Chi siamo
L’ENCICLICA LAUDATO SI’ PER UNA NUOVA CURA DELLA TERRA
L’enciclica Laudato sì per una nuova cura della Terra
Partecipa Carlin Petrini, Fondatore e Presidente di Slow Food e Università degli Studi di Scienze Gastronomiche. Introduce Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.
GIORGIO VITTADINI:
Buongiorno. “L’Enciclica Laudato si’ per una nuova cura della terra”. Mettiamo a tema l’Enciclica che è risuonata molte volte in questo Meeting, e ne parliamo con Carlin Petrini, Fondatore e Presidente di Slow Food e dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, che penso che sia una delle eccellenze italiane nel mondo. Quando andai a trovarlo l’ultima volta, all’Università di Scienze Gastronomiche, nella provincia piemontese, scoprii che c’erano lì persone di Paesi diversissimi, non so quante decine di Paesi, centinaia di Paesi di tutto il mondo, che erano lì per studiare. Slow Food è un’organizzazione a cui aderisce anche Carlo d’Inghilterra, che propone una filosofia che è molto in sintonia con l’Enciclica. Cominciamo allora con questo tema. Cosa ci dice questa Enciclica, perché hai accettato di farle l’introduzione, cosa ci suggerisci?
CARLIN PETRINI:
Sì, innanzitutto grazie per l’invito. La prima cosa, quando si parla a un pubblico, è conoscerlo. Allora, se mi permettete, io vorrei fare una domanda, invito tutti a essere molto onesti con se stessi: quanti di voi hanno letto interamente questa Enciclica? Ecco, bene. Ne viene fuori una nutrita minoranza…
GIORGIO VITTADINI:
Per un mondo cattolico è interessante, è veramente confortante, voglio dire.
CARLIN PETRINI:
Beh, vi ringrazio per la vostra onestà, perché mi consente di interagire con voi rispetto a questo straordinario documento con più scioltezza. Direi subito che molto probabilmente siamo davanti a un documento di rilevanza storica, di straordinaria portata culturale, filosofica, politica, spirituale ovviamente. Il più grande leader che c’è oggi su questa terra, dal punto di vista del comprendere le tematiche fondamentali, le dinamiche, i bisogni di questa nostra umanità, è questo Papa argentino, e questa Enciclica è uno strumento straordinario di orientamento. Sbaglia chi la riduce a una logica ecologista, è molto di più, è uno straordinario passo avanti che consegna all’umanità intera e che ha una capacità dirompente, rivoluzionaria, che merita da parte di tutti il fatto di leggerla con molta attenzione, di interagire, di capire e di entrare anche in maniera dialettica a comprendere le dinamiche che Papa Francesco pone. Quindi a questa prima domanda, risponderei con la sollecitazione, rivolta a questa stragrande maggioranza di questa sala che non l’ha letta, a comprendere che siamo davanti a un documento di rilevanza storica, che avrà negli anni a venire un’importanza determinante per la cultura, per la sensibilità di milioni e milioni di persone, e che è anche una risposta del nuovo umanesimo. Siamo davanti a un esercizio di nuovo umanesimo. Voi avete impostato questo vostro Meeting su questa “mancanza”, ed è chiaro che in queste frasi di Luzi, la mancanza si traduce molto in un bisogno che ognuno di noi ha e poi all’improvviso trova in se stesso o nelle persone che ha vicino, il bisogno di avere una fonte che lo arricchisce, che gli riempie la vita. Bene io vi dico che questa Enciclica è quella che manca in questo momento per una nuova concezione di umanesimo. Io partirei da qui.
GIORGIO VITTADINI:
Hai detto infatti che tutti si aspettavano l’Enciclica “ecologica”, ma a me sembra, come dici tu, che questa vada al di là e che dia una nuova visione del mondo, per esempio sul tema economico. Cosa ci dice l’Enciclica sul tema economico e dei grandi equilibri politici?
