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L’imprevedibile istante. Giovani per la crescita
L'imprevedibile istante. Giovani per la crescita - Focus Mostre - IlSussidiario.net - TgMeeting 2012
«L’imprevedibile istante. Giovani per la crescita» è il titolo della mostra che Fondazione per la Sussidiarietà e Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, con la collaborazione di un gruppo di studenti universitari, promuoveranno in occasione della prossima edizione del Meeting (Rimini, 19-25 agosto 2012). L’iniziativa si colloca sulla scia del lavoro svolto sui “150 anni di sussidiarietà” (e proposto in una mostra inaugurata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo scorso agosto).
1. Il contesto
La crisi economica globale sta favorendo una pesante recessione, frutto del forte rallentamento del sistema produttivo italiano iniziato ormai da tempo, con conseguenze pesantissime sull’occupazione soprattutto giovanile.
Ma cosa può favorire una crescita che rilanci sul piano economico, sociale, culturale e politico il nostro Paese? Innanzitutto occorre capire che nell’era della globalizzazione non possiamo pensare che il nostro sviluppo dipenda solo da come risolviamo i nostri problemi internamente. La nostra quota sulla produzione mondiale diminuisce anche perché gli operai e gli imprenditori coreani, vietnamiti, cinesi, brasiliani, sudafricani, indiani lavorano ed esportano di più per uscire dal sottosviluppo. Se non vogliamo divenire un Paese povero, prima di discutere come distribuire una torta sempre più esigua dobbiamo chiederci come produrla reggendo una concorrenza internazionale sempre più spietata.
Inoltre, occorre tenere conto che i modelli di crescita che hanno finora guidato le economie occidentali hanno mostrato tutti i loro limiti.
I meccanismi finanziari, strumento necessario per lo sviluppo non solo economico, ma anche sociale, sono stati forzati oltre il limite ragionevole imposto dalla realtà. Le banche, indebolite dalle speculazioni, per rifarsi, hanno smesso di finanziare le imprese, le imprese sono saltate ed è crollata l’occupazione. Ci ha rimesso la gente comune. Il vero danno quindi è consistito nello snaturarsi della dinamica del credito per tutti, con una perdita generalizzata di fiducia.
Il welfare state, pur con i suoi limiti culturali, ha avuto il merito storico di permettere l’universalità dei servizi del welfare e l’uguaglianza di trattamento verso ogni cittadino. Oggi, mancano i soldi e si vede come sia stato utopico e dannoso pensare di risolvere i problemi sociali pompando il debito pubblico. La letteratura sul tema rileva inoltre come i sistemi basati sul welfare state centralista e monopolista, oltre a non fornire incentivi all’efficienza e all’innovazione dei servizi, sono inadeguati ai bisogni degli utenti, peccano di paternalismo e si fondano su una conoscenza superficiale dei bisogni. Inoltre, contrariamente a quanto generalmente ritenuto, sono tendenzialmente iniqui: in un sistema che non incentiva la libera scelta e la responsabilità dell’utente, le persone povere e poco istruite sono meno in grado di usufruire adeguatamente dei servizi erogati, mentre le persone ricche e istruite trovano più facilmente il modo di superare la rigidità e l’uniformità del sistema, ottenendo le opportunità più corrispondenti alle loro esigenze. Inoltre, la scarsità delle risorse imporrà la diminuzione dei servizi, danneggiando maggiormente le persone già povere.
In cosa sperare allora, su cosa ricostruire?
Torna di attualità l’apologo di Menenio Agrippa: se vince una fazione, se le regole nascono da una guerra civile non dichiarata moriamo tutti. A chi vuole sinceramente un clima di convivenza pacifica e operosa si oppongono: una mentalità statalista di molti, restia ad ogni cambiamento nel sistema pubblico; gli interessi particolari di chi vuole difendere i suoi privilegi; e un mai morto giustizialismo mediatico e politico che cerca di utilizzare le inchieste giudiziarie per far fuori l’avversario e dar spazio all’antipolitica.
Occorre perciò favorire e sostenere quelle forze che pur da posizioni diverse, così come è avvenuto quando si è dato vita alla Costituzione Repubblicana, si battono per riforme economiche, politiche e giudiziarie che ripristinino regole del gioco eque per tutti. In un clima di guerra civile e di demonizzazione dell’avversario non può esserci affermazione del bene comune.
L’appello a riforme condivise però non basta: per ritrovare la nostra strada allo sviluppo occorre partire da quanto di positivo, capace di generare bene comune è già in atto, in modo che le riforme possano fungere da moltiplicatore di questi esempi di positività.
Occorre ripartire dalla virtuosa “anomalia italiana”, la capacità di iniziativa di tanti “io” che dal basso e liberamente, motivati da ideali diversi, hanno collaborato creativamente a generare opere sociali, economiche, educative, in risposta ai bisogni personali e di tutti.
Occorre liberare creatività, desideri, spirito di iniziativa, per fare di queste energie diffuse il motore di un nuovo sviluppo e di un equilibrio sociale più giusto.
