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LE NUOVE FRONTIERE DELLA CHIRURGIA
Partecipano: Michael Bailey, Co-Direttore dell’International Centre of Excellence for Telesurgery, UK; Raffaele Pugliese, Presidente AIMS Academy (Advanced International Mini-invasive Surgery Academy). Introduce Antonio Quaglio, Direttore editoriale de Ilsussidiario.net.
Le nuove frontiere della chirurgia
ANTONIO QUAGLIO:
Bene. Buongiorno a tutti, grazie per essere qui con noi questa mattina. A questo tavolo doveva sedersi anche il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che però ieri sera molto tardi ha telefonato qui a Rimini scusandosi per non poter essere qui, per le ragioni che potete immaginare. Resta però il fatto che, dopo che in primavera il Ministro Lorenzin aveva raccolto dal professor Pugliese il racconto, l’esperienza, la testimonianza di cosa ha fatto AIMS Academy, poi ve lo racconterà in dettaglio, era stato molto, molto interessato a che questo racconto, questa mattina, avvenisse anche in sua presenza, perché la testimonianza diventasse pubblica. Questa mattina non siamo qui per ragionare su un’emergenza molto diversa da quella che purtroppo ha colpito nelle ultime ore il centro Italia. L’emergenza è questa: ogni giorno bisogna cercare di non morire, ogni giorno bisogna cercare di non uccidere, ogni giorno bisogna utilizzare tutte le conoscenze e tutte le tecnologie in qualsiasi campo, per salvare e arricchire la vita dell’uomo, che si tratti di costruire case antisismiche, che si tratti di eseguire un intervento chirurgico utilizzando al massimo le possibilità della chirurgia avanzata, in particolare di quella endoscopica, laparoscopica, la chirurgia che sta spostando in avanti le frontiere della terapia chirurgica, il massimo con il minimo dei rischi, perché le alte tecnologie o le alte professionalità possono essere d’aiuto alla vita delle persone solamente se diventano best practices, come si dice, le migliori condizioni per cui sia utile e non rischiosa per la vita dell’uomo. Questo è ciò di cui il professor Pugliese e il professor Bailey ci racconteranno questa mattina. Do subito la parola al professor Bailey.
MICHAEL BAILEY:
Buongiorno a tutti, è un grandissimo piacere per me essere qui con voi oggi. Come avete potuto ascoltare, vi parlerò della laparoscopia e della chirurgia avanzata. Io effettuo i miei interventi in un quartiere fuori Londra, qui vedete il reparto dove insegniamo chirurgia laparoscopica. La chirurgia laparoscopica è una chirurgia eseguita senza effettuare tagli importanti, ingenti nell’addome, applicando dei piccoli buchi di circa un centimetro, mezzo centimetro di diametro. Questo fa sì che il paziente possa affrontare delle grosse operazioni con il beneficio di soffrire di meno e riprendersi molto più velocemente. Per eseguire la chirurgia laparoscopica, è molto importante che i giovani chirurghi siano formati in questo tipo di procedura. Per quanto riguarda la formazione, noi insegniamo loro tecniche particolari: occorre una tecnologia all’avanguardia affinché possiamo svolgere la laparoscopia al meglio, garantendo al paziente i risultati migliori. Quindi, anzitutto occorre istruzione, un adeguato insegnamento, l’attrezzatura per poter svolgere correttamente la procedura. E’ molto importante acquisire esperienza prima di effettuare un intervento su un paziente. Vogliamo sempre migliorare e aprire, ampliare il campo, cercando di gettare uno sguardo su possibili nuove tecnologie. Per eseguire questo tipo di chirurgia, dobbiamo avere dei centri all’avanguardia come il mio e come il centro del professor Pugliese. Conduciamo corsi, insegniamo ad avere un adeguato coordinamento mano-occhio, facciamo simulazioni: la cosa più importante è eseguire una chirurgia live che può avvenire ad esempio con la telemedicina, con la realtà virtuale, attraverso internet o attraverso altre modalità come per esempio i DVD o i CD-Rom. Per eseguire questo tipo di chirurgia, dobbiamo essere in grado di operare attraverso piccolissime incisioni: quando è stato avviato questo tipo di chirurgia, non c’era una formazione. Nel 1992 a Londra è accaduto un caso tragico, la moglie di una personalità nota ha avuto un intervento in laparoscopia eseguito da un medico che non era formato e purtroppo è deceduta poco dopo. Al caso è stata data tanta pubblicità, se n’è parlato molto perché il marito della signora era noto e anche per il fatto che il medico che aveva eseguito l’intervento non era adeguatamente formato. Quindi, il Governo britannico decise di istituire tre centri di formazione nazionale per l’insegnamento di questo tipo di chirurgia: io sono stato fortunato perché sono stato scelto come il responsabile di uno di questi tre centri. C’è bisogno di questi centri di formazione, occorre apprendere come eseguire la laparoscopia per procurare benefici al paziente: minor sofferenza, meno complicanze, minore incidenza del tasso di complicanze e miglior recupero, e inoltre risparmio in termini di risorse finanziarie per il Paese. Il mio reparto è stato costituito con una dotazione di 2 milioni di sterline finanziate dal Governo centrale, in parte dall’amministrazione