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“L’INCONTRO CON L’ALTRO: GENIO DELLA REPUBBLICA. 1946-2016”: LA REPUBBLICA
Partecipa Luciano Violante, Presidente Emerito della Camera dei Deputati. Introduce Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.
“L’INCONTRO CON L’ALTRO: GENIO DELLA REPUBBLICA. 1946-2016”: LA REPUBBLICA
GIORGIO VITTADINI:
Buongiorno. Come abbiamo annunciato, la mostra sui 70 anni della Repubblica, inaugurata oggi dal presidente Mattarella con il suo discorso, si compone della mostra stessa e di alcuni incontri fatti da personaggi che sono stati protagonisti di questa costruzione, in modo tale che questo percorso di conoscenza e memoria, che vuol essere questa mostra, abbia un suo orizzonte di approfondimento. Questo incontro in particolare ha un valore particolare perché l’idea di questa mostra e la sua realizzazione sono state dovute a Luciano Violante quando, in un incontro dell’anno scorso, proprio qui, parlando sottovoce, lui diceva che non si conoscono molte cose della nostra storia, che c’è’ignoranza e che quando c’è ignoranza, quando non c’è memoria, si fa fatica ad avere un’identità. Quindi il valore di questo incontro è particolare, perché ogni incontro di questo ciclo affronterà un tema specifico: la cultura, l’economia, la politica estera etc. Il tema di questo incontro è la Repubblica, quindi è come una immagine riassuntiva di quello che vogliamo vedere. Chi ha visto la mostra, chi la vedrà, può trarre da questi incontri un’interpretazione autentica, sintetica, di quello che in essa vuole essere detto. Essendo incontri di conoscenza avranno la struttura di una lezione universitaria. La lezione sarà di tre quarti d’ora e poi ci saranno 4 domande di ragazzi che, a nome di tutti, porranno questioni che a lorosembrano particolarmente interessanti. Il tutto si svolgerà entro l’ora e mezza. Do la parola e ringrazio ancora Luciano Violante.
LUCIANO VIOLANTE:
Bene. Bene, sono io che ringrazio Giorgio Vittadini e naturalmente il lavoro, come tutti i lavori complessi, è fatto da un gruppo di persone, non da una persona sola. Abbiamo lavorato insieme con Giorgio, con altri e così via. Allora, innanzitutto voglio fissare un punto, e il punto è questo: la Repubblica, la scelta per la Repubblica, viene prima della Costituzione. Quindi la Costituzione è figlia della scelta che gli italiani fecero per la Repubblica. Come forse voi sapete, si votò insieme, tanto per la Repubblica quanto per l’Assemblea Costituente. Se avesse vinto la monarchia, la Costituzione sarebbe stata diversa da quella attuale. Avendo vinto la Repubblica, la Costituzione è quella attuale. E guardate che la Repubblica non è solo una forma di governo che si contrappone alla monarchia, è una forma di governo che ha alle spalle una riflessione politica importante, che nasce da un dato di fondo: dalla critica al potere assoluto. Si parla di Repubblica ai tempi dei filosofici greci per capirci. La Repubblica parte da questo dato, non ha il potere assoluto e si distingue in questo dalla monarchia, perché mentre la monarchia è compatibile con il potere assoluto, la Repubblica è incompatibile con il potere assoluto ed è questa già una grande differenza. Il concetto centrale della tradizione repubblicana è la distinzione tra il servo e l’uomo libero fatta da Cicerone. Cicerone distingue il servo dall’uomo libero, perché? Perché l’uomo libero è libero dai domini di altri e perché libero partecipa alla vita politica; il servo non può partecipare alla vita politica ma l’uomo libero partecipa alla vita politica proprio perché libero e come partecipa? Dicono gli studiosi di questi temi che da Cicerone in poi occorre la virtù civile. Che cosa è la virtù civile? E’ un modo di porsi che è orientato alla costruzione della comunità, la polis. La virtuosa partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, alla vita politica, assicura l’assenza del dominio e però fa in modo che l’assenza del dominio non sia dominio dell’anarchia, proprio perché i cittadini partecipano e non stanno a vedere quello che succede. Questa partecipazione per essere virtuosa deve essere strettamente impegnata ai lavori civici. Che cosa vuol dire lavori civici? Impegnarsi al progresso della comunità, la solidarietà, il rispetto delle leggi e delle istituzioni, e soprattutto, vi prego di prestare attenzione a questa ultima clausola, la regolazione del conflitto politico. Il conflitto politico è importante e utile ma deve essere regolato, questa è la cultura repubblicana. Regolato vuol dire che non bisogna travolgere le istituzioni nel conflitto, che la critica delle persone non deve coinvolgere la critica ragionevole delle istituzioni e che ci deve essere un punto terminale del conflitto. Il conflitto politico non può essere eterno, lo dice la cultura repubblicana, a un certo punto bisogna chiudere e vi porterò alcuni esempi a questo proposito. E quindi proprio perché ha questi principi, l’idea repubblicana dà un valore positivo alla politica, cioè la politica è importante per la vita repubblicana: siccome la Repubblica si fonda sulla partecipazione dei cittadini alla vita politica, la vita politica, la partecipazione e la politica soprattutto hanno valore positivo. Ma il Repubblicanesimo non è l’unica filosofia politica democratica, deve fare i conti soprattutto con il liberalismo che è una diversa idea della democrazia. Mentre i Repubblicani partono dall’assenza di dominio, per l’idea liberale l’essenziale è essere liberi da, che non ci siano interferenze nella vita privata e il cittadino è colui che difende rigorosamente i propri diritti. Allora il liberalismo non si pone il problema della partecipazione dei cittadini alla vita politica perché non gli interessa; non pone al centro i doveri come il Repubblicanesimo, i liberalisti pongono i diritti al centro. Il liberalismo è una visione critica della politica, non una visione positiva, anzi la ritiene concepita troppo strettamente legata alle passioni e agli interessi e come pericolosa perché tende ad inserirsi nella vita di privata. A questo punto della spiegazione sembrerebbe che l’idea repubblicana