà a compimento, e nel piamo quinquennale c’è tutto quello che i cinesi, il Governo cinese considera una priorità. E’ straordinariamente interessante che ci siano delle cose che noi sappiamo fare molto bene. Per esempio, la manifattura: il Governo adesso ha messo mano a Industria 4.0, che significa più tecnologia nella manifattura, e se vogliamo mantenere questo livello di eccellenza che abbiamo, secondo in Europa e quinto nel mondo, non possiamo non tenere conto di questo. Agroalimentare e sicurezza alimentare: la qualità crescente della vita dei cinesi è diventata un aspetto fondamentale. Salute: l’ho detto prima, non lo ripeto. Tecnologie verdi: ogni volta che dico ai cinesi che noi siamo il Paese nel mondo che ha la più alta efficienza energetica – significa quanta energia ci serve per produrre energia -, non ci credono, è anche colpa nostra, bisogna che glielo diciamo. Quando dico che se loro avessero la stessa efficienza energetica nostra risparmierebbero ogni anno 300 miliardi di dollari, sono increduli. Per finire, sono stato a Chengdu, una città media, in base agli standard cinesi. Ho trovato il Segretario del Partito, durante un incontro del G20 del Ministero delle Finanze, mi ha detto: “Noi dobbiamo costruire un quartiere che dovrà ospitare 6 milioni di abitanti”. Allucinante! “Però pensiamo che tutto sommato con l’Italia possiamo fare qualche cosa nel settore culturale”. Ho risposto: “Benissimo”. Quando gli ho raccontato che cosa sappiamo fare nel settore della tecnologia alimentare, della manifattura e della salute, mi ha detto: “Senti, facciamo qualcosa, la cultura assolutamente. Però mi interessa molto sapere che cosa voi sapete fare in questi altri settori, perché già abbiamo cominciato a parlare con i tedeschi, gli inglesi e i francesi”. In sostanza, quello che ho imparato è un messaggio che veramente vorrei dare, cerco di ripeterlo ogni volta che posso: il rapporto con la Cina è importante per tutti i motivi che abbiamo detto fino ad adesso, perché comunque ci permetterà – se sapremo svilupparlo – di assicurare più prosperità al nostro Paese, ma soprattutto è un rapporto che ci permetterebbe di modernizzare meglio il nostro Paese, tenendo conto di quanto loro sono avanti, di quanto noi possiamo fare per tenere botta rispetto a quello che loro hanno in mente. Ci stiamo provando, ci sono piccoli segnali di questo, però dobbiamo tutti quanti lavorarci ogni giorno ed esserne consapevoli. Una cosa che per esempio non si sa è che – vedo i cinesi e anche gli italiani che mi guardano con gli occhi spalancati quando lo dico – con la Cina abbiamo avviato un programma di collaborazione spaziale, in un settore che è molto complesso, che pochi altri sanno fare, oggettivamente, che è la mappatura della luna. Ecco, dobbiamo conoscerci meglio, occasioni come queste credo siano fondamentali proprio per questo obiettivo. Faremo un grande servizio a noi stessi se andassimo in quella direzione, ne sono convinto.
ADRIANO MORAGLIO:
Direi che le risposte stanno venendo fuori: adesso Roberto Snaidero, a lui la parola, lui che da anni è convinto che la Cina sia un bene per l’Italia. Ce lo può raccontare?
