Chi siamo
Le origini dell’uomo: culture ed esperienze del sacro
Ha partecipato: Julien Ries, professore emerito di storia delle religioni all’Università di Lovanio La Nuova (Belgio).
Ries: Al centro degli sforzi fatti in vista della nascita di un mondo migliore, allorché i nostri occhi vedono le molteplici tragedie, le rovine e le disperazioni di milioni di uomini e di donne mentre ci avviciniamo all’anno 2000, il Meeting continua il suo cammino e rappresenta una vera e propria stella che guida i pastori. Di fronte alle lotte, alla violenza e alle guerre fratricide, noi poniamo la questione dell’Uomo, del suo destino, del suo valore, della sua dignità e della sua vocazione.
Oggi, nell’ottica della mostra L’uomo creatore di cultura e cercatore di infinito, io vi presento alcune riflessioni sull’origine dell’uomo, sulla cultura, sul sacro. Voi ed io, siamo stupiti e scandalizzati nel vedere l’atteggiamento di numerosi responsabili della comunità internazionale, che lasciano freddamente perpetrare dei genocidi di un’ampiezza incredibile, senza muoversi, salvo che con proteste e discorsi. D’altra parte noi vediamo che per mezzo di falsi principi di democrazia, sono state immobilizzate delle popolazioni, anziché contribuire al loro sviluppo e sono state consegnate alla manipolazione di avventurieri sostenuti dai mass media. In questa inverosimile confusione, numerosi capi di organismi internazionali non comprendono più cosa significhi il dovere di assistenza a popoli in pericolo di morte. Ci vuole a questo punto un sincero sussulto della coscienza di una gioventù autentica come la vostra per far muovere la nostra Europa addormentata e assopita nel suo materialismo e nel suo benessere di questo fine secolo.
I. La cultura, carta di identità dell’uomo
A partire dal 1959 nei giacimenti di Olduvai in Tanzania e ad est del lago Turkana in Kenya, degli archeologi e dei paleantropologi hanno scoperto dei resti cranici datati più di due milioni di anni. Questi resti si trovavano al centro di ciottoli scheggiati da un lato (choppers) e anche da due lati (chopping tools). All’autore di questi utensili degli antropologi hanno dato un nome: Homo habilis, il primo tipo di uomo distinto dall’Australopiteco. L’Homo habilis è il creatore della cultura: questa prima cultura della storia si chiama cultura di Olduvai. Noi vi troviamo una industria, una tecnologia, delle strutture di insediamento, degli oggetti e degli utensili(1).
La cultura di Olduvai è il segno dell’origine dell’Homo habilis che è un homo symbolicus. La scheggiatura di un ciottolo presuppone l’utilizzo di un oggetto manipolato dalla mano. E presuppone anche un progetto fatto dall’intelligenza e dall’immaginazione che vede in anticipo il risultato grazie alla formulazione di un modello. Noi siamo in presenza del gioco del visibile e dell’invisibile che si realizza grazie a un viavai tra delle pulsioni psichiche e l’ambiente cosmico: è il percorso antropologico, fondatore della creazione simbolica (G. Durand). La creazione dei primi utensili, la scheggiatura sulle due facce delle selci, la scelta dei materiali e dei colori mostrano l’esistenza nell’Homo habilis di Olduvai di una coscienza della simmetria e della simbologia, indici certi di una esperienza estetica rudimentale. Con il professor Facchini, noi possiamo dire che la cultura è un’attività tipica dell’Uomo e che noi riconosciamo la presenza dell’Uomo là dove troviamo i prodotti della sua cultura poiché egli rivela così la sua capacità di creazione(2).