sia esente da difetti e l’idea liberale sia esente da vantaggi. Però non è così, perché? Spiego subito: l’idea repubblicana, i valori repubblicani hanno l’obiettivo di realizzare l’ideale di virtù civica. Però gli ideali sono tanti, per cui il Repubblicanesimo può sfociare nel giacobinismo cioè nell’idea di imporre necessariamente una sola idea e chi non ci sta è nemico della Repubblica. Pensate alle torsioni autoritarie della rivoluzione francese, il giacobinismo fa parte di questa storia: la virtù civile la definisco io, se tu non sei d’accordo sei nemico della Repubblica e se sei nemico della Repubblica, ti debbo far fuori perché altrimenti metti a rischio la Repubblica. Quindi bisogna evitare che il Repubblicanesimo sfoci in questa forma di autoritarismo. Parentesi: prima ho detto che mentre la monarchia è compatibile con l’autoritarismo, il Repubblicanesimo no. Infatti il giacobinismo non è il Repubblicanesimo: è una torsione viziosa dell’idea Repubblica. Come il Repubblicanesimo può avere delle torsioni negative, così l’idea liberale ha dei vantaggi, delle cose positive, perché riguarda i diritti, le libertà dei cittadini. Questa tensione fra valori repubblicani e valori liberali non fu alle spalle della scelta che gli italiani fecero nel 1946 tra Repubblica e monarchia, perché allora il tema era un altro, era la complicità della monarchia col fascismo, la fuga non onorevole dei Savoia, della loro corte, da Roma verso Brindisi, erano questi i dati di fondo e quindi la scelta fra un caso e l’altro. Voi sapete che in quel momento il Paese si divise a metà, il 54% degli italiani circa votò per la Repubblica, il 45% e qualcosa degli italiani votarono per la monarchia. Guardate, tutte le grandi scelte dividono, quando si dice unità, la grande unità, l’unità si costruisce, non è data, e guardate, quando ci fu il referendum nel 1969 in Francia sul senato, la Francia si spaccò a metà. Quando nel ’62 ci fu l’altro referendum imposto da De Gaulle, la Francia si divise. Gli Stati Uniti hanno fatto addirittura una guerra, la guerra di successione. All’interno delle ragioni, delle cause di questa guerra, c’era un punto costituzionale: l’abolizione della schiavitù che era una questione costituzionale. Quindi quando c’è una grande questione, in genere c’è una grande divisione. La Repubblica divise profondamente il Paese ma poi ci fu la capacità delle classi politiche dirigenti dell’epoca di unificare e vi cito due esempi. Il primo esempio fu l’amnistia Togliatti, per la quale ebbe contro una parte rilevante anche della maggioranza del suo partito. Togliatti, come dire, presentò un progetto di amnistia che cancellava i reati fatti tanto dai partigiani quanto dai fascisti e dai repubblichini. Il punto di fondo qual era? Chiudere la partita, evitare che le lacerazioni proseguissero e quindi, anche andando contro la volontà del suo partito e sulla base delle richieste che facevano altri partiti, Togliatti si assunse la responsabilità di varare l’amnistia. Un altro esempio di questa capacità la dette De Gasperi nel 1953. Nel 1953, poco prima delle elezioni che ci furono dopo quelle del ’48, venne approvata tra tumulti d’aula, scontri nel Paese, nel Parlamento, una legge che si chiamò “legge truffa”. Lo dico tra parentesi: magari l’avessimo avuta (però questa è una cosa tra parentesi) perché questa legge dava un premio a quella coalizione che alla Camera avesse avuto la maggioranza assoluta. Per 50.000 voti la maggioranza assoluta non scattò, c’erano un milione di schede nulle, bianche, contestate al che il partito della Democrazia Cristiana chiese a De Gasperi, Presidente del Consiglio, di fare effettuare il riconteggio dei voti, perché in quel milione di schede bianche, nulle, contestate, ci sarebbe stata senz’altro la possibilità di trovare 50.000 voti validi. Bene, De Gasperi si oppose, sapete perché? Perché disse che il Paese non andava diviso ulteriormente, si poteva perdere ma l’importante era che il Paese non fosse diviso. Dico questo perché molto spesso nella realtà di oggi sentiamo, leggiamo sui giornali di dirigenti, di politici autorevoli che dicono l’importante è vincere. Guardate, l’importante è governare bene, non vincere, l’importante è tenere unito il Paese non dividerlo, questa è la responsabilità delle classi dirigenti e queste lezioni che ci vengono dalla storia credo siano valide anche per l’oggi, perché se l’importante è vincere siamo tutti uguali, e se l’importante è vincere, si insegue demagogicamente il sentimento del momento, non si costruisce nulla per il futuro, perché vale quello che in quel momento sembra importante. Ecco, queste esperienze del passato ci danno l’idea che le grandi questioni dividono, poi sta alle classi politiche dirigenti riunificare dopo la divisione. In ogni caso la scelta per la Repubblica e la scelta dell’Assemblea Costituente che fecero gli italiani posero il problema dei valori a cui si sarebbe ispirata la Costituzione. Noi sentiamo in genere parlare del compromesso tra le grandi culture politiche. Oggi uno dei tre giovani che è intervenuto con le domande al Presidente della Repubblica ha parlato delle tre grandi culture, ne ha saltata una, quella liberale, perché ha parlato della cultura marxista, della cultura cattolica e quella socialista, in realtà quella socialista e comunista erano abbastanza vicine, poi ci fu la cultura liberale che ebbe il suo peso nel dibattito. Bene, questo compromesso ci fu tra queste culture, ma questo compromesso fu il contenuto, anzi scusate, il contenitore di due compromessi specifici: il primo riguardava il funzionamento della democrazia nel nostro paese e il secondo riguardava la condizione costituzionale del cittadino. Qual era il funzionamento della democrazia? Il primo compromesso riguardò la costruzione, e non vi meravigliate di questo, di un sistema politico instabile, fondato sul principio di non decisione. Sapete perché? Perché il mondo politico allora era diviso in due grandi blocchi: il blocco filosovietico, PCI e PSI, e il blocco filoccidentale, Democrazia Cristiana, Partito Repubblicano, Partito Liberale ed altri partiti. Non si sapeva