LE NOSTRE COMUNI SFIDE CON L’AFRICA

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In collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

Antonio Tajani, Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; Cindy Hensley McCain, Executive Director of the World Food Programme (WFP). Modera Giampaolo Silvestri, Segretario Generale AVSI. Saluto introduttivo di Bernhard Scholz, Presidente Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli ETS.

L’evento “LE NOSTRE COMUNI SFIDE CON L’AFRICA” riunisce due figure autorevoli del panorama internazionale: Il Vicepremier e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani, e la Direttrice Esecutiva del World Food Programme (WFP), Cindy Hensley McCain. Con particolare attenzione alla vastità e alla complessità delle questioni che riguardano il continente africano, i relatori analizzeranno un’ampia gamma di argomenti, dall’importanza della stabilità geopolitica di intere regioni, aree e Stati africani a temi cruciali legati alla sicurezza alimentare, ai recenti cambiamenti climatici, all’energia e alle risorse naturali.

Con il sostegno di isybank, CIHEAM Bari, Coldiretti, Prostand e Tracce.

LE NOSTRE COMUNI SFIDE CON L’AFRICA: CIBO, ACQUA

LE NOSTRE COMUNI SFIDE CON L’AFRICA

Mercoledì 23 agosto 2023

Ore: 12.00

Auditorium D3

 

Partecipano:

Antonio Tajani, ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Cindy Hensley McCain, executive director of the World Food Programme.

 

Modera:

Giampaolo Silvestri, segretario generale Avsi.

Saluto introduttivo di Bernhard Scholz, presidente fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli.

 

Scholz. Un cordiale benvenuto a ognuno di voi e un benvenuto particolare al vicepresidente del Consiglio dei Ministri e ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani. Ringrazio anche il direttore esecutivo del World Food Program, Cindy Hensley McCain, che non può essere con noi questa mattina, ma che, per un viaggio di lavoro, interverrà via video. Saluto Giampaolo Silvestri, segretario generale dell’Avsi, che modererà questo incontro. Per il Meeting, che ha la vocazione di essere un Meeting per l’amicizia fra i popoli, è un grande onore di poter affrontare, insieme ai nostri illustri ospiti, uno dei temi più urgenti del nostro tempo, la cooperazione con l’Africa, un continente con un potenziale inestimabile e una numerosissima gioventù che aspetta di essere accolta e valorizzata. Che il governo italiano affronti queste sfide come sfide comuni è tutt’altro che scontato, ed è un auspicio che toglie alla radice qualsiasi idea di supremazia, ma cerca di cooperare per il bene di tutti, nella prospettiva di un beneficio reciproco. Colgo l’occasione per ringraziare il signor ministro e tutto lo staff del Ministero, in particolare il ministro Stefano Gatti, per la preziosa collaborazione nella costruzione del padiglione internazionale, che in questa edizione del Meeting si presenta con il titolo “Le strade dell’amicizia”, mettendo in luce progetti e percorsi che assicurano gli approvvigionamenti d’emergenza e alimentari di prima necessità ai Paesi che hanno più bisogno, che garantiscono poi la protezione e la sicurezza a chi fugge da guerre e conflitti. Anche quest’anno il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ha coordinato la presenza di importanti partner nazionali ed internazionali, a partire dal Caam di Bari, partner chiave della cooperazione italiana con numerose iniziative di sicurezza alimentare e sviluppo rurale del bacino del Mediterraneo. Mi permetto di aggiungere: una delle opere più prestigiose dell’Italia. Grazie. Buon incontro.