A partire da 1.600.000 anni, l’Homo habilis è diventato colui che chiamiamo Homo erectus; ciò non ha niente a che vedere con la posizione eretta poiché essa era già stata acquisita presso l’Homo habilis, ma la denominazione fu data all’Uomo scoperto a Giava un secolo fa. Quest’Uomo più robusto ha coperto tutto l’Antico Mondo prima di sparire verso il 150.000 prima della nostra era. In Asia le sue vestigia più importanti si trovano a Chou-koutien e a Giava. Continuatore della cultura litica attraverso una scheggiatura più perfezionata, l’Homo erectus è anche l’inventore del fuoco, verso il 450.000 in Europa e forse anche molto prima in Cina: questa invenzione geniale fu la prima fonte di energia dominata dall’uomo ma fu anche l’origine dei riti. Le tracce di cultura si moltiplicano con l’Homo erectus, un uomo nuovo nel suo aspetto fisico e nel suo stato psichico: bifacce appuntite, costruzione di capanne con una sistemazione interna (cioè delle aree per il taglio degli utensili, della aree per la preparazione degli animali da cuocere, delle aree di riposo), mantenimento del fuoco, vita sociale di gruppo, utilizzo del linguaggio(3).
L’Homo habilis e l’Homo erectus hanno sviluppato una cultura che si estende lungo un milione e mezzo di anni, prova della loro intelligenza, del loro senso simbolico, del loro senso estetico. Avevano il senso del sacro? A questa domanda noi non rispondiamo per il momento per mancanza di prove dirette. In effetti, questi due Uomini non hanno lasciato alcun documento che ci permetta di dire che essi abbiano realizzato un esperienza del sacro. Quello che noi possiamo affermare con certezza sulla base delle tracce archeologiche è ciò nonostante importante: l’Homo habilis e l’Homo erectus sono dei creatori intelligenti, dei creatori di cultura che hanno fatto un’esperienza estetica grazie alla loro capacità di simbolizzazione.
II. Il senso del sacro, un segno dell’Homo Sapiens
1. La coscienza del mistero della vita e della sopravvivenza (vita dopo la morte) – All’Homo erectus segue l’Homo sapiens il cui cervello si caratterizza per un volume di 1450 centimetri cubici e che ha lasciato una cultura più raffinata caratterizzata da nuove tecnologie: la cultura musteriana, che si stenderà in tutta Europa. Quello che ci interessa è la grande novità di questa cultura del Sapiens: le sepolture. Le più antiche sepolture portate alla luce sono quelle di Qafzeh e di Skhul in Israele, esse datano 90.000 anni; poi vengono le tombe dell’Uomo di Nèandertal (da -80.000 a -40.000). L’Uomo di Galilea e poi in tutta Europa l’Uomo di Nèandertal seppellivano i loro defunti. Ecco qualche dettaglio relativo alle sepolture scoperte: fosse scavate per accogliere i cadaveri; cure speciali durante l’inumazione di bambini piccoli; deposizione di offerte; corpi deposti su una lettiga guarnita di fiori; protezione del corpo del defunto. La relazione dei vivi con il defunto è segno di una credenza nelle sussistenza di un legame e nell’esistenza della sopravvivenza al di là della morte. Legato alle sepolture di Nèandertal e di Qafzeh i riti funerari sono degli indici irrefutabili dell’esistenza nell’Homo sapiens di una coscienza del sacro(4).
Nel corso del Paleolitico superiore (da -40.000 a -10.000), dei fatti nuovi si manifestano: la generalizzazione delle tombe, la presenza di suppellettili nelle tombe (conchiglie, denti), l’uso frequente dell’ocra rosso, sostituto del sangue, delle conchiglie incastonate nelle orbite oculari come per dare al defunto degli occhi per l’eternità. Eliade ha insistito sulla posizione fetale del cadavere e il suo orientamento verso l’est in numerosi casi, rito che sembra “rendere solidali le sorti dell’anima al corso del sole”(5).
Tracce sempre più numerose dal -90.000 al -10.000 della riflessione dell’Homo sapiens sul mistero e la realtà della sopravvivenza sono una prova irrefutabile della sua esperienza del sacro.