chi avrebbe vinto nel 1948, non si sapeva, e l’alternativa, vi prego di tenere presente questa distinzione, non era un’alternativa di governo, era un’alternativa di sistema, cioè il sistema politico sarebbe stato completamente diverso a seconda del vincitore; se avesse vinto il blocco sovietico, i diritti di libertà, libertà religiosa, libertà di manifestazione del pensiero, diritto di proprietà e così via, avrebbero avuto una certa regolamentazione e sarebbero stati ridotti o estesi a secondo dei casi; se avesse vinto il blocco occidentale, quel tipo di diritti avrebbero avuto un altro destino. Quindi voi capite che in gioco non c’era soltanto, come oggi, chi governa, per quali obiettivi specifici, dentro una cornice che è la stessa. Le cornici qui erano due. E allora quale fu la precauzione che presero le forze politiche? (nessuno si fidava dell’altro, ciascuno pensava che poi il vincitore avrebbe comunque usato le regole contro l’avversario). Allora sapete cosa si decise? Si disse, beh, allora non mettiamo in Costituzione le regole della stabilità, teniamole fuori. Il Parlamento rappresenti e le regole della stabilità e della governabilità le tengano i Partiti nelle loro mani. Ecco, c’è una frase di Amendola che dice: “Si è parlato del tentativo di dare alla nostra democrazia condizioni di stabilità con norme legislative. È evidente che una democrazia deve riuscire ad avere una sua stabilità, se vuole governare e realizzare il suo programma; ma non è possibile ricercare questa stabilità in accorgimenti legislativi da inserire nella Costituzione” (…) “Oggi la disciplina, la stabilità è data dalla coscienza politica, affidata all’azione dei partiti politici”.Mi pare che sia chiarissimo. Nessuna regola legislativa,la disciplina, l’ordine, la governabilità è affidata ai partiti. D’altra parte quei partiti erano molto legittimati. Pensate che gli iscritti a Democrazia Cristiana, Partito Comunista, Partito Socialista, complessivamente erano superiori ai due milioni, oggi forse tutti i partiti non hanno più di un milione di iscritti. Inoltre quei partiti avevano guidato la resistenza al nazismo e al fascismo e alla liberazione, si erano impegnati per la Repubblica e avevano vinto, avevano convinto la maggioranza degli italiani a votare per la Repubblica, durante la fuga di casa Savoia, del re, da Roma avevano anche fatto amministrazione della città, quindi erano fortemente legittimati. Questo carattere specifico della Costituzione italiana lo si coglie meglio se si paragona quella italiana alla Costituzione tedesca. Perché questo? Perché l’Italia e la Germania avevano dato origine alle due dittature del XX secolo, il nazismo e il fascismo, avevano causato la Seconda Guerra mondiale, l’avevano persa entrambi, i due regimi erano rovinati dopo la guerra. Però le due Costituzioni sono molto diverse. Pensate che quella italiana non solo prevedeva due camere che entrambe danno la fiducia, ma per far cadere un governo in Costituzione è prevista la sfiducia di una sola camera; non solo, le crisi di governo non hanno un termine da noi – possono durare anche mesi e sono durate nel passato anche mesi -, addirittura in Costituzione c’era una norma per la quale per la Camera dei Deputati si votava ogni 5 anni, ma per il Senato ogni 6 anni, perché – si diceva – in questo modo verifichiamo qual è l’umore del Paese volta per volta. Voi capite che problemi si possono porre per un Paese se per una Camera si vota ogni 5 anni e per l’altra ogni 6. Poi questa norma non fu mai applicata e giustamente abolita. Ecco, quello era un errore che fece il Costituente ma sulla base del principio che il Parlamento doveva rappresentare e chi decideva erano i partiti. Se guardiamo invece il sistema tedesco, vediamo che la fiducia la dava solo il Bundestag, la camera bassa, non anche il Senato; che per sfiduciare un governo non basta votare una mozione di sfiducia, è necessario che quella mozione indichi anche il futuro cancelliere e con quale alleanza. Perché questo? Perché mentre le opposizioni possono trovarsi unite nel no, nel votare una mozione di sfiducia, non riescono invece ad unirsi su una proposta in positivo (l’estrema destra e l’estrema sinistra è difficile che trovino un accordo, è impossibile, sul nome di un futuro capo del governo, ma si possono ben trovare d’accordo nel buttare giù un governo); c’è anche un termine per le crisi di governo: se il Bundestag non elegge un Cancelliere entro un certo periodo di tempo, si scioglie. Questo fa capire con una certa chiarezza la differenza tra un sistema che ha messo in Costituzione le regole della stabilità e un sistema che le ha tenute fuori e le ha rimesse nelle mani dei partiti. In questo quadro si sviluppa il secondo compromesso: il compromesso fra repubblicanesimo e liberalismo. Quindi c’è il primo compromesso che dice: “Teniamo fuori dalla Costituzione le regole della stabilità e affidiamole alla gestione dei partiti politici”; il secondo compromesso afferma invece: “Manteniamo un equilibrio tra i valori repubblicani e i valori liberali”. Faccio tre esempi: l’articolo 2 della Costituzione parla insieme di diritti inviolabili – principio liberale e anche del cattolicesimo democratico – e doveri inderogabili, cioè la Repubblica garantisce i diritti inviolabili ma esige l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale, politica e civile. L’articolo 4 è un articolo che pochi ricordano ma è molto importante e dice: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società”, cioè tu non puoi estraniarti dalla vita pubblica, ciascun cittadino ha il dovere di fare qualcosa per la comunità, secondo le sue possibilità (questo è un principio repubblicano, naturalmente, non liberale). L’iniziativa economica è libera – dice un altro articolo – (principio liberale), ma non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale (principio repubblicano). Questo è il secondo tipo di compromesso: non ci fu un’imposizione dei principi repubblicani, non ci fu un’imposizione dei principi liberali, ci fu un equilibrio tra i principi. Questi furono i due grandi compromessi alla base della Repubblica.
