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LEZIONI SULLA BIBBIA
Lezioni sulla bibbia
Il microcredito mi ha cambiato la vita. II parte
Abramo e Sarah, Isacco e Rebecca, Giacobbe, Leah e Rachele: il sorprendente contenuto delle relazioni matrimoniali nella narrazione biblica
Partecipa Joseph H. H. Weiler, Director Straus Institute for the Advanced Study of Law & Justice and Co-Director Tikvah Centre for Law & Jewish Civilization at the New York University.
A seguire:
Perché Isacco amò Esaù e non Giacobbe?
Partecipa Joseph H. H. Weiler, Director Straus Institute for the Advanced Study of Law & Justice and Co-Director Tikvah Centre for Law & Jewish Civilization at the New York University.
Introduce Stefano Alberto, Docente di Introduzione alla Teologia all’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano.
STEFANO ALBERTO:
Benvenuti a tutti, buongiorno, sono contento di vedervi così numerosi perché – non è una novità – dimostrate che il popolo del Meeting, come lo chiamano i giornalisti, è un popolo mediamente intelligente, cioè sa apprezzare le cose grandi, sa distinguere le cose grandi dalle cose medie o medio-piccole. Oggi è la seconda volta che abbiamo l’opportunità di un gesto che dentro al Meeting è unico, anche se il contenitore è tradizionale, perché siamo sul palco dove vengono presentati i libri. Solo che il libro di cui parliamo oggi è un libro molto particolare, anzi è il Libro per eccellenza: la Bibbia. Abbiamo l’occasione di avere un protagonista grande, che ci introduce alla lettura di alcuni passi e di alcune figure della Bibbia. Per esempio, il racconto di Adamo ed Eva, che poi ha portato al peccato originale, e la figura di Giacobbe, perché Giacobbe lo sentiamo così vicino alla nostra sensibilità, molto più del patriarca Abramo. Joseph Weiler, non ha bisogno di tante presentazioni, perché è uno dei Professori più famosi di Diritto Costituzionale al mondo: insegna alla New York University e ha tanti altri incarichi. Oggi pomeriggio, lo sentirete in veste di esperto di Diritto anche se, i suoi amici lo sanno, l’incontro a cui lui tiene di più è questo, l’incontro per cui immagino si sia anche più preparato, perché confluisce qui tutta la sua vita, tutta la sua fede, che è la fede del popolo ebraico, del popolo eletto. Lui ha coniato un’espressione, che ci suggerisce quando parliamo della Bibbia, O. T. : per noi, Old Testament, per lui Only Testament.
JOSEPH H. H. WEILER:
C’è anche in versione italiana: Vecchio Testamento, Vero Testamento.
STEFANO ALBERTO:
Come vi accorgerete, e io non ho fatica di dirlo, da cristiano cattolico, da prete: quando ascolto il professor Weiler entrare in queste pagine meravigliose, che tanti di noi conoscono, con un certo pudore dico che capisco quello che don Giussani ci ha sempre ricordato, i nostri fratelli ebrei sono i nostri fratelli maggiori, perché hanno una consapevolezza della fedeltà di Dio dentro la carne, dentro la storia, che noi, forse perché tutto è accaduto più gratuitamente, non abbiamo. In questo senso, queste due ore e mezza sono un contributo prezioso per andare alle radici della storia di ciascuno di noi, guidati da una sapienza, da una fede grande, perché in lui vibra questa fede, da una umanità straordinaria. Come avete visto dal programma, oggi vedremo Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, Giacobbe, Lia e Rachele: il sorprendente contenuto delle relazioni matrimoniali nella narrazione biblica. A seguire, faremo solo una piccola pausa, vedremo perché Isacco amò Esaù e non Giacobbe. Come sempre, vi preannuncio, ci saranno delle sorprese grandissime. Non dico altro per non togliere spazio a quella che è innanzitutto una grande testimonianza. Grazie in anticipo.
JOSEPH H. H. WEILER:
Grazie a don Pino, grazie a tutti voi. Di solito chiedo scusa per il mio italiano, ma oggi lo faccio veramente perché non ho preparato una traduzione: lo faccio un po’ alla garibaldina, scusate.
STEFANO ALBERTO:
Parla italiano meglio di alcuni Ministri, come vi siete accorti.
JOSEPH H. H. WEILER:
Cattivo. Ha ragione, non soltanto tengo molto a questa lezione, ma mi sento nervoso: oggi pomeriggio non sarò nervoso perché è molto più facile. Vorrei ricordare una cosa: ho cominciato al Meeting con una delle mie più grandi delusioni, colpa mia. Al mio primo Meeting, nel 2003, ero più giovane e sciocco e non pensavo di chiedere di incontrare don Giussani. Quando ho cominciato a leggere, quando mi sono reso conto, era già troppo tardi, e mi rimprovero sempre quella mia dimenticanza. L’anno scorso mi è venuto in mente di fare una lezione in omaggio a don Giussani, e anche quest’anno continuo: è un omaggio a don Giussani. Mi sono preso un impegno: se mi invitano un altro anno, la condizione sarà sempre che io possa fare questo omaggio a don Giussani.
STEFANO ALBERTO:
Non c’è due senza tre!
JOSEPH H. H. WEILER:
Bene. Allora superiamo il nervosismo. Vorrei parlare dell’istituzione del matrimonio, che è molto in discussione: non parlo soltanto del matrimonio omosessuale ma anche del matrimonio stesso, il ruolo del marito, il ruolo della moglie. Si pensa che l’ultimo luogo dove andare a guardare l’istituzione del matrimonio sia la Bibbia: meglio, per esempio, andare da un prete. Sappiamo cosa direbbe il prete: siate buoni, fedeli, ecc. Ma cosa direbbe la Bibbia? Essa descrive un’istituzione patriarcale. Anzi, tutta la critica al matrimonio patriarcale viene da come la Bibbia descrive il matrimonio, dove solo il marito è quello che conta, dove la donna a volte è una cosa da comprare e da vendere. Si va e si chiede al babbo, è lui che dà sua figlia: proprio una compravendita, dove ci sono interessi economici, alLianze politiche e dove il ruolo della donna è solo quello di fare figli maschi. Questo è il modello di matrimonio a cui pensiamo quando pensiamo alla Bibbia. Vorremmo qualcosa di più contemporaneo, più sensibile. Questo è sbagliato. Perché, oggi, quello che voglio fare è una gita sulla vita matrimoniale dei patriarchi! Sulla vita di Abramo, il primo patriarca, con Sara, e poi di Isacco con Rebecca e poi di Giacobbe con Lia e Rachele. Che cosa vediamo, quando facciamo questa gita? Prima vediamo che la Bibbia, pur essendo molto sintetica nelle espressioni, soprattutto nella lingua ebraica, possiede una finezza psicologica e sociologica incredibile: vedremo delle sfumature sul rapporto coniugale, sessuale, affettivo fra gli sposi che è veramente sorprendente. E poi vedremo che c’è la diversità, che il matrimonio di Abramo con Sara è molto diverso dal matrimonio di Isacco con Rebecca, e quello di Rebecca con Isacco è molto diverso da quello di Giacobbe con la sua prima moglie Lia e con la seconda, Rachele. Avremo tre o quattro modelli di matrimonio diversi. Non è un modello unico di matrimonio, quello che la Bibbia ci offre. Poi vedremo delle cose radicali: nel discutere sul matrimonio, intendo focalizzarmi sugli aspetti affettivi e poi sugli aspetti istituzionali.