CARLIN PETRINI:
Quando hanno presentato ufficialmente EXPO, il Papa ha mandato un messaggio. C’era una sala enorme, con in prima fila tutti i grandi soggetti potenti dell’economia. Ad un certo punto il Papa dice: “Questa economia uccide”. E io pensavo che avrebbe scosso queste persone. Non han fatto un cenno, sono stati tutti lì tranquilli e nessuno capiva. Io penso che, e mi rivolgo a voi, niente sia peggio dell’indifferenza. L’indifferenza può distruggere anche le buone intenzioni delle persone più ammirevoli. C’è in atto un atteggiamento, nei confronti di questo Papa, che da un lato è come avere un vecchietto in casa e dire: “Va beh, lascialo parlare che tanto sono cose che… “; dall’altro è come dire che ha ormai preso una piega terzomondista e gli passerà. No, no, no. Siamo davanti a una cosa potentissima e questo ragionamento che l’economia uccide, lui la sviluppa in maniera piana, perché ha anche un modo di scrivere che è educato, è piacevole leggerlo e mette in evidenza una cosa, che per me è la cosa più straordinaria di questa Enciclica. L’esigenza che per la trasformazione e il bisogno di nuovi paradigmi, tutto questo può solo avvenire attraverso il dialogo. Io ho riflettuto su questo “dialogo”. Il dialogo è una cosa difficile e il dialogo esige comprensione, perché come fai a dialogare se tu non comprendi l’altro? E la comprensione, in genere, è di due tipi. C’è la comprensione intellettuale e la comprensione umana. Quella intellettuale è importante per capire altre culture, pensiamo solo al dibattito che avete avuto qua sul mondo islamico, esige che il cervello funzioni, che ci sia documentazione. Ma c’è un’altra comprensione: la comprensione umana. Secondo me è più potente, perché è una comprensione che si basa sull’empatia, sulla simpatia, sulla gioia, sulla comprensione dell’altro e questa straordinaria comprensione io la vedo, attraverso quest’uomo, nella maniera con cui si comporta con la gente. E la gente, questa cosa la sente. Occorre che ci sforziamo tutti di avere la capacità di dialogare con gli altri, di comprendere le esigenze degli altri, perché “comprensione” è comprendere gli altri, ma anche noi stessi. Comprensione vuol anche dire capacità di non avere schemi rigidi, di non essere troppo esageratamente partigiani, ma capire fino in fondo quello che per noi è incomprensibile, cercare, sforzarsi, è forse l’esercizio più difficile che c’è in questo momento storico. In questo momento storico, l’esercizio della comprensione, del dialogo, è la grande scommessa politica del momento. Assistere a questo esodo incredibile di umanità che deambula per l’Europa e che muore nel nostro mar Mediterraneo, e che adesso come una carovana sta salendo verso i Balcani, di donne, di bambini, e non capire, non aver la comprensione, non avere delle risposte è, secondo me, un dramma enorme ed esige da parte di tutti un cambio di paradigma. Secondo me, dentro questo documento, l’esigenza di cambio di paradigma c’è ed è forte.
GIORGIO VITTADINI:
Per esempio, che cosa fa questa economia liberista al mondo contadino di tutto il mondo? Ho visto che tu ne tratti oltre al mondo di gastronomia, anzi legando le due cose.
CARLIN PETRINI:
Sì, io qua ho bisogno di fare una piccola parentesi su che cos’è la gastronomia.
GIORGIO VITTADINI:
Certo. Se no fai la fine che ti prendono per Master Chef.
CARLIN PETRINI:
No, per l’amor del cielo. La gastronomia è una scienza che si occupa di tutto quello che riguarda l’uomo in quanto si nutre. Noi siamo abituati a ridurre la gastronomia alla ricettistica, all’aspetto ludico, quello del piatto, eccetera. Guardate, c’è una cosa che in questo momento è impressionante. In qualsiasi parte del mondo, anche nella profonda Africa, e arrivo adesso dal Brasile, nelle favelas del Brasile, in qualsiasi ora del giorno o della notte, accendi la televisione e c’è qualcuno che cucina. E parla, e parla… Ecco, questa non è gastronomia. Questa è una parte della gastronomia. Diciamo il dieci per cento. La gastronomia, e questo non lo dice Petrini, ma lo dice uno dei padri fondatori della gastronomia, si chiamava Jean-Anthelme Brillat-Savarin. Nel 1825, diceva: “La gastronomia è agricoltura, zootecnia, è conoscere i prodotti, è biologia, è genetica, è chimica e fisica”. Perché quando uso il fuoco per rendere edibile quello che mi dà madre natura, realizzo…, quando taglio i prodotti che ci dà madre natura, faccio un processo fisico chimico e se non lo Governo, faccio un disastro; poi passando dal punto di vista umanistico, diceva: “La gastronomia è storia, è antropologia, è anche spiritualità”. La religione nostra ha il suo appoggio attorno ad una tavola. “La gastronomia è economia, è