Chi siamo
Libertà va cercando, ch’ è sì cara. Vigilando redimere
Viviamo in una società dove chi sbaglia è dannato: dentro o fuori le sbarre rimarrà sempre prigioniero dei suoi errori, un malvagio da emarginare. Ben diversa è l’esperienza cristiana. In essa un uomo, qualunque delitto abbia commesso, ha sempre una possibilità di cambiare e di redimersi. Non a caso fin dall’inizio del cristianesimo c’è stata un’attenzione profonda al mondo delle carceri: visitare i detenuti è una delle opere di misericordia corporale. Scriveva sant’Agostino: «È necessario perseguire i peccati non i peccatori… è esempio di umanità chi persegue il peccato avendo come fine di liberare/salvare l’uomo». E rivolgeva questo invito: «Diligite homines, interficite errores», «amate gli uomini, condannate gli errori».
Il principale intento della mostra è proprio documentare che, paradossalmente, in un luogo dove tutto sembra finalizzato alla privazione della libertà, può nascere una domanda di verità di sé, inizio di un percorso di riconquista dell’umano. Proprio il riconoscimento dell’errore e la richiesta di perdono agli uomini e a Dio è il principio di un cammino di redenzione.
Si scopre così che in tutto il mondo chi sta espiando una pena può dare testimonianza di libertà, umana e di fede, monito per tutti a scoprire che «omnia gloria filiae regis ab intus», «tutta la gloria della figlia del re viene dal di dentro», cioè dalla coscienza del rapporto col Mistero. Persone colpevoli dei peggiori crimini vivono la reclusione come possibilità di ripresa della dignità umana, imparano che la libertà non dipende dalle circostanze, sperimentano la cella come una “clausura”, cioè il modo con cui vivere il rapporto con Cristo.
Analogamente ci sono uomini – magistrati di sorveglianza, guardie, educatori – che vivono con grande umanità e rispetto per le persone il loro lavoro nelle carceri. Ad essi si aggiungono molti fra coloro che svolgono nelle carceri un’attività di caritativa o danno vita ad attività produttive che offrono lavoro ai detenuti.
Il più importante aspetto di queste testimonianze, messo in luce dalla mostra con diversi mezzi espressivi, ma soprattutto dalla presenza di chi è direttamente coinvolto nella vita delle carceri, è la documentazione di una presenza che fa rinascere la speranza in un ambiente dove non si dovrebbe aver più speranza.
Si potrà anche toccare con mano l’alto livello qualitativo del frutto del lavoro di questo “mondo sommerso”, lavoro reso possibile dall’iniziativa di cooperative di produzione e lavoro che, scevre da connotati assistenzialisti, sono state capaci di inserirsi con professionalità sul mercato. Queste testimonianze saranno illuminate nella loro più vera prospettiva da documentazioni di tipo storico, artistico, letterario, teatrale, cinematografico, opera di grandi personalità che hanno colto il duplice aspetto di fallimento e di possibile resurrezione dell’umana esistenza nelle carceri.
Infine la mostra metterà a tema anche il ruolo della detenzione nel nostro Paese, a partire dalla costituzione che concepisce la detenzione come un “percorso di redenzione” e il carcere come un luogo in cui “vigilando redimere”. Oggi questa funzione rieducativa prevista dalla Costituzione è spesso disattesa. Accade così che nella maggior parte dei casi non è vero che le carceri sono luoghi di recupero e di redenzione dei detenuti. Quale deve essere la strada perché in questi luoghi sia possibile un percorso riabilitativo per chi “libertà va cercando, ch’è sì cara”?
O protagonisti o nessuno. A maggior ragione in carcere.
A cura di: Paola Bergamini, Nicola Boscoletto, Alberto Savorana, Giorgio Vittadini.
In collaborazione con: la Fondazione per la Sussidiarietà.
Con il Patrocinio del Parlamento Europeo, la Camera dei Deputati, il Ministero della Giustizia.
QUESTA MOSTRA È DISPONIBILE IN FORMATO ITINERANTE. CLICCA QUI PER TUTTE LE INFORMAZIONI