del Servizio Sanitario nazionale e dalla fondazione UOS. Ed è ora di creare tre centri di eccellenza dove altri medici possano apprendere, quindi il mio ospedale, il Royal Surrey County Hospital e il Royal College of Surgeons. Il mio centro ha iniziato la sua attività nel 1995, è stato inaugurato dall’allora Ministro della Sanità, ha condotto le sue attività per circa 10 anni, poi è stato creato, costituito, un nuovo ospedale, un nuovo centro di formazione nel 2005, con finanziamenti provenienti dal Governo. Qui vedete immagini dell’inaugurazione ufficiale, vedete che c’è anche il professor Pugliese che ha partecipato a quell’evento assieme a tanto altri eminenti chirurghi provenienti da tutta Europa. Nel mio reparto, conduciamo dei corsi riconosciuti dal Royal College of Surgeons, dal collegio dei chirurghi britannici, siamo un centro di eccellenza, abbiamo delle strutture all’avanguardia, c’è un’aula per i corsi, una sala conferenze, ci sono tecnologie per videoconferenze e audio-conferenze. È molto importante che i giovani chirurghi e i chirurghi che ancora non sono adeguatamente formati imparino. E qui vedete il nostro laboratorio, nel quale è possibile insegnare ai chirurghi come eseguire le procedure prima di intervenire direttamente sui pazienti. Come potete vedere, c’è un telescopio con la luce e ci sono strumenti che, effettivamente, sono quelli che eseguono l’intervento. Questo non è un dottore, non è un medico, è il Duca di Kent, il cugino della regina che ci è venuto a visitare. Probabilmente conoscete questa persona, Boris Johnson, che è colui che ha condotto la campagna Brexit e che adesso è divenuto il nostro Ministro degli Esteri, che ha fatto visita al nostro centro. C’è bisogno di strutture in cui sia possibile tenere delle conferenze, in cui si possano ottenere informazioni, per esempio dagli altri centri del mondo, occorrono importanti finanziamenti: abbiamo circa 165 corsi l’anno a cui partecipano circa 1000 delegati, e abbiamo delle fellowship, per esempio finanziamenti da alcune associazioni. Ci sono collegamenti internazionali, per esempio in telemedicina. Il reparto è collegato alle principali sale operatorie, al reparto endoscopico e radiologico, all’unità di chirurgia Day Hospital, al centro medico dei post laureati: con queste informazioni, siamo in grado di diffonderlo in tutto il mondo e anche loro possono insegnare e mandare informazioni a noi. Il nostro sistema di apprendimento prevede varie modalità, per esempio seminari, conferenze. Nel resto d’Europa ci sono centri come questo, per esempio a Strasburgo, l’IRCAD, e l’istituto del professor Pugliese a Milano. Il ciclo di apprendimento è molto importante, quando i chirurghi e i dottori iniziano, spesso non hanno idea di questo tipo di chirurgia, bisogna renderli consapevoli di ciò che occorre imparino. Si parla di varie fasi: la competenza, la padronanza, fase nella quale il chirurgo è in grado di eseguire la tecnica senza neanche doverci pensare. La tecnologia moderna è molto importante, molto utile, possiamo diffondere questo tipo di conoscenze in ogni dove, possiamo simulare interventi chirurgici: anziché operare direttamente sulle persone, possiamo operare per esempio su oggetti inanimati o su animali. In Gran Bretagna abbiamo un sistema per la formazione in base al quale il giovane chirurgo deve innanzitutto assistere alle operazioni, successivamente entrare in laboratorio, fare simulazioni, partecipare a corsi, prendere parte ad un’operazione sotto la supervisione di qualcun’altro, poi eseguire un intervento da solo: questo intervento deve essere compiuto in maniera soddisfacente. La valutazione della operazione avviene sulla base di criteri prestabiliti e alla fine ci sono degli esami per cui viene rilasciato un certificato relativo al completamento di questa formazione. Questo programma di formazione formale è prestabilito sia per i chirurghi che per gli specialisti, che per i tirocinanti che vengono certificati quando il percorso è completato. Vengono certificate le esperienze e le competenze. I chirurghi diventano poi indipendenti, in grado di eseguire operazioni in tutta sicurezza sui pazienti. Il programma chirurgico è un programma molto importante per la Gran Bretagna: viene elargito anche attraverso un portafoglio di contenuti web. Tutti i tirocinanti, gli specializzandi e i formatori nel Regno Unito sono registrati. La valutazione da parte dei supervisori è annuale e va a valere per esperienza ed esami. C’è una serie di interventi che le persone devono eseguire, almeno 1600 interventi chirurgici complessivamente in una serie di diverse procedure: cose semplici come l’ernia o la cistifellea, cose più importanti quali la chirurgia antiriflesso o operazioni intestinali. La competenza chirurgica viene dimostrata e comprovata attraverso una serie di valutazioni, almeno tre, che vengono rilasciate da diversi chirurghi a riguardo della chirurgia generale e della chirurgia specialistica. Questo mostra il livello al quale i medici devono conformarsi: i giovani specializzandi devono arrivare al livello 4. Per altre procedure specialistiche, è sufficiente il livello 3. E vedete poi, in