Allora, ecco la mia tesi, come esempio, tanto per creare un po’ di appetito. Il matrimonio di Abramo e Sara era un matrimonio triste, secondo me Abramo non ha mai amato Sara, non ha mai avuto una passione per Sara. Lei ha sofferto e lui ha sofferto. Quello che è bello, per me, nella Bibbia, è che non è una telenovela, non cerca di rendere bello quello che non lo è, è molto rude e cruda. Allora, questo è un matrimonio quasi senza amore, loveless. Sento misericordia sia per Sara che per Abramo, nello stesso modo in cui oggi sento tenerezza quando vedo coppie sposate in cui so che l’amore non c’è, non c’era o non c’è più. Il grande Abramo, quello che veramente più di tutti i patriarchi ha subito le prove più feroci, come sacrificare il proprio figlio, le ha superato tutte alla grande. Ma con sua moglie ha fallito, non ha superato la prova del matrimonio, dal punto di vista affettivo. Questo è sorprendente, non ci si aspetta che la narrativa della Bibbia sia così realistica, aperta: bisognerebbe leggere con attenzione, ed ecco allora un esempio della radicalità.
Andiamo ad Isacco e Rachele, sempre come anteprima, per stuzzicarvi l’appetito, visto che poi sarà un po’ noioso andare passo passo nella lettura. Allora, io ho fatto un indice per capire quali sono i fattori che fanno di un uomo un patriarca. Ne ho identificati cinque: il patriarca ha una rivelazione diretta da Dio, ha una missione, deve fare una gita dalla terra non promessa alla Terra Promessa, deve prendersi la responsabilità della generazione successiva. Ora, una sorpresa che ha lasciato i miei amici ebrei che leggono la Bibbia dalla mattina alla sera con la bocca aperta, è che io ho scoperto che il vero patriarca, nel rapporto tra Isacco e Rebecca, è Rebecca. E’ Rebecca: su tutto, Isacco è zero. Rebecca ha la rivelazione diretta, lui non è mai uscito dalla Terra Promessa, è stata lei a fare la gita. Vediamo che, quando Abramo manda il suo servo a trovare moglie per suo figlio, per Isacco, va dal padre e dice: vorrei tua figlia per mio figlio. Il padre della ragazza di solito dice: quanto mi paghi? Invece, Labano, il padre di Rebecca, dice: chiediamo alla ragazza. Decide lei se accettare. Ad Abramo, Dio dice: lascia la tua terra, la tua famiglia, tuo padre e vai nella terra che ti mostrerò. La stessa cosa dice alla piccola ragazza Rebecca: lascia la tua terra, la tua famiglia, il tuo padre per andare. E’ lei che dice: vorrei andare. In un certo senso, suo padre dice: no, spero che lei dica di no. Anche passando dalla parte emozionale e affettiva al ruolo, la Bibbia ci sorprende perché, formalmente, è Isacco il patriarca e Rebecca la moglie. In realtà, da tutti i punti di vista, lei è il patriarca. E’ lui che fa un po’ la funzione di moglie.
Ora, altre cose. Pensiamo al matrimonio biblico: fino a Gesù, gli uomini avevano tante mogli, giusto? Esiste nella Bibbia il famoso Re David, che aveva cinque mogli, non si contano quelle di suo figlio Salomone. I patriarchi invece erano monogami. E’ vero che Abramo ha preso Agar, ma l’ha presa soltanto perché sua moglie gli ha detto di prenderla. Non è stata scelta sua, è stato fatale perché, come spiegherò, secondo me s’innamorò di Agar. Isacco amava Rebecca di un amore folle, e l’ha amata dall’inizio alla fine. La sola ragione per cui Giacobbe aveva due mogli è perché Labano l’ha ingannato. Lui, poverino, ha lavorato sette anni per Rachele: scusate, signore e signorine, chi di voi non avrebbe voluto un marito pronto a lavorare per voi per sette anni? Grande amore giusto! Allora, pensate al povero Giacobbe: ha lavorato per sette anni, vedendo questa ragazza ogni giorno senza poterla toccare, amare e accarezzare. Dopo sette anni, finalmente, arrivò il matrimonio. La luce non c’era: andò nella sua tenda, finalmente la poteva baciare, fare l’amore. E alla mattina scoprì che era la sorella. Solo per questo, aveva due mogli e odiava Lia. Per me, è stata una rivelazione rendermi conto che quella dei patriarchi era una tradizione monogama.
Ora, vorrei dire una cosa molto importante: questa lettura della Bibbia che vorrei offrirvi, perché finora avete avuto solo un’anteprima, non è normativa, non è la lezione che la Bibbia vuole impartire, non è così! Il mio scopo è la speranza di farvi amare la Bibbia, di creare in voi una sete, una fame, perché andiate a leggere la Bibbia con lo stesso gusto che ho avuto io in tutta la mia vita. Leggerla, riflettere, vedere: nella mia vita – sto per compiere 59 anni – ho letto il libro della Genesi cinquantacinque volte. E ogni anno, quando lo leggo, scopro nuove cose. La mia speranza è sempre in omaggio a don Giussani perché, intendiamoci, lui adorava la Bibbia, lui la leggeva in continuazione, in tutti suoi libri ci sono migliaia di riferimenti alle storie della Bibbia, sempre con interpretazioni di una finezza squisita. Allora, io tengo questa lezione non per insegnarvi cosa pensare sul matrimonio, ma solo nella speranza di creare una sete, perché leggiate ogni tanto un capitolo di questo libro. Uno alla settimana, perché no? Così, un giorno potrete dire: nella mia vita ho letto tutta la Bibbia. Una grande cosa. Un’ultima cosa come prefazione: abbiate pazienza, spero di non annoiarvi perché si dice che il diavolo sia nei dettagli, ma anche la bellezza è nei dettagli, e dobbiamo vedere un po’ i dettagli.