La storia del nostro Paese ha dimostrato che ogni crisi può essere un’opportunità di nuova costruzione e conoscenza per chi è educato a vivere fino in fondo il proprio desiderio.
Per questo «L’imprevedibile istante. Giovani per la crescita» mette sotto i riflettori una parte cruciale della vita personale e sociale, quella in cui si mostra la capacità di un popolo di progettare il suo futuro: il momento che va dal periodo degli studi all’inizio dell’attività professionale.
La mostra, in particolare, descrive il percorso dei giovani che dopo la scuola superiore accedono all’università e poi al mondo del lavoro, oppure che frequentano una scuola professionale per avviarsi al lavoro. L’iter verrà descritto attraverso la documentazione di esempi virtuosi, esperienze che meglio sembrano affrontare i bisogni e le difficoltà, soggettive e riconducibili a “difetti” del sistema, incontrate nelle varie fasi (formazione professionale, università, lavoro post-universitario, studio all’estero, ecc…).
Quanto di meglio c’è in Italia, povera di altre risorse, viene dall’intelligenza, dalla creatività, dall’energia costruttiva – da ciò che gli economisti chiamano capitale umano e sociale – delle persone e dei “corpi intermedi” che esse costituiscono. Anche alla luce di questa considerazione, l’“emergenza educazione”, intesa come “introduzione alla realtà totale” (secondo l’espressione di J. A. Jungmann resa celebre da don Giussani), è più che mai attuale.
Non è possibile alcuna svolta senza un popolo che prenda coscienza di sé, del suo valore e delle opportunità che gli sono date dal corso della storia.
2. La scuola
La scuola italiana burocratica e centralista pretende di fornire equità e qualità e invece perpetua ineguaglianze sociali e mediocrità. Statalismo e centralismo impediscono l’autonomia delle scuole pubbliche e la vera parità delle scuole libere; mortificano la professionalità e la creatività degli insegnanti, ridotti a impiegati senza stipendio adeguato e senza valorizzazione del merito; in alcune aree del Paese rendono la scuola strumento per garantire occupazione clientelare e non veicolo di un progetto educativo e formativo; appiattiscono il merito degli studenti; considerano l’istruzione professionale e i mestieri che vi si insegnano, anziché patrimonio da tutelare, istituzioni di serie b. Da ultimo: la quota di abbandoni scolastici è drammatica e la mobilità sociale prodotta dalla scuola è scarsissima.
Se i limiti della scuola italiana sono noti, lo sono meno le esperienze virtuose che la popolano. Come illustrerà ampiamente la mostra, molti docenti di scuole statali inventano strumenti di aggiornamento con lo scopo primario di sostenere il proprio desiderio di conoscere e crescere nella coscienza di se stessi e del proprio compito. Per aiutare gli studenti in difficoltà, si moltiplicano doposcuola liberi che, oltre al sostegno allo studio, svolgono l’importante funzione di integrare ragazzi che provengono da famiglie straniere. L’esigenza di dare una svolta alla qualità delle scuole, spinge molte scuole libere e paritarie a sperimentare nuove strade didattiche e educative. Anche nella formazione professionale si intravvedono importanti novità: la collaborazione tra imprese e realtà sociali sta permettendo di salvare dall’abbandono scolastico molti ragazzi insegnando loro nuovi mestieri necessari alle imprese e disertati da giovani anche disoccupati.
Tutto ciò va nella direzione di importanti studi internazionali che suggeriscono come qualità e mobilità verticale nella scuola siano possibili solo se si afferma autonomia, libertà, creatività di docenti e studenti, autonomia delle scuole nell’assunzione dei docenti, nelle scelte finanziarie e nella determinazione dei programmi, effettiva parità tra scuole pubblica e paritaria, doppio canale tra formazione professionale e scuola tradizionale.
3. L’università
Come sappiamo, anche in questo ambito i problemi non mancano: la quantità dei laureati italiani è minore di quella dei principali Paesi sviluppati; l’appiattimento qualitativo impedisce una mobilità verticale, non viene curata l’eccellenza con master e dottorati; la recente proliferazione di sedi e corsi di laurea è avvenuta spesso a discapito della qualità. Accanto a questi problemi si vedono però segnali confortanti a cui la mostra darà ampio spazio. Si racconteranno le storie di molti giovani ricercatori italiani che raggiungono vette di eccellenza studiando e lavorando in Italia. Si descriveranno le vicende umane e professionali di molti giovani che, accettati in dottorati e post doc nelle più prestigiose università mondiali, sta costruendo un ponte con le università italiane. Sul fronte della didattica, si presenteranno iniziative di orientamento gestite da associazioni studentesche che aiutano l’ingresso in università di studenti spesso isolati e disorientati. Si descriveranno altresì iniziative culturali svolte spesso con la collaborazione di docenti di fama, italiani e stranieri, che integrano corsi istituzionali ad approfondimenti tematici su diversi contenuti: letterari (autori che costituiscono il fondamento della nostra civiltà), scientifici (ad esempio, la nascita dell’universo), giuridici (lo scenario dei nuovi diritti dell’uomo), economici (ad esempio, le conseguenze della crisi sulle teorie economiche), linguistici (ad esempio, lo studio di nuove lingue quali l’arabo), ambientali (ad esempio, le nuove concezioni di agricoltura che tengano conto dell’impatto ambientale).
