Liberi di educare nelle scuole del mondo

In collaborazione con DiSAL, Diesse, Cdo Opere Educative e Associazione Culturale il Rischio Educativo.
Hans van Mourik Broekman, Preside Liverpool College, Liverpool, U.K.; Teuta Buka, Direttrice del centro M. Mazzarello, Tirana, Responsabile degli Istituti Salesiani di Tirana e Scutari, Albania; Luciana Cardarelli, Program and Member Services Coordinator of Catholic Principal’s Council (CPCO), Toronto, Ontario. Introduce Ezio Delfino, Dirigente Scolastico e Presidente di DiSAL.

L’educazione, o meglio il rischio educativo, è un tema chiave sul quale poggiare le basi di una ricostruzione umana, valoriale, dei più giovani ma anche degli adulti. L’educazione infatti non si esaurisce mai: è una prospettiva che riguarda la libertà di vivere all’altezza dei propri desideri di tutti, bambini, ragazzi, uomini e donne. L’incontro propone la testimonianza di chi su questo rischio e su questa libertà ha scommesso, cambiando il modo di fare scuola e di aiutare chi vive la responsabilità educativa.

Con il sostegno di Tracce.

LIBERI DI EDUCARE NELLE SCUOLE DEL MONDO

Ezio Delfino: Grazie, benvenuti a questo pomeriggio: “Liberi di educare nelle scuole del mondo” il titolo dell’evento che abbiamo dato invitando queste tre responsabili di realtà educative che appartengono a varie aree geografiche e che si sono coinvolte in questi anni nelle proposte di ricerca e formazione dell’Associazione DisAL, Diesse, Cdo Opere Educative e l’Associazione Culturale il Rischio Educativo, e che sostengono questo incontro. Ve le presento almeno come nomi e cognomi: Luciana Caldarelli dal Canada, Suor Teuta Buka dall’Albania e Hans van Mourik Broekman dal Regno Unito. Devo dire tre amici e tre persone che visitano per la prima volta il Meeting, entusiasti di questa esperienza e di questo incontro. E approfittiamo di questa loro sorpresa per sorprenderci con il racconto sincero e autentico delle loro esperienze. Chiediamo a loro di documentarci questo semplice assioma, che l’educazione è per definizione una passione per l’uomo, il singolo uomo, che esige nell’educatore una certa percezione del sé, della propria vita come vocazione e un’esperienza di immedesimazione nell’altro di amore alla sua libertà e di capacità di iniziativa attenta ed esigente che caratterizza l’evento formativo. Abbiamo chiesto questi tre contributi soprattutto per focalizzare il valore dell’educazione come chiave per la ripartenza e la sostenibilità sociale. Anche per verificare come il metodo educativo di don Giussani ne “Il rischio educativo” aiuti a star difronte le domande di educazione dei ragazzi di oggi e anche per verificare le potenzialità dei sistemi e delle reti educative nel mondo. Comincio a interpellare allora Luciana cardarelli, il nome e cognome denotano un’origine italiana, anche se lei è canadese a tutti gli effetti, che è coordinatrice dei programmi di formazione per presidi e per quadri di scuola del Catholic Principals’ Council (CPCO) di Toronto nella provincia canadese dell’Ontario. È una rete, pensate, di 2500 dirigenti scolastici di scuole cattoliche di ogni ordine e grado. Lei è esperta soprattutto nella formazione, nel coaching e nella formazione nei settori educativi. Ha competenze in negoziazione, in tecnologie educative ed è esperta nello sviluppo delle organizzazioni educative in particolare. Laureata presso l’università di Toronto. A ciascuno di loro porrò delle domande e vediamo come ci aiutano. Allora, Luciana, cosa significa oggi coordinare una rete di più di 2000 scuole cattoliche in un paese come l’Ontario e il Canada che è definito da una cultura laicista e quali sono i principi ispiratori della vostra rete di scuole? Grazie.

 

Luciana Cardarelli: Grazie, Ezio. È un grande onore per me essere qui oggi con voi. Sono in Italia dal 13 agosto e ormai parlo italiano. Devo pensare un momento per capire quale lingua va nella mia testa, però per le cose di oggi apprezzo molto la persona che mi traduce e così il discorso professionale lo faccio in inglese.

È un grande onore per me essere qui oggi. Il consiglio dei presidi cattolici dell’Ontario rappresenta 2500 membri in tutta la provincia dell’Ontario. Per darvi un’idea di che cosa questo significhi, la popolazione del Canada è di 40 milioni di persone, 17 milioni in Ontario e l’area delle Greater Toronto 7 milioni. La nostra zona è di tre volte la grandezza dell’Italia, quindi, insomma, l’Ontario è un distretto molto molto grande con molte esigenze diverse. Nel mio ruolo è molto importante, molto interessante, portare avanti quelle che sono le formazioni per i presidi di scuole cattolici che si vedono a far fronte alle esigenze di così diverse realtà. In Ontario dagli anni Sessanta la presidenza dei religiosi nelle nostre scuole è calata notevolmente. Oggi sono meno dell’1% dei presidi e vicepresidi delle scuole sono religiosi. La maggior parte sono laici. Quindi, che si tratti dei nostri amministratori, dei nostri insegnanti, il concetto di impegnarsi nella formazione come base della loro carriera è fondamentale. Noi siamo persone che apprendono durante tutta la vita, dal punto di vista pedagogico, ma anche dal punto di vista della fede. E sono proprio io ad occuparmi di questa formazione in un contesto unico, quello dell’Ontario, dove abbiamo quattro settori di istruzione formata, finanziata, chiedo scusa, dal governo. Quindi cattolico, pubblico, in francese e in inglese. Quindi cerchiamo, in un certo senso, di dare il meglio in questi quattro settori. E ciò che è rimasto costante per noi è l’imperativo morale di essere in grado di raccontare la nostra storia come leader cattolici e come studenti cattolici, con le nostre parole e le nostre azioni, ed è fondamentale che noi ci distinguiamo da altre scuole. E siamo riusciti a raggiungere questo obiettivo infondendo la nostra fede in tutti i momenti pedagogici, in tutti i momenti della comunità e in tutta quella che è la proclamazione della nostra storia. Questo implica la collaborazione con partners diversi come le associazioni sindacali, le nostre associazioni di professionisti, la nostra cooperazione con settori come quello della salute pubblica, nel sostegno, sempre, dei nostri studenti. In conclusione, il nostro lavoro è mettere in pratica i principi che ci ha insegnato Cristo e di guidare attraverso il suo esempio di guida e di maestro. Se penso alla nostra ispirazione, quindi alla nostra associazione ci sono tre parole che mi vengono in mente: servire, sostenere e guidare. Per quanto riguarda il servizio è necessario di essere certi di far fronte alle esigenze degli studenti e delle loro famiglie. E questo, in un certo senso, è un punto di vista un po’ diverso da quello a cui siamo abituati, ma se vogliamo davvero agire al servizio dei nostri studenti dobbiamo rivolgerci a chi di questi studenti sono esperti, cioè i loro genitori. Quindi lavorare insieme ai genitori consente di creare le condizioni migliori per gli studenti.