La seconda parte di questa conversazione riguarda le fasi nella vita della Repubblica in questi 70 anni (non sono stati sempre uguali). Io ho distinto – ma queste distinzioni sono dirette a far capire come stanno le cose, non sono da tagliare con l’accetta – tre fasi: la prima fase va dal 1948 al 1978 (assassinio di Aldo Moro), la seconda fase va dal ’78 all’89 (caduta del muro di Berlino), la terza fase va dal 1990 a oggi. La prima fase è una fase caratterizzata da una prevalenza di valori repubblicani: tutte le grandi riforme sociali (la sanità pubblica, tutela alle lavoratrici madri, il piano per gli asili nido, statuto dei lavoratori, processo del lavoro) sono state ispirate ai principi di carattere repubblicano. Sono anche gli anni in cui scatta lo stragismo e terrorismo di destra e terrorismo di sinistra: è difficile fare un’analisi profonda, ci vorrebbe tempo, ma tanto lo stragismo quanto il terrorismo di sinistra vogliono colpire profondamente questi processi di trasformazione democratica e di crescita della democrazia nel nostro Paese. Nei pochi documenti della destra, che si caratterizza per le stragi, si dice che bisogna colpire il popolo, perché il popolo è colpevole di quello che sta accadendo, perché ha votato male e soprattutto perché il popolo deve capire che deve fare altre scelte. Per cui le stragi sono stragi nei confronti di soggetti indeterminati: è la banca, in una piazza, sul treno, parlo della strage di Piazza Fontana, della strage di Piazza della Loggia, della strage di Bologna del 2 agosto, contro cittadini. Il terrorismo di sinistra colpisce obiettivi specifici: tutti coloro che possono rappresentare la credibilità delle istituzioni, quindi giornalisti capaci, magistrati capaci, uomini politici capaci e così via. Come se ci fosse una risposta in qualche modo della eversione italiana nei confronti di questi processi civili che vanno avanti nel Paese. Perché io pongo l’assassinio di Moro come termine? Alla fine degli anni ’60, nella società italiana maturano nuovi valori: l’ambientalismo e i partiti sono industrialisti, il femminismo e i partiti sono maschilisti, il terrorismo e i partiti non capiscono bene che cosa sta accadendo nella società, perché il PCI non controlla più la società, la DC non controlla più le istituzioni, perché in molte stragi ci sono connivenze con gli apparati pubblici. Che succede? Si fa il compromesso storico. Io fui favorevole al compromesso storico, quello che dico adesso è saggezza del poi. Il compromesso storico fu l’accordo tra DC e PCI diretto ad intese che riguardavano il governo del Paese. Questo processo però è un processo che – i due artefici sono Moro e Berlinguer – l’assassinio di Moro rende impossibile. La maggioranza democristiana era contraria al compromesso storico, la maggioranza del PCI era contraria al compromesso storico, all’intesa tra DC e PCI, però i due dirigenti politici, Moro e Berlinguer, erano talmente stimati e rispettati dal proprio partito che, almeno nel mio partito che era il partito comunista allora, si diceva “meglio sbagliare con il proprio partito che avere ragione da soli!”. Non era un gran principio, devo dire, ma era un principio che fa capire qual era il tipo, come dire, fa capire la situazione. C’era anche una barzelletta: “In uno stagno ci sono tre ranocchie e una rana chiede all’altra: ma tu come mai ti trovi qua? E quella dice: io ero una bellissima principessa, poi è arrivata una strega cattiva e mi ha trasformato in ranocchio. E tu? E l’altro dice: ma, io ero un principe bellissimo, è arrivato un mago cattivo e mi ha trasformato in ranocchio. E tu? Dice al terzo. Io ero un militante comunista, per me ha fatto tutto il partito”. Era il modo in cui si gestiva questo tipo di cose. La fase finisce con l’assassinio di Moro, ma negli anni precedenti, nonostante non ci fossero regole per la stabilità, il Paese è andato avanti e come mai è andato avanti? Io chiederei di mostrare la slide n° 8 per cortesia. Il Paese è andato avanti comunque perché non c’era una reale alternativa di governo. Questa era la prima cosa. Secondo, c’era un’apparente instabilità dei governi e qui, prima di andare avanti nella lettura della slide, permettetemi di raccontarvi un aneddoto, che ho raccontato un’altra volta ma forse non qui. Kissinger, nelle sue memorie, parla di un incontro con Aldo Moro. Allora Aldo Moro era Ministro degli Esteri. E gli dice: “Oggi incontro lei, Ministro degli Esteri, e mi fa piacere. Sei mesi fa ho incontrato il Ministro degli Esteri italiano ma era un altro, non era lei. Tra sei mesi incontrerò il Ministro degli Esteri italiano e io temo che non sarà lei. Non potete darvi un po’ di stabilità?” E Moro rispose con la saggezza che era sua tipica e la puntualità: “Guardi, lei deve preoccuparsi della stabilità della linea politica, a chi la porta avanti ci pensiamo noi!”. Ed era un fatto molto luminoso: dovete preoccuparvi della stabilità della linea politica. In effetti, la instabilità dei governi – i governi di questa prima fase della Repubblica durano in media un anno – era – vi prego di prestare attenzione su questo punto – una garanzia democratica. Sapete perché? Siccome non c’era alternativa alla Democrazia Cristiana e ai suoi alleati, e la DC era divisa in correnti, il timore era che la corrente che in quel momento si trovasse a governare, perché aveva vinto il congresso della DC, acquisisse un eccesso di potere, fosse troppo forte, e quindi ogni anno c’era un meccanismo per cui mediante sfiducie o varie crisi di governo si faceva cadere il governo. Ministri stabili in governi transitori. Su 233 Ministri e Consiglio dei Ministri solo 63 hanno ricevuto un solo incarico; 152 hanno ricevuto 1332 incarichi. Che vuol dire che i capi corrente erano sempre nel governo, ma chi era stato Ministro della Difesa oggi, domani non rimaneva Ministro della Difesa, ma passava a un altro Ministero, per evitare che acquisisse troppo potere in quel settore. Mi sono spiegato? Questo ovviamente ha avuto anche un effetto negativo: le burocrazie sono diventate troppo forti. Io mi ricordo che quando, a un certo punto della mia vita, tra i vari lavori che ho fatto, ho lavorato al Ministero della Giustizia, mi ricordo di aver ascoltato il colloquio che faceva un anziano usciere con un giovane usciere. Il giovane usciere chiedeva: “Ma questi come devo chiamarli?”. “Questi che sono giovani, chiamali consiglieri”. “E quelli che stanno…?”