2. L’intuizione di una storia sacra delle origini del mondo – Voi conoscete dei nomi celebri come Lascaux, Niaux, Rouffignac, Le Gibillou, Les Combarelles in Francia, Altamira, Monte Castillo, Santimamine in Spagna, L’Addaura in Sicilia. Ad oggi, sono state esplorate 150 grotte preistoriche ornate in Francia, in Spagna ed in Italia di cui le più prestigiose datano da 15.000 a 10.000 anni prima della nostra era. Ciascuna di esse si iscrive in maniera specifica nell’universo culturale del Paleolitico superiore, ma alla fine di questa epoca, l’Europa occidentale conosce l’espansione di una cultura prestigiosa per le sue opere d’arte che mostrano che noi siamo in presenza di una civilizzazione, cioè: di una conoscenza approfondita dell’uomo e del suo posto nel cosmo, del suo modo di vivere e di pensare, della sua mentalità e delle sue credenze. Gli studi fatti nel 1863 a La Madelaine in Dordogna hanno lasciato la denominazione di civilizzazione maddaleniana. La situazione geografica delle grotte decorate (Francia e Monti Cantabrici in Spagna) fa sì che si parli di arte franco-cantabrica. Queste grotte non erano delle abitazioni ma dei santuari che servivano all’iniziazione degli adolescenti ed a diverse cerimonie. Si parla di cattedrali della preistoria(6).
I muri e i soffitti dipinti rappresentano dei personaggi e degli animali. Queste rappresentazioni mostrano la percezione della vita quotidiana come tale ma anche dello straordinario in questa vita. I simboli dipinti sui soffitti e i muri non prendevano senso che grazie a un discorso che si indirizzava ai visitatori che erano degli adolescenti condotti in queste grotte in vista dell’iniziazione ai misteri del loro clan. Le pitture che noi vediamo non sono che dei mitogrammi, radici dei miti fondatori, probabilmente di quei miti che noi troveremo presso i popoli mediterranei qualche millennio più tardi(7).
L’arte delle caverne rappresenta un patrimonio culturale e religioso inestimabile, un vero gioiello che permette di datare la nascita dell’uomo moderno. È la prima grande tappa della concettualità; è un balzo in avanti nel pensiero simbolico; noi assistiamo all’emergere di una vera religiosità fondata sull’esperienza del sacro. L’uomo maddaleniano ha l’intuizione di una storia sacra delle origini del cosmo e della vita, del mistero della creazione e della fecondità. Attraverso il simbolo e attraverso il mito l’uomo tenta di esprimere la sua esperienza estetica e la sua esperienza del sacro. Nella stessa epoca, degli avvenimenti simili si manifestano nel Medio Oriente. L’umanità affronta la svolta decisiva della sua storia.
III. Sedentarizzazione, invenzione dell’agricoltura e formazione della coscienza del divino
1. Due simboli del divino – Tra il 12.500 ed il 10.000 a.C., in Medio Oriente accade un avvenimento decisivo per la prosecuzione dello sviluppo dell’umanità. Col favore del riscaldamento del clima, gli uomini sono usciti definitivamente dalle grotte a dai ripari sotto le rocce allo scopo di stabilirsi in abitazioni costruite da comunità umane viventi in un ambiente propizio: fu la sedentarizzazione a far nascere la civilizzazione natufiana, dal nome di en-Natouf in Palestina, luogo della scoperta del primo villaggio. Le caratteristiche dei villaggi natufiani sono: il raggruppamento dei vivi e dei morti poiché i cimiteri sono a lato delle case, la raccolta dei cereali selvatici e il loro stoccaggio (l’agricoltura non era ancora stata inventata), la vita di tutta la comunità umana occupata dalla raccolta dei grani e la ricerca del nutrimento(8).