ROBERTO SNAIDERO:
Buongiorno a tutti, sono anni ormai che io vado avanti e indietro in Cina, ricordavo ieri sera i miei primi viaggi per andare in una città che si chiamava Hangsen, almeno la prima volta che mettevo piede in questa città. Dovevo arrivare ad Hong Kong, poi in treno arrivavo fino al confine cinese, c’è un ponte, si attraversava il ponte e si arrivava a Hangsen, allora era una città con 100, 150 mila abitanti, parlo degli anni ’80, ’90. Oggi è una città che, se non vado errato, ha 8 milioni e mezzo di abitanti. Dovevo passare da Hong Kong perché questa città non aveva l’aeroporto, oggi ha un aeroporto enorme, stanno progettando un quartiere fieristico da 650 mila metri quadri e a febbraio, assieme al Consiglio di Amministrazione di Federlegno, abbiamo fatto una conferenza stampa di presentazione del Salone del Mobile a Shangai, nel mese di novembre. Mi hanno detto che tutti, quando arrivano in Cina, vanno a Shangai. Da lì ci siamo spostati a Dongwang, un’altra città del sud vicino a Changsen e poi siamo andati a Chengdu, questa città a cui si riferiva adesso l’ambasciatore. Una città da 8 milioni e mezzo di persone, come Friuli, Veneto, Lombardia e Piemonte messi assieme. Voglio raccontare un fatto simpaticissimo, una sera prima della conferenza stampa con l’ambasciatore, mi dice: “Dove vai, Roberto?”. “Vado a Chengdu, però non mangio cinese, cosa devo fare?”. “Come, non mangi cinese?”. “A me il cinese proprio dà fastidio”. “C’è un favoloso console italiano a Chengdu” dice lui. Lo chiama, poi facciamo il viaggio e il venerdì sera siamo ospiti a cena dalla Direttrice dei sistemi fieristici di Chengdu. Poi il console ci porta in una trattoria italiana di toscani a mangiare spaghetti, olio, aglio e peperoncino, italian live style, quindi, fantastica anche questa. Faccio per dire, mi collego anche al discorso del Salone del Mdi Shangai: faremo questa manifestazione dal 19 al 21, ci saranno al massimo cinquanta aziende, rappresentiamo il settore dell’arredamento, come ricordava prima l’amico Adriano. Siamo i primi espositori mondiali sul mercato cinese dell’arredamento, ma oltre a questo ho voluto dare un segnale di italian live style. Sarà presente l’arredamento ma sarà presente anche una rappresentanza del settore agroalimentare, della moda, per far vedere cos’è il nostro Paese, l’Italia. E quando chiedevi prima “Tu sei un bene per me”, vorrei ricordare quello che diceva ieri l’amico Vittadini: quando entri in una cucina nera, parti sempre con un’idea un po’ abbattuta di quello che ti aspetta, se invece hai una cucina colorata o quant’altro, già è un bene per il consumatore avere qualcosa di diverso. Ecco, io credo che noi come settore dell’arredamento portiamo del bene alla Cina: il rovescio della medaglia è che ci copiano, è vero. Loro copiano il prodotto italiano e poi ce lo rivendono, la Cina è il primo esportatore mondiale con oltre 50 miliardi di dollari di esportazione, noi siamo i secondi. Andiamo a considerare questo discorso dei brevetti, perché io non so quanti di questi brevetti siano realistici. Poi c’è anche l’aspetto di filosofia del lavoro. Quando abbiamo iniziato ad affrontare il mercato cinese, abbiamo aperto una società, Federlegno arredo Cina, e abbiamo dato incarico ad un cacciatore di teste di assumere un dipendente.
L’ho visto prima di assumerlo: “Quando sei pronto?”. “Fra due mesi”. Era settembre/ottobre, per me doveva iniziare a dicembre. Questo qua è arrivato il mese di febbraio, perché c’era il capodanno cinese, e porta sfortuna iniziare il lavoro prima del capodanno cinese. E’ una filosofia diversa. Si diceva prima che abbiamo creato il Club Made in Italy in federazione, perché? Perché la Cina è un paese completamente diverso da tutti gli altri mercati, bisogna che le nostre aziende, i nostri imprenditori capiscano che mercato è. E i risultati oggi si vedono.
ADRIANO MORAGLIO:
Ecco, ma perché è un bene, allora? Alla conclusione di tutto quello che dici, perché continui a sostenere che la Cina è un bene per le nostre aziende e per l’Italia? Cosa ci può dare la Cina?
ROBERTO SNAIDERO:
Innanzitutto credo che dalle nostre analisi risulti che dal 2020 saranno oltre 200 milioni i ricchi, in Cina. Questi cercano la qualità del prodotto, il design e siamo noi gli unici che possiamo dargli questo. Parlano, anche loro, crescono, vedono, però noi siamo sempre ancora davanti a loro.