Cominciamo con Abramo e con Sara: la tesi che vorrei dimostrare è che il loro fosse un matrimonio, dal punto di vista affettivo, senza amore, loveless. Andiamo a Genesi, capitolo 11, dal versetto 27 al 30. C’è una cosa che sin dall’inizio è diversa, tra Abramo e Sara, da una parte, e Isacco e Giacobbe, dall’altra. Quando Isacco incontra Rebecca per la prima volta, Rebecca arriva dall’Iraq e, vedendo Isacco da lontano, fa finta di cadere dal cammello per attirare la sua attenzione. Lui la vede e la Bibbia dice che si innamorò subito. Brava. E’ un così grande amore che dimentica la sua amata madre. Quando Giacobbe vede Rachele per la prima volta, è un colpo di fulmine. Lui chiede: tu chi sei? Lei glielo dice e lui chiede di nuovo: posso darti un bacio? Le dà un bacio e comincia a piangere: un grande amore a prima vista! Vediamo invece Abramo: “Abramo e Nacor si presero delle mogli”. Ecco, tutto qui. Niente amore, nulla, un fatto cronologico. Quello che è importante nel testo, al versetto 29, è la mancanza di qualsiasi elemento romantico. Mi spiego? Ha preso una moglie, niente di romantico, una cosa di normale amministrazione: ci vuole una moglie e si prende una moglie.
Ora, andiamo a Genesi 12, versetto 10. Allacciate le cinture di sicurezza. Allora, versetto 11. In inglese si dice: behold now, cioè “ora so che tu sei bellissima”. In italiano hanno tradotto: “Vedi, io so che tu sei donna di aspetto avvenente”. Ma tutte e due le traduzioni sono sbagliate, perché la versione ebraica originale è un po’ più brutale. Lui dice: “Guarda, ora so che tu sei una donna bella”. Questo ora è incredibile per tutti gli interpreti. Perché? Come, ora scopri che sono bella? C’è fame, carestia nel paese, vado in Egitto e lei è straordinariamente bella, lei è così bella che lui ha paura, sa che lo ucciderebbero per prenderla. Mi spiego? E’ così bella! Allora lui le dice: fingiamo che tu sia mia sorella, perché se credono che sei mia sorella non mi uccidono. Cattivo Abramo! Il re d’Egitto la prende subito come concubina al palazzo. Ma non è questa la ragione per cui sono critico. Quello per cui sono critico è il fatto che quando arrivano in Egitto, lui dice: ora so che tu sei bella. Cosa vuol dire “ora so che tu sei bella”? Scusate, qui abbiamo uno che è sposato con una donna così bella che rischia la vita per lei e non lo sapeva prima? Non abbiamo l’impressione di un uomo che mille volte ha accarezzato la sua donna e le ha detto: quanto sei bella! C’è uno che, quando arriva in Egitto per la prima volta, scopre quanto sua moglie sia bella. Mi fa pensare che quando si dice che Sara non può avere figli, la ragione non sia chiara.
Andiamo al prossimo pezzo. Non ho segnato il capitolo, ve lo racconto. Andiamo al 13, no, al 16. Ecco, leggiamo insieme: «Sara, moglie di Abramo, non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata Agar, Sara disse ad Abramo: "Ecco, il Signore mi ha impedito di avere prole. Unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli". Abramo ascoltò la voce di Sara.
Così, al termine di dieci anni da quando Abramo abitava nel paese di Cànaan, Sara, moglie di Abramo, prese Agar l’egiziana, sua schiava e la diede in moglie ad Abramo, suo marito.
Egli si unì ad Agar, che restò incinta». Anche oggi, nell’ebraico moderno, in maniera molto poetica, per descrivere il rapporto sessuale si dice: vengo da te. Delicato, niente di più. “Andò da Agar e rimase incinta. E quando si accorse che era rimasta incinta, guardò la sua padrona con disprezzo”. Ecco, fermiamoci qui, per il momento. Disprezzo è una traduzione ancora troppo forte: vuole dire piuttosto prendere la sua padrona un po’ alla leggera. Allora, possiamo immaginare che Sara fosse arrabbiata. Ma ora, di nuovo cinture di sicurezza, dobbiamo leggere davvero con attenzione il dialogo tra Sara ed Abramo: «E Sara disse ad Abramo: “l’ingiuria fatta a me ricada su te”». Dà la colpa a lui, non ad Agar, vedete? “Io ti ho dato la mia serva in seno e dacché ella si è accorta che era incinta mi guarda con disprezzo. L’Eterno sia giudice tra me e te”. Si poteva pensare che lei avrebbe dovuto dire che il Signore, l’Eterno, sarebbe stato giudice tra lei ed Agar. Invece, chiede che l’Eterno sia giudice tra lei e Abramo.
Come si spiega questo? Facilmente. Lei sa benissimo che Agar non avrebbe mai osato trattarla con disprezzo, trattarla alla leggera, se non avesse avuto in un certo modo il consenso di Abramo. Ora, sono sicuro che Abramo non è andato da Agar a dirle che poteva disprezzare sua moglie. Cosa è successo? Per me è molto chiaro: Abramo si innamorò di Agar, si innamorò del suo amore e del suo essere incinta e del fatto che poteva dargli un figlio. E Agar sentì questo amore. E sentendo l’amore di Abramo verso di lei, si permise di trattare con disprezzo la sua padrona. E’ delicato, fa tenerezza: una situazione tremenda per Sara, una situazione tremenda per Agar, una situazione tremenda per lo stesso Abramo. Ora andiamo avanti. Vorrei che andassimo al prossimo capitolo. “E Abramo: ecco la tua serva, è in tuo potere, fa’ con lei come ti piacerà. Sara la trattò duramente ed ella se ne fuggì da lei”. Anche qui, la traduzione è brutta, perché ho detto che la Bibbia non ci nasconde nulla, e la parola che si usa nella versione ebraica dice non che la trattò duramente ma che la torturò, e che addirittura la torturò quasi in maniera sessuale. Viene usata, infatti, la stessa parola che si usa per un abuso sessuale. Di sicuro non è bello, ma conferma la mia ipotesi, che Sara abbia visto in Agar una donna che le ha preso l’affetto del marito ed è arrabbiata, frustrata: perciò, la tratta così male che la Bibbia usa la parola dura che esprime una tortura sessuale, perché lei vada via.