In tema di sostegno vogliamo mettere in evidenza quelle che sono le necessità, le esigenze degli insegnanti, dei presidi, per esempio facendogli presente al ministero, al governo, a noi abbiamo una serie di strumenti con i quali noi portiamo avanti la necessità, ad esempio, di far fronte a esigenze speciali a livello psicologico, a livello di salute. Ma anche lavorando a sostegno della fede delle nostre famiglie e dei nostri studenti. Quindi in questo senso abbiamo proprio al centro della nostra attenzione il lavoro dei pedagogisti, con il rispetto delle esigenze dei nostri studenti. Pensate alle esigenze delle vostre comunità, delle vostre società, perché sono le necessità della nostra comunità che vengono riflesse nei nostri studenti. La nostra è una scuola inclusiva. Il nostro lavoro consente di garantire la crescita e lo sviluppo e il successo degli studenti conoscendo personalmente ciascuno di loro affinché possano sviluppare il loro potenziale. Quindi, come diceva Isaia, ogni singolo studente deve essere conosciuto per nome, cioè bisogna comprendere la storia, comprendere quelle che sono le relazioni con i genitori, con la famiglia, perché tutto questo fa parte del percorso che porta lo studente ad avere un determinato comportamento, un determinato atteggiamento a scuola e di avere in futuro opportunità di successo ed in questo modo di rendere anche più forte la nostra comunità.

 

Ezio Delfino: Grazie. Suor Teuta è nata a Scutari in Albania, in una famiglia povera e perseguitata dal comunismo, come scrive lei nel suo curriculum. Nel ‘91, subito dopo la caduta del comunismo, conosce il carisma salesiano e risponde alla chiamata di Dio, diventando suora salesiana, avviandosi a dedicare la sua vita interamente all’educazione dei giovani. È stata direttore del Liceo Maria Mazzarello e dell’oratorio di Scutari, la sua città di origine, e attualmente è direttore del Centro Maria Mazzarello a Tirana. Dal 2010 è Coordinatore nazionale della Commissione Nazionale per l’Educazione Cattolica che abbraccia una rete di circa 60 scuole cattoliche di ogni ordine e grado. Il suo percorso di studi accademici si è arricchito nell’area della spiritualità, della pedagogia e della gestione delle comunità educative. A lei chiedo, tenendo conto appunto, che nella sua biografia scrive che “la cosa che io considero molto preziosa nella mia vita è il contatto quotidiano con i bambini e i ragazzi di diverse età e con i miei colleghi. Questa è stata di gran lunga la migliore scuola per me”.

Allora che radici ha, Suor Teuta, questa tua passione e come si esprime in Albania la domanda di verità, di attenzione e di educazione nei ragazzi? Grazie.

 

Suor Teuta: Grazie per questa bellissima opportunità. Veramente sono onorata e mi sento veramente accolta in questo ambiente che non conoscevo, se non a distanza attraverso i media, quando c’è il Meeting di Rimini. Anche per questa opportunità di condividere semplicemente un’esperienza, anche seppur piccola della mia esperienza come educatrice consacrata. Negli anni ‘90, appena caduto il regime comunista, io e i miei amici giovani ci siamo trovati di fronte a qualche cosa di nuovo, inedito, di dare vita ai nostri sogni che sembravano ormai nel cassetto, perché durante la dittatura tutto era ben sistemato e anche i sogni erano ben custoditi dal governo, quindi nessuno poteva uscire fuori. In quel momento, abbiamo avuto questa opportunità di poter dare, come dicevo, vita ai nostri sogni. Proprio in quel momento io ero già studente universitaria, conobbi i salesiani con un gruppo di volontari che vengono in Albania e quella esperienza di vita, di condivisione, di preghiera insieme, di gioia soprattutto, fece crescere in me questa inquietudine per dire: ma io che cosa posso fare? Come posso rispondere a tanta bontà? E anche una possibilità: era come se potessi mettere insieme tanti pezzi della mia vita e capire che lì prendevano risposta. Nel guardare come loro vivevano questo carisma educativo nella semplicità e nella gioia, dando questa risposta, anch’io mi volevo coinvolgere in questo cammino, sentii, come all’improvviso, avverarsi tanti, tanti sogni e così mi addentrai in questo cammino che è durato e lungo. Era solo l’inizio. Diciamo che la mia vocazione religiosa e educativa sono stati la stessa cosa e quindi essere religiosa, essere educatrice per me ha significato stare insieme ai ragazzi e piano piano capire insieme a loro come dar vita ai loro sogni, che erano poi anche i miei sogni.