economia politica”. Da che mondo e mondo, si facevano la guerra per conquistare la terra, e si conquistava la terra perché produceva cibo, e avere la proprietà del cibo significa governare il ventre delle persone. E non è vero che non c’è più la lotta per la terra, perché nella profonda Africa si sta realizzando attraverso l’hand grabbing, l’accaparramento della terra da parte di multinazionali di Cina e di India. Dall’oggi al domani, questi contadini si trovano senza terra perché è stata venduta, magari per fare biocarburante, per fare mono culture che rendono di più e per fare cibo che va fuori dalla loro giurisdizione. Questa è la violenza più grande, è peggio che far le guerre. E quando noi abbiamo tanti nostri fratelli che partono dall’Africa per arrivare qui, bisogna tener conto anche di questo, che questo sistema liberista, gli ha preso la terra, l’elemento primario. Non hanno niente, e non hanno neanche la terra per produrre cibo. È una violenza insopportabile. Quindi, ammesso che la gastronomia è tutto questo, di tutto questo bisogna anche parlare. Non si può solo parlare degli spadellamenti, anzi, più si esagera da questo punto di vista, più questo esercizio sta diventando pornografia alimentare, perché dimentica due cose, due cose fondamentali. La prima: in questo incredibile parlare di gastronomia, non si ragiona sul fatto che oggi la classe contadina vive una situazione disperata. In questo nostro Paese paghiamo le carote sette centesimi al chilo, sette centesimi al chilo. Abbiamo perso il concetto di valore e prezzo. Siamo tutti sul prezzo e non sul valore. Quando mangiamo, quando abbiamo qualcosa da mangiare, uno dovrebbe pensare che dietro a quel prodotto c’è gente che ha lavorato, delle famiglie, delle sapienzialità antiche. Niente! Solo quanto costa, e deve sempre costare di meno, per poi sprecarne di più, perché questo è il paradosso. Lo spreco è di proporzioni impressionanti. Ecco, sto palando di gastronomia. Non c’è un piatto che non sia su un letto di rucola. Ma cos’è questo letto di rucola? Se tu non tagli la cipolla alla julienne – dicono – ma io taglio la cipolla come mi pare! Tutto così, ci stanno “rincoglionendo” di queste cose e l’essenza è che questo parlare di cibo non è più il nostro parlare, il parlare dei nostri nonni, perché le nostre nonne e i nostri nonni non parlavano così quando facevano il cibo e avevano un elemento che manca oggi, che è l’elemento che non si buttava via niente. Non si buttava via niente! E quindi la questione è lì, è lì l’essenza. Se io devo parlare della grande gastronomia italiana, io prendo sempre due piatti. Uno è il piatto principe della Toscana: la ribollita. E’ fatta col pane raffermo. Nel mio Piemonte quando si facevano gli agnolotti, il ripieno era fatto con gli avanzi della settimana e mia nonna li metteva sotto la mezzaluna, poi ci metteva un po’ di spezie e chiudeva la pasta. Non si buttava via niente! Un anno fa un grande chef mi ha detto: Carlin, ho inventato il raviolo aperto. E io dico al mio amico Gualtiero Marchesi: straordinario, bravissimo! Ho assaggiato questo raviolo aperto che era una meraviglia. Gliel’ho detto a una – siamo in Romagna, in Romagna le donne contadine le chiamano le “sdore”, e nell’iconografia classica hanno una gonna lunga e una cinta di cuoio dove pende la chiave della dispensa, per far capire chi comanda in casa – di queste donne – sapete che sulla Via Emilia ogni chilometro cambia il tortello, tortlin, tortlas, tortello ripieno in un modo, ecc. -: “Sai che Gualtiero Marchesi ha inventato il raviolo aperto?”. Lei pensa un po’ e mi fa: “Boh, c’abbiamo messo quattro secoli per imparare a chiuderlo!”. Cosa vuol dire? Vuol dire che in questo torpore di gastronomia così, perdiamo il senso delle cose, perdiamo il buon senso. Allora la prima contraddizione è questa: i contadini oggi sono sotto schiaffo in qualsiasi parte del mondo, anche in questa nostra Italia. Si paga il latte in questo nostro Paese 32 centesimi al litro, che è praticamente niente. E succede che se il contadino deve cambiare, perché questo latte arriva nelle grandi centrali del latte, la prima cosa che si fa, viene levato il grasso che serve per l’industria dolciaria, per fare i biscotti. Poi rimane questo latte impoverito, viene messo nei cartoni e venduto a 1 euro, che se voi avete bisogno di vitamine, mangiate il cartone, perché quel latte lì non c’ha niente, quindi è meglio mangiare il cartone. Però siccome c’è anche qualcuno che ha dei soldi, allora si fa il restyling con l’omega 3. L’omega 3, che meraviglia: 1.60 €; 1 € il latte impoverito, 32 centesimi al contadino. Cosa succede? Come fa a tirare avanti con 32 centesimi per