basso, interventi più complessi come la distensione dell’intestino, ecc. Occorre inoltre formare i formatori e gli specialisti, per cui ci sono programmi appositi. Questo in particolare è per la chirurgia intestinale, per la chirurgia del colon retto, è un programma finanziato dal Governo britannico: vedete indicati in rosso i diversi centri di formazione, la Scozia e il Galles hanno un sistema diverso da quello dell’Inghilterra. Per esempio, per la chirurgia del colon retto c’è, anzitutto, la selezione di un’abilità innata, poi la competenza, poi una formazione con supervisione e, alla fine, una ri-certificazione. L’obiettivo, il sistema di punteggi che queste persone ottengono, rappresenta il livello della formazione al quale arrivano: c’è la Global Assessment Scale, la cosiddetta GAS, che indica le mansioni, i compiti generici, i commenti e le descrizioni dei singoli compiti. Infine, nella chirurgia del colon retto i giovani chirurghi, gli specializzandi, devono svolgere autonomamente tre operazioni. I video vengono analizzati da specialisti e, se il risultato è soddisfacente, il chirurgo viene certificato e può esercitare la laparoscopia. Poi c’è un’altra procedura, si chiama L-CAT, una sigla che sta per Strumento di Valutazione della Competenza della laparoscopia per gli interventi al colon retto. È un programma per il miglioramento della ripresa del paziente: i pazienti sono adeguatamente preparati per cui, solitamente, restano in ospedale al massimo per due giorni. La colonna a sinistra cerchiata in blu nella slide fa riferimento al nostro reparto. Vedete che i pazienti che sono stati sottoposti a questi interventi importanti al colon retto, solitamente lasciano l’ospedale dopo quattro giorni. A destra, in alto, vedete invece il tasso di re-ospedalizzazione che è molto basso. In altri termini, visto che la ripresa è veloce, questi pazienti vanno a casa presto e stanno bene. In basso a sinistra, vedete che questi pazienti, che a volte sono obesi, sovrappeso, stanno bene e hanno un punteggio AS superiore a 3. Questo è il video di un paziente a cui viene chiesto di toccarsi le punte dei piedi: il commento del medico è molto positivo. Questo paziente è stato sottoposto a un intervento di laparoscopia fra i più complicati, di resezione anteriore dell’intestino, con un programma di ripresa: vedete che 24 ore dopo l’intervento sta benissimo. In questo caso, il paziente non sta a letto e non è soggetto ad altri problemi che possono capitare come la polmonite, la trombosi, ecc., ma si riprende molto, molto bene. Per concludere, mi sento di dire che i centri di formazione in laparoscopia che hanno avuto successo sono stati costituiti in Gran Bretagna con il finanziamento del Governo: noi forniamo i consulenti e formiamo gli specializzandi. È molto importante che la formazione in laparoscopia consenta di avere interventi chirurgici più sicuri e una ripresa più rapida del paziente. E’ altresì molto importante che i reparti come quello del professor Pugliese abbiano il supporto del Governo per poter realizzare quei tipi di reparti che noi attualmente abbiamo in Gran Bretagna. Quello che vorrei dirvi come potenziali pazienti è che la laparoscopia fa bene anche a voi: bisogna far sì che tutti questi centri siano costituiti il prima possibile in Italia. Grazie.
ANTONIO QUAGLIO:
Certamente invieremo le slide al Ministro, ora però il professor Bailey ha alzato la palla: in Italia, c’è? Il professor Pugliese.
RAFFAELE PUGLIESE:
Grazie, buongiorno a tutti. Vorrei ringraziare gli organizzatori del Meeting perché mi hanno dato questa opportunità di parlare di formazione: dovrei essere di fronte al Ministro, cioè l’istituzione, e mi dispiace per quello che è successo che le ha impedito di essere qui. Spero di avere l’occasione di presentare al Ministro la nostra esperienza, perché credo che dalle esperienze positive si possa trarre un esempio e la possibilità di migliorare il sistema. Altrimenti il sistema immagina le cose ma non sa la realtà di ciò che è utile. Perché voglio parlare di formazione? Perché ritengo che sia una questione cruciale, ma veramente cruciale. Perché, nonostante i grandi successi della chirurgia, i benefici per i pazienti, noi vedremo come l’incidenza di lesioni con una elevata mortalità, a causa di atti medici, sia talmente alta che impressiona. E quindi, il problema di migliorare è fondamentale. Guardiamo questi dati che sono veramente impressionanti. Non hanno avuto vergogna a pubblicarli in America: 1 milione di incidenti, 129 mila morti, la prima causa di morte per trauma. John Hopkins University, li hanno pubblicati loro, la terza causa di morte in assoluto dopo le malattie cardiache è il cancro: 251 mila. Non è un terremoto, non è una guerra, ma è un dramma che dobbiamo capire, perché non possiamo buttare a mare il positivo che abbiamo. I vantaggi della tecnologia sono sotto gli occhi di tutti, ma questa è una realtà. Il 10% dei ricoveri sono esito di pregressa chirurgia, un costo umano ed economico incredibile. Non prendo in considerazione i dati italiani, che mi dicono il costo economico in Italia degli incidenti medici: si sale a circa 11 miliardi di