 

Silvestri. Buongiorno a tutti, benvenuti. Dunque, iniziamo questo momento di dialogo con il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione allo sviluppo, l’onorevole Antonio Tajani. Il titolo è “Le nostre comuni sfide con l’Africa”. L’Africa ormai è una delle priorità della politica estera italiana. Lo è e lo sarà sempre di più. E l’attenzione che in questi ultimi anni l’Italia tutta, i governi, la società civile, hanno riservato all’Africa, ne è una prova. In questo momento di dialogo proveremo a capire dal ministro, che è responsabile appunto della politica estera italiana, qual è l’approccio che l’Italia vuole avere con l’Africa e cosa l’Italia vuole e può fare in questo momento. Prima di iniziare il momento di dialogo con il ministro, abbiamo questo video di Cindy McCain. Cindy McCain è la direttrice esecutiva del Programma Alimentare Mondiale, World Food Program, una delle più importanti agenzie delle Nazioni Unite, un’agenzia del cosiddetto Polo Romano, perché ha base al quartier generale a Roma insieme alla Fao e all’Ifad, ed è un’agenzia che ha lo specifico compito di fornire cibo, alimenti alle popolazioni in difficoltà, soprattutto in Africa e soprattutto nei contesti di crisi e di emergenza. Abbiamo fatto a lei una domanda su come oggi, dalla sua prospettiva, dal suo punto di vista, vede la questione dell’Africa, considerando la sua esperienza e soprattutto il suo ruolo. Ci ha mandato questo breve video che pregherei la regia di far partire.

 

Mccain: Signore e signori, grazie per avermi invitato oggi. Ho visitato diversi paesi africani di recente, tra cui la Somalia, le nazioni del Sahel dell’Africa occidentale e, più di recente, il Sud Sudan. Ho visto di persona le enormi sfide, ma anche le grandi opportunità che esistono in tutto il continente. Oggi, un africano su cinque soffre di fame cronica. I conflitti, il cambiamento climatico e la instabilità economica e politica alimentano questa crisi umanitaria. In Somalia ho incontrato Alima, che mi ha raccontato di essere fuggita per duecento chilometri lontano da casa per sfuggire ai gruppi armati che attaccavano la sua comunità. E sempre più agricoltori africani assistono impotenti alla distruzione dei loro raccolti e del loro bestiame a causa dei cambiamenti climatici, lasciando le loro famiglie alla fame. Non deve per forza essere così. Ho visto il grande potenziale che esiste in tutta l’Africa: le abbondanti risorse naturali, la ricchezza in termini di saggezza e conoscenza presente in ogni comunità e il talento e l’energia stimolanti di tutti i giovani che ho avuto il piacere di incontrare. Dobbiamo lavorare insieme e con i nostri partner africani per poter sfruttare al meglio questo potenziale e gettare le basi per il successo a lungo termine del continente. L’assistenza umanitaria non è sufficiente di per sé. Dobbiamo affrontare le cause più profonde della povertà e della fame, in modo che le persone possano vivere e prosperare nelle loro comunità. Questo significa investire nei programmi di refezione scolastica, affinchè i bambini più poveri possano ricevere il prezioso dono dell’istruzione, aiutare gli agricoltori a costruire la loro resilienza ai cambiamenti climatici in modo che possano proteggere i loro mezzi di sostentamento e scongiurare la fame. Dobbiamo inoltre potenziare i programmi di protezione sociale in modo che le comunità affamate possano ricevere aiuto senza dover abbandonare le loro case. Nessuno di noi può farlo da solo. Abbiamo bisogno di una vera e propria partnership tra tutti i settori: governi, società civile, Ong e, soprattutto, il settore privato. Il governo italiano ha dato prova di una vera e propria leadership globale in occasione del vertice sulla situazione alimentare mondiale tenutosi lo scorso mese a Roma. La sua presidenza del G7 nel 2024 è una vera opportunità per accendere i riflettori sul contributo vitale che lo sviluppo sostenibile può dare alla riduzione della fame e della povertà in Africa e nel mondo. Il Pam è pronto a sostenere i nostri amici e partner in Italia e in tutta l’Africa. Insieme possiamo sbloccare investimenti, condividere le nostre competenze e costruire un futuro più luminoso e sostenibile per l’Africa e per tutto il mondo. Grazie.