Dicevo giustamente, come sottolineava prima anche Ezio, che sono stati la mia migliore scuola i ragazzi, perché con la loro esigenza, con il loro “pretendere” che io fossi un’educatrice, perché non avevo cinquant’anni all’epoca, sono stati per me una scuola. Di fronte a loro, ai loro bisogni ho imparato anch’io a capire veramente che cosa vuol dire essere educatrice: vuol dire stare accanto, vuol dire stare in silenzio, vuol dire stare in preghiera, vuol dire umiliarsi perché certe volte non si hanno delle risposte e non si sanno come dare delle risposte. E tutto questo è stato, diciamo veramente, ed è ancora, grazie a Dio, che ci stanno loro la mia migliore scuola. I giovani cambiano, è vero, però i giovani sono anche sempre gli stessi: cambiano perché cambiano la vita, cambiano le esigenze, cambiano le possibilità. Nello stesso tempo però ogni giovane porta in sé questo desiderio di bene, questo orizzonte di valori, questo desiderio di verità.

L’unica cosa che io vedo è che i nostri giovani di oggi non sempre trovano adulti significativi che si fanno carico di accompagnarli nel percorso della vita. Soprattutto volevo far riferimento alla mia esperienza in Albania, dove noi adulti, io compresa, non abbiamo avuto il tempo forse di riflettere, e di mettere a fuoco quali sono stati i nostri percorsi veri, perché, passando da una situazione di dittatura, ci siamo lanciati nel realizzare i nostri sogni e non abbiamo sintetizzato quel cammino vissuto e per questo, forse con più fatica, riusciamo a essere vicini e significativi per i nostri ragazzi. Quindi diciamo che è un po’ in crisi oggi la adultità, non la gioventù dalla quale forse dobbiamo veramente imparare: imparare anche ad affidarsi al loro ingegno, anche meravigliarsi della loro capacità di sognare alla grande, non diventare, a volte, degli ostacoli. Certamente in questa crisi di adultità, che in Albania significa anche mancanza di riflessione, credo che si trovano tanti adulti oggi nel mondo che sono un po’ alle prese col conservare per sé certi privilegi, se così si possono chiamare, e quindi a fare fatica poi ad affidarsi all’ingegno giovanile. In questo modo dico che i giovani di ieri sono simili ai giovani di oggi e magari possiamo fare meglio noi la nostra parte.

 

Ezio Delfino: Introduco l’amico Hans che è nato vicino a New York da genitori olandesi e che ha frequentato le scuole superiori negli Stati Uniti, si è laureato in lettere classiche all’università di Saint Andrews in Scozia e ha iniziato la carriera scolastica, prima come docente e come preside di alcune scuole cattoliche in America, e poi a Liverpool, dove oggi dirige un prestigioso College, il Liverpool College, uno degli istituti più antichi della città. Nel 2015 è riuscito a convertire lo statuto del College da scuola indipendente ad Accademia, che è un modello di scuola, appunto del Regno Unito, finanziata con fondi statali e rendendo l’accesso gratuito all’Accademia, che è un appunto un livello di formazione d’eccellenza che normalmente nel Regno Unito è possibile solo per i ragazzi delle classi più abbienti. E un’operazione che ha fatto lui, che ha fatto dire a un ministro dei governi Blair e Brown, che: “Questa è stata forse la più grande breccia nel muro di Berlino che divide il settore privato da quello statale dell’istruzione”.

Lui ha incontrato casualmente il carisma di Don Giussani, ha divorato “Il rischio educativo”, ne è stato folgorato, come adesso ci racconterà, e questo gli ha consentito di ritrovare le ragioni della sua fede, di riconvertire tutta l’organizzazione della scuola. Allora ha scritto una biografia nell’anno del Covid quando lui dice: “Avevo poco da fare” e che si intitola “Confessioni di un preside” nel quale lui sostanzialmente fa una riflessione del suo modo di essere docente, preside, alla luce del rischio educativo. La domanda è quindi, quali sono le scoperte che hai fatto? E quali cambiamenti ha generato in te l’incontro con “Il rischio educativo”?

 

Hans Van Mourik Broekman: Grazie, grazie mille. Beh, devo dire che questa esperienza qui, con tutti voi è davvero straordinaria, è semplicemente guardarvi. Se mi aveste chiesto dov’era Rimini due anni fa, probabilmente avrei messo il mio dito sulla Sicilia. E se mi aveste parlato di Don Luigi Giussani, di Comunione e Liberazione, probabilmente avrei pensato che si parlava di tutt’altro. Per me essere qui, due anni dopo che ho sentito il suo nome per la prima volta, è un piccolo miracolo.

Io sono il direttore del Liverpool College, una scuola che centottanta anni, con 1700 studenti, 250 addetti fra docenti, altro tipo di personale e, come ha spiegato Ezio, dal 2012, quindi studenti provenienti da qualsiasi tipo di esperienza possono frequentare la scuola. Crecchio, quindi, è una scuola che non ha orientamenti religiosi specifici. A me piace sempre dire che i miei studenti musulmani sono gli unici che credono in Dio.