Diversamente dall’arte franco-cantabrica, l’arte natufiana rappresentava soprattutto degli animali. Tra il 10.000 ed il 9.000 si è prodotto un grande cambiamento: l’introduzione, prima nella valle del Giordano, poi in quella dell’Eufrate, di rappresentazioni femminili di grande realismo; queste rappresentazioni si moltiplicano e si ritrovano altrove e ben presto appare una seconda rappresentazione, quella del toro allorché i tori selvaggi, presenti ai bordi dell’Eufrate, non erano ancora stati né catturati né addomesticati e l’agricoltura non era ancora stata inventata. Si tratta di due simboli che indicano una profonda mutazione nell’esperienza del sacro poiché sono all’origine delle due rappresentazioni della divinità: la dea-madre e il culto del toro, due culti che conquisteranno il Medio-Oriente e il mondo mediterraneo nell’epoca neolitica. Secondo la nuova cronologia appena stabilita, è verso il 9.000 prima della nostra era che questa grande mutazione di simboli è avvenuta: l’Uomo del Medio-Oriente ha preso coscienza del divino e ha rappresentato il divino per mezzo di due simboli che, con l’invenzione dell’agricoltura, daranno inizio a due tipi di divinità della fecondità: la dea-madre e il toro. Nella grande città di Catal Huyuk, verso il 7.000 a.C. (secondo la nuova cronologia), noi troviamo numerose raffigurazioni della dea-madre così come un grande affresco di un toro circondato da uomini armati e da uomini con le braccia alzate nel gesto dell’orante. Una figura analoga si trova nel Neolitico del Sahara dove un montone precede degli uomini con le braccia alzate verso il cielo(9).
L’Uomo ha preso coscienza del divino e della sua Trascendenza che rappresenta in maniera simbolica e la sua esperienza del sacro diviene un’esperienza religiosa; egli eleva le mani verso il suo dio. L’orante mostra l’uomo in relazione con la divinità.
2. Figurine, statue e santuari – Grazie all’arte noi abbiamo potuto comprendere l’esperienza dell’Uomo maddaleniano, allo stesso modo per la rivoluzione neolitica la cui origine si situa in una vera e propria mutazione mentale presso l’Uomo natufiano. Verso il 7.000 a.C. la ceramica si generalizza a Levante ed è in questo contesto che si realizza la fabbricazione di figurine in argilla rappresentanti le divinità, modellate in modo piuttosto grossolano e cotte al fuoco. Più tardi, si avranno delle statue in pietra. I primi santuari sono organizzati all’interno delle case. Non è che a partire dal 6.300 degli abitanti del villaggio costruiranno dei santuari pubblici nei quali la comunità può riunirsi, ma non ci sono ancora tracce di una organizzazione sacerdotale. Secondo tutte le apparenze, si tratta di una religione di comunità di villaggio di una società agricola(10).
Ecco dunque come un profondo cambiamento interno nell’Uomo ha portato questo a prendere coscienza del Divino sentito come Trascendente e a rappresentarlo con due simboli presi nel suo ambiente culturale: la donna creatrice della vita e il toro selvaggio, una potenza sovradimensionata. L’uomo vede nella divinità un Essere supremo che lo sovrasta, verso il quale tende le mani per invocarlo. È divenuto un credente che vive in un mondo teso verso quello dove vive la divinità che gli è superiore. È in questo contesto del pensiero neolitico che nasceranno i miti e i riti del Medio-Oriente antico che ci sono noti grazie agli scritti delle prime grandi religioni.
IV. Le esperienze religiose dell’uomo dell’età del bronzo
Dai suoi antenati neolitici l’Uomo del Bronzo ha ricevuto un importante eredità culturale e religiosa molto diversificata.
1. L’Uomo sumero e l’Uomo babilonese – Giunti in Mesopotamia nel corso del IV millennio, i Sumeri crearono le grandi Città-Stato e inventarono la scrittura. Venuti dall’Ovest, gli Accadi si mescolarono a loro: è la nascita di una grande civiltà. Il mondo divino è concepito come un mondo celeste e la vita terrena è considerata come un riflesso del cielo. L’astrologia diventa la scienza religiosa che collega il destino degli uomini alle volontà degli dei e delle dee(11).
Dio è luce. Questa luce irradia dalla testa di ogni statua divina. Essa irraggia nei templi e nei santuari. I preti sono incaricati della preghiera, delle processioni, della venuta degli dei per mezzo della grande torre, la ziggurat che in ogni città collega la terra al cielo. Il dio supremo è detentore della sovranità primordiale; dal cielo la fa discendere sul re a beneficio degli umani. All’uomo incombe l’obbligo di riconoscere i decreti divini e di eseguirli in totale sottomissione agli dei. Feste numerose danno agli uomini l’occasione di mostrare agli dei la loro fedeltà, mentre i preti, delegati dal re, celebrano giornalmente dei sacrifici in ogni tempio. Nata nella valle dell’Eufrate tra popoli impressionati dalla volta celeste e dalla luminosità degli astri, la religione mesopotamica comporta la prima grande riflessione sul divino, sull’uomo, sulla condizione umana e sul comportamento dell’uomo di fronte ai decreti divini.