Andiamo al prossimo pezzetto, andiamo al capitolo 18. Vengono i messaggeri di Dio e dicono che dopo un anno avrebbe avuto un figlio. «Poi gli dissero: "Dov’è Sara, tua moglie?". Rispose: "È là nella tenda". Il Signore riprese: "Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio". Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda ed era dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e disse: "Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!". Ma il Signore disse ad Abramo: "Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia?”». Questo è il famoso passaggio che mi hanno spiegato che don Giussani aveva studiato e da cui traeva un insegnamento molto interessante. A me interessano le parole, e qui la traduzione è giusta. Andiamo un po’ avanti. Allora Sara negò: "Non ho riso!", perché aveva paura; ma quegli disse: "Sì, hai proprio riso". Abramo rimprovera Sara perché ha riso. Questo è strano perché, dopo, anche Abramo riderà, al pensiero di avere un figlio dopo un anno. Allora, c’è una cosa strana: perché Abramo, che ride anche lui, rimprovera Sara quando ride? Mi spiego? Andiamo indietro, al versetto 12: è troppo bello, bisognerebbe concentrarsi. Si dice che lei era vecchia, che non aveva le mestruazioni, che era già in menopausa. Sì, ma lei dice un’altra cosa. Non dice: non posso avere figli. Ma dice: “vecchia come sono, avrei io tali piaceri?”. Sta parlando del piacere, non del fatto fisico che non può avere figli. Se siamo veramente attenti al testo, Sara non mette in dubbio la capacità di Dio di creare la situazione di una nuova fecondità per lei, ma pensa: io non posso avere questi piaceri. Ci sono qui ragazzi piccoli, allora non parliamo dei piaceri di cui lei parla. Sara aggiunge: “E anche il mio signore è vecchio”. Ci sono i ragazzi, non vorrei essere troppo esplicito. Ma questo spiega perché Abramo si arrabbia: non si può dire arrabbiato perché lei ride, dato che lui stesso ride. Abramo è arrabbiato perché si rende conto che lei ride di lui, perché lui ormai è troppo vecchio e queste cose non può più farle. Ma, signore e signori, non è così, perché Sara dopo muore, Abramo prende una nuova moglie e con questa nuova moglie ha tanti figli. Non vuole dire soltanto che è virile, ma anche che è potente, che queste cose le sa fare ancora. Qui vediamo in maniera sottile che fra di loro non c’erano rapporti sessuali, perché quando Sara dice: “questi piaceri non avrò più e il mio signore è vecchio”, significa che, dato che non fanno l’amore, lei crede che lui sia vecchio e già impotente e non possa farlo. Ma appena lei muore e lui si risposa, come lo fa, l’amore! Mi spiego? Ha altri figli. Lei lo ha pensato impotente, invece lui non provava desiderio per lei, e perciò non facevano l’amore. Mi spiego?
Andiamo alla fine di questa storia triste ma delicata. Andiamo al 23: “Gli anni della vita di Sara furono centoventisette: questi furono gli anni della vita di Sara.
Sara morì a Kiriat-Arba, cioè Ebron, nel paese di Cànaan, e Abramo venne a fare il lamento per Sara e a piangerla”. Ci sono due cose da dire qui: bisognerebbe leggere e non dare per scontato. Senza nessuna preparazione, all’improvviso, Sara muore. Guardiamo quello che succede prima, il sacrificio di Isacco: tutti gli interpreti ebrei dicono che Sara morì perché seppe di quella cosa, cioè della grande prova di cui Abramo non aveva parlato con lei. All’improvviso, lei apprende che lui aveva preso suo figlio e che era pronto ad ucciderlo: e muore, ha un infarto. Ma c’è una cosa strana: se questa fosse la mia classe di Giurisprudenza, torturerei i miei studenti per farmi dire da loro cosa c’è di strano nel versetto 2! Qual è la parola chiara sull’ottica del rapporto affettivo tra Abramo e Sara? “Venne”. Lui non viveva con lei. Quando lei muore, lui deve andare per fare il lamento e piangerla: cioè, lui viveva altrove. Andiamo al capitolo 25, per favore: “Abramo prese un’altra moglie: essa aveva nome Chetura. Essa gli partorì Zimràn, Ioksan, Medan, Madian, Isbak e Suach”. Il Talmud, che come la Bibbia è senza pietà, dice che Chetura è Agar, è l’altro nome di Agar. Appena la moglie se ne va, Abramo va a sposare il suo vero amore che è l’egiziana Agar e ha quei figli con lei.
La mia tesi sulla vita affettiva di Abramo e Sara finisce, non è da ridere, quasi da piangere, è una storia triste. Ma ciò che è importante, dal mio punto di vista, è che abbiamo la descrizione del più grande protagonista del Vecchio Testamento. Pensate un po’, si tratta di Abramo e di Sara, patriarca e patriarca. Si poteva pensare che la Bibbia presentasse il loro matrimonio in maniera idealistica e invece abbiamo una descrizione abbastanza dura: ecco la vita reale! Anche questo è matrimonio! Per il discorso sociale, del ruolo, ho un’altra cosa: pur non avendo grande affezione, il suo statuto come patriarca è assicurato, viene sepolta nella tomba patriarcale e patriarcali sono gli eredi: sono soltanto Isacco ed Ismaele, non i figli che nascono dopo. Allora, pensiamo un po’, perché è molto interessante: passiamo dalla vita affettiva al ruolo istituzionale di marito e moglie nel mondo di Abramo e Sara. Gli eredi sono soltanto Isacco e Ismaele, tutti altri figli vengono mandati via con regali, non senza niente, ma non sono considerati veri eredi di Abramo. E’ una cosa strana, prendiamo l’ipotesi del Talmud, che Chetura sia veramente Agar: perché i figli che vengono dopo sono trattati in modo diverso da Ismaele? Solo per una ragione: perché era stata Sara a dire ad Abramo di fare questo figlio. Cioè, Ismaele prende il suo statuto perché era figlio per Sara: gli altri figli non erano di Sara e non sono eredi.
E’ nel suo statuto di patriarca, definire chi sarà erede e chi non sarà erede. E’ lei che definisce, non Abramo, non il padre! Se avessimo più tempo, vi farei vedere a livello istituzionale la sua posizione, che è molto importante. Per esempio, quando lei manda via Agar, Abramo protesta, perché Abramo aveva un grande senso di giustizia e non gli sembrava giusto che Agar venisse mandata via: questa è la storia ufficiale della Chiesa. C’è anche la storia poco ufficiale, che dice che lui davvero amava Ismaele, perché era il suo primogenito, che non voleva mandare via. E Dio dice ad Abramo: “Tu devi ascoltare tua moglie, decide lei su queste cose!”. Cioè, pur non avendo un rapporto affettivo, dal punto di vista istituzionale la sua posizione non è mai in questione. Allora, chiudiamo con Abramo e Sara e andiamo a vedere Rebecca e Isacco. Interessante, no? Vado un po’ più veloce.
Andiamo a Genesi 24: «Abramo era ormai vecchio, avanti negli anni, e il Signore lo aveva benedetto in ogni cosa. Allora Abramo disse al suo servo, il più anziano della sua casa, che aveva potere su tutti i suoi beni: “Deh!”». Cosa vuol dire questo deh? Deh, don Pino, metti la tua mano sotto la mia coscia: non andrebbe troppo bene, giusto? «Metti la mano sotto la mia coscia e ti farò giurare per il Signore, Dio del cielo e Dio della terra, che non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito, ma che andrai al mio paese, nella mia patria, a scegliere una moglie per mio figlio Isacco.