Durante il covid mi sono sentito perso perché per 24 anni avevo ricoperto il ruolo di direttore scolastico e non sapevo cosa fare. E quindi ho cominciato così a navigare su YouTube e poi ho trovato un video di padre Albacete, di cui avevo sentito parlare rispetto all’11 settembre e che parlava della religione. E ci fu una frase in questo lungo video che mi colpì e parlo, cito Don Luigi Giussani. E quindi acquistai il libro “Il rischio educativo” e rimasi colpito, folgorato, davvero una folgorazione quindi a livello personale. Trovai un’anatomia dettagliata proprio che analizzava il mio desiderio rispetto al mondo dell’educazione, una spiegazione di tutto quello che avevo sempre voluto, di tutto quello che avevo sempre creduto e poi per cui avevo lavorato io non ero mai riuscito a spiegare a parole tutto questo. Quindi ho letto anche la sua biografia di 1400 pagine. Forse alcune parti sono state impegnative, devo dirlo. E poi ho cominciato a divorare tutte le letture che potevo su di lui, e anche a leggere tutto quello che aveva dichiarato e scritto sull’educazione. E devo dire che lui aveva capito. Anche nella traduzione si riusciva a cogliere la sua passione per l’uomo, per le persone, per la libertà. E questo mi ha fatto capire meglio quello che avevo fatto fino a quel momento e mi ha fatto capire anche in quale direzione dovevo andare per il futuro. È così che, in un certo senso, mi ha fatto buttare nella spazzatura quello che fino a quel momento il governo mi aveva indicato, come direttive rispetto all’educazione. In particolare ho scoperto tre cose: la totalità nell’educazione, cioè l’idea che l’educazione sia letteralmente qualcosa che riguarda tutto. Lo sapevo già in un certo qual modo, ma lavoravo in un paradigma all’interno di un sistema che aveva sistematicamente eliminato, ad esempio, tutto quello che non era misurabile, che non era scientifico. Lavoravo in un incubo positivista, una sorta di fabbrica da incubo positivista. La seconda cosa è l’accento che Giussani mette sulla necessità di formulare anche ipotesi su questa totalità, nel senso che, per poter educare, appunto bisogna anche educare su temi su cui si può parlare, riflettere quindi temi su cui si può essere a favore, ma anche contro. Io credo che la mia scuola non avesse mai adottato un approccio del genere prima e potevo vedere anche quanto questo approccio fosse dannoso poi sui risultati ottenuti. E poi la libertà, il rischio della libertà, cioè capire, insegnare già ai bambini che cos’è veramente la libertà, che non è una patente per fare quello che si vuole, ma è una risposta alla propria umanità, rispetto agli altri e rispetto alla realtà. Personalmente, questo è stato l’effetto delle parole di don Giussani su di me.

Ma poi che cosa è cambiato nella scuola? La prima cosa importante è che io sono diventato un membro della comunità di Comunione e Liberazione nella parte nord occidentale dell’Inghilterra. Ho imparato tantissimo anche sull’ottimo cibo italiano e ho anche allacciato un’amicizia che mi ha supportato e sostenuto, mentre io dall’altra parte cercavo di cambiare le cose a scuola. Poi ho scritto due libri che sono stati citati da Ezio. Ho completamente riscritto anche i testi e i manuali scolastici sulla religione. Abbiamo anche fondato una casa editrice e abbiamo creato un podcast che si chiama “Imagination in education”. Abbiamo cominciato a parlare di quello che persone ed esponenti di rilievo, senza citare i loro nomi, pensavano e pensano delle parole di Don Giussani. Poi abbiamo modificato anche, per così dire, i tempi di insegnamento nella scuola, quindi abbiamo cercato di dare più tempo alla riflessione, l’orario è stato modificato. Abbiamo riscritto proprio l’approccio filosofico della scuola, anche qui non si cita don Giussani, ma, se poteste leggerlo, se appunto Giussani potesse leggere quello che abbiamo scritto, chiederebbe il copyright, ve lo assicuro. È stato un tentativo concreto per introdurre le sue idee in un contesto non cattolico della scuola britannica.

Questi sono solo alcuni punti generali, ma la cosa più importante è che lui ha cambiato il mio sguardo rispetto ai miei colleghi e rispetto ai miei studenti.

 

Ezio Delfino: Luciana, nel 2020 il Papa ha lanciato il patto globale per l’educazione e ha scritto: “Mai come ora c’è bisogno di unire gli sforzi in un’ampia alleanza educativa per formare persone mature, capaci di superare le frammentazioni, le contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna.” cosa ha da dire a te, alla tua esperienza, alla tua associazione questa affermazione, a voi che vi impegnate a sostenere e a organizzare realtà educative? E come anche è cambiata la tua personale responsabilità di coordinatrice alla luce di queste indicazioni del Papa?

 