litro di latte? C’è qualcuno di voi che viene dalla campagna? Ecco, c’è qualcuno? Voi sapete che nella penisola sorrentina esisteva una razza di mucche… guardate che sto parlando dell’Enciclica: la perdita della biodiversità, il valore. Allora, esisteva una razza di mucche che si chiamava mucca agerolese. Nel 1500, nella più grande metropoli che era Napoli, barche di sorrentini portavano un formaggio che si chiamava provolone del monaco, fatto con il latte della mucca agerolese, che pasturava in questi monti che sono chiamati Monti Lattari. Quando parliamo di identità di un popolo, di una nazione, di storia, di antropologia, di cultura parliamo di questo: i Monti lattari, quella razza di mucche che produce quel formaggio che nel ’500 era già importantissimo. La mucca agerolese produce 12 litri di latte al giorno. Pensate voi: 12 litri, lo pagano 32 centesimi; tu ti devi tenere la mucca, non puoi andare in vacanza la domenica, ma non gli danno di più, anche se lui produce quel formaggio. Risultato: gli allevatori cambiano la razza agerolese con la frisona olandese, che produce 40 litri di latte al giorno. Quindi l’aspetto produttivistico e anche l’aspetto economico di quanto costa è risolto. In realtà no, non è risolto. Con il latte della mucca frisona olandese non si fa il provolone del monaco, che ha bisogno dei grassi della agerolese. Ergo, in 60 anni abbiamo perso una mucca da latte, l’agerolese, ed un formaggio che è il provolone del monaco. Quel capitolo dell’Enciclica dove si parla di perdita di biodiversità tratta delle questioni della vita. La biodiversità è la questione per cui noi, in qualche misura, siamo felici di stare a questo mondo, siamo felici di essere italiani e di avere questo patrimonio, di comunicarlo agli altri. La perdita di biodiversità è una cosa enorme, di una violenza incredibile. Sono arrivato alla veneranda età di 66 anni. Io vengo da una provincia cattolica. Ho fatto tutto il mio cursus honorum. Poi sono diventato agnostico. Io pensavo di tutto della mia vita, meno che mi telefonasse un Papa. E quando ero a Parigi, vedo questa telefonata, pensavo che fosse Repubblica che mi chiedeva un intervento. Invece sento: «Sono Papa Francesco». Gli avevo mandato il libro Terra Madre. Lui mi disse: «E’ importantissimo il lavoro che fa, quello che sta facendo, perché bisogna difendere». Ho ricevuto questa telefonata nell’ottobre del 2013 e nessuno sapeva di questa Enciclica, neanche che fosse in gestazione. Abbiamo parlato quaranta minuti. Enzo Bianchi mi dice: «Ma neanche con il Segretario di Stato parla quaranta minuti». Pagava il Vaticano. Abbiamo affrontato queste tematiche e lui mi diceva: «Non si tiene conto che molta parte dell’economia del mondo, quella più povera, è collegata ancora a questo tipo di economia della sussistenza che noi abbiamo buttato via come si butta via il bambino con l’acqua sporca. Invece l’economia della sussistenza è la nostra economia e fa parte della nostra storia». Io non ho rimpianti per quell’economia. perché era anche violenta, ma bisogna rispettarla, bisogna conoscerla. E dove non c’è, bisogna anche avere amorevolezza nel seguirla e vedere quello che può risolvere a molte persone.
Giorgio è venuto al nostro primo incontro di Terra Madre e da allora la nostra amicizia si è rafforzata bene. Il punto dal quale siamo partiti a ragionare era quello dell’immigrazione. Quando lui è andato a Lampedusa, tutti dicevano “Che grande atto di carità cristiana”. Io ho fatto un articolo su Repubblica dicendo: “Guardate che lui è figlio di emigranti, lui sa cosa vuol dire lasciare il Paese”. Nel mio Piemonte, quando io frequentavo le osterie, c’era ancora l’epica dell’emigrazione. Nelle osterie delle Langhe, nel Monferrato, si cantava “E l’America l’è lunga e l’è larga, l’è circondata dai monti e dai piani, e con la industria dei nostri italiani abbiam formato paesi e città”. Poi ce n’era un’altra che faceva: “Trenta giorni di nave a vapore, che nell’America noi siamo arrivati e nell’America che siamo arrivati abbiam trovato né paglia e né fieno, abbiam dormito sul piano terreno e come bestie abbiam riposà”. In quelle cose lì, oggi vedo i nostri fratelli siriani, dell’Africa, che dormono per terra con i bambini. Non possiamo avere poca memoria del nostro popolo, perché è un popolo di emigranti. Dal 1884 al 1934 sono 50 anni. In quel periodo mediamente l’Italia si è mantenuta intorno ai 30 milioni di abitanti, ma ne ha mandati 24 milioni all’estero. Sapete cosa sono 24 milioni di italiani in 50 anni? Fate pure la divisione. In ogni angolo del pianeta in cui arrivi c’è qualcuno che rivendica le sue origini italiane. Noi non possiamo assistere a questa cosa