2. L’uomo religioso dell’Egitto faraonico – Gli abitanti dell’Egitto hanno vissuto nello stupore in mezzo alla natura, sotto un cielo luminoso. Per essi, la creazione originale è l’età dell’oro con l’emergere della terra, della luce, dell’uomo e la trasformazione del caos in cosmo. Questo stupore li ha portati alla scoperta del mistero della vita e del suo carattere sacro, opera divina per eccellenza, protetta dagli dei e dalle dee il cui rappresentante è il faraone, incaricato di assicurare il cammino armonioso del mondo attraverso il culto celebrato ogni giorno nei templi.
L’uomo è nelle mani degli dei. L’Egiziano ha il senso del divino e l’amore della vita che, per lui, continua dopo la morte. Maât è lo stato della creazione, della natura e dell’Egitto, previsto dagli dei creatori. Essa è anche il diritto, la giustizia, l’ordine e la verità garantite dal faraone. È verità nelle parole, giustizia negli atti e rettitudine nel pensiero. L’uomo egiziano vive una esperienza religiosa segnata dal senso del sacro e dall’amore per la vita, in una visione ottimistica fondata sulla credenza di una sopravvivenza beata. Il tema della luce ha profondamente influenzato la teologia, la liturgia e il pensiero religioso. Come in Mesopotamia, la regalità divina, il sacerdozio e il culto sono gli elementi essenziali della religione(12).
3. L’uomo religioso indoeuropeo – Nel corso del III millennio circolavano tra l’India e l’Atlantico gruppi di conquistatori che si fermarono progressivamente in Europa, in Asia minore, in Iran, in India. Parlavano dei dialetti provenienti da una comune lingua ancestrale perduta e che si chiamava indoeuropeo. Cinquant’anni di ricerche di Georges Dumèzil hanno mostrato che, durante la preistoria, una teologia funzionale divideva il mondo divino in dei della sovranità, dei della guerra, dei della fecondità. Anche la società era composta da tre classi: preti, guerrieri, agricoltori. Il vocabolario religioso comune indica che l’idea di dio è solidale con la sacralità celeste: luce, trascendenza, sovranità. I popoli indo-iraniani e italo-celti conservarono i loro riti e i loro collegi sacerdotali allorché presso i popoli germanici, questi furono eclissati dalla classe dei guerrieri(13).
Il percorso appena compiuto dall’Homo habilis fino alle grandi religioni del Bronzo ci ha mostrato qualche dato costante importante nella ricerca dell’Uomo.
Il primo è il ruolo capitale del simbolo e della cultura. Fin dai primi momenti della sua esistenza, grazie al simbolo, l’uomo è creatore di cultura. A partire dalla documentazione lasciata dall’Homo sapiens noi constatiamo che il ruolo del simbolo è primordiale nell’esperienza del sacro e nell’esperienza religiosa. Nelle grandi religioni dell’età del Bronzo, la simbologia della volta celeste e la simbologia astrale sono al primo piano della vita religiosa. Perciò, noi possiamo formulare un’ipotesi come risposta alla domanda posta a proposito dell’esperienza del sacro nella vita dell’Homo habilis. La contemplazione della volta celeste ha potuto fargli vivere una esperienza del sacro. Secondo Eliade la semplice contemplazione della volta celeste provoca nella coscienza primitiva una esperienza religiosa. È possibile pensare che l’Homo habilis che era un homo symbolicus abbia potuto fare l’esperienza del sacro.
Il secondo dato è la persistenza dell’esperienza del sacro dalle sue prime tracce nella vita dell’Homo sapiens: persistenza dei riti funebri e di altri riti, persistenza di tutta una simbologia specifica, persistenza di credenze religiose fondate su dei temi ricorrenti come la luce, la vita, la morte, la sopravvivenza. Tutti questi dati ci portano a parlare di un senso religioso presso l’uomo.