Gli disse il servo: "Se la donna non mi vuol seguire in questo paese, dovrò forse ricondurre tuo figlio al paese da cui tu sei uscito?"». Perché insisto a leggere questo? Primo, per spiegarvi una cosa che anche i miei amici più vicini non capiscono. Prendete la professoressa Marta Cartabia, che io amo come se fosse mia sorella: se un giorno sapessi che uno dei suoi figli vuole sposare uno dei miei figli, per me sarebbe una tragedia, una calamità. Se diventano ebrei, è un’altra cosa, benvenuti! Ma allora, vedete dove comincia questo? C’è un’altra ragione per cui insisto, questo per il momento archiviamolo, va bene?
Andiamo al 24, verso 10: «Il servo prese dieci cammelli del suo padrone e, portando ogni sorta di cose preziose del suo padrone, si mise in viaggio e andò nel Paese dei due fiumi, alla città di Nacor. Fece inginocchiare i cammelli fuori della città, presso il pozzo d’acqua, nell’ora della sera, quando le donne escono ad attingere. E disse: "Signore, Dio del mio padrone Abramo, concedimi un felice incontro quest’oggi e usa benevolenza verso il mio padrone Abramo! Ecco, io sto presso la fonte dell’acqua, mentre le fanciulle della città escono per attingere acqua”». Che bella parola, fanciulla! «Ebbene, la ragazza alla quale dirò: “Abbassa l’anfora e lasciami bere”, e che risponderà: “Bevi, anche ai tuoi cammelli darò da bere”, sia quella che tu hai destinata al tuo servo Isacco; da questo riconoscerò che tu hai usato benevolenza al mio padrone. Non aveva ancora finito di parlare, quand’ecco Rebecca, che era nata da Betuèl figlio di Milca, moglie di Nacor, fratello di Abramo, usciva con l’anfora sulla spalla. La giovinetta era molto bella d’aspetto, era vergine, nessun uomo le si era unito. Essa scese alla sorgente, riempì l’anfora e risalì. Il servo allora le corse incontro e disse: “Fammi bere un po’ d’acqua dalla tua anfora”. Rispose: “Bevi, mio signore”. In fretta calò l’anfora sul braccio e lo fece bere.
Come ebbe finito di dargli da bere, disse: “Anche per i tuoi cammelli ne attingerò, finché finiranno di bere”. In fretta vuotò l’anfora nell’abbeveratoio, corse di nuovo ad attingere al pozzo e attinse per tutti i cammelli di lui».
Esattamente quello che voleva! Ora è interessante, perché a questo punto ci si poteva aspettare che lui andasse dal padre e chiudesse l’accordo. Ora cominciano a succedere delle cose strane. Primo: pensate a quello che il servo di Abramo ha già detto: “Che cosa farò se lei non accetterà di venire con me?”. Se pensiamo al contesto patriarcale, è una domanda che non ha senso. Allora si capisce che qui si tratta di un’altra cosa. Poi c’è un’altra cosa che è molto interessante: su Sara non sappiamo nulla: “Abramo prese Sara come moglie”. E anche su Rachele non sappiamo nulla: Giacobbe arriva, vede Rachele, si innamora, e non sappiamo nulla, sappiamo solo che Rachele era molto bella e che Lia invece era brutta. Ma quello che è stranissimo, nella storia di Rebecca, è che c’è un capitolo intero che parla, non di Isacco, non di Abramo, non di Giacobbe ma di Rebecca stessa. Quando è finito il capitolo, quando andiamo avanti, c’è una conversazione intera. Poi lei va a casa sua, da Labano, trattano e Labano chiede se lei vuole, se è pronta ad andare avanti, mi spiego? E lei dice: “Sono pronta ad andare avanti”. Versetto 50: Allora Làbano e Betuèl risposero: “Dal Signore la cosa procede, non possiamo dirti nulla. Ecco Rebecca davanti a te: prendila e và e sia la moglie del figlio del tuo padrone, come ha parlato il Signore”. C’è una scelta di Dio stesso: “Quando il servo di Abramo udì le loro parole, si prostrò a terra davanti al Signore”.
Andiamo un po’ avanti: il servo eccitato volle tornare subito con la ragazza al suo paese. Dice: “Lasciatemi andare dal mio padrone”. Ma il fratello e la madre di lei dissero: “Rimanga la giovinetta con noi qualche tempo, una decina di giorni; dopo, te ne andrai”. Rispose loro: “Non trattenetemi, mentre il Signore ha concesso buon esito al mio viaggio. Lasciatemi partire per andare dal mio padrone!”. Ora, la cosa più sorprendente: «Dissero allora: “Chiamiamo la giovinetta e domandiamo a lei stessa”. Chiamarono dunque Rebecca e le dissero: “Vuoi partire con quest’uomo?”. Essa rispose: “Andrò”»;
perché quando Dio dice ad Abramo: “Lascia tutto e vai alla terra promessa”, Abramo lascia tutto e va alla terra promessa. Qui succede indirettamente, quando il padre dice che è l’Eterno che decide, se questa fanciulla decide di andare. Pensate: arriva un servo per portarla via, in una terra diversa, ad un uomo diverso, ad un destino nuovo, e la madre vuole che resti. Sarebbe la cosa più facile per lei dire: “Vorrei pensare, vorrei restare con la mamma, con il babbo, ecc.”, e invece lei dice: “Sì, andrò”. A me vengono le lacrime. Perché è una persona che ha capito il suo destino, allo stesso modo di Abramo che aveva capito il suo destino e di Giacobbe che aveva capito il suo destino. E’ pronta a fare il viaggio, e il viaggio è simbolico, è lo stesso viaggio che aveva fatto Abramo, esattamente sulle tracce di Abramo, è lo stesso viaggio che fa Giacobbe: anche Giacobbe deve lasciare la terra di Israele, la Terra Santa, andare in questo posto, da Labano, e poi fare tutto il viaggio indietro. Lo fanno in tre! Abramo, Giacobbe e Rebecca. E lei lo fa, non perché è costretta, ma perché prende proprio in mano il suo destino.
Vediamo un’altra cosa: «Essa rispose: "Andrò". Allora essi lasciarono partire Rebecca con la nutrice – vedete quanto è giovane – insieme con il servo di Abramo e i suoi uomini.