. “Quelli chiamali eccellenze che va sempre bene”. “E quest’altri?” (che erano i Sottosegretari e i Ministri). “Quelli chiamali come vuoi, tanto quelli vanno e vengono”. Effettivamente era così: le burocrazie restavano e i politici giravano. Il secondo punto è questo, vi prego di guardare la parte bassa della slide, voi sapete cos’è il voto segreto, immagino. Il voto segreto è il voto che chiede in genere l’opposizione per penetrare nelle contraddizioni della maggioranza. Nella prima legislatura – 48-53, è la legislatura del Patto Atlantico, della divisione profonda, della legge maggioritaria, la cosiddetta “Legge truffa” – su 1114 sedute delle Camere, furono chiesti solo 175 voti segreti. Nella 9° legislatura – 83-87, inizio della crisi dei partiti politici – in 634 sedute, circa la metà dell’altra, si tennero 2485 voti segreti. Quando comincia la crisi dei partiti, non c’è più la possibilità di equilibrio e di compromesso positivo, quindi si va allo scontro senza regole e senza confini. Credo che sia abbastanza importante questo dato che fa capire che, quando i partiti sono forti riescono a trovare un’intesa tra di loro e un punto di chiusura del conflitto, quando i partiti cominciano ad essere deboli, beh, è inevitabile, lo scontro va avanti sino all’inevitabile. E guardate, in un Meeting che si chiama “Tu sei un bene per me”, bisogna riflettere su questo punto, che questo vuol dire che tu non riconosci l’altro, non riconosci che l’altro potrebbe avere anche ragione e che tu hai paura di essere debole rispetto all’altro, perché se tu credi nelle tue idee e sei forte, ti confronti con l’altro, non hai timore, discuti, l’altro potrebbe avere anche ragione perché è impossibile che tutte le ragioni siano dalla tua parte e tutti i torti siano dell’altra parte. E quindi discuti, affronti. Ma se sei debole, queste cose non le fai. E’ quando sei debole che rifiuti il confronto con l’altro. Quando sei forte, il confronto lo chiedi. Guardate che questa fase non è che fu tutta rose e fiori! Fu una fase anche molto dura, con stragi, delitti terroristici, il più pesante per la vita politica italiana fu quello che vide vittima Aldo Moro. Io ho individuato tre punti chiave per farvi capire. Il primo: la regolazione del conflitto, mettere una fine al conflitto. Secondo: difendere l’autorevolezza delle istituzioni. Guardate che questo fu un fatto importantissimo e a proposito della regolazione del conflitto vi racconto un aneddoto. Quando sono entrato in Parlamento, alla Camera, nel 1979, avevo come vicino di banco parlamentare un tipo un po’ esuberante, diciamo così. Ogni volta che parlava un esponente della maggioranza, lui si alzava in piedi e sbraitava. Dopo la seconda o terza volta che fece questo, venne il segretario dell’aula, che era un compagno molto autorevole, si chiamava Mario Pochetti, si avvicinò e disse: “Guarda che tu con quello domani ci devi parlare e quindi sta attento a quello che dici!”. Era una lezione politica: con quello domani ci devi parlare! Era l’idea che al conflitto ci deve essere un termine. L’autorevolezza delle istituzioni: nessuno parlerà mai male della Camera o del Senato o del Governo. Parlerà male di quel Parlamentare, di quel Ministro, ma nessuno attaccherà mai l’istituzione: questo era molto importante. Ricordo i rimproveri che la Presidente Nilde Iotti faceva al suo partito quando eccedeva nell’ostruzionismo: “Guardate, state attenti che voi state buttando giù il Parlamento! Il Parlamento siete anche voi! State esagerando!”. E lo diceva in modo molto duro. Il terzo punto, che è un po’ difficile e spero di essere in grado di spiegarlo, che in quel momento matura fortemente e che oggi temo che non ci sia, è la consapevolezza del ruolo che ciascun partito aveva nella storia del Paese. Ogni partito politico dovrebbe chiedersi: io che ci sto a fare in questo Paese? Che ruolo ho? Che cosa voglio per il futuro, non per il presente, per l’oggi? Come voglio costruire questo Paese? Che tipo di storia voglio realizzare? Io vi invito per esempio a leggere – lo trovate sui siti – il discorso che fece Aldo Moro quando si parlava dello scandalo Lockheed, in cui erano coinvolti i Ministri democristiani e la DC si difendeva. Ecco, quello è un momento molto alto, dove non c’è un insulto di Moro, ma non perché era Moro, quando il discorso era di quel livello, c’era un ragionamento. Ad un certo punto, sapete qual è la frase più dura che dice Moro? Dice questo: “E se voi aveste saggezza, cosa della quale a volte c’è motivo di dubitare …”, e poi continua. Non è questo un insulto terribile, però è un punto per richiamare l’attenzione a un maggior equilibrio e così via. Questi sono i tre punti: la consapevolezza di che ci sto a fare io, di qual è il mio ruolo in questo Paese è fondamentale per la vita politica dei partiti. Un partito che non si ponga questa domanda non è un partito, è semplicemente una fazione. La seconda fase della storia del Paese va dal ’78 all’89. In questa fase si realizza un progressivo allontanamento dei partiti dalla società: è l’effetto del compromesso storico e poi di un documento che va sotto il nome di “Preambolo Forlani”, che l’allora Ministro Forlani presentò al congresso del Partito Democristiano che si tenne nel 1980, in cui si stipulava un’intesa col PSI e si mettevano d’accordo i partiti per escludere da ogni tipo di collaborazione politica il PCI. Non che fosse giusto o sbagliato, il problema qual era? Se tu ti proibisci la possibilità di parlare con un partito politico, è chiaro che ciascuno diventa ostaggio dell’altro. Ti precludi la possibilità di una dialettica, di un discorso, di un confronto. Questo accadde in quella fase. E in quella fase comincia un indebolimento dello spirito repubblicano, comincia a prendere piede fortemente nel nostro Paese il liberismo. Sono gli anni della forte presenza del PSI nella vita nazionale, e soprattutto c’è Reagan negli Stati Uniti dall’81 all’89, sostenitore di una forte politica liberista in economia, e la Thatcher in Inghilterra: due grandi personalità che sono fortemente antisolidaristiche. Sono fortemente per l’individuo: non esiste il popolo – come dice la Thatcher -, esistono le persone e basta. Queste due personalità condizionano fortemente il decennio che va dal ’78 all’89. E c’è un punto su cui vorrei richiamare l’attenzione: la spesa pubblica raggiunge il suo picco più alto negli anni ’80. Come mai? Sapete perché? Perché in quel decennio – che è il decennio della forte statalizzazione dei partiti, che si chiudono all’interno delle istituzioni – per tenere un rapporto positivo con la società, con i cittadini, si usa la spesa pubblica. La spesa pubblica esplode perché bisogna tenere insieme il Paese: non lo tieni con i comportamenti, non lo tieni con le regole, non tieni questo Paese unito sulla base di una prospettiva sul futuro, perché c’è uno scontro durissimo, senza limiti tra forze politiche, e allora usi la spesa pubblica. E noi stiamo ancora pagando quella situazione lì. Bene. Andiamo alla terza fase. La fase che va dal 1990 ad oggi. Tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 maturano quattro grandi eventi: il primo è la fine del bipolarismo internazionale nell’89, il secondo è il Trattato di Maastricht, che impedisce di fare un uso dissennato della spesa pubblica, il terzo è Tangentopoli nel ’92, il terzo è il Referendum del ’93 per il passaggio da un sistema elettorale proporzionale a un sistema maggioritario. Perché dico che sono importanti? Perché la fine del bipolarismo internazionale pone fine a un dato di fondo: la funzione della DC e dei suoi alleati di “diga anticomunista”. Il Comunismo non c’è più. E io ricordo alcune conversazioni con l’allora Presidente Cossiga, che aveva previsto chiaramente già dall’84 – ’85 la crisi e la dissoluzione del sistema Sovietico, e diceva: “I miei non hanno capito che saranno i primi a cadere sotto quelle macerie, perché il sistema Sovietico serve più a loro che a voi”. Perché lo spauracchio di quel sistema comportava un voto in quella direzione. Quando il sistema sovietico crolla, non c’è più motivo di votare in quella direzione e soprattutto tutti coloro che sostenevano economicamente quel partito e anche altri partiti, quando il fantasma comunista si dilegua, smettono di pagare, anzi prima che ce lo vengano a dire i giudici, andiamo noi a raccontare che abbiamo pagato ed ecco tangentopoli con quello che segue.