Luciana Cardarelli: Essere qualcuno che serve e guida è difficile: mettere le mie necessità dietro quelle degli altri. L’idea che se io sono un leader posizionale, il mio successo si misura nel vostro successo, quindi il mio lavoro consiste nel creare le condizioni in cui voi possiate raggiungere l’apice del vostro successo. Se pensiamo a questo, in questi termini come dirigente scolastico, come preside, o vicepreside, e se pensiamo a tutto questo dal punto di vista di un collega, di uno studente, o di un genitore, ecco che le possibilità diventano infinite in termini di capire in quanti modi possiamo rafforzare la nostra comunità. Ho pensato a lungo al tema di questo evento “Una passione per l’uomo”. Se modifichiamo un po’ questo concetto e pensiamo, invece che a una passione per l’uomo una passione per colui che apprende, ecco io sono una persona che apprende, voi lo siete, le vostre famiglie, i vostri figli. Se noi mettiamo queste persone al centro di tutto quello che facciamo, abbiamo una grande trasformazione. In Ontario questo è accaduto nelle scuole, il centro, il fulcro di tutto quello che facciamo, tutto diventa possibile, perché le relazioni sono rafforzate, si crea la comunità, si comprende l’altro, lo si ascolta e lo si vede con occhi diversi. Io posso utilizzare le mie energie per garantire il loro successo. Ci sono stati degli autori che ci hanno aiutato davvero in questo nostro lavoro, e in Ontario, particolarmente, persone come Michael Fullan, Andy Hargreaves, Steven Katz sono persone sulle quali ci siamo appoggiate su questo lavoro. Ci hanno sottolineato la necessità di rivolgerci alla ricerca e a pratiche corroborate per diventare leader informati e per modellare il lavoro che si svolge in classe. Ma questa prospettiva di leadership, quindi pensare al nostro lavoro sulla base dei risultati, degli studenti e il miglioramento o un processo formale che consente a tutti di partecipare, ha costituito davvero la svolta e abbiamo avuto, devo dire, molto successo, come dimostrano i dati, sull’Ontario. Abbiamo cercato di valutare con attenzione le esigenze degli studenti, sviluppando un nuovo piano che possa far fronte a queste esigenze, necessità con aspetti pedagogici e strategici basati su delle prove reali e non su ipotesi. Con l’attuazione di questo piano, chiaramente, c’è un grosso lavoro che dobbiamo svolgere, ma quello che rende questo lavoro più leggero è la collaborazione con i colleghi. Come preside, metto da parte il mio titolo, esco dall’ufficio della presidenza, cammino lungo i corridoi, dentro le classi, per sostenere gli studenti e gli insegnanti, affinché si possa raggiungere il successo di tutti. Nella fase, diciamo attuativa, di questa modifica, noi cerchiamo sempre di tener conto della presenza di indicatori di sfide e di successo. Laddove emergono problemi o sfide, noi cerchiamo di elaborare delle strategie per superarle. Nell’ambito dell’attuazione di questo nostro progetto di modifica, abbiamo valutato il successo del nostro piano. Ecco questa è una forma autentica di celebrazione di un’amicizia più solida, migliori collaborazione, una rete che è fondamentale per il nostro lavoro di educatori. E poi il processo ricomincia da capo: valutare quali sono le esigenze, sviluppare un piano, metterlo in pratica, rivederlo da dove è necessario, poi eseguire una valutazione. Quindi come preside, come dirigente scolastico, ho visto un miglioramento notevole nei risultati degli studenti e, andando a vedere gli aspetti legati al miglioramento notevole nei risultati degli studenti e andando a vedere gli aspetti legati anche alla all’etnia, al contesto familiare, al contesto sociale da cui gli studenti provenivano, abbiamo raggiunto l’obiettivo di colmare, almeno in parte, queste differenze in termini di risultati raggiunti. Se penso all’Ontario di oggi, la sfida maggiore riguarda proprio gli aspetti di inclusione, equità e diversità. I dati dimostrano che gli studenti, specialmente di colore, gli studenti indigeni, in un certo senso rimangono indietro, vengono lasciati indietro. Ed esiste proprio questa problematica. Quindi il mio lavoro di leader anche del Consiglio dei presidi cattolici si basa su una riflessione che consenta di arrivare ad una maggiore autoconsapevolezza, autocoscienza in modo che siamo più cosci del modo in cui il lavoro che facciamo viene visto e che ci impedisce, talvolta, di capire la realtà come è vista dagli occhi di coloro che magari godono di meno privilegi rispetto a noi. Io ho una certa posizione come donna bianca in Ontario e godo di privilegi, ma questi privilegi possono costituire uno svantaggio per altri, quindi se noi cominciamo a vedere le due facce di questa medaglia e se cominciamo a considerare tutto questo dal punto di vista della leadership, diventa un imperativo lavorare in modo diverso. Affinché noi mettiamo ancora al centro della nostra passione l’attenzione di coloro che apprendono e garantiamo che gli studenti siano davvero sempre al centro di tutto ciò che facciamo. Pensando a Michael Fullan, credo che le sue sei competenze siano estremamente importanti e ci hanno guidato nella nostra esperienza in Ontario. Lui tiene conto di aspetti come il carattere e quindi, diciamo, l’aspetto morale: come educatori cattolici, questa è musica per le nostre orecchie. Noi sappiamo che cos’è la moralità. Quali sono gli imperativi morali del nostro lavoro? Parla poi di cittadinanza: l’idea che noi dobbiamo lavorare verso qualche cosa che va ben oltre noi stessi, un modo di lavorare che consenta di creare un beneficio, un vantaggio per la comunità. La collaborazione. Non credo che ci sia nessuna donna in questa sala che possa dire che senza cooperazione, collaborazione non si possa raggiungere nulla, soprattutto in un momento in cui le risorse sono sempre meno e le esigenze invece è sempre più. Lavorare insieme quindi è davvero l’unico modo di avere successo e di continuare a prosperare. La comunicazione diventa essenziale, fondamentale. Quante volte noi abbiamo fallito perché le intenzioni e poi l’impatto finale non collimavano? E quindi sviluppare capacità di comunicazione per creare relazioni, per arrivare a coloro che vivono a i margini.

Poi, naturalmente, c’è il pensiero critico: non possiamo, nel 2022, semplicemente fidarci di quello che ci viene propinato dalla televisione, dai social media. Dobbiamo considerare il tutto attraverso un pensiero critico per garantire che stiamo lavorando veramente per il bene comune, per creare quella società che Cristo vorrebbe che noi vivessimo e che ci consente di mettere in pratica i principi della nostra fede.

 

Ezio Delfino: Grazie. Hans ha scritto, appunto, l’altro libro “Full Life. Letters to my students”, nel quale raccoglie tutti i consigli che negli anni ha dato ai genitori e allievi, prima di imbattersi nel pensiero di Don Giussani, e spiega come e quando ha sbagliato e dove invece, senza rendersene conto, ha detto la cosa giusta. È originale, come approccio e qui c’è il tema dell’errore. E c’è il tema del bene che uno vuol fare come insegnante, come preside nei confronti dello studente, cioè il bene dell’atto educativo, c’è il tema dello sguardo, perché uno che si confessa vuol dire che ha recuperato uno sguardo. Innanzitutto su di sé, ma in paragone con qualcun altro, allora. E hai già citato prima il tema dello sguardo. E appunto se puoi approfondire questo tema dell’errore, ma soprattutto di che cos’è per te il bene nell’atto educativo e che cos’è questo sguardo di cui ci hai parlato prima.