del Mar Mediterraneo, perché nel mare dove oggi muoiono i neri, una volta morivano i piemontesi. Il 6 agosto 1906 affonda il bastimento Sirio: 420 fra donne, uomini e bambini, tutti delle provincie di Cuneo, Asti e Alessandria. Il 27 ottobre del 1927, davanti a Rio de Janeiro, affonda la Principessa Mafalda: 550 morti, tutti piemontesi, veneti e lombardi. Una cosa impressionante. Erano i nostri nonni, i nostri padri, come facciamo a non vedere nelle facce di questa gente i nostri nonni, a non voler bene a questa gente? Chiudevo l’articolo dicendo che in casa Bergoglio si cantassero quelle canzoni perché erano canzoni dell’epopea piemontese, magari non con la fisarmonica ma con il bandoneon. Quindi il Papa mi telefona e mi dice: “Noi cantavamo quelle canzoni lì; le dico anche che mio nonno voleva venire in Argentina con la Principessa Mafalda, solo che non avevano soldi a sufficienza e hanno dovuto rimandare di un anno. Sono partiti poi con il Giulio Cesare, nel febbraio dell’anno 1928”. Allora gli dico: “Guardi, io sono agnostico, ma questa è una delle prove dell’esistenza di Dio”. L’economia dell’agricoltura è da 10.000 anni di storia che si basa sull’economia della sussistenza. Si raccoglievano i frutti, si mettevano i semi da parte. L’economia del capitale ha solo tre secoli, arriva con l’evoluzione industriale. Applicare l’economia industriale all’agricoltura: guardate a che punto siamo arrivati! Grande produzione, produttivismo, perdita del localismo per avere un mercato più ampio. Il Papa aggiunge: “Sa cosa diceva mia nonna? Quando moriamo, nel sudario non ci sono le tasche”. Puoi mettere da parte tutti i soldi, ma poi ti piglia uno schioppone e vai via. Nelle Langhe c’era una cuoca che faceva da mangiare benisssimo. Tutti andavano lì in ‘pellegrinaggio’, perché lei teneva aperto solo a mezzogiorno per gli operai e poi la sera chiudeva. Tutti dicevano: “Perché non tieni aperto alla sera? Faresti più soldi”; lei rispondeva: “Non voglio diventare la più ricca del camposanto”. Il “non essere più ricchi del camposanto” è l’essenza del tutto. Magari quella signora non teneva aperto per accudire i suoi figli, faceva altre pratiche, aveva a cuore magari di fare delle composte. La brama di non essere i più ricchi del camposanto è un concetto economico. Questo è straordinario ed è la saggezza dei vecchi. A quel punto gli dissi: «Lei mi ha parlato di sua nonna, le posso parlare di mia nonna?». Mi rispose di sì.
Dico: “Guardi mia nonna era cattolica praticante sabauda, solo che all’inizio dell’altro secolo ha sposato un macchinista ferroviere socialista, che si chiamava Carlo Petrini. Carlo Petrini nel 1921 fonda il partito comunista. Cosa succede? Che questa donna non ha fatto una piega, lei è stata fedele a Gesù Cristo e a suo marito, perché ha sempre votato comunista e ha sempre continuato a fare le sue pratiche normali. Se non che nel 1948 Pio XII dà la scomunica ai comunisti, a me può anche star bene che lui scomunichi Stalin, ma mia nonna non era neanche giusto. Morale, questa mia nonna fa pratica normale e va a confessarsi e lì il prete le dice: “Lei cosa vota nelle prossime elezioni?” E mia nonna dice: “Quello che vota mio marito” e l’altro fa: “Cosa vota suo marito?” “Vota comunista”. Allora il prete le dice: “Senta, lei sa che io l’assoluzione non posso dargliela”. E lei: “Allora se la tenga”, che è una risposta fantastica. E il Papa si è messo a ridere. “Allora, – continuo – visto che ride, posso dirle anch’io cosa penso dei preti? Glielo dico però in piemontese”. “Ma io – continua il Papa – il piemontese non lo capisco”. E gli dico: “Chi fa come il prete dice, va in paradiso, chi fa come il prete fa, va all’inferno”. E il Papa: “Effettivamente è un po’ anticlericale. Però, mi dice, lei deve sapere che c’è anche nel Vangelo, perché sapesse quanti farisei ci sono che parlano bene e si comportano male!”. E allora a quel punto dico: “Lei non è qui, se fosse qui l’abbraccerei, perché è stata una conversazione straordinaria”. Questo per dirvi che adesso vi faccio io una confessione: quell’uomo mi sta cambiando la vita. Ma per cosa? Per l’empatia, perché pratica la comprensione.. Vi lascio immaginare cosa succede quando tu ricevi una telefonata del genere. Telefono a casa e dico “mi ha telefonato il papa” e mi dicono: “Noooo, è uno scherzo!” “No, vi dico che non è uno scherzo, per l’amor del cielo, non è uno scherzo” e quindi è andata così. Ma la cosa più bella arriva una settimana dopo, perché mi arriva la lettera e allora ve la leggo, perché è troppo bella: “Ho ricevuto con piacere il suo libro e l’articolo e la ringrazio vivamente per quanto ha voluto confidarmi. In pari tempo desidero