Il trattato di Maastricht pone un limite forte alla spesa pubblica, col referendum del 1993 prevale l’idea che il sistema deve essere maggioritario, questo vuol dire che i cittadini scelgono nelle urne la maggioranza che deve governare il Paese. Il voto proporzionale è un voto delegante, decide il Parlamento che alleanze fare, il sistema maggioritario è un sistema decidente, sono i cittadini che decidono e gli italiani al referendum votano per il sistema maggioritario. In questi anni si verifica un fenomeno sul quale riflettere – slide n. 10 -. Prima del ’92 il sistema prevedeva il blocco: le elezioni erano caratterizzate da piccolissimi spostamenti di voti, prendere il 2% in più era una grande vittoria. Poi accade che nel ’92 avviene un fenomeno strano. Dopo la caduta del muro di Berlino e l’inizio di Tangentopoli, si presenta sulla scena politica un uomo, Silvio Berlusconi, che non viene dalla politica. E’ un uomo della società, che capovolge gli schemi e dice: “Io non sono un partito, io sono un pezzo della società contro la politica, io sono società” e tutti gli altri lo seguono su questo e allora comincia la critica alla politica fatta dagli stessi partiti. Si verifica così il fenomeno che si vede nella parte inferiore della slide: tutta la società da una parte, la politica dall’altra, con un meccanismo di populismi che si inseguono e che portano alla situazione attuale, a una grande divaricazione tra società e politica. Non solo l’uomo che ho citato, ma anche gli altri che lo inseguono e anche oggi lo inseguono, parlano più della importanza della politica, della responsabilità in positivo della politica. Tutti parlano come se fossero pezzi della società e si verifica questa rottura fra società e politica: è la fase del forte consolidamento liberista. I doveri, anche al giorno d’oggi, sono ricoperti di un velo di ignoranza, c’è una esplosione di diritti, non dei diritti sociali, ma dei diritti di carattere individuale, sino al punto, molto delicato, che persino il desiderio si trasforma in diritto. Desiderare una cosa è un diritto e ti batti perché ci sia, poi trovi qualche giudice che dice che quella cosa deve venir riconosciuta sulla base di successive interpretazioni e la riconosce. A me ha colpito molto la vicenda di quello strano personaggio che aveva inventato il trattamento Stamina che curava il cancro, ma che in realtà era del tutto ininfluente, se non dannoso. Lui aveva stipulato un’intesa con gli Ospedali riuniti di Brescia, per cui a carico del Sistema Nazionale Sanitario si poteva accedere a quella cura, poi, in realtà, si capì che era una truffa. Il Ministero, un po’ debole, emise una legge che disse che il metodo Stamina poteva essere continuato da che lo aveva già iniziato, ma non poteva essere somministrato a chi non lo aveva ancora iniziato. La cosa era un po’ cervellotica però c’era una legge. Moltissimi malati, pur non avendo iniziato il trattamento – la disperazione spinge a tutto! -, chiesero di cominciare il trattamento Stamina, di poterne godere a spese del SSN (Servizio Sanitario Nazionale). Molti giudici li autorizzarono, violando completamente la legge, in nome del diritto alla salute. Questo è un caso, ma ce ne sono tanti altri, penso ad esempio alla questione delle adozioni, è diventato il diritto al figlio da parte dei genitori, non del diritto del bambino ad avere dei genitori. L’adozione è il diritto del bambino ad avere dei genitori, non il diritto dei genitori ad avere un figlio, perciò il giudice sceglie la famiglia adatta per quel bambino che esiste e ha diritto ad una famiglia per crescere bene e il giudice fa questo faticoso lavoro di cercare dei genitori che vadano bene per quel bambino. Non è che devi cercare un figlio per quella coppia. Però la trasformazione dei desideri in diritto porta a questi eccessi. E’ legittimo ed umano desiderare un figlio, quello che non è, a mio avviso, corretto e giusto, è che tu ne abbia diritto. Quella è un’altra cosa.
Ora andiamo alla fase finale. La situazione del nostro Paese non è facile, ma non è una situazione che riguarda soltanto il nostro Paese. La slide n. 12 è tratta da un studio che ha fatto l’Economist nel 2010, che riguarda la iscrizione ai partiti politici. In Austria, Finlandia, Norvegia, Gran Bretagna… c’è un calo in tutti i Paesi europei. Nella slide successiva vediamo la diminuzione della partecipazione al voto, che diminuisce dappertutto., Aggiungo un dato, negli ultimi 10 anni, le democrazie nel mondo sono diminuite, c’è una fase di diminuzione di democrazia. Questo è un tema che ci deve far riflettere a fondo, perché alcuni difetti che pensiamo siano nostri in realtà sono problemi di fondo di tutto il mondo occidentale. Questo perché la democrazia non è una pura tecnica di governo, è capacità di governo legata alla realizzazione di valori. Faccio un paragone: quando c’era il problema della Siria, Obama ha dovuto sentire la Camera dei Rappresentanti, a maggioranza repubblicana, il Senato a maggioranza repubblicana ed è rimasto imballato. Putin in quattro e quattr’otto ha mandato i suoi bombardieri a bombardare, ha guadagnato una fase, ha liberato Palmira e quella zona, ha fatto sminare Palmira e ha fatto un grande concerto in quella straordinaria città romana. Allora, se si prescinde dai valori, è più efficace quel sistema che quello americano. Se si prescinde dai valori, la democrazia soccombe di fronte all’autoritarismo. Il problema è di capire che in fondo la democrazia non è solo una tecnica di governo, è una tecnica di governo legata ad alcuni valori, quei valori garantiscono la possibilità che ciascuno possa avere un destino ed un futuro in quel Paese. L’autoritarismo cancella la possibilità di un futuro per alcuni soggetti. E’ chiaro che se sei dalla parte dei vincitori ti conviene il sistema autoritario, ma puoi perdere domani. Poi c’è un dato di fondo, i sistemi autoritari si reggono sulla menzogna, i sistemi democratici si reggono sulla faticosa ricerca della verità e perciò sono anche più esposti dei sistemi autoritari. Nei sistemi autoritari c’è la censura su quello che accade, nei sistemi democratici invece si devono dire le cose anche quando non vanno bene. Questo è molto spesso preso come un segno di debolezza di quella democrazia, mentre credo che bisogna riflettere sul fatto che quella democrazia ha gli strumenti per svelare le cose che non vanno e quindi è un punto di forza. Questo è un problema che hanno tutte le democrazie. Qui ci sono due punti sui quali voglio richiamare la vostra attenzione: il primo punto riguarda una esposizione di come Scelba, Ministro del Interni del 1960, presentò la prima tribuna politica per le elezioni indette.