E benedissero Rebecca e le dissero: “Tu, sorella nostra, diventa migliaia di miriadi
e la tua stirpe conquisti la porta dei suoi nemici!”». Due cose strane: la prima è che lei è benedetta, di solito è l’uomo che è benedetto, il patriarca, non la donna, non la madre, mi spiego? Secondo, il contenuto della benedizione è un contenuto maschile. E’ esattamente lo stesso contenuto che hanno avuto Abramo e Giacobbe: la tua progenie sarà forte, sarà molto numerosa. In tutto, lei è patriarcale, il contenuto è patriarcale. Per chiudere su questo: “Isacco supplicò il Signore per sua moglie, perché essa era sterile e il Signore lo esaudì, così che sua moglie Rebecca divenne incinta. Ora, i figli si urtavano nel suo seno”. Perché seno? Mi avete insegnato che si dice grembo! «Ed essa esclamò: "Se è così, perché questo?”». Andò a consultare il Signore. Il Signore le rispose: “Due nazioni sono nel tuo seno e due popoli dal tuo grembo si disperderanno; un popolo sarà più forte dell’altro e il maggiore servirà il più piccolo”. Quello che è importante qui, è che è Rebecca ad avere la rivelazione diretta da Dio, non Isacco, non il padre. E’ lei stessa. E’ lei che è responsabile! Poi, c’è una cosa che abbiamo imparato l’anno scorso: abbiamo detto che Giacobbe in ebraico è la parola usata anche per indicare un disonesto, ha la stessa radice di disonestà. E la cosa più sconcertante di Giacobbe è che, quando la madre Rebecca gli dice di ingannare il padre, e lui risponde che è impossibile ingannare suo padre, non si giudica Rebecca per la rivelazione, ma si giudica severamente solo Giacobbe, per questo. Lei doveva manovrare per realizzare la profezia che Dio stesso le aveva fatto, ma non ha mai detto questo a Giacobbe, non ha detto a Giacobbe che era Dio che le aveva rivelato tutto, perché la rivelazione tra Rebecca e Dio é una cosa tra Rebecca e Dio, non è una cosa da mettere in giro.
Finalmente, andiamo al 27, verso 46. Vi ricordate che vi ho detto una cosa da archiviare? Ora andiamo all’archivio e prendiamo quella cosa che abbiamo messo via prima. Poi Rebecca disse a Isacco: “Ho disgusto della mia vita a causa di queste donne hittite: se Giacobbe prende moglie tra le hittite come queste, tra le figlie del paese, a che mi giova la vita?”.
Chi ha detto questo, nella prima generazione? Abramo. E’ stato Abramo a capire che suo figlio, l’erede, non può sposare una di queste figliole della terra, ma che deve andare e sposare una dei suoi. Chi lo fa adesso, questo discorso? Non Isacco ma Rebecca, è Rebecca che gioca il ruolo di patriarca, che è responsabile. Iniziamo la storia di Rebecca. Qui abbiamo visto un matrimonio molto interessante: dal punto di vista affettivo, di successo, almeno dal punto di vista di Isacco, perché lui si innamorò di Rebecca: non abbiamo tempo, ma c’è anche una frase tradotta che esplicita i giochi sessuali tra Isacco e Rebecca e dice che era un matrimonio di amore, anche dal punto di vista della felicità sessuale, il contrario del matrimonio tra Abramo e Sara. E’ un modello di matrimonio in cui il ruolo vero è la patriarca. Non stiamo parlando della storiella per cui dietro ad ogni uomo importante c’è una donna. E’ lei la persona importante del matrimonio! Non è che lei spieghi, è lei stessa che decide: anche questo, ammettetelo, non ce lo si aspetta, che nella Bibbia ci sia una storia di matrimonio dove i pantaloni sono della donna, la patriarca di Israele.
Velocemente, facciamo Giacobbe e le due mogli, senza il testo, perché c’è il diritto costituzionale ad andare a fare la pipì e siamo già in violazione! Vorrei dire velocemente qualcosa di Giacobbe. Giacobbe si innamorò di Rachele, un amore folle, così folle che tratta anche abbastanza male Lia. Decidete voi, andate a leggere una storia squisita con le sfumature, come soffre la povera Lia. Immaginatevi il figlio di Lia, Ruben, il primogenito di Giacobbe: arriva con dei fiori particolari, con un aroma molto speciale. Rachele vuole avere questi fiori e dice a sua sorella: “Dammi questi fiori che tuo figlio ha trovato nei prati”. E Lia risponde con amarezza: “Scusami, mio marito lo hai già preso, vuoi anche i fiori?”. Allora Rachele dice, e fa tenerezza: “Se mi dai i tuoi fiori, io ti do Giacobbe per una notte”. Quando viene Giacobbe – è di nuovo tenerezza -, trova Lia che dice: “Stanotte tu vieni da me, Rachele ti ha dato a me per stanotte”. Da piangere, giusto da piangere. Questo è un matrimonio complesso, dove Giacobbe ha occhi solo per Rachele, e invece Dio ha gli occhi per Lia, perché è vero che da Rachele ha i due figli, tra cui Giuseppe il giusto, però Lia viene sepolta a Hebron, nella tomba patriarcale. Rachele non è sepolta lì: questa è la prima indicazione che il giudizio della Bibbia è diverso dal giudizio di Giacobbe. Cioè, Giacobbe voleva che suo figlio Giuseppe, avuto da Rachele, fosse il vero erede, ma questo non è il giudizio di Dio, non è il giudizio della Bibbia, perché il vero erede diventa Giuda, il figlio di Lia. Da Giuda viene il re Davide, non da Giuseppe. Da Lia, quindi, viene Giuda, poi Davide, il Messia. Questa è la linea, la linea è di Lia, la brutta, non di Rachele l’amata. Allora, anche qui, alla fine, una nuance favolosa, perché finalmente abbiamo un matrimonio di vera passione e, per ragioni che spieghiamo un’altra volta, il giudizio dell’Eterno è che alla fine vale Lia e non Rachele. Giuseppe e Rachele sono messi da parte e la linea diventa: Giuda, il re David, il Messia.
Allora, abbiamo poco tempo e non vorrei che Emilia si arrabbiasse troppo con me, perché al Meeting tutto deve funzionare per bene, un incontro è solo di quarantacinque minuti e qui siamo già a un’ora e mezza. E io ci tengo a essere invitato, anche l’anno prossimo, perché in realtà l’anno prossimo vorrei finire il ciclo e poi fare un piccolo libro in omaggio a Giussani, chiamato: La Genesi della nostra civilizzazione: cinque saggi sul libro della Genesi. Allora, cosa ho deciso? Invece di fare vedere tutti i testi come abbiamo visto, ho deciso di leggere il testo veramente con attenzione, ricordandoci che il testo è molto economico, che non è espansivo, che bisognerebbe veramente riflettere senza pregiudizi, perché il testo stesso ci invita a trattare i protagonisti come esseri umani, con tutti i difetti. Pur essendo grandi nella fede, sono esseri umani. E l’essere umano fa errori. Anche questo è importante, perché ci permette di identificarci con loro: se fossero perfetti, non sarebbe facile identificarsi con loro. Allora, vediamo i protagonisti nella loro umanità, anche con le debolezze.