euro, quasi il 9% degli investimenti totali della sanità. Poi però mancano finanziamenti per tante cose positive. E allora, come migliorare? Questa è una domanda che gli uomini si fanno sempre e non possono non farsi. Ci sono due strade: una è la ricerca, l’altra è la formazione. E vedremo se queste due strade viaggiano assieme oppure separate. Perché migliorare attraverso la ricerca vuol dire passare da quella che era la realtà del passato. Si diceva: “grande chirurgo, grande taglio”, ricordate? Tutti noi l’abbiamo detto. Però “grande chirurgo, grande taglio” voleva dire che il primo atto della chirurgia era un trauma, un grande trauma che noi dovevamo procurare per provare a curare i pazienti. E questo aveva conseguenze non colpose, che derivavano direttamente dal trauma, per esempio i laparoceli che, trascurati, diventavano quel grosso laparocele che è lì in mezzo. E poi le aderenze, perché un grande taglio vuol dire esporre l’addome e quindi tutte le sindromi da occlusione intestinale che danno una percentuale di ri-ricoveri elevatissima. La ricerca si muove, vogliamo migliorare: come possiamo ridurre questo primo trauma che noi stessi provochiamo? La tecnologia, la ricerca evolvono verso la mini invasività che, come ci ha spiegato prima, certamente ha ridotto l’incidenza di questi grandi laparoceli e quindi i costi dei ri-ricoveri. Ma non si ferma qui. Evolve ancora verso una minore invasività: la single port, una piccola incisione per fare tutto e quindi un ulteriore vantaggio per la possibilità di usare i canali naturali. Nel 2009/’10, noi siamo stati tra i primi in Italia, e al mondo, a operare in diretta e a far vedere la tecnica E-Notes che non lascia cicatrici perché procede per le vie naturali. Credo che in Italia siamo stati gli unici a fare la colecistectomia trans gastrica senza nessuna incisione. Detto questo, vuol dire che la tecnologia si muove per offrire una positività, una utilità ai pazienti, perché non si tratta solo della riduzione di quelle lesioni ma di quello che ci ha fatto vedere prima il professor Bailey, una minore immunodepressione e una più rapida ripresa. Avete visto il paziente che va a casa dopo una resezione anteriore del retto? Meno perdite ematiche e una serie di vantaggi riconosciuti: è un fatto, l’utilità di questa tecnologia. Ma che evoluzione per la formazione? Sono andati insieme, l’uso, la tecnologia e la formazione, cos’era la formazione, da dove si parte? Il punto centrale e spesso unico della formazione rimane la possibilità di guardare per apprendere il mestiere e poi esercitarsi in sala operatoria sui pazienti sino a raggiungere un’adeguata curva di apprendimento: così era nel 1800 e così è dopo 200 anni, nonostante si abbiano a disposizione le più moderne tecnologie di comunicazione.
Il paradigma rimane uguale: si usa la tecnologia nel momento della comunicazione, una sala di videoconferenze con tanti schermi ai quali accedere per guardare con chiarezza gli interventi che vengono fatti. Dopo, però, cosa si deve fare? Tornare a casa ed esercitarsi nelle proprie sale operatorie. Ecco perché avete visto quelle immagini dell’America, l’Italia ne ha altrettante. La ricerca ci ha dato gli strumenti e gli strumenti vanno usati dagli uomini, vanno appresi. Ma in Italia abbiamo avuto un processo regolato di apprendimento? No. Gli unici che hanno investito per cercare di formarci sono state le aziende leader del settore, perché avevano interesse a farlo, perché volevano che la loro tecnologia fosse usata adeguatamente. Io sono stato uno di quelli che ne ha approfittato. Hanno costituito due centri, uno in Francia e uno in Germania, ad Amburgo, e io sono stato più volte lì. Allora, cosa vuole dire fare training e poi insegnare? Che i due sistemi – la ricerca e quindi la tecnologia, la formazione, sono completamente scollati, sono andati per due strade separate. Ma noi sappiamo che se vogliamo davvero acquisire i vantaggi di quello che la tecnologia ci porta, bisogna che i sistemi viaggino insieme: separati, non possono dare i frutti che ci si aspetta, anzi si amplificano i rischi. Infatti, cosa è successo con l’uso della tecnologia? Che sono stati amplificati i rischi. Alcuni scettici hanno detto: i vantaggi sono bilanciati dai rischi e dai danni, buttiamo a mare ciò che potrebbe essere utile, ci opponiamo allo sviluppo. Allora il problema è prendere questo esempio virtuoso. E’ molto istruttivo ciò che è accaduto nel campo dell’aeronautica. Nel 1930, un semplice modellino di esercitazione ha ridotto drasticamente il numero degli incidenti aerei. Attualmente un complesso modello virtuale, utilizzato obbligatoriamente dagli apprendisti piloti per un prestabilito numero di ore, ha reso il volo aereo il mezzo di trasporto più sicuro in assoluto. Si intuiva che anche in chirurgia si aveva bisogno di qualche cosa di simile per esercitarsi e acquisire un’adeguata confidenza con le nuove metodiche. A tale scopo, sono stati sviluppati numerosi modelli attualmente fruibili. Il problema era e rimane rendere questi modelli realmente conosciuti e disponibili in specifici programmi formativi per l’accreditamento di tutti i giovani chirurghi e di coloro