 

Silvestri. Ecco, come accennava la direttrice McCain, l’Africa è un continente con molte ombre ma anche con grande potenzialità, su cui appunto l’agenzia del World Food Program si sta impegnando molto come una delle sue più grandi sfide. Ma adesso vorremmo venire a lei, ministro Tajani, e in particolare vorremmo partire dalla sua esperienza personale. Lei ha fatto diverse esperienze in ruoli importanti: commissario, presidente del Parlamento Europeo, adesso ministro degli Esteri; in queste sue esperienze politiche sicuramente ha potuto vedere da vicino le relazioni tra l’Italia e l’Africa, e vedere come queste relazioni nel tempo sono cambiate. Noi di Avsi diciamo sempre che ormai non c’è più un “noi qui” separato da un “loro là”. i destini sono intrecciati, cioè la sfida che abbiamo di fronte o la vinciamo insieme o non la vince nessuno. Allora, la prima domanda è se condivide questa affermazione che nasce dalla nostra esperienza e se ha potuto verificarla nei suoi viaggi e nei suoi incontri e soprattutto come vede la relazione con l’Africa, appunto a partire dalla sua esperienza, e come è cambiata nel tempo.

 

Tajani. Intanto buongiorno a tutti, grazie per l’invito, grazie per darmi la possibilità di discutere su un tema che mi è sempre stato molto a cuore, non soltanto nella mia vita politica, ma anche nella vita pregressa, perché la relazione tra noi e l’Africa è una relazione che io ho imparato a conoscere quando ero molto piccolo, grazie alle suore dove andavo a scuola, che parlavano sempre dell’Africa e di quello che potevamo fare noi per l’Africa. Dopodiché, a scuola, non possiamo non considerare quanto il rapporto con l’Africa abbia condizionato la nostra storia. Non si può dire Roma se non si dice Cartagine. Cosa è stato l’antico Egitto anche per noi? La biblioteca di Alessandria… quanto quella parte di Africa conta, quanto quella cultura ha influito anche su di noi, più tutte le relazioni che ci sono sempre state, forse anche grazie al lavoro dei missionari che non va mai dimenticato, grazie anche ai collegamenti tra cristiani. Pensiamo anche alla cultura che c’è, antica, in Etiopia: è un paese che ha una storia culturale, che ha una sua lingua e i suoi scritti, le radici affondano nei millenni addietro, se pensiamo che addirittura una delle tribù di Israele poteva stare lì, infatti, i Falascia; quindi, pensiamo quante connessioni ci sono con il mondo mediterraneo. Poi, quando sono diventato commissario europeo, prima ai Trasporti e poi all’Industria, ho sempre pensato a come poteva meglio collegarsi l’Europa all’Africa. E ricordo che l’ultimo atto da commissario europeo fu un grande evento che organizzai insieme alla commissione africana, sulle reti trans-africane e le reti trans-europee che si potevano connettere fra di loro in modo da favorire attraverso i trasporti, attraverso le infrastrutture, la crescita di entrambe le economie. Perché ho detto “organizzato insieme agli africani”? Perché, se noi veramente vogliamo costruire un rapporto di amicizia, dobbiamo avere grande rispetto per questi milioni e milioni di persone che sono i nostri dirimpettai. Se noi pensiamo di rapportarci all’Africa con una mentalità neocoloniale, rischiamo veramente di avere una sorta di rifiuto nei nostri confronti, che farebbe danno a noi, farebbe forse anche danno all’Africa, perché poi arriverebbero altre realtà, penso alla Russia e alla Cina, che non hanno un interesse di vicinato, hanno soltanto un interesse, diciamo, economico ed egemonico. Da commissario all’Industria ho lavorato, ho lavorato da presidente del Parlamento Europeo, ho lavorato molto, organizzai anche un grande evento del Parlamento europeo da presidente, invitando centinaia di leader africani per confrontarci su un rapporto tra i nostri due continenti. Ho visto un’Africa crescere nella qualità, nella formazione. L’Africa è un continente contemporaneamente molto povero ma anche molto ricco. Bisogna far sì che il molto povero finisca in un cantuccio e il molto ricco diventi la grande opportunità. È qui che c’è il nostro ruolo. Nostro ruolo, che ripeto, deve essere molto rispettoso della identità degli africani. Quando ero commissario dicevo, in francese, di guardare all’Africa con occhiali africani e non con occhiali europei. Ma