ADRIANO MORAGLIO:
Da un punto di vista umano, che cosa conservi di tutti questi anni passati in rapporto con la Cina?
ROBERTO SNAIDERO:
Da un punto di vista umano credo che quella cinese sia un’economia molto giovane rispetto alla nostra, hanno una grande cultura che viene da secoli però, da un punto di vista di cultura economica – sono la seconda potenza mondiale economica – non hanno ancora la storia nostra. Tutti i personaggi economici che ho conosciuto mi hanno sempre dimostrato sincerità e quando dicono una parola la mantengono. Quindi, li giudico positivamente.
ADRIANO MORAGLIO:
Certo. Grazie, Presidente. Abbiamo ancora qualche minuto e proprio un ultimo, brevissimo giro. Boggio Ferraris, allora questo percorso che diciamo dobbiamo intraprendere per conoscere di più la Cina, quali passi possiamo ancora fare? La scuola che lui dirige è uno spazio aperto per fare questo percorso di conoscenza, ci raccontava che possono frequentarla giovani diplomati ma anche manager che lavorano nelle imprese, che hanno bisogno di capire di più, non solo di imparare la lingua ma capire di più quel mondo. E’ così?
FRANCESCO BOGGIO FERRARIS:
Assolutamente, ma la scuola è un laboratorio aldilà della nostra scuola. Se vogliamo osservare dall’alto questo ragionamento, la scuola è il laboratorio dove le buone pratiche stanno avvenendo e, senza allontanarci troppo, per non rimanere nel vago e essere troppo pomposi, le stesse scuola di Federlegno, l’ITS, gli istituti tecnici che avviano alla formazione professionale, oggi hanno realtà in cui noi andiamo a sovrapporre un’alfabetizzazione della cultura cinese a ragazzi che poi vengono assorbiti dal mondo del lavoro e che vanno a lavorare nelle loro imprese, ma escono con dei diplomi ancora molto giovani. Conoscono la Cina e, se devono andare ad essere responsabili marketing, commerciali o media marketing, sanno già districarsi dentro un mondo che magari a noi spaventa. Nella realtà, loro hanno imparato a masticarla, la scuola è dove tutto questo avviene con una semplicità e una velocità fantastica. Da tre anni abbiamo attivato un percorso inverso, quindi non solo insegnare, spiegare, raccontare agli italiani con un gruppo di studenti molto vasto che cosa sia la Cina, ma accogliere i ragazzi cinesi per spiegare cosa è l’Italia e gli imprenditori cinesi per spiegare cosa è l’Italia. Questo, dopo tre anni, è arrivato a far sì che noi oggi abbiamo un centinaio di ragazzi che studia italiano e che entra in un sistema di tandem, chiamiamolo così, a scambiarsi racconti, esperienze, suggestioni con gli amici italiani che fanno il percorso inverso. I più bei risultati li raggiungiamo all’interno di questo contenitore ed è anche la prova quotidiana che è possibile farlo. Abbiamo citato il taoismo, il confucianesimo, la difficoltà di queste città, le economie, i mercati, ma in realtà, quando le cose si semplificano, vengono meglio. Se mi è possibile aggiungere qualcosa rispetto alla domanda, al persistere di questa domanda su che cosa è la Cina, che cosa ci può essere di buono per noi nella Cina, credo che sia molto efficace una spiegazione secca, che ha dato recentemente in una pubblicazione che citiamo qui uno storico, un economista che di Cina scrive da molto tempo e che sa molto. Si chiama Romeo Orlandi e osserva la Cina del nostro tempo. Dice così: nonostante, con una metafora efficace, la miscela che oggi ci offre la Cina, pensando ad un caffè, sia diventata più amara, e lo è, per l’aggressività, per i costi, per le aziende che cambiano, perché quando andava il presidente in Cina, tanti anni fa, i primi anni in cui andava il costo del lavoro era diverso, oggi ci si pensa due, trecento volte prima di impiantare uno stabilimento in Cina. Ci sono Paesi dove è più vantaggioso, magari, tuttavia rimane il Paese dove dobbiamo essere, che continua a essere un bene per noi. Perché? Lui dice che non c’è nessun’altro Paese, in questo momento al mondo, con una crescita delle potenzialità interne così vivace, del mercato interno così grande. Una classe di individui che arrivano a un moderato benessere. E visto che hanno una visione di lungo