che vogliono iniziare a praticare le nuove procedure mini-invasive. Anche in chirurgia qualcosina è stato fatto perché, capite, la ricerca va avanti lo stesso, cerca di rispondere a un bisogno. Quindi, simulatori semplici, come ci ha fatto vedere Bailey, ma non solo. Simulatori virtuali, che non raggiungono il livello di eccellenza del simulatore dei piloti. Col tempo ci si arriverà, perché il clone virtuale è una ricerca su cui anche noi stiamo lavorando e quindi si continuerà a sviluppare possibilità di formazione idonee. Però è già un passo avanti. E poi ci sono addirittura cadaveri sintetici dove si può studiare, perché non è che si può avere un’infinità di cadaveri da utilizzare. L’intelligenza dell’uomo si muove, e poi c’è il modello animale che a tutt’oggi è quello più efficiente ed efficace nel sistema della formazione. Ma voi credete che questi strumenti formativi siano usati? E’ questo che voglio dire alle istituzioni: perché non sono usati? Perché dovrebbero essere integrati nel processo formativo standard, quello che dice: ruba il mestiere, ma guarda e poi fai un percorso di training guidato e tutorato. Non basta guardare e rubare il mestiere: bisogna imparare ad usare tutta questa tecnologia, integrarla completamente nel processo formativo. Il primo che ha intuito questo è stato Giacomo Rescot che, fino dal 1994, quando eravamo all’inizio della chirurgia laparoscopica avanzata, ha trovato i finanziamenti pubblici e privati per costruire un centro dove si potesse avere un setup completo di quello che serviva, cioè tutta la tradizione più tutta l’innovazione, e dove potersi esercitare. Ho visitato più volte questo centro e ho anche portato con me il dottor Cannatelli, allora Direttore Generale del Niguarda, perché si convincesse della necessità di quello che io continuavo ad esprimere anche per l’Italia. Lì ho incontrato anche il dottor Forgione, che lavorava da cinque anni all’IRCAD, e l’ho invitato a venire con me a Milano, al Niguarda perché, nel desiderio di costruire un centro simile, volevo collaborasse con me. Lui ha accettato ed è da nove anni al Niguarda, adesso è Direttore Scientifico del centro. Poi ho incontrato il professor Bailey, che ci ha appena presentato l’esperienza del MATTU. Anche al MATTU sono stato più volte. E con Bailey, dalla comune passione alla formazione è nata un’amicizia e una collaborazione che dura tuttora: lui partecipa sempre ai nostri corsi e io lo ringrazio anche qui pubblicamente. Sono ritornato in Italia prendendo spunto dal loro esempio, accanitamente deciso a lavorare perché un centro simile ci fosse anche in Italia, in particolare in Lombardia: perché – continuavo a dire ai nostri politici -, se non si fa in Lombardia, dove si fa? Da nessuna parte. E’ soprattutto, cosa bisognava fare? Bisognava rianimare il sistema, trovare le condizioni. In Lombardia ho fondato una fondazione no profit, che ha potuto coagulare i finanziamenti di molti privati. Bisognava convincere le istituzioni. Ringrazio Cannatelli perché è stato il primo a supportare questa cosa che, con l’aiuto della Regione Lombardia, è diventata un progetto e ha trovato i finanziamenti nella collaborazione pubblico-privato. Con un investimento di 12 milioni di euro è stato possibile costruire un Aims Academy, una struttura di 2500 metri quadri che ha tutti i laboratori che poi vi farò vedere, dove è possibile finalmente avere i setup per il lavoro e per la formazione. Nel 2010 abbiamo inaugurato il centro: alla mattina l’abbiamo inaugurato dal punto di vista istituzionale, con tutte le autorità, ma per dare un segnale di efficienza, del nostro desiderio di essere attivi, ho voluto che nel pomeriggio iniziassimo con il primo corso, rispondendo alle critiche di alcuni giornali che avevano detto che avevamo fatto uno show elettorale. Questa è l’Italia. E questo è il programma educativo dell’AIMS Academy: come vedete, rimane ciò che è sempre stato utile, la sessione teorica, la possibilità di confrontarsi con esperti, di discutere dei percorsi diagnostici, delle indicazioni chirurgiche, dei risultati che sono importanti e ci dicono cosa stiamo facendo. Ma anche la possibilità di vedere, seguiti da esperti, la chirurgia allo stato dell’arte. E poi bisogna permettere che inizi subito l’apprendimento, la pratica, l’esercizio, la palestra. La pratica sui modelli inanimati, una pratica sui simulatori virtuali, avanzati. La pratica in laboratorio sul modello animale, anche la pratica sul cadavere. In alcuni casi facciamo dei corsi, il telementoring, la possibilità, quando uno ha partecipato ai corsi, di andare a casa e trovare conforto nell’essere tutorato a distanza, utilizzando la tecnologia che adesso abbiamo. La possibilità di mandare tutori nei centri per sostenere e aiutare l’inizio. Poi, noi facciamo quello che in Italia non esiste, la possibilità di offrire una valutazione dell’apprendimento. Abbiamo oltre 200 docenti, nazionali e internazionali, che collaborano ai corsi e che portano la loro esperienza: io devo ringraziarli per la loro generosità e la loro responsabilità. Dopodiché, c’è una rete internazionale che collabora, una rete europea che va dalla Russia