 

Hans Van Mourik Broekman: Quando penso a quello che i presidi cercano di fare, penso sempre a una citazione del poeta T.S. Eliot (non bravo quanto Leopardi, ma anche lui niente male). E lui scrive che l’uomo – in questa citazione sostituirei uomo con preside – il preside cerca costantemente di fuggire dall’oscurità, fuori e dentro, immaginando sistemi così perfetti che nessuno avrà bisogno di essere buono. Ho trascorso giorni riflettendo a modi ancora migliori per controllare i miei studenti, ma quello che viene detto qui non è possibile. E credo che forse anche il mio incontro con Don Giussani è stato un momento di riconoscimento rispetto all’utilità. I presidi sono esseri umani e quasi cercano di eliminare il rischio legato alla libertà e vedo proprio questa tendenza prendere piede ancora oggi nella pratica educativa, soprattutto in Gran Bretagna. E si ritiene, se n’è già parlato, ne aveva già parlato anche Protagora, che si può insegnare alle persone a essere buone. Ci sono persone che lavorano nel settore dell’educazione che pensano sia necessario insegnare ai bambini, appunto, come essere buoni e così diventeranno e saranno buoni. Ma pensate anche alla vostra esperienza e pensiamo anche quello che ci insegna Don Giussani: non funziona affatto così, si tratta di parole al vento. In questo caso si arriva solo a moralismo, o a forme di attivismo, o comunque ad atteggiamenti risultati superficiali. L’unica cosa che nelle scuole abbia mai funzionato in realtà è lo sguardo di una persona che mi ama, che si rivolge alla mia umanità, alla mia libertà, e che mi mostra la possibilità di una relazione. Quindi, incontrando l’altro, una persona che mi mostra tutto questo e soprattutto che mi mostri la rilevanza trascendente, la potenza, la bontà? Ecco, in questo modo io mi risveglio. E allora sì che risvegliando la mia affettività, poi sono pronto ad ascoltare, all’imparare. E allora sono pronto a crescere. Questa è l’educazione.

Ecco, non so se è la stessa cosa anche in Italia, ma nel Regno Unito purtroppo si cerca ancora di portare avanti l’approccio che tenta di insegnare a essere buoni. Questo approccio davvero è dilagante. Spero che i miei studenti, appunto, non trovino questo su Youtube, ma devo dirlo, non posso non dirlo. Perché questo approccio non li renderà affatto buoni. Perché? Lo sguardo, lo sguardo d’amore per la libertà dell’altro, l’amore nel volere il bene dell’altro. Consentire agli insegnanti di educare a questo, anche parlare di questo. Pensate alla vostra educazione. Che siate genitori o insegnanti, è stata la bellezza di quello sguardo, di quell’amore, di quella cura che vi hanno dato ispirazione, che vi hanno consentito di imparare, di sviluppare la fiducia nelle proprie capacità, perché si può imparare solo quando qualcuno è certo che ne trarrà qualcosa di positivo. Soprattutto pensiamo ai bambini: bambini possono avere certezze soltanto se scaturiscono da un amore positivo. Implicitamente, intuitivamente e dalla mia esperienza personale sapevo già che questo tipo di atteggiamento era efficace nell’educazione, perché l’unica cosa che aveva mai funzionato in tutte le scuole in cui avevo lavorato era questo tipo di relazione. Ma non se n’era mai parlato, nessuno ne parlava mai, c’erano tanti sistemi e teorie, a dire il vero, ideologie, e mai tempo sufficiente oppure onestà sufficiente per concentrarsi su questa condizione sine qua non. Don Giussani invece è riuscito a rendere esplicito ai miei occhi e anche per le scuole, per il vocabolario usato nelle scuole, cosa che invece nelle scuole non è mai stato esplicitato, o almeno, ribadisco, non nel Regno Unito.

Inoltre, si è riusciti anche a individuare un aspetto comunitario di questo sguardo, poiché quando io riesco a vedere che il mio collega ha quello sguardo, diventa quello sguardo fonte di ispirazione per me e crea anche coesione all’interno di una scuola e la migliora. Ma per riconoscere tutto questo bisogna parlarne e dire: “Ehi, io vedo il tuo sguardo, riconosco questo in te. È questo che riesce a rendere una scuola una grande scuola, ma è molto difficile, perché non ci sono libri di testo o manuali, perché è bene e se si facesse leggere Don Giussani a tutti, però molti, magari dietro e quindi, ma credetemi, è vero. È vero. E quindi dobbiamo cominciare da qua.

 

Ezio Delfino: Grazie per l’efficacia, esistenziale anche, l’intelligenza con cui c’hai riportato a questo sguardo.

Suor Teuta, suora e organizzatrice di eventi, una vera sister di momenti di riflessione, di ritiro, di formazione, di intrattenimento – in senso positivo – per tutti i ragazzi, giovani, adulti, famiglie e della rete di scuole cattoliche di cui è rappresentante presso il ministero dell’Istruzione in Albania. Ma è anche rappresentante dell’Albania, quindi, da un punto di vista proprio ufficiale nell’Organizzazione internazionale dell’educazione cattolica, che ha sede a Bruxelles e nella Commissione europea per l’educazione cattolica. E, con questa tua esperienza, diciamo internazionale, europea, ti chiedo quali sfide in ambito educativo si avvertono in questi ambiti internazionali per l’esperienza che hai? Quale passione educativa muove uomini e donne nei diversi paesi rispetto ai giovani? Ultima domanda: riprendendo il tema della adultità – che è un termine interessantissimo e anche nuovo per noi – chiedo se esiste una possibilità che le loro generazioni incontrino questi adulti significativi e siano affascinati da una vita nuova.