periodo, hanno coniato l’obiettivo del doppio cento. Noi facciamo fatica a pensare a brevissimo, loro dicono a 100 anni dalla nascita del partito nel 1921, quindi entro il 2021, la popolazione cinese dovrà raggiungere un moderato benessere, tutta, perché non dimentichiamoci che ci sono sacchi di centinaia di milioni di persone che non accedono a queste cose. Bisogna parlarne. Il secondo cento va ancora più in là negli anni, e arriva al 2049: i cinesi dicono che entro il 2049, a cento anni dalla fondazione della Repubblica, 1949, tutto il Paese, l’intera popolazione dovrà aver raggiunto una qualità e uno stato nella loro vita più che soddisfacente. Nessun’altro Paese può offrire una cosa di questo tipo.
ADRIANO MORAGLIO:
Grazie, Francesco. Ambasciatore, in questo anno e mezzo di presenza lì, un anno, che cosa ha ricevuto di interessante, di bello, di positivo dai cinesi, dal rapporto con i cinesi?
ETTORE FRANCESCO SEQUI:
La curiosità, certamente, perché noi parliamo sempre del nostro, che bisogna conoscersi, io sono l’altro, interessante, perché quando noi pensiamo per esempio in termini di accoglienza, pensiamo alle onde migratorie, lo vediamo come l’altro. Io lì sono l’altro, privilegiato, ma sono quello che deve cercare di spiegarsi, questo sicuramente è un aspetto. Però vorrei tornare un secondo, solo un minuto, su un’esperienza di Federlegno, perché io credo che lì troviamo tante cose che vogliamo, in modo concreto, spiegare meglio. Numero uno, una domanda che qui è mancata, e lo dico all’economista: noi abbiamo un sistema economico che è fatto di piccole e medie imprese, il mercato cinese è enorme, ci spaventa. Il professore Boggio Ferraris, ha scritto un libro insieme ad altri, Perché la Cina non è ancora per tutti. Uno dei motivi è questo, io però vedo Federlegno, il loro metodo. Certamente si tratta di piccole e medie imprese, però si tratta di piccole e medie imprese che sono riuscite a trovare il sistema per aggredire questo mercato con successo straordinario, i numeri non mentono. E questa è una richiesta addirittura anche degli altri imprenditori, abbiamo fatto da poco una specie di riunione di spogliatoio, così come si fa nelle riunioni di calcio, in maniche di camicia, ci siamo riuniti un weekend per la seconda volta ad affrontare i nostri problemi, e abbiamo chiesto alla rappresentante, bravissima tra l’altro, di Federlegno: diteci qual è la ricetta che siete riusciti a trovare. Allora, io credo che la ricetta sia, numero uno, l’organizzazione, numero due, questo modo straordinario di coniugare che ai cinesi piace la cultura e la tradizione ma anche l’innovazione, perché – e su questo Roberto ci potrà dire molto di più – nei prodotti di queste aziende si trova tradizione, cultura ma anche innovazione, con un’attenzione all’ambiente, ai materiali nuovi. Credo che questa scommessa sulla Cina avrà proprio un grande successo, proprio per questi motivi. Per concludere, una cosa che mi ha sempre colpito molto e che uso in questo caso, spero non ci sia il copyright. Roberto Snaidero ha spiegato perché l’Italia, il prodotto italiano che sia quello dell’arredo o altri, è così apprezzato in Cina, e ha detto: guardate queste mani, sono le mani dei figli, dei figli di Michelangelo e di Leonardo, sono mani che sono abituate a far le cose bene per secoli. E in una Cina che è sempre più attenta, non tanto o solo alla quantità ma alla qualità, questo è fondamentale, sono cose che noi possiamo fare meglio degli altri. I cinesi questo lo capiscono, al punto che, visto che mi hai stuzzicato sulla protezione dei brevetti, la situazione sta migliorando perché anche loro, grazie a quanto abbiamo detto, sono in grado sempre di più di riprodurre prodotti di qualità. E dunque anche le imprese cinesi adesso hanno più interesse ad essere salvaguardate da quelle produzioni cinesi di bassa qualità che fanno concorrenza anche a loro, e non più solo a noi. Quindi l’asticella che noi dobbiamo mantenere come qualità è sempre più alta e su questo io credo che veramente l’esperienza Federlegno possa essere un grandissimo esempio per tutta un’altra serie di settori produttivi.