esprimerle la mia gioia per la conversazione telefonica che abbiamo avuto sabato scorso. Quel “se la tenga” mi fa ancora sorridere. Rivela la grandezza di una donna che ha saputo unire in sé religiosità, saggezza e umorismo. L’attività di Slow Food e Terra Madre volta a promuovere metodi di produzione alimentare in armonia con la natura, suscita nel mio animo sentimenti di sincero apprezzamento. Incoraggio pertanto a proseguire in tale significativa opera. C’è tanto bisogno di persone e di associazioni che favoriscano la coltivazione e la custodia del creato: coltivare e custodire il creato è una indicazione di Dio, data non solo all’inizio della storia (Genesi 2,15), ma a ciascuno di noi per far crescere il mondo con responsabilità e trasformarlo perché sia un mondo abitabile per tutti. Con tale auspicio le assicuro la mia spirituale vicinanza e le chiedo gentilmente di ricordarmi, nelle sue buone intenzioni. (Non nelle preghiere, nelle buone intenzioni! Questo cosa significa? Che lui ha comprensione, ha capito il soggetto, e chiude:) fraternamente Francesco”. Ecco: questa è un’appendice che però ci sta. Rispetto a che cosa? Rispetto al fatto che questa lettera è di ottobre 2013 e coltivare e custodire il creato è l’essenza, l’incipit che ritorna costantemente dentro questa Enciclica. Con un elemento che è innovativo per tutto il mondo ambientalista, ma per tutto il mondo: che lui parla di un qualcosa che è l’ecologia integrale e quando dice ecologia integrale, non si limita alla casa comune, ma, siccome noi siamo parte di quella casa, perché dalla terra veniamo e alla terra ritorniamo, dice anche che l’ecologia integrale non può essere rispetto della natura senza diventare rispetto dei tuoi fratelli e delle tue sorelle che soffrono, perché loro sono parte integrante di questo mondo e di questo universo. Il messaggio lo prende dal più grande italiano di tutti i secoli, San Francesco. Nessuno sa che il più grande italiano della storia italiana è Francesco d’Assisi. Un personaggio incredibile, incredibile e Francesco, questo concetto di economia integrale lo ha applicato sulla sua persona e nel suo messaggio in modo totale, tanto è vero che io ho una convinzione, che la parte più bella del Cantico sia il finale, Laudato si’ per nostra sora morte corporale, che è poi il dilemma che abbiamo tutti, credenti e non credenti siamo tutti protesi verso questo enigma. Io trovo che questa parte finale del Cantico sia la più grande espressione poetica e filosofica: questo dobbiamo dirlo. È una cosa straordinaria.
GIORGIO VITTADINI:
Senti, adesso parlaci di Terra Madre e dell’iniziativa a Milano durante l’EXPO.
CARLIN PETRINI:
Terra Madre è una rete, che è nata nel 2004, di ormai 6000 comunità in tutto il mondo di contadini, pescatori, allevatori che praticano questo tipo di economia e, devo dire che ha cambiato profondamente la nostra vita, perché siamo entrati in contatto con persone meravigliose, in ogni angolo della terra. Tra l’altro, a novembre facciamo la seconda edizione di Terra Madre Indigeni, in India. Questa rete adesso è presente in 170 Paesi del mondo e unisce questi contadini. Cosa succede? Che arriva questo EXPO e io vedo che la piega era quella di una grande kermesse fieristica e dico: “Guardate che il problema vero che c’è oggi e che c’è nel titolo dell’EXPO, è il fatto che siamo in presenza di gente che nel XXI secolo soffre ancora la fame, che c’è uno spreco, di proporzioni incredibili, che c’è un sistema alimentare sbagliato”, tutte le cose che poi voi troverete chiaramente e dettagliatamente nell’Enciclica. Allora mi sono trovato nell’incertezza di essere contro l’EXPO pregiudizialmente, e dire no all’EXPO e non era neanche giusto perché è un momento importante per i Paesi ecc. Nello stesso tempo io non condividevo di stare assieme a Mc Donald’s, Coca Cola, era contro la filosofia di Slow Food. Alla fine noi abbiamo accettato di essere lì dentro, portando il nostro messaggio, però volevamo dare un segnale forte con la convocazione straordinaria di Terra Madre Giovani. Abbiamo fatto arrivare i giovani da 130 Paesi: contadini, pescatori, ma anche giovani universitari che si occupano del mondo del cibo e anzi, se ci sono dei giovani qui che vogliono venire, venite pure, perché è un momento aperto. Entrare in queste iniziative senza soldi l’è dura, santo cielo!, l’è dura su due cose: la prima sull’ospitalità, perché dire a un contadino africano che prende 40 euro al mese, di venire a Milano, e di pagarsi viaggio e soggiorno è duro. Su questo abbiamo avuto una coralità di milanesi, addirittura anche le associazioni di territorio, l’Arcivescovado, tutti si sono impegnati a dare ospitalità.