all’America, e via dicendo. Ci sono i laboratori in cui ci si esercita subito, le tecniche di sutura nel drylab, dove ci sono modelli inanimati, virtuali, e quello che chiamo l’esercizio più importante, la possibilità di eseguire interventi sulla materia vivente, cioè l’animale, in modo controllato, in anestesia generale, rispettando tutte le regole di legge, perché si possa fare un intervento e affrontare le eventuali complicanze che ci possono essere, tutorati da esperti. Ci sono molti primari che adesso aiutano e ottengono questo tutoraggio dei partecipanti ai corsi. Ma non basta. Esiste nell’esperienza dell’uomo un fare che non abbia bisogno di un esercizio in tutti i campi? Sono finite le olimpiadi, senza grande esercitazione nessuno trarrebbe risultati. Mediamente durante i nostri corsi si collegano almeno 30 Paesi, con numerosi chirurghi che possono anche avere un feedback tra quello che noi facciamo. E poi c’è la piattaforma e-learning che raccoglie tutta la ricchezza dei corsi e che può essere rivisitata nel tempo, quando uno ne senta la necessità. Abbiamo avuto 3500 partecipanti da oltre 40 Paesi: abbiamo fatto il primo corso l’anno scorso e quest’anno il secondo. Ma dobbiamo cercare finanziamenti perché nessuno ce li dà. E poi c’è la radiologia interventistica, un altro campo in cui non si può esercitarsi normalmente sul paziente ma bisogna esercitarsi fuori dalla sala operatoria; i corsi di otorinolaringoiatria che avvengono sul cadavere e stiamo cercando di produrre anche un modello che possa essere utile per esempio sul maiale. Ci siamo posti la domanda: tutto questo è veramente efficace? Serve veramente? La risposta viene dalla collaborazione con l’Istituto di Statistica della Bicocca di Milano, che ha potuto analizzare le risposte ad un questionario di 1750 partecipanti ai corsi. Dicono quello che noi intuivamo ma volevamo una risposta: quello che ci serve è fare esperienza in sala operatoria con un tutore esperto – il percorso che ha indicato Bailey prima -, ma prima ancora di entrare in sala operatoria, dicono di avere bisogno di training, di esercizio, di palestra, soprattutto del modello virtuale e del modello animale per fare esercitazione. La formazione viaggia per conto suo ed è ferma, la ricerca viaggia per conto suo ed è avanti, ma i corsi sono accessibili? A chi sono accessibili? I corsi sono finanziati dalle aziende e quindi selezionano i fortunati, i privilegiati. E tutti gli altri? Guardate cosa avviene in America: i giovani specialisti, tre su quattro, dicono che non si sentono idonei ad eseguire procedure chirurgiche mediamente avanzate. Di che cosa hanno bisogno? È pubblico, questo dato: hanno bisogno di esercitarsi perché gli specializzandi di oggi, visto il fiume di nuova tecnologia che c’è, sono meno competenti di quelli di ieri. Certo, l’evoluzione è avvenuta, la tecnologia c’è ma non c’è la possibilità di esercitarsi. E allora dobbiamo costruire tanti centri in modo adeguato. In Italia c’è un sistema zoppo per l’assenza di centri di formazione dedicati: ci sono pochi spazi di apprendimento chirurgico pratico e non c’è un sistema vero di verifica che colleghi direttamente la verifica all’apprendimento reale che hanno fatto. In Italia non è messa al budget la formazione, che va innovata e potenziata rispetto a ciò che è tradizionale. Insieme a cinque università stiamo realizzando una proposta di studio pilota che possa dimostrare in modo scientifico l’utilità di un potenziamento del percorso di formazione degli specializzandi in chirurgia. Come? Prendiamo un gruppo omogeneo di venti studenti dalle cinque università, dalle specialità del terzo anno, il gruppo viene diviso in due, entrambi fanno lo stesso percorso standard: un gruppo avrà 35 ore di esercitazioni pratiche, in sei mesi, nei laboratori guidati dai tutor. Alla fine, come hanno fatto in Inghilterra, faranno dei video, delle procedure e saranno mandati ad una commissione terza per valutare se c’è differenza nell’apprendimento. Credo che le risorse spese per la formazione siano guadagnate perché danno soddisfazione a tutti, agli specializzandi e ai chirurghi, perché possano lavorare con più sicurezza. Ero contento della presenza del Ministro perché avrei voluto che questo esperimento pilota fosse sostenuto, sponsorizzato dal Ministero. I dati ci dicono che abbiamo 11 miliardi di euro che si legano alle complicanze in medicina: dobbiamo riflettere perché è una quantità enorme di denaro. Non possiamo dire che mancano i soldi per fare la formazione e lasciare il sistema così com’è. Grazie a tutti.
ANTONIO QUAGLIO:
Probabilmente al Ministro Lorenzin saranno utilissimi le slide del professor Bailey e lo streaming di questo intervento del professor Pugliesi. Dopo queste presentazioni, non è facile proseguire con la conversazione, vediamo se riesco a formulare qualche richiesta di precisazione. Inizierei con il professor Bailey: il professor Pugliese, illustrando la sua proposta di progetto pilota al Ministero per la Salute italiano, ha espressamente coinvolto facoltà mediche, università, e AIMS. Le posso chiedere qual è stato il rapporto del MATTU con il sistema universitario britannico?