Quindi uno sguardo più internazionale, partendo dall’Albania.

 

Teuta Buka: E io voglio partire dal patto educativo globale, dove il Papa ha lanciato sette inviti, sette punti su quali tutti ci possiamo trovare e uno di questi punti riguardo le sfide dell’educazione che lui chiama “una catastrofe educativa”, e invita proprio la famiglia. Dice: “bisogna vedere nella famiglia il primo e indispensabile soggetto educativo”. E direi che il Papa ha centrato su tutti i sette punti, ma in particolare su questo certamente ci sono tante sfide educative. Oggi certamente c’è la sfida della tecnologia, che proprio perché si sviluppa così velocemente, trascina sia noi adulti, ma anche i giovani, in un’accelerazione che poi li fa soffrire. E uno di questi è senz’altro i media e social media, quindi il distrarsi continuamente, lo spezzettarsi del sapere. Certamente però, quello oggi direi che è più un denominatore comune.

Proprio questo è strano. Darsi della famiglia riguardo all’educazione. Che cosa intendo dire? Anche il Papa ci invita a questo, intendo dire che la famiglia è sempre più in quanto è anche bisognosa di agenzie educative, cattoliche e statali, di tutto per accompagnare i propri figli in un’educazione, questo è vero. Ma questo non vuol dire che l’offerta educativa che va in supporto alla famiglia debba sostituire quello che la famiglia è chiamata a fare ed è diritto suo di fare in questo senso. In alcuni in alcune strategie, se per non dire in tutte troviamo delle offerte educative che vanno nel senso di omologare l’offerta educativa. Questa, secondo me, è la maggiore sfida a livello anche internazionale, ma sicuramente europeo; omologare, statalizzare, come se l’offerta educativa che parte da un da un certo concetto dell’uomo sia l’unica che possa veramente aiutare, il che non è assolutamente vero, semplicemente. Basta pensare alla pretesa che essa sia l’unica: già questo in sé, non è una cosa positiva.

Per l’Albania, per esempio, questo è un discorso che noi lasciamo passare tranquillamente perché siamo abituati a un sistema – non è sempre una parola positiva – che era il regime, quindi ciò che proponeva il sistema era tutto quello che veniva dallo Stato e sembrava oro colato, quindi ci trova poco reattivi perché così sa da essere. Mentre per l’Europa, i cammini, le strategie, le leggi, eccetera, vengono fatte con più insistenza, presentate in un modo più bello, un pacchetto più bello, ma la sostanza in fondo è la stessa. Quindi voglio invitare – qui ci saranno tanti genitori ad accogliere questa sfida – a prendere in mano la propria responsabilità di genitori, a interloquire con lo Stato sul contenuto della proposta educativa.

Io, come rappresentante delle scuole cattoliche, vedo qui una sfida da parte nostra di continuo, ad esserci proprio per fare la differenza, ma non per dire che siamo l’unica proposta completa, ma esserci vuol dire interrogare anche le proposte statali su alcuni contenuti: sul modello dell’uomo, sullo spazio, sulla trascendenza e sulle relazioni vere in una scuola. Quindi ciò che vedo, come mi dicono anche i nostri amici della Commissione europea, che forse non è la sfida dell’Albania, ma va un po’ in questo senso.

I processi di rinnovamento quando Ezio, parlando con Ezio, abbiamo un pochino visto anche di che cosa è bene condividere insieme, mi sono seduta a pensare all’esperienza educativa dei nostri ragazzi in Albania. Sarà un’esperienza anche piccola, perché riguarda lì, dove sono alla realtà errò i ragazzi. Ogni volta che parliamo della scuola li trovo sempre scoraggiati. E quando dico scuola, dico l’Agenzia maggiore educativa, non che la scuola sia l’unica. Allora che cosa fa male? I ragazzi dell’educazione che ricevono e sempre la prima cosa che dicono è la valutazione, dicono: “Noi non siamo numeri”. Non so, vedo forse qualche ragazzo che applaude. perché? Ci misurano loro, si sentono misurati in questi standard di test, sempre meno personalizzati, sempre più computerizzati e questo non li fa esprimere per quello che sono, per quello che sanno. E poi un distacco affettivo dagli insegnanti, come se fossero scoraggiati, magari non sono motivati, forse sarà lo stipendio, non sapevo, non solo, saranno tanti motivi, ma loro li avvertono lontani e soprattutto, a volte, chi li valorizza dicono spesso “loro ci strumentalizzano perché fanno dei nostri successi i loro successi” e quindi ancora peggio. E quindi che cosa? Io dico che la scuola sarebbe quella che voi sognate. Io mi pensavo tecnologia comparative learning, tutte queste metodologie, che sono sempre buone, Steam, che io stimo molto, che sembra un gioco di parole, ma loro mi hanno detto, “vorremmo un ambiente educativo dove crescere con delle persone che tengono a noi”. Quindi hanno scoperto l’acqua calda, perché questo è il sogno di sempre dei ragazzi, quindi hanno bisogno di educatori veri che si coinvolgono, non per questo perfetti. E non ci sono educatori perfetti, ci sono educatori che camminano con i ragazzi e scommettono sui ragazzi, quindi? E soprattutto di Rio, il coraggio parte da noi educatori sempre. Torniamo sulla adultità, il coraggio di conoscere questi ragazzi concreti, non i ragazzi che conosciamo sui libri o che abbiamo conosciuto 10 anni fa. Ma questi concreti, questi volti concreti, fanno da specchio in bene, non fanno da esame di coscienza a noi. E per poter, diciamo, aggiustare il tiro anche dei nostri errori, come anche prima si parlava della speranza educativa e anche il Papa, nel patto educativo globale, dice così: “Educare è sempre un atto di speranza” e all’educazione, perché c’è un inedito in ogni creatura, educatore o ragazzo che sia. E c’è un inedito dato dalla situazione che viviamo tutti e anche dalla presenza dello Spirito Santo e questo è credere alla presenza dello Spirito, sia noi come educatori, ma anche nei confronti dei ragazzi. Non siamo solo noi abitati dallo Spirito Santo che ci suggerisce che percorsi prendere, quando tirarsi indietro, o che ci incoraggia a non scoraggiarsi. Ma anche i ragazzi sono abitati dallo Spirito Santo: anche loro hanno delle risposte concrete, geniali e tante volte noi ritorniamo sugli stessi problemi, senza coinvolgere i ragazzi. Invece questo è del tutto sbagliato, perché è come dare risposte vecchie a problemi nuovi; tanto sono risposte già date, ridate e che magari vent’anni fa, 10 anni fa, hanno dato risultato, ma non per questo lo daranno ancora. Quindi io dico che avere questa saggezza di fede e fiducia anche ai giovani, ai ragazzi stessi, come dire, la soluzione e il coinvolgimento giusto nella propria educazione, faccia parte della speranza che tutti insieme vogliamo crescere.