GIORGIO VITTADINI:
Molti hanno aderito attraverso le parrocchie: quindi se c’è qualcuno che può ospitare…
CARLIN PETRINI:
Perché guardate che è una cosa ben strana fare un’EXPO senza i contadini, fare un’EXPO e non c’hai un contadino manco a pagarlo, manco a pagarlo! È una cosa stranissima fare un’EXPO senza un pescatore, senza uno che fa il formaggio, fare un’EXPO senza che ci sia la produzione dei giovani, dei giovani che tornano alla terra, i nostri eroi, gli eroi di questo momento storico sono i giovani italiani che tornano alla terra, magari praticando il biologico e hanno molte difficoltà, perché se gli pagano 7 centesimi le carote, non è possibile… Allora cosa dice questa Enciclica? È l’Enciclica che dice che noi possiamo aiutare il cambiamento, perché quando compriamo o decidiamo chi aiutiamo. A me piace citare un grande poeta contadino americano, Wendell Berry, che dice: “Mangiare è il primo atto agricolo”. Se io mangio il prodotto del contadino che è vicino a casa mia, di un giovane che è tornato all’agricoltura biologica, aiuto questo tipo di economia, aiuto una economia, aiuto un certo tipo di agricoltura. Se io mangio il prodotto della Nestlè, della Danone, aiuto quell’altro tipo di agricoltura e l’Enciclica dice che la potenza oggi è data dal fatto che la moltitudine può influenzare i comportamenti, non solo degli stili di vita individuali, ma anche della politica. Il Papa crede nella politica che parte dal basso e cambierà quella alta, perché di queste tematiche qui, io lo debbo dire, non ne parla nessuno, nessuno! Siamo in un Paese dove, tanto per dirne una, vogliono rimettere di nuovo le trivelle nel Mediterraneo per cercare il petrolio; siamo in un Paese che negli ultimi 20 anni ha distrutto ettari ed ettari di suolo agricolo, ha cementificato in maniera irresponsabile, ha distrutto la bellezza dei nostri paesaggi e anche dell’agricoltura. I giovani saranno quelli che sono chiamati a questa grande sfida, a questa grande sfida. Io vorrei, per chiudere, dire proprio ai giovani presenti: guardate, state vicino a quest’uomo, stategli vicino perché ne ha bisogno. Vedete che continua a dire : pregate per me. Addirittura vuole anche che io lo pensi nelle mie buone intenzioni, va bene? Perché? Perché è cosciente che lui in questo momento – a me ricorda Coppi, l’uomo solo al comando – sta facendo uno sforzo enorme per un cambiamento, non della chiesa, questo lo farà e lo sta già facendo, ma dell’umanità. Vi dico, sarà seguito da tante persone, non di fede cattolica, di altre fedi, credenti e non credenti: perché? Perché porta un messaggio. Io è questo che vi devo dire. Lui conclude dicendo: “Abbiamo discusso in questa Enciclica di un tema gioioso ed anche disperato”, ma questa Enciclica trasuda gioia. La gioia di essere protagonisti del cambiamento, la gioia di essere protagonisti del dialogo e della comprensione, la gioia che non siamo venuti al mondo per fare dei soldi ma siamo venuti al mondo per essere felici, noi, la nostra famiglia e la felicità la si trova unicamente nell’alleviare le sofferenze proprie ed altrui. La vera felicità è lottare contro la sofferenza, la sofferenza nostra, dei nostri vicini, della nostra comunità, del mondo. La lotta contro la sofferenza è la più grande realizzazione di felicità, che puoi generarla solo con la gioia. E’ un esercizio difficile, ma questa lettura mi ha trasmesso questo. Io chiedo a voi giovani che siete in sala di leggerla, perché vi darà la gioia del cambiamento. Io vengo da una generazione che aveva la gioia delle rivoluzioni; però la gioia di cambiare, vi garantisco che è una delle cose che io conservo ancora come una delle cose più preziose. Ecco, la gioia del cambiamento è la pratica che può solo avvenire attraverso il dialogo e la comprensione degli altri e la comprensione degli altri può solo avvenire se ci sforziamo tutti di capire che questa cosa qui è veramente al centro delle tematiche politiche e planetarie: clima, situazione ambientale, ecologia integrale. Essere completamente al servizio di questa ecologia integrale ed esserci in modo gioioso è la cosa più bella di questa Enciclica.