ADRIANO MORAGLIO:
Grazie, Ambasciatore, ultima cosa e chiudiamo. Roberto.
ROBERTO SNAIDERO:
Io volevo aggiungere qualcosa a quello che diceva l’ambasciatore, è vero il discorso dei brevetti perché dal 2006, quando hanno fatto il primo incontro a Pechino proprio sul problema della proprietà intellettuale, e ho avuto modo di discutere con il Presidente del Tribunale della proprietà intellettuale, quindi parlo di dieci anni fa, avevamo una situazione molto tragica. Mi ricordo che quando io ogni anno vado a Shangai, alla fiera del mobile cinese, dove trovo sempre i tuoi prodotti, e mi incontro con il Presidente dei produttori dei mobili cinesi, inizialmente gli dicevo: stai attento, è inutile che voi non riusciate a creare delle leggi per la difesa della proprietà intellettuale, prima o poi vi capiterà a dosso tutto. Ed è quello che è successo, ricordava adesso l’ambasciatore. Ma oltre a questo volevo ricordare che cosa di positivo noi possiamo estrarre da questa lezione della Cina, da questa crescita del fatturato di esportazione, perché siamo i primi. Credo che l’organizzazione che abbiamo voluto impostare per lo sviluppo del mercato cinese ci stia servendo adesso: non so chi ha visitato il nostro stand qua, abbiamo presentato alcuni degli spaccati del nostro settore. Ero a Teheran a metà luglio, è un Paese che ancora non ha questa grande apertura, ma potenzialmente potrà essere un grande mercato. In contemporanea stiamo lavorando, organizzandoci sul mercato Sud Sahariano, in Africa: Mozambico, Angola, Kenya, Nigeria. In questi Paesi, ogni volta che ci vado, trovavo solo i cinesi e ho detto: basta, ci sono cinesi da tutte le parti, organizziamoci anche noi. E cominciano già ad arrivare delle delegazioni. Tre anni fa come Made in Italy c’eravamo noi della Federazione; da quel momento, in ogni porto in cui ci si fermava, facevamo incontri con l’università, con gli architetti e quant’altro. Abbiamo cominciato a vedere l’arrivo delle delegazioni di questa parte dell’Africa ed oggi cominciamo pian piano ad avere risultati. Questo crea un insegnamento che lascerò al mio successore.
ADRIANO MORAGLIO:
Questa è la dimostrazione che il rapporto con l’altro, Roberto, stimola a diventare migliori, è questo è un altro insegnamento importantissimo. Bene, grazie ai nostri testimoni di quest’oggi, ve li ricordo: Francesco Boggio Ferraris, l’ambasciatore Ettore Francesco Sequi e il nostro caro Roberto Snaidero. Grazie a voi, ricordo che prosegue la campagna di fundraising del Meeting: incoraggiati dall’esperienza positiva dello scorso anno, il Meeting ha rilanciato e continua a lanciare la proposta di contribuire a costruire questo luogo, nei padiglioni troverete numerose postazioni dove donare, nella hall sud, e le donazioni devono avvenire esclusivamente in questi punti riconoscibili dal logo della campagna. Grazie della vostra partecipazione e buon proseguimento di Meeting.