questo deve spingerci a capire anche la loro mentalità. Mi riferisco a uno dei fatti più recenti: la Tunisia. Noi abbiamo insistito molto, vincendo tante diffidenze da parte di altri paesi europei, per finanziare questo Paese, per garantire la stabilità, per impedire che finisse in mano ad estremisti e impedire che diventasse sempre più un corridoio di immigrazione illegale. La fatica più grande che ho dovuto fare io, ma che anche il governo italiano ha dovuto fare, è stata quella di far capire agli altri europei che il nostro compito era quello di garantire la stabilità di quel paese e non di trasformare la Tunisia nella Svezia, nella Norvegia o nella Danimarca. Perché non è possibile. A volte gli occidentali, lo hanno fatto anche in passato, sono arrivati dicendo “devi fare così, queste sono le regole. Noi ti diamo anche le regole e ti diciamo come devi fare”. Perché gli italiani, compresi i militari italiani, sono sempre i più benvoluti? Perché sono quelli che sanno essere più malleabili nel comprendere l’identità degli altri. Se noi vogliamo veramente instaurare, perché gli africani ce lo chiedono, un rapporto di solida amicizia e di strategia comune a lungo termine, noi dobbiamo far sì che il nostro agire sia un agire che va nella direzione dell’amicizia, non nel dire “arrivo io, ti spiego come si fa”. Faccio un esempio. L’Africa è un continente ricco di materie prime. Penso alle terre rare, al litio. L’Italia è un paese industriale, è la seconda manifattura d’Europa. L’Europa è un continente industriale. Vediamo quante fatiche ci sono, con la crisi che c’è, ad avere una politica industriale. Le materie prime, soprattutto penso a quelle più rare, hanno prezzi elevatissimi ed è la Cina che ha una grande riserva a battere il prezzo delle materie prime. Questo mette in difficoltà nella concorrenza globale le nostre imprese nei confronti di altre. Cosa bisogna fare allora per cercare di avere materie prime a costi più bassi? Dobbiamo, con gli africani, riuscire a fare degli accordi che siano vincenti per entrambi i contraenti. Penso per esempio a società miste che facciano attività estrattiva, ma poi la trasformazione del prodotto si fa in Africa, facendo lavorare mano d’opera africana e non mano d’opera come fanno i cinesi, portandoli dalla Cina. Questo permette di favorire la crescita, permette un’industrializzazione del continente e noi, grazie a questi accordi vincenti per entrambi, possiamo acquistare materie prime a prezzi più bassi. Ma se noi pensiamo di arrivare lì e dire che ci prendiamo tutto perché siamo belli, alti e biondi, non va bene. Rischiamo di essere espulsi. È la ragione per la quale anche nella recente vicenda del Niger, io ho cercato di avere un atteggiamento di grande prudenza, di far prevalere sempre la via del dialogo, anche se avevamo espresso simpatia e sostegno al presidente deposto e avevamo sempre chiesto che ci fosse un ritorno alla democrazia; non abbiamo mai pensato che dovesse esserci un intervento militare occidentale ed europeo per imporre un governo a noi più gradito. Perché questo avrebbe provocato in tutta l’Africa una reazione negativa e tutti quanti saremmo stati visti come colonialisti che venivano come uccelli rapaci a prendersi, in quel caso, l’uranio perché serviva a noi. Non è questo il modo di rapportarsi politicamente e umanamente con l’Africa. Ecco, queste sono alcune delle cose per le quali io sto lavorando intensamente, il governo italiano sta lavorando molto intensamente. Poi nel prosieguo delle interviste vi racconterò anche quello che stiamo facendo, anche ascoltando. Noi abbiamo avuto un grande evento dedicato all’Africa, con il coinvolgimento anche di paesi investitori in Africa, anche del Golfo, capi di Stato, capi di governo. Adesso a novembre avremo un evento Italia-Africa, sempre a livello di capi di governo, ma stiamo lavorando, e ho riunito due volte gli ambasciatori africani, per sapere cosa chiedono loro a noi, non cosa chiediamo noi a loro. Mi hanno chiesto di portare alcuni ministri, di confrontarsi con alcuni ministri perché sono quelli dei settori che a loro interessano. Abbiamo già fatto due riunioni e stiamo costruendo questo vertice in modo che possa essere veramente un vertice di amicizia basato su una cooperazione concreta.