Quello che intendo fare ora è semplicemente spiegare la mia tesi sul perché Isacco amava Esaù e non amava Giacobbe. E così, forse, voi sarete sufficientemente interessati per andare a leggere il testo nella Bibbia e vedere se il testo verifica o meno la mia ipotesi: può darsi che abbiate teorie diverse. Bisognerebbe non cominciare con Isacco, anche se è strano. Devo dire che i commentatori ebraici impazziscono perché non possono accettare che Isacco amasse Esaù e non Giacobbe. Andate da quegli interpreti che spiegano perché Giacobbe amava Esaù. Finiscono per dire: “Non è vero, non l’amava”. E invece lo amava. Però non possiamo cominciare qui, dobbiamo cominciare con Giuseppe, come l’anno scorso. Perché, per Giacobbe, la cosa più triste nella vita era il fatto che il suo figlio preferito era stato ucciso. Almeno, lui credeva che fosse stato ucciso: per dodici, scusate, quattordici anni. Per quattordici anni lui ha sofferto all’idea che Giuseppe fosse stato ucciso, e anche di senso di colpa, perché era stato lui stesso ad averlo mandato, vi ricordate? In un certo senso, aveva procurato lui, questo guaio. Aveva procurato in maniera profonda questi guai, non mandando Giuseppe a trovare i suoi fratelli, ma perché lui stesso aveva creato l’odio dei fratelli verso Giuseppe.
Come aveva creato questo odio? Non soltanto perché preferiva Giuseppe, dicendo che Giuseppe era quello che amava più di tutti, ma mostrando questo in maniera più accanita. Il famoso vestito, come si dice, il vestito a colori. Pensate se voi foste stati gli altri undici fratelli, e ogni volta aveste visto il vostro fratello numero undici che arriva con il vestito, segno dell’essere il preferito del padre. Io ho cinque figli. Se ho o non ho un preferito, di sicuro non lo direi a voi e non lo direi a nessuno, e gli ultimi a cui lo direi sono i miei figli. “Se” avessi un preferito: non ho ammesso di averlo. Allora, ci sono due domande da fare a Giacobbe, non ad Isacco. Primo: perché ha preferito Giuseppe? E poi, perché l’ha mostrato, perché non era sufficientemente intelligente da mantenerlo nascosto? Alla seconda domanda, è più facile rispondere, come vedete se andate a leggere la Bibbia. Viene da una tradizione in cui ci sono preferenze, e sono mostrate. Giacobbe stesso è cresciuto in una casa dove il padre aveva una preferenza e l’ha mostrato. Lui era il figlio di Isacco e suo padre preferiva Esaù. Non aveva l’intelligenza emozionale per dire: io ho sofferto così tanto del fatto che mio padre preferiva Esaù, che, anche se preferisco Giuseppe, è meglio non mostrarlo. No! Nella tradizione ebraica si dice: “Quello che fanno i padri è un segno per i figli”. Suo padre faceva questo a lui, lui senza pensare fa questo ai suoi figli. Lui è cresciuto in una casa in cui c’era preferenza aperta, e quindi anche nella casa sua c’è preferenza aperta.
Ora, la domanda più difficile. Qui sono un pochino fiero della mia risposta. Perché preferiva Giuseppe? Se vediamo la descrizione di Esaù e Giacobbe, su Esaù è scritto: “Era un cacciatore”. Invece, Giuseppe era uno che – si dice nella Bibbia – “si manteneva dentro le tende”. Cioè uno che… come direbbero, oggi, in italiano?
STEFANO ALBERTO:
Bamboccione.
JOSEPH H. H. WEILER:
Come?
STEFANO ALBERTO:
Bamboccione.
JOSEPH H. H. WEILER:
Bamboccione, dice don Pino. A calcio non giocava. Stava a casa a leggere libri, eccetera. Invece suo fratello Esaù andava a caccia, andava nei prati, eccetera. Va bene? Giacobbe cresce sapendo che suo padre Isacco preferisce Esaù. Ora ha i suoi figli. Se leggete con attenzione – mi raccomando! – la Bibbia, scoprirete una cosa interessante: che Giuseppe nel suo comportamento assomiglia molto a Giacobbe, e invece i fratelli somigliano a Esaù. Allora, tutti possiamo essere psicologi. Dove sono gli psicoanalisti? Ci sono tante spiegazioni psicologiche possibili. Guarda Giuseppe e sente tenerezza perché vede se stesso. Amando Giuseppe con passione, compensa il fatto che lui non è stato amato da suo padre, perché Giuseppe somiglia a lui. Lui vede Giuseppe e dice: anche Giuseppe è un…
STEFANO ALBERTO:
Bamboccione.
JOSEPH H. H. WEILER:
Bamboccione. Allora, prova tenerezza verso il bamboccione che somiglia a lui, mentre i fratelli somigliano a Esaù. Vive un po’ di distanza da loro. La spiegazione che la Bibbia dà è che amava Giuseppe perché era il figlio della vecchiaia. Ma questo semplicemente non è vero, il figlio della vecchiaia era Beniamino. Allora dobbiamo trovare una soluzione più profonda. Si può dire che amava Giuseppe perché era il figlio della sua moglie preferita, di Rachele: questo è credibile. Però, la cosa più credibile per me è che lui è stato ferito per tutta la vita dal fatto che il babbo amava suo fratello in certo modo. E compensa. Allora, torniamo alla domanda: perché Isacco amava Esaù e non amava Giacobbe? Anche qui, abbiamo bisogno dei nostri psicoanalisti, perché dobbiamo andare alla gioventù di Isacco, perché ritengo anche io che il fatto che Isacco preferiva Esaù nasca dalla sua gioventù, dalla sua esperienza nella famiglia, dal rapporto con suo padre. Come Giacobbe nel rapporto con Giuseppe riflette il rapporto con suo padre Isacco, la preferenza di Isacco verso Esaù è in funzione del suo rapporto con suo padre, il grande Abramo.
Ora, signore e signori, ragazze e ragazzi, facciamo una cosa importantissima. Di solito, quando si descrive la famosa storia del sacrificio di Isacco, il protagonista è Abramo. Dio viene da Abramo e dice: “Vai, porta il tuo figlio amato, unico e fa’ il sacrificio”. E tutto il discorso di Kierkegaard – di tutti! – è su Abramo: se doveva ascoltare, se non doveva ascoltare, se era un eroe o un vigliacco. Sempre su Abramo. Facciamo una cosa radicale. Vediamo la storia del sacrificio di Isacco non in modo abramocentrico ma isaccocentrico, cioè, come è percepita tutta questa faccenda dal punto di vista di Isacco. Avrebbe dato lavoro agli psicoanalisti per tutta la vita. Immaginate questo ragazzo, che pensa di essere amato da suo padre. Un giorno suo padre gli dice: “Andiamo a fare un sacrificio sulla montagna”. E lui: “Sì, babbo, vengo volentieri con te”. E poi all’improvviso dice al babbo: “Ma scusa, dov’è l’agnello per il sacrificio?”. E il suo babbo dice: “Ah, non preoccuparti, Dio ci darà l’animale per il sacrificio”. E dopo tre giorni di questo che diremmo in inglese quality time, solo Abramo e Isacco, per tre giorni: quando arrivano lì, Isacco è fiero, ama il suo babbo perché è unico. All’improvviso, si trova legato ad un altare e il suo babbo con un coltello, pronto a ucciderlo! Avvenimento traumatico. Di sicuro, giusto. E lui evita di ucciderlo solo perché l’angelo dice ad Abramo: stop!, non farlo.