 

Ezio Delfino: Abbiamo ancora qualche minuto, una domanda fuori programma che è una domanda mia che è nata adesso ascoltandovi, ascoltando l’esempio di tre adultità, se posso dire così. È raro trovare adulti così: consapevoli, umili, attenti e anche capaci di riedificare con quello che c’è, non con quello che si riterrebbe perfetto, ma con quello che c’è: la scuola, i propri ragazzi, la propria organizzazione, il proprio college. E allora vi faccio questa domanda, abbiamo un minuto per uno. È una domanda più di profondità, visto che vanno di moda gli accenti oggi. Allora, che cosa dà gusto, dà consistenza, dà vigore alle vostre vite personali? E quale è la ragione di questa vostra dedicazione ai ragazzi? Credo che sia una domanda inevitabile, perché la ricchezza, l’intelligenza, il gusto con cui avete parlato indicano che c’è dietro qualcosa. E quindi appunto, volevo chiedervi in una battuta: cos’è appunto che dà gusto alla vostra vita.? E qual è la ragione ultima per cui continuate a dedicarvi a questo mondo particolare che è la scuola, l’educazione? Non so chi vuol cominciare. Prego, Luciana.

 

Luciana Cardarelli: Famiglia. Famiglia biologica e famiglia scolastica. Perché infin dei conti, quando uno si mette sull’amore con l’amore che ci sta tra madre e figlio, tra nipoti, tra parenti, insomma, e trasferisce quell’amore (adesso parlo italiano invece di inglese mi sono resa conto, scusi. Ah è un buon segno? La famiglia del meeting è contenta.) Ma a quel punto di famiglia rendersi conto che quello che io posso offrire agli altri può dare condizioni migliori per tutti. Questo è quello che mi dà vita, insomma, e questo punto di vista lo do ai figli e pure ai nipoti adesso, e quando ero maestra ai miei studenti, quando ero direttrice ai miei colleghi e i miei insegnanti docenti. E anche adesso nella mia responsabilità da provinciale, provo a fare lo stesso.

 

Teuta Buka: Io ho sempre vissuto il mio essere educatrice, sempre legato alla mia consacrazione, quindi la trovo come una risposta a fare la mia parte in questo stupendo cammino di crescita dei ragazzi che mi dà immensamente gioia a vedere i ragazzi. Camminare con le proprie gambe, fare delle scelte perché i convinti e soprattutto diventare persone capaci di fraternità, di fraternità e di non pensare a se stessi, questo mi dà immensamente gioia e mi fa ripartire sempre da capo.

 

Hans Van Mourik Broekman: Ah. Credo che sia un desiderio intrinseco. È una sorta di emozione vibrante quando sono in mezzo ai giovani, che siano i miei figli, o i ragazzi a scuola, o altri ragazzi, o bambini che conosco, vedere la loro gioia, vederli crescere e prosperare, vederli vivere. E vedere come diventano consapevoli della propria umanità, della propria dignità, del proprio potenziale di creare un nuovo mondo. E per questo non ci sono mai brutte giornate a scuola: perché la storia non è una traiettoria dritta. È la storia di cui io ho bisogno: cioè io ho bisogno di loro tanto quanto loro hanno bisogno di me, perché stare con loro mi ispira, mi dà speranza. E fa di me quello che sono.

 

Ezio Delfino: Grazie. Grazie per questa emozione vibrante che avete trasmesso oggi e anche per molti spunti intelligenti, anche di azione di ripresa per noi educatori, insegnanti, presidi, genitori. Che fare, di cui faremo il tesoro? L’educazione è certamente rendere esplicito ciò che è implicito e questo mi sembra che oggi sia stato documentato in maniera nel Grecia. Quindi vi ringrazio. Ringrazio anche tutto il pubblico per come ci avete seguito. Vi ricordo che il meeting è un evento che si sostiene col contributo di tutti e è da sempre un luogo di cultura e ciascuno può contribuire e far contribuire a questa storia. Lungo la fiera troverete le postazioni “Dona ora” caratterizzate dal cuore rosso. Le donazioni per il Meeting possono avvenire unicamente ai desk dedicati, dove vi aspettano i volontari con la maglietta rossa dona ora e da quest’anno il meeting. Anche un ente del terzo settore e chi sostiene il Meeting potrà usufruire dei benefici fiscali al momento della dichiarazione dei redditi. Sosteniamo il Meeting perché ci consente questi incontri così decisivi, grazie.

Data

23 Agosto 2022

Ora

15:00

Edizione

2022

Luogo

Auditorium Intesa Sanpaolo D3
Categoria
Incontri