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Scelba afferma che le elezioni sono una cosa seria, non possiamo lasciarle a delle controfigure. Oggi se si deve scegliere un candidato, deve essere bello o deve essere bella, che sappia di politica serve abbastanza poco, fare il Ministro o il Sindaco non c’entra. E’ un dato su cui occorre riflettere.
Un secondo punto è un pezzo del Diario di Benedetto Croce (slide n. 16)
E’ l’ 8 settembre ’43 e scrive: “Sono stato sveglio per alcune ore tra le 2 e le 5, sempre fisso nel pensiero che tutto quanto le generazioni italiane avevano da un secolo a questa parte costruito politicamente, economicamente e moralmente è distrutto, irrimediabilmente”.
Leggo questa frase perché, mentre Croce scriveva queste cose, migliaia di giovani, ragazzi e ragazze italiani che non avevano mai letto Hegel, non conoscevano Kant, presero le armi ed andarono a combattere per la libertà dell’Italia. Questo vuol dire che non sempre le classi dirigenti sanno cosa bisogna fare e che molto spesso bisogna leggere la storia del Paese, come dire, fra due facce, classe dirigente e popolo. Abbiamo discusso a lungo con Giorgio Vittadini ed altri amici su come nella mostra cercare di dare insieme questi dati, popolo e classe dirigente insieme, perché questo fa la forza di un Paese. Ultima riflessione sulla crisi di oggi che sottopongo alla vostra attenzione: le civiltà si distruggono non per omicidio, ma per suicidio, le grandi civiltà sono crollate su se stesse per una malattia interna che non sono riuscite a combattere. Abbiamo un punto di fondo, capire che i problemi della nostra democrazia non sono solo della nostra, sono problemi della democrazia. Questi problemi possono essere superati se noi rimettiamo al centro della nostra vita alcuni concetti repubblicani di fondo, quali la solidarietà, la partecipazione politica, il senso del dovere, sentirsi parte di una comunità che deve andare avanti, che deve procedere. Non dobbiamo aspettare che qualcuno da fuori ci mobiliti e ci chiami. C’è un problema serio, quello di formarsi, di sforzarsi di capire di più, di fare con oculatezza scelte politiche, è attraverso questo processo che si incontrano gli altri e che si cominciano a fare domande di fondo al sistema politico e alle parti politiche. Io credo che ci sia bisogno di una responsabilizzazione maggiore dei cittadini e che questo produca effetti positivi. Credo che ci voglia più Repubblica, più valori repubblicani dentro la nostra vita e dentro la vita del nostro Paese.
GIORGIO VITTADINI:
Chiamerei i ragazzi che devono fare le domande.
ELISABETTA, STUDENTE UCSC:
Volevo fare una domanda legata alla mostra, legata ad una citazione presa dal primo video di Togliatti, quando dice che dopo la guerra il popolo italiano non aveva più niente da mangiare, ma aveva la speranza, una speranza con cui ha ricostruito il paese. Dato che questo popolo aveva visto solo distruzione e il sangue dei propri fratelli, non aveva una casa, non aveva nulla, mi chiedo: da dove nasce questa speranza che poi ha portato alla ricostruzione del Paese?
MARCO STUDENTE STATALE MILANO, SCIENZE POLITICHE:
Anch’io mi riferisco alla mostra dove spesso viene detto che bisogna recuperare le origini di questa possibilità di incontro con l’altro pur nella differenza. Però mi chiedo: dopo 70 anni di storia repubblicana, come possiamo veramente recuperare l’origine, quello che c’era all’inizio?
MARCO STUDENTE STATALE MILANO, GIURISPRUDENZA:
Lei ha iniziato la sua lezione parlando della virtù civica. Io mi chiedo: dove nasce questa virtù civica, qual è l’origine, come stimolarla negli altri in un momento di forte disinteresse come lei ha detto nella sua lezione e perché conviene ad uno studente come me reimplicarsi nella vita politica italiana e del mondo, in particolare in questo momento di possibili grossi cambiamenti?
EMANUELE STUDENTE, SCIENZE POLITICHE:
Nei primi anni della Repubblica l’Italia viene retta da un sistema, tra virgolette, a partito unico, seppur con un notevole ricambio dovuto alla instabilità di governo, però sempre con gli stessi personaggi nei ruoli apicali dei Ministeri e della Presidenza del Consiglio. Nonostante ciò l’Italia rimane una democrazia universalmente riconosciuta, come è possibile questa coincidenza?
LUCIANO VIOLANTE:
Mi riallaccio a tutti e quattro le domande dei ragazzi.
La speranza, da dove viene dopo la guerra?
Innanzi tutto c’era da ricostruire e si vedeva che si stava ricostruendo, non c’era soltanto il dato “bisogna ricostruire”, si cominciava lentamente a mettere in piedi il Paese. Quando si comincia a vedere che una cosa si fa, è chiaro che poi i cittadini si mobilitano. C’erano forze politiche che davano quella speranza. Questa è una cosa di grande importanza – non sono cattolico, ma ho imparato dai cattolici – il problema della speranza, ma non della speranza astratta, della speranza operante, qualcosa che assomiglia all’azione. In quella fase ci fu una grande forza di capacità di dare un futuro: non solo si voleva un futuro, ma lo si poteva costruire. Questo fu un grande merito di quelle forze politiche.
Sulla seconda domanda c’è un punto di fondo che in qualche modo è legato alla prima: quando si ha fame ci si muove con maggiore forza, se non capisco male il senso della domanda era questo. Oggi tutto sommato non siamo così distrutti e quindi cosa ci può dare la forza per costruire? Guardate, non c’è soltanto il principio di convenienza nella vita, ci sono anche doveri civili che prescindono dalla convenienza. L’essere cittadino è una responsabilità, essere donna e uomini è una responsabilità, non è che uno debba soltanto curarsi della propria convenienza, siamo parte di una comunità, di un insieme di persone e stiamo meglio se anche gli altri stanno meglio. Uno dei frutti velenosi del liberismo è la frantumazione sociale e che ognuno cerca di curare il suo egoismo individuale. Guardate le reclame, la pubblicità delle automobili: “uscite dalle regole”, “dai spazio al tuo spirito di avventura” o “la passione è qui”, nulla che invita alla riflessione, allo stare insieme. Ricordo la pubblicità di un amaro, in cui c’era un camion con un cavallo sopra che si rovesciava e quindi tutti correvano a soccorrere il cavallo e nessuno si occupava dell’autista del camion, poi, dopo aver salvato il cavallo, tutti si bevono l’amaro, ma nessuno si occupa di sapere che fine aveva fatto l’autista del camion. Perché? Perché il cavallo è qualcosa di virile, lo prendi, lo salvi, lo porti su, tutti contenti.
La pubblicità è importante perché dà il segno dello spirito del tempo.