Allora, analizziamo la faccenda non dal punto di vista del grande Abramo, a cui Dio dice: “Ora so che mi ami, che sei stato pronto a sacrificare anche la cosa più…, ecc.”, ma dal punto di vista di Isacco. Lui doveva dire: mio padre mi odia, era pronto ad uccidermi. Giusto. Ora, poteva interpretare anche in altro modo. Prima pensava che se aveva mandato via Ismaele, era perché suo padre dava la preferenza a lui, Isacco. Ora, il povero Isacco penserà: “So perché Abramo ha mandato via Ismaele, per salvare la sua vita. Ha mantenuto me, qui, per sacrificarmi sulla montagna”. Mi spiego? Allora, il resto della vita di Isacco è pensare: “Perché mio padre mi odiava così tanto da essere pronto a uccidermi?”.
Torniamo alla faccenda che Isacco amava Esaù e non amava Giacobbe. Ci sono due ipotesi, e voi potete scegliere. La prima ipotesi, strano ma vero: anche qui Isacco somiglia molto a Giacobbe, nel suo modo di fare. Invece Esaù somiglia molto a Ismaele, perché anche di Ismaele è stato scritto nella Bibbia che era selvatico, selvaggio, anche lui è un uomo dei prati, cacciatore, eccetera. Allora, un’ipotesi: Isacco guarda Esaù e guarda Giacobbe. In Giacobbe vede se stesso. In Esaù vede Ismaele. Può darsi che ami Esaù perché ama il figlio che lui voleva essere. Perché, se io fossi come Esaù, se io fossi come Ismele, forse mio padre mi amerebbe. Perché, sapete, la tragedia di tutti noi è pensare che abbiamo deluso i nostri genitori. E tutta la vita, pensiamo a come potevamo non deludere i nostri genitori. Allora, lui guarda Esaù. Vede in Esaù Ismaele. Vede in Esaù il figlio che lui avrebbe voluto essere: sì, avrebbe voluto essere. E perciò dà il suo affetto ad Esaù. Quello è il figlio, cioè il suo auto-odio: doveva odiare se stesso in maniera molto profonda per spiegare perché suo padre fosse pronto ad ucciderlo. Probabilmente credeva di essere stato veramente deludente per suo padre. E perciò può darsi che amasse Esaù. Può darsi. Altra ipotesi: ma vedete l’idea? La chiave interpretativa è prendere l’esperienza di Isacco sull’altare e usarla in una maniera tale da spiegare perché amava Esaù.
C’è un’altra spiegazione. Lui sa che in realtà Abramo amava lui veramente, che lui era il preferito. E sa anche che Dio chiede come sacrificio l’amato, il vero amato. Allora, in realtà, molto farisaico, lui ama Giacobbe veramente. Lui ha paura. “Se mostro il mio amore per Giacobbe, un giorno Dio verrà e mi dirà di prendere questo mio figlio e di andare ad ucciderlo. Allora devo fare finta di amare di più Esaù, per salvare il figlio preferito”. Potete scegliere voi. Non abbiamo finito. Perché qui bisognerebbe allora spiegare Abramo stesso. Da dove Abramo stesso ha imparato la preferenza di un figlio rispetto all’altro, non importa se Ismaele o Isacco, e non nasconde questa preferenza? Anche qui, ho scoperto nella Bibbia un passaggio che nessuno aveva notato prima. Della famiglia di Abramo – andate a verificare -, si scrive che sono partiti da Ur e sono andati a Nahor. E lì si sono fermati. Quando si descrive la famiglia di Abramo, si dice che ha un fratello. Quando arrivano a Ur, il fratello sparisce dalla narrazione. Non c’è più. Possiamo ipotizzare: anche Abramo è cresciuto in una famiglia dove c’era un fratello preferito, un fratello non preferito. Infatti, il non preferito è sparito dalla narrazione.
E vi lascerò con un pensiero. E vado giù, per essere un po’ più lontano da don Pino. Ma questa è la bellezza del Meeting, perché qui siamo aperti a tutto, a tutte le ipotesi, anche se sono molto sfidanti. Quella idea del padre che preferisce uno o l’altro, l’abbiamo anche nella Bibbia, dal Padre Nostro. C’erano due fratelli, Abele e Caino. E anche lì, senza spiegazione, Dio accettò il sacrificio di uno e non accettò il sacrificio dell’altro. Preferisce uno dei fratelli all’altro, in maniera così accanita che uno prende il coltello e ammazza l’altro. Cioè, quell’idea della preferenza fra i fratelli, con conseguenze disastrose, viene sino dall’inizio della narrativa biblica. Perché? A questo non darò una risposta, perché quando si arriva a chiedersi perché Dio fa questo o perché Dio fa quello, io sto zitto. Su Abramo sono pronto a ipotizzare, su Isacco sono pronto a ipotizzare, su Dio mettiamo una distanza. Signore e signori, mille grazie.
STEFANO ALBERTO:
Il fatto che siamo rimasti qui praticamente tutti, parla da solo. Lui all’inizio è sempre molto timoroso che non ci sia abbastanza pazienza. Pazienza: potessimo, andremmo a pranzo e torneremmo qui al pomeriggio. Ma il professor Weiler ha altri impegni, voi, immagino, anche. Due brevissime notazioni. La prima gli è già scappata, quindi mi limito a ricordare: fissiamo qui un impegno, un patto. Manca il terzo passaggio, almeno il terzo. Poi, se diventeranno quattro o cinque, ancora meglio, però l’anno prossimo tutti qua, sala ancora più grande. L’altra è che credo che ciascuno di noi sia rimasto ancora una volta folgorato, perché tocchiamo con mano che Dio è dentro tutto. E’ dentro l’esperienza, l’amore tra l’uomo e la donna, che può svolgersi in modi così diversi. E’ dentro – ecco, questo è molto giussaniano, e molto scandaloso per tanti altri cattolici – alla preferenza. Dio preferisce: ama tutti, ma preferisce. Gli uomini preferiscono. Che cos’è il carisma se non una preferenza, che cos’è questa amicizia di cui siamo così grati e fieri, se non una preferenza? Ecco, questa è un grande strumento della storia di Dio, che ha scelto. Il cardinale Scola citava Gómez Dàvila, il grande scrittore di aforismi: non è la sensualità, contro la religione, ma l’astrattezza. Guardate in che concretezza, fino a particolari sconvolgenti, affascinanti, siamo stati condotti! Non solo per darci il gusto, la sete di conoscere meglio questa storia, che è la nostra, ma anche di viverla, come un titolo bellissimo del don Gius, Nella carne. Grazie ancora al professor Weiler e grazie
(Trascrizione non rivista dai relatori)