MICHAEL BAILEY:
Grazie, purtroppo la nostra esperienza è derivata da una tragedia, come ho detto prima. In realtà, non è un’ottima decisione raccogliere i pezzi dopo, bisogna agire prima. Il Governo è stato il soggetto che ha favorito la creazione dei primi reparti che si occupano di questo tipo di programmi in Gran Bretagna. Il Royal College ha avuto il compito di intervistare dieci istituzioni, alla fine ne sono state scelte tre che hanno avviato questo tipo di formazione. Il tutto è stato fatto in maniera molto formale e basata su fatti concreti: dopo queste interviste, siamo stati prescelti come uno dei tre centri. Credo sia molto importante che coloro che vengono incaricati di istituire istituzioni di questo genere, come il professor Pugliese, siano le persone più adatte a fare questo tipo di attività, perché coloro che formano non sempre sono i migliori formatori, ed è molto importante invece che comprendano tutti gli aspetti della chirurgia laparoscopica, che abbiano un’equipe di medici eccellenti, che abbiano la capacità di portare avanti queste conoscenze. Ci devono essere soggetti che spingono e ci deve essere tuttavia una sorta di equilibrio fra questa spinta e la competenza. Nel nostro Paese, il tutto viene svolto dai Royal College di chirurgia, ce n’è uno per la Scozia, uno per l’Irlanda, uno per l’Inghilterra e il Galles. Credo che dovremmo utilizzare le persone già attive per promuoverne di nuovi, per mantenere alti gli standard. Non è importante averne così tanti, perché vogliamo raggiungere la eccellenza e non è che ci sia tanta eccellenza in circolazione.
ANTONIO QUAGLIO:
Grazie. Al professor Pugliese volevo proporre una riflessione. Ho avuto la fortuna di conoscere AIMS Academy: il dottor Vladimir Kislov mi ha raccontato nel dettaglio come ha vissuto quello che il professor Pugliese vi ha raccontato nella sua presentazione. E’ stato il primo intervento, poi anche altri sono stati eseguiti in questo ospedale che fa parte della federazione degli ospedali statali, fa capo direttamente al governo di Mosca pur essendo ad Archangel’sk, sul Mare Artico. Quando mi ha raccontato non solo questa esperienza così importante ma anche l’amicizia con il professor Forgione e il professor Pugliese, ho pensato a quello che il professor Pugliese mi aveva raccontato della sua esperienza di giovane chirurgo in Uganda. Volevo chiedere al professor Pugliese: se un intervento così è stato possibile ad Archangel’sk, molto probabilmente si può eseguire anche a Kampala, giusto? Il progetto di AIMS Academy, il progetto del MATTU, il progetto dell’IRCAD potrebbe un giorno permettere di portare la chirurgia avanzata in luoghi inimmaginabili.
RAFFAELE PUGLIESE:
Ovviamente, non è una magia. Vladimir è stato da noi con grande impegno, gli abbiamo fatto fare un percorso di quattro mesi in cui ha potuto guardare, e guardare è importante. Ha potuto esercitarsi subito dopo perché doveva imparare ad utilizzare la tecnologia ma era guidato a distanza perché Antonello gli ha insegnato il percorso del telementoring. Poi il suo direttore gli ha prescritto la tecnologia, uno strumento che non si muove da solo. Era un posto remoto però è una città con due milioni di abitanti, anche se sperduta in Russia. Non poteva avere un tutore in loco e glielo abbiamo dato attraverso la tecnologia. Bisogna imparare a rendere la tecnologia utile: quante volte uno si può spostare? Sono andato a ottobre scorso a Archangel’sk e abbiamo fatto un intervento lì, nella sua sala operatoria, in modo tale che lui potesse fare un processo di apprendimento ulteriore nell’uso di nuove tecnologie per il tumore dello stomaco. Però possiamo collegarci, che è meglio. Nella mia esperienza ho girato l’Italia, ho operato nelle varie sale operatorie, per far vedere man mano che imparavo come si facevano le cose. Tutti abbiamo girato molto, e dopo? E dopo ognuno restava lì a casa sua e doveva esercitarsi. Io ero al Niguarda e ho avuto l’opportunità di esercitarmi in anatomia patologica, poi di andare all’estero, di incontrare il professor Belli. Molti non ce l’hanno, e allora che fai? Li abbandoni da soli o crei le condizioni? E allora le istituzioni possono creare le condizioni perché tutti si qualifichino in un percorso. L’esperienza che abbiamo fatto indica la strada per cambiare il modello formativo, anzi, per potenziarlo, non cambiarlo. Nessuno deve avere paura, non voglio prendere il posto di nessuno, sono anche in pensione. Il modello attuale deve potenziarsi se vuole formare e dare sicurezza. Altrimenti, continueremo così, fra dieci anni saremo allo stesso punto dicendo che abbiamo grandi sprechi, undici miliardi. Continueranno le perdite e non avremo usato efficacemente e utilmente i soldi, come spesso accade in tutto il mondo e anche qui da noi. In un mondo che soffre tantissimo noi buttiamo le risorse. Non ce lo possiamo permettere, è questo che voglio dire, dobbiamo incominciare ad essere seri.