V. Dio parla all’uomo
1. L’esperienza biblica di una alleanza – All’inizio del II millennio, in questa Mesopotamia nella quale i Sumeri e i Babilonesi avevano cercato l’identità del divino nella luce celeste, Dio si rivela ad Abramo e lo sceglie per farne il capostipite del suo popolo. Gli promette una posterità numerosa. A partire da questa elezione divina Abramo si sente vicino al suo Dio al quale si lega con una fede totale. Dio entra nella storia, è identificato come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. La storia di un popolo diviene una storia santa grazie all’Alleanza di Dio e questa storia è riferita in un libro, la Bibbia, il libro sacro di Israele.
A Mosè che è fuggito dall’Egitto, Dio si manifesta in un fuoco, gli dice la sua identità (Es 3,6) e nel corso di questa teofania, gli rivela il suo nome, Jahvè, “io sono con te” (Es 3,12) e “io sono colui che sono” (Es 3,14)(14). A Mosè Dio rivela il suo nome come pegno della sua presenza per il suo popolo e aggiunge che la terra sulla quale si trova Mosè è consacrata. Accompagnando il suo popolo nel deserto, Jahvè si manifesta come signore della natura e come Dio che guarisce. Al Sinai, il Dio dell’Alleanza rivela al suo popolo la sua Legge e i suoi comandamenti. Il Dio del Decalogo è Dio dell’Alleanza, di una alleanza nella quale il popolo si impegna con la fede poiché la fede diviene il nuovo statuto dell’homo religiosus. I Salmi canteranno la potenza di Jahvè, creatore del cielo e della terra, della luce e degli uomini. Nel Tempio costruito sulla collina di Sion i preti celebrano il culto del Dio unico(15).
Messaggeri del Dio dell’Alleanza, i profeti, contribuiranno ad approfondire la fede dei fedeli. Verso il 740, Isaia (6,1) proclama la santità di Jahvè assiso sul suo trono e che esige la santità del popolo. È ancora lui che annuncia la nascita dell’Emanuele (Is 7,14).
La rivelazione di un Dio personale e unico che si allea con il suo popolo e si manifesta nella sua storia costituisce la novità biblica. Tra Israele e il suo Dio esiste una relazione reciproca nella quale Jahvè conserva la sua posizione divina, ma testimonia all’uomo il suo benvolere, la sua fedeltà e il suo amore. La sua autorità sovrana è segnata dalle sue richieste. L’uomo deve rispondere liberamente a questo richiamo e non rompere l’alleanza. È questa linea biblica dell’alleanza di Allah con l’uomo fin dal patto della creazione che ispirerà il Profeta Maometto. Questi insisterà specialmente sulla fede e la sottomissione dell’uomo. Il tempo manca per parlare di questa rivelazione più tardiva.
2. L’esperienza cristiana dell’uomo nuovo – Verso gli anni 30 della nostra era, un gruppo di discepoli del profeta Gesù di Nazaret vive un’esperienza straordinaria fondata sulla sua parola nuova e sui suoi doni di guaritore. Tra di loro, sceglie una dozzina di uomini, i suoi prediletti. Alla domanda che gli pone: “Per voi chi sono io?”, Pietro risponde: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Ai suoi apostoli, predice la sua passione, la sua morte e la sua resurrezione, istituisce la Pasqua nuova, muore crocifisso, resuscita, si mostra ai suoi apostoli e li invia ad annunciare la Buona Novella al mondo intero.
A partire dall’avvenimento della Pentecoste, gli Atti degli apostoli danno un quadro coerente dei primi trent’anni dell’espansione delle comunità cristiane negli ambienti ebraici e nel mondo ellenico. Le Lettere di Paolo sono i documenti fondatori di una teologia, di una cristologia e di una ecclesiologia che svilupperanno i Padri greci, latini e orientali. Al centro si trova Gesù Risorto, il Signore, il nuovo Adamo, creatore dell’uomo nuovo, il cristiano che è incaricato dell’annuncio del messaggio a tutta l’umanità. Questo messaggio è molto denso: vita nuova dell’uomo nel Cristo che opera la sua trasformazione in vista di una totale manifestazione nella risurrezione finale, dignità di ogni essere umano creato ad immagine di Dio, amore del Padre, del Figlio e dello Spirito che diviene motore dell’amore umano, creazione sulla terra di una civiltà dell’amore con la caduta di tutte le barriere che separano gli uomini. Così “il Cristo, il nuovo Adamo, nella rivelazione stessa del mistero del Padre e del suo amore, manifesta pienamente l’uomo all’uomo e gli rivela la sublimità della sua vocazione”(16).