 

Silvestri. Grazie. Allora, alcune cose le ha già accennate, ma adesso vorrei entrare nella domanda, diciamo, fondamentale, su cui penso ci sia molto interesse, mettendo insieme un po’ anche due domande che avevamo ipotizzato, e cioè parlare di questo famoso piano Mattei. Io ricordo bene che già un po’ di anni fa lei citava spesso un piano Marshall per l’Africa, diciamo a partire dal 2015. Quindi la prima cosa è capire se questo piano Mattei in fondo riprende un po’ di questo, ma soprattutto se, anche a seguito della conferenza che c’è stata il 23 luglio, questo “Rome Process” che il presidente del Consiglio ha avviato, ci può dare qualche elemento in più, perché su questo c’è molto interesse. Quindi dirci da una parte i contenuti, se già ci sono, e dall’altra anche un po’ il metodo, perché poi le due cose sono legate, il metodo in questo caso non è indifferente.

 

Tajani. Allora, io quando parlavo di Piano Marshall, parlavo prima da commissario europeo e poi da presidente del Parlamento Europeo, quindi parlavo di una strategia comunitaria. Diciamo così, per fare una sintesi giornalistica, il Piano Mattei è la sezione italiana del Piano Marshall europeo. Vorrei che tutti i paesi europei facessero quello che sta cercando di fare l’Italia per favorire la crescita del continente africano. E’ una strategia, quella che stiamo mettendo in campo, molto articolata. Certamente ci sono gli aiuti allo sviluppo che il Ministero di cui ho l’onore di essere alla guida sta elargendo, sono circa 2 miliardi e ci sono centinaia di progetti in tutti i paesi dell’Africa. Potremmo forse aggiustare a volte con delle guide politiche anche gli investimenti, però si può sempre migliorare. Ma poi c’è anche, insieme a questi investimenti, secondo me, la possibilità di far sì che il nostro “saper fare” di un grande paese manifatturiero, un grande paese che ha 4 milioni di piccole e medie imprese, che ha un’agricoltura di qualità, ha un’industria di alto livello, ecco, il saper fare di agricoltori e imprenditori possa essere trasferito nel continente africano, come dicevo, con degli accordi che sono vincenti per loro come sono vincenti per noi. Faccio un esempio che riguarda il settore agricolo. Siamo stati con il ministro Bernini in Egitto a guidare una delegazione di imprese nel settore agricolo, non soltanto nel senso stretto agricolo agro-industriale, ma anche imprese che hanno macchinari agricoli, perché c’è una grande esperienza italiana nel coltivare terreni difficili. A questa azione di tipo imprenditoriale aggiungiamo un’azione legata alla ricerca, perché sappiamo bene che il cambiamento climatico sta distruggendo parte dell’agricoltura, penso in modo particolare all’Africa subsahariana, una ricerca che punti su piante più resistenti. Noi abbiamo in Parlamento quello che è stato un po’ il padre di questo progetto, abbiamo presentato e fatto approvare un finanziamento per la ricerca di quelle che sono le tecnologie di evoluzione assistita, che non sono le Ogm, sono piante più resistenti sia al clima e sia ad altri eventi, che reagiscono meglio quando c’è il deserto che avanza. Ma sono anche piante che non hanno bisogno di fitofarmaci e quindi non hanno bisogno di un aiuto chimico che può essere dannoso per il territorio. Quindi il risultato di questa missione è che il governo egiziano ha assegnato alcune centinaia di ettari alle imprese italiane perché possano coltivarle a fianco al Nilo e trasformare una parte, come posso dire, abbandonata, in un terreno che possa cominciare a produrre per l’autosufficienza del settore dei cereali. La situazione è anche legata a quello