Vi prego di guardare, da questo punto di vista, il tipo di pubblicità che trasmettono e questo è lo spirito del tempo. Però si deve anche combattere contro lo spirito del tempo. Permettetemi di dirlo in questa sede: chi ha fatto andare avanti il mondo sono state le eresie. Sono le minoranze, non sono le maggioranze, la minoranza ha anche l’intelligenza di migliorarsi, conquistare consenso e quindi ribaltare i rapporti, è chi si adagia sul comodo e sul presente che non cambia nulla ed è anche un fattore della peggiore conservazione. Lo so che è difficile, ma vivere non è uno scherzo, vivere comporta dei doveri, delle responsabilità, comporta uno sguardo che vada oltre il contingente e vivere ha un senso se inteso così, ma se vivere è solo pensare a quello che è il proprio quotidiano immediato, quella non è vita. La vita dà un’altra soddisfazione quando mi impegno in quel senso. Perciò io capisco il senso della domanda e ringrazio chi l’ha fatta, ma il punto è proprio questo: bisogna vedere che significato ognuno di noi dà alla vita. Se la vita è impegno, responsabilità, scusate, tutti i volontari che rendono possibile questa festa, li ha obbligati qualcuno? Hanno maturato un’idea di cosa è la propria vita.
10/15 giorni l’anno si può fare questa cosa e poi se ne farà un’altra. Si può fare qualcosa per gli altri. Torno al titolo di questo Meeting, non è una espressione angelicata “Tu, sei un bene per me”, comporta delle responsabilità. Capisco il senso della domanda, ma bisogna prima riflettere sul senso che ha la propria vita e scoprire se questo senso dà la forza di andare avanti.
Le virtù civiche, perché conviene impegnarsi? E’ la stessa cosa che ho già risposto alla domanda precedente: è la vita che è un impegno. L’impegno non è separato dalla vita. La vita per essere degna di essere vissuta deve essere un impegno, piccolo, grande, medio, ciascuno secondo le proprie possibilità e secondo le proprie disponibilità, ma ci deve essere una idea di fondo alla base della vita e non sono l’accumulazione, l’egoismo e la convenienza. La politica ha anche una funzione pedagogica, le classi dirigenti hanno una grande responsabilità, che è quella di creare opinione. Io vedo che purtroppo classi della politica dirigenti, senza fare di tutte le erbe un fascio, sarebbe sbagliato, sono vittime del sondaggio. Il sondaggio è lo spirito di quella maggioranza in quel momento, in quel giorno, in quell’ora. Perché fino ad alcuni anni fa del sondaggio non c’era bisogno? Perché il politico stava nella società e sapeva benissimo cosa pensava e cosa voleva la società, non c’era bisogno dei sondaggi, sapeva benissimo quali erano i bisogni e le domande e così via.
Ma se tu stai fuori dalla società, è chiaro che devi andare a vedere cosa vuole la società. Però io credo che dipenda dal senso che si dà alla propria vita: se dai un senso per cui tu devi dare qualcosa anche per l’altro e anche per il tuo futuro e per quello che deve essere la comunità del futuro, è chiaro che la virtù civica si sviluppa, la partecipazione come valore diventa qualcosa di positivo.
La domanda specifica: come mai la DC, partito unico, non ha dato origine ad una forma autoritaria dittatoriale?
Innanzi tutto aveva attorno piccoli partiti molto condizionanti (liberali, repubblicani, socialdemocratici) che non le lasciavano fare quello che voleva, perché erano necessari per le maggioranze. Secondo, perché questa divisione in correnti era un indebolimento della forza del partito, e creava degli equilibri all’interno del partito che facevano sì che ci fosse una conduzione democratica. La DC era un partito democratico, non ci fu conduzione autoritaria perché quello era un partiti democratico, non un partito autoritario, con tutti i suoi difetti, i suoi limiti e anche i suoi aspetti positivi, era una forza democratica. Non è che un partito perché è unico al governo, è per sé autoritario. I conservatori inglesi sono unici al governo e non è che quello è un governo antidemocratico. La Merkel adesso sta da sola al governo. Quindi il problema non è essere soli, dipende da come è fatto quel partito. Anche un partito di minoranza autoritario è pericoloso, perché la minoranza autoritaria banalizza e semplifica, e se banalizzi e semplifichi induci nella società meccanismi di banalizzazione e di semplificazione. La prova di banalizzazione è una lezione di Aldo Moro di cui ero stato allievo per un certo periodo. Quando si andava all’università si portava, io mi sono laureato a Bari, un manuale di diritto penale e poi un libro di Aldo Moro, scritto metà in tedesco e metà in italiano. La parte più chiara era quella in tedesco, perché in quella in italiano non si capiva un tubo, e allora un mio collega, un amico, mi disse: “Luciano, tu conosci il tedesco, perché non fai una sintesi di questo libro e lo vendiamo?”. “Guarda, io di venderlo non sono capace, una sintesi sì, la faccio volentieri”, e passai l’estate a sintetizzare, e devo dire che sono abbastanza contento di quel lavoro. Io poi diventai assistente alla cattedra di diritto penale. Dopo circa un anno l’usciere mi disse: “Guardi, dottore, la sta cercando il Presidente Moro”. Io andai dal Presidente Moro e lui mi disse: “Dottore, non so se lei sa, io non prendo diritti sui miei libri, però il mio editore mi dice che da due anni nessuno compra più Unità e pluralità di reati” che era il libro che avevo sintetizzato. Io, capendo dove si andava a parare, dissi: “Guardi Professore, abbiamo fatto con alcuni colleghi una guida allo studio del libro, che è un po’ difficile, per semplificare la lettura”. “No, non è questo, mi permette di consegnarle un insegnamento?” “Certo” “Vorrei che lei avesse chiara la differenza tra semplificare e banalizzare: chi semplifica toglie consapevolmente il superfluo, chi banalizza toglie inconsapevolmente l’essenziale. Dottore, se vuole può andare”. Io capii che non avevo semplificato, avevo banalizzato, era questo il senso. Ecco, allora dico a voi giovani, state attenti a tenere presente questa distinzione tra chi semplifica e chi banalizza e tenete presente sempre nelle cose l’essenziale.
Per quanto riguarda l’incontro di oggi, a me pare che il dato che dobbiamo tutti, a partire da me, tenere presente è che la vita è un impegno, è una responsabilità, e va vissuta come impegno e come responsabilità, anche sul piano politico e civile. Grazie.
GIORGIO VITTADINI:
Ringraziamo il presidente, penso che abbiamo avuto non solo una lezione di storia ma una lezione di umanità, e penso che questo sia lo scopo di questo Meeting e di questa mostra. “Tu sei un bene per me”, Luciano Violante è un bene per noi. Grazie.