Conclusione
Possiamo concludere brevemente. Lungo due milioni di anni, l’Homo habilis, l’Homo erectus, l’Homo sapiens hanno camminato lentamente. Creatori di cultura fin dai loro primi passi, essi affermano delle credenze in una sopravvivenza e una esperienza del sacro dalla tappa del Sapiens. Questa esperienza diviene più coerente all’epoca maddaleniana e impegna le comunità umane. Verso il 10.000, nel Medio-Oriente, noi assistiamo a una rivoluzione dei simboli che è all’origine del passaggio da una esperienza del sacro alla creazione delle religioni: religioni neolitiche, poi grandi religioni legate alle culture. Quattromila anni fa, nuova rivoluzione: Dio si rivela. Parla all’uomo che può identificarlo e stringe alleanza con lui. Ed ecco l’ultima rivoluzione che rinnoverà la storia: san Giovanni la descrive in poche parole: Verbum caro factum est (Gv 1,14).
NOTE
(1) F. Facchini, Il cammino dell’evoluzione umana, Jaca Book, Milano, 1984.
Y. Coppens, La scimmia, l’Africa e l’uomo, Jaca Book, Milano, 1985.
(2) Facchini, Le origini dell’uomo, Jaca Book, Milano, 1990. Id., La culture dans l’evolution humaine, in La vie des sciences, 10, Paris, 1993, 1, pp. 51-66.
(3) P.V. Tobias, Paleoantropologia, Jaca Book, Milano, EDO, 6, 1992.
(4) J. Ries, Le origini, le religioni, Jaca Book, Milano, 1993.
(5) M. Eliade, Storie delle credenze e delle idee religiose, I. Dall’età della pietra ai Misteri Eleusini, Sansoni, Firenze, 1979, pp. 19-23.
(6) A. Leroi-Gourhan (éd.), Préistoire de l’art occidental, Mazenod, Paris, 1965.
L.R. Nougier, Les grottes préhistoriques ornées de France, d’Espagne et d’Italie, Balland, Paris, 1990.
(7) A. Laming-Emperaire, La sigification de l’art rupestre paléolithique, Picard, Paris, 1962.
E. Anati, Origini dell’arte e della concettualità, Jaca Book, Milano, 1985, 19892.
(8) J. Cauvin, Naissance des divinités, naissance de l’agricolture. La révolution des symboles au néolithique, CNRS éditions, Paris, 1994.
(9) J. Cauvin, l’apparition des premiéres divinités in La recherche, Paris, 1987, n. 194.
(10) J. Cauvin, Les premieres villages de Syrie-Palestine du IXe au VIIe millénaire av. J.-C., de Boccard, Paris, 1978.
(11) J. Bottero, Mésopotamie. L’éncriture, la raison et les dieux, Gallimard, Paris, 1987.
(12) S. Morenz, Gli Egizi, Jaca Book, Milano, 1983.
(13) G. Dumezil, L’ideologia tripartita degli indoeuropei, Il Cerchio, Rimini, 1988.
J. Ries (éd.), L’uomo indoeuropeo e il sacro, Trattato di antropologia del sacro, vol. II, Jaca Book/Massimo, Milano, 1990.
(14) L. Giussani, Il senso religioso, Jaca Book, Milano, 1986.
J. Ries, Le origini, le religioni, Jaca Book, Milano, 1993.
(15) J. Ries (éd.), Il credente nelle religioni ebraica, mussulmana, e cristiana, Trattato di antropologia del sacro, vol. V, Jaca Book/Massimo, Milano, 1993.
(16) Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 22.