Inoltre, nell’ottica di un sostegno al percorso dei meno abbienti, ancorché meritevoli, si presenteranno iniziative di housing e cooperazione sociale che permettono di sopperire alle carenze dell’organizzazione universitaria. Tutti questi esempi mostreranno come la via alla ripresa dell’università italiana si colloca nel solco delle migliori esperienze internazionali: il libero competere di forze intellettuali in istituzioni autonome nel cercarsi mezzi finanziari da iscrizioni, progetti di ricerca, donazioni.
4. Sezione lavoro
La burocrazia e la rigidità del nostro mercato del lavoro rende difficile l’ingresso dei giovani. Confondendo precariato con flessibilità si ostacola l’ingresso dei giovani e la possibilità che compiano un percorso nel mondo del lavoro, come richiede la situazione dell’economia moderna. Non concependo l’istruzione come un long life learning si rinuncia ad essere pronti per affrontare i cambiamenti tecnologici e organizzativi chiesti dalla globalizzazione. Inoltre, difendendo sacche di lavoro clientelare create nella pubblica amministrazione si impedisce il ricambio generazionale. Mille ostacoli burocratici ostacolano la creatività e la propensione al rischio imprenditoriale dei giovani. L’esito è un mondo del lavoro caratterizzato: da una fortissima disoccupazione giovanile e da una intollerabile quantità di giovani che non hanno né un’occupazione, né sono inseriti in percorsi scolastici o formativi (Neet, Not in Employment, Education and Training); da una età molto elevata di ingresso nelle attività professionali; da mancanza di laureati e personale tecnico qualificato tra i più giovani; dalla difficoltà a creare nuove imprese giovanili e a dare il ricambio agli imprenditori con più esperienza.
Eppure, in questo quadro, come documenterà la mostra, non mancano iniziative che segnano una svolta. Si stanno, ad esempio, diffondendo iniziative di outplacement di università o loro consorzi o realtà sociali, interventi solidali per orientare al primo lavoro diplomati o laureati, agenzie che orientano le nuove leve al lavoro nelle diverse forme possibili, realtà formative che aiutano i giovani ad avviare nuove imprese anche mettendoli in contatto con santuari internazionali dell’innovazione e dello sviluppo. Si moltiplicano le esperienze di molti che accettano la via impervia di continuare a formarsi on the job, come avviene in tanti Paesi esteri, di riciclarsi o addirittura di cercare soluzioni lavorative in altri Paesi.
Nel contesto di crisi non mancano iniziative imprenditoriali giovanili di successo, nate con pochi soldi ma tante idee, tanto coraggio ed entusiasmo, capaci di esportare e operare sui mercati mondiali, investire, occupare. Non mancano le storie di chi, concependo il lavoro come un percorso, sta rischiando la sua capacità di intrapresa e genera così ricchezza e lavoro per altri.
Cos’hanno in comune questi esempi virtuosi? Che non intendono affidarsi alle magie utopiche della finanza e nemmeno a illusioni assistenzialiste, ma vogliono essere responsabili del loro futuro.
5. Sintesi
In sintesi, le esperienze virtuose documentate sottolineano il valore di due grandi direttrici culturali (fondamento della Dottrina sociale della Chiesa): sussidiarietà e solidarietà, che sottendono una nuova idea di esperienza umana. Non quella dell’io egoista concepito da molti intellettuali come motore della vita economica e politica; né quella dell’io deresponsabilizzato che aspetta dalla politica la risoluzione dei suoi problemi; piuttosto quella della persona nella sua unicità e grandezza, irriducibile a ogni circostanza avversa perché mossa da un desiderio infinito che non può mai spegnersi.
«Quando infatti la morsa di una società avversa si stringe attorno a noi fino a minacciare la vivacità di una nostra espressione e quando una egemonia culturale e sociale tende a penetrare il cuore, aizzando le già naturali incertezze…» è il momento della persona, il momento in cui si risveglia il desiderio, la scintilla dell’umano, la percezione che l’essere pienamente uomini non può essere ridotto dalle circostanze. Quello che fa brillare per la prima volta lo sguardo di Ciàula, il protagonista della novella di Pirandello che, in situazioni difficili, “scopre la luna”, scopre il rapporto con le cose, con la bellezza, con l’amore, con la costruzione, con la positività.
Occorre allora salvare il seme di questo umano, come fa dire Guareschi al suo Cristo: «Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza (…)».
Il seme dell’umano sostenuto dalla fede (per chi ce l’ha) o da un ideale per l’uomo.
«Solo così potremo essere nel mondo una presenza […], non sinonimo di potere o di egemonia ma di una testimonianza, cioè di una diversità umana» (Julián Carrón).
A cura della Fondazione per la Sussidiarietà, con la collaborazione di studenti e docenti universitari. In collaborazione con il Tg1. Media partner: Avvenire.
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