ANTONIO QUAGLIO:
Il professor Bailey nella sua presentazione ha spiegato come il MATTU abbia sviluppato i sistemi di monitoraggio e di scoring: per me è stato molto interessante. Intanto il professor Pugliese illustrava che cosa fa a AIMS Academy: credo che nessuno nutra dubbi sull’utilità di quello che viene fatto. Il Professor Bailley ci ha spiegato in dettaglio che una delle attività principali al MATTU è lo sviluppo di programmi e di valutazione, quindi di verifica statistica, scientifica, che la formazione produce risultati effettivi misurabili, e ce li ha illustrati con gli istogrammi che tendono verso 0 sugli errori, sulle morti, sui tempi di dismissione, sui costi sopportati per la chirurgia effettuata come si deve. Su questo chiedo cortesemente al professor Bailey una sottolineatura sui test, la verifica statistica, il monitoraggio, lo scoring che il professor Pugliese intende iniziare a fare in Italia, dove non si sta facendo niente.
MICHAEL BAILEY:
Grazie, magari quello che dirò sarà un vero e proprio shock per il pubblico, però ci sono degli standard molto diversi fra i chirurghi: ci sono chirurghi eccellenti, chirurghi bravi, chirurghi non tanto bravi, chirurghi che effettivamente non hanno il coordinamento di cui ci sarebbe bisogno, per cui, se non c’è un sistema di testing, ci possono essere vere e proprie catastrofi come quelle di cui vi ho parlato nella presentazione. Occorrono degli standard e questi standard devono essere misurabili. Si può iniziare con giovani chirurghi, si può andare a misurare la velocità dello strumento, se lineare o circolare: magari ci sono persone più specializzate e già abituate ad effettuare interventi di chirurgia all’intestino o allo stomaco. Questi medici devono sostenere e superare degli esami, se non li superano non possono esercitare, non possono operare. Ovviamente, questo va a limitare la loro libertà ma è molto importante che ciò accada. Quindi, per rispondere alla sua domanda: dobbiamo essere in grado di misurare la performance e questo dipende dal tempo e dai numeri ma soprattutto dall’eccellenza nell’esecuzione degli interventi. Ora siamo in grado di misurare gran parte di queste cose, per cui non è un’impressione, è una realtà.
ANTONIO QUAGLIO:
Grazie, professor Bailey. Un’ultima domanda al professor Pugliese. Immaginando che il Ministro sia qui, o comunque sappia, chiederei al professor Pugliese una riflessione: c’è un network globale per lo sviluppo del training chirurgico d’eccellenza: la Gran Bretagna ne fa parte e anche l’Italia, ma vuole farne parte a pieno titolo?
RAFFAELE PUGLIESE:
L’Italia ne fa parte perché i network nascono per le relazioni che ci sono tra le persone. Se non ci sono relazioni, non c’è network. Abbiamo amici in Russia che si collegano con noi per far vedere l’eccellenza, in Germania, in Giappone e in America, avete visto le immagini. Abbiamo relazioni che ci permettono di considerarci in rete perché coltiviamo una comune passione e una comune responsabilità. Se non ci sentissimo responsabili di quello che facciamo e se non ci fossero le relazioni, sarebbe impossibile. Diciamo che all’inizio questo era un manipolo di pionieri che volevano dare serietà a un contenuto per un processo che altrimenti sarebbe andato avanti in modo volontaristico. Allora, cercare di razionalizzare e di regolamentare: in Inghilterra, le istituzioni e il Governo hanno chiesto che questa cosa avvenisse e loro sono stati rigorosi nel rispondere a questa domanda. Noi non abbiamo avuto nessuna domanda, anzi, abbiamo forzato e trovato degli amici in questo percorso, Regione Lombardia e l’ospedale Niguarda, che lo ha reso possibile. C’è bisogno che una esperienza susciti lo stimolo da cui nasce una domanda. Noi esistiamo per questo, se un pioniere fa un’esperienza, la fa per provocare, perché attraverso l’esperienza si pensa di poter essere utili, come dice il Meeting. Io voglio essere utile all’altro perché l’altro è utile a me, perché se no che cosa me ne fregherebbe se non lo concepissi utile a me? Vogliamo essere utili e provochiamo le istituzioni perché prendano sul serio l’esperienza. Questo è il loro mestiere, il mestiere della politica: scovare il positivo per prendere spunto e allargare l’orizzonte, cioè per farlo diventare diffusivo. Altrimenti, spesso sentiamo ragionare in modo molto dialettico più sul potere che sulla necessità di essere utili. Purtroppo, il dibattito sul potere è al primo posto, mentre ci dovrebbe essere il bene comune: ci vuole umiltà perché il bene comune sia al primo posto. Oggi vedo che quello che manca nella politica è proprio l’umiltà e un po’ di ironia: non hai la soluzione dei problemi e non ce l’ha nemmeno l’altro? Allora dobbiamo guardarci con umiltà e collaborare perché ogni cosa è un tentativo. Se uno è così, si lascia interrogare e la domanda provoca un tentativo di risposta, partendo dalle esperienze che ci sono, che vai a cercare. E dalle esperienze che fai nascere perché ne hai bisogno tu che devi pensare al bene di tutti. Grazie.
ANTONIO QUAGLIO:
Io ringrazio tutti voi, sicuramente i due relatori. Approfitto del fatto che fortunatamente non sono Ministro e non sono un politico, perché il Ministro credo che oggi avrebbe preso doverosa nota ma non so, professor Pugliese, se avrebbe potuto preannunciare un interesse immediato per la tua proposta. Io che non sono il Ministro, invece, nel salutarci formulo l’augurio che al prossimo Meeting possiamo parlare di questo progetto, quanto meno in corsa se non addirittura concluso. Grazie a tutti.