Alla fine della seconda guerra mondiale, il cinquanta per cento degli italiani era contadino ed anzi se guardate bene nelle nostre facce, antropologicamente, lombrosianamente abbiamo ancora le “biffe” da contadini. Eppure oggi i contadini sono meno del tre percento e più della metà ha più di sessant’anni. Noi non mangeremo computer né informazioni, noi mangeremo prodotti della terra. Il ritorno alla terra o è garantito attraverso il rispetto, la dignità di chi vuol ritornare o altrimenti non ci sarà e noi dobbiamo avere cura ed amorevolezza verso quelle persone che decidono di tornare alla terra ed aiutarle, sostenerle. Questa è la missione di questo periodo storico, anche nel nostro Paese. La cosa bella è che questo sta avvenendo, sta avvenendo per quel po’ di pornografia delle padelle, anche questo serve, ma attenzione, la padella è il punto di arrivo, perché nessuno mette niente nella padella se non c’è il contadino che garantisce l’agricoltura. Noi dobbiamo, abbiamo il dovere di sostenere la classe contadina italiana e la classe contadina del mondo e siccome nel mondo la maggior parte è ancora su quel terreno lì, non possiamo pensare che i prodotti della terra vengano realizzati da altre parti o vengano realizzati anche nel nostro Paese attraverso forme di schiavismo. È in questi giorni, che nelle campagne del meridione d’Italia, anche delle mie Langhe, abbiamo denunciato forme di caporalato per raccogliere uva di bottiglie che vengono vendute a cinquanta, sessanta, cento euro per bottiglia, mentre si paga due euro all’ora chi va a raccoglierla. Ma di che cosa stiamo parlando? Questa che cos’è se non è una violenza? Non è possibile tollerare che nel nostro Paese, tutti pieni di Made in Italy, abbiamo portato il cervello all’ammasso. Ma dov’è il Made in Italy? È il Made in Italy il Parmigiano Reggiano, quando non c’è più uno che vada a mungere una vacca se non è un indiano con un turbante in testa? Non c’è più un padano che vada a mungere una vacca, ma solo indiani con il turbante in testa? Nelle mie Langhe se non ci fossero diecimila famiglie macedoni che vanno a raccogliere l’uva, il barolo non ci sarebbe. I giovani vanno a vendere il barolo a New York, a Dusseldorf, ma nelle vigne ci sono i macedoni; e se voi siete convinti che la fontina la facciano i Valdostani aggiornatevi; i valdostani hanno gli impianti di risalita, gli alberghi, perché nelle Malghe ci sono i magrebini, ci sono i polacchi. Allora questi sono o non sono contadini italiani? Sono contadini italiani, perché sostengono l’economia Italiana. Ed allora quando sentite parlare del Made in Italy, mettete sempre un po’ di sospetto, prima di tutto del Made in Italy. Dovete capire che tanti di questi fanno uno sforzo culturale enorme, perché arrivare dalla Macedonia per coltivare l’uva Nebbiolo, bisogna fare uno sforzo straordinario ed è lo stesso sforzo che facevano i nostri nonni quando andavano in Argentina, quando andavano in quei Paesi lì a praticare agricolture che non conoscevano, a lavorare nelle miniere e si mettevano a disposizione. Se non abbiamo questo sguardo di che cosa parliamo? Il nostro cuore si è…
GIORGIO VITTADINI:
Imputridito.
CARLIN PETRINI:
Stiamo perdendo il senso anche del nostro DNA, dobbiamo essere orgogliosi di essere Italiani proprio per questo; perché attraverso l’esperienza dei nostri nonni noi dobbiamo essere alla testa di questa nostra Europa, nella capacità di essere alleviatori di sofferenze nostre ed altrui. La sofferenza di queste persone è una sofferenza nostra. Quando io vedo questi bambini seduti per terra, non si può essere insensibili e questa è una cosa che ci ha spiegato l’Argentino, ma doveva venire dall’Argentina per dire queste cose qui a noi? Doveva venire dall’altro mondo, come dice Lui, eppure l’ha fatto con un garbo e con una empatia ed una simpatia ed una sostanza delle cose che è straordinaria. La prima cosa che ha detto è: “Buonasera”. Oggi solo in certi villaggi del centro Italia trovi, quando passi per la strada, delle persone che ti dicono buongiorno. Non diciamo più neanche buongiorno. Ritorniamo a creare un sistema di condivisione, di partecipazione, perché questa forma della comprensione umana è la grande sfida del XXI secolo. Se c’è qualcuno che viene ad insistere che bisogna essere chiusi, che non bisogna aprire quel cuore, noi freghiamocene e facciamo un’altra pratica. Io non tornerò più qui.
GIORGIO VITTADINI:
Mai dire mai.
CARLIN PETRINI:
Ma guai a voi se entro un mese non leggete l’Enciclica, vi garantisco non è una lettura difficile: è piana, lineare, bella, straordinaria. Leggetela.
GIORGIO VITTADINI:
Grazie Carlin, prendiamo l’impegno; ma sai a noi non ci ha telefonato il Papa, quindi… Grazie ancora Carlin.