che succede in Ucraina con il corridoio del Mar Nero. Ma anche quello che fa, devo dire con grande capacità l’Eni, tutti gli accordi che si stanno facendo in Africa sono accordi che non sono di puro sfruttamento della risorsa energetica. Noi, in quanto Italia, mettiamo a disposizione la tecnologia; certo che ne traiamo un vantaggio, ma il vantaggio è anche per il Paese che vede estrarre gas, o petrolio, o quello che è. Quindi un’azione che non è soltanto legata al “io ti pago”, ma anche alla possibilità di poter utilizzare i risultati della nostra tecnologia, penso in materia energetica, anche per quei Paesi. L’Unione Europea, per esempio, finanzia anche un nuovo collegamento elettrico tra la Sicilia e la Tunisia. Quindi ci sono tanti progetti. Ma guardiamo, gli incontri si moltiplicano anche con paesi come l’Angola, come paesi del resto dell’Africa, anche nel corno d’Africa, dove c’è una storica e tradizionale presenza italiana. Penso a Somalia, Etiopia ed Eritrea, purtroppo la guerra ha creato tanti morti. Quindi si può lavorare in Djibouti e noi stiamo lavorando anche per rafforzare una presenza italiana che vada nella direzione della collaborazione, cioè non regalare soldi, aiutare certamente laddove serve, ma fare in modo che ci possa essere un’ azione di amicizia concreta. Aggiungo che stiamo lavorando anche molto intensamente sotto l’aspetto culturale della formazione. Abbiamo dato vita ad una serie di borse di studio che sono un embrione, sono i primi semi che gettiamo, per far formare in Italia, nelle nostre università, giovani africani. Questo perché? Per dare loro il nostro saper fare, ma in aggiunta, quando questi giovani torneranno nel loro Paese e saranno manager, dirigenti di azienda, politici, capi militari, quello che sarà, avranno nell’Italia sempre un punto di riferimento. Avranno in Italia un amico, perché conosceranno la lingua italiana. Stiamo lavorando anche per incrementare il numero delle scuole italiane nel mondo, ma anche in Africa, proprio per creare questo rapporto di amicizia, sapendo bene che fra gli europei certamente l’italiano è tra i più benvoluti nel continente africano. Noi non dobbiamo perdere questo atteggiamento, questo sentimento degli africani e se sapremo agire bene, tuteleremo certamente i nostri interessi ma contribuiremo anche a mettere in un angolo l’aspetto “Africa povera” e a far emergere l’aspetto “Africa ricca”.

 

Silvestri. Quindi sicuramente, dal punto di vista dei contenuti, le tematiche dell’agricoltura e quindi della filiera agricola, le tematiche dell’energia, mi sembra di capire che saranno elementi importanti di questo piano Mattei. E poi l’aspetto della formazione e quindi dell’educazione. Dalla nostra esperienza in Africa noi riteniamo che la chiave di volta rimanga l’educazione perché un uomo formato, un adulto, un giovane può essere quello che in un Paese fa la differenza.

 

Tajani. Il capitale umano, no?

 

Silvestri. Capitale umano, sì, l’investimento in capitale umano. Su questo cosa ci può dire? Lei ha già accennato l’aspetto della formazione con le piccole imprese, eccetera, ma su questo l’Italia cos’altro pensa di fare…

 

Tajani. Assolutamente, assolutamente sì. Anche nell’ambito del piano Mattei stiamo pensando di incrementare le scuole italiane, stiamo lavorando e già nel decreto “Flussi per l’immigrazione regolare” c’è una parte aggiuntiva ai numeri previsti degli emigrati che possono venire a lavorare in Italia. Si aggiungono a questi migranti altri migranti già formati attraverso i nostri consolati, attraverso le scuole italiane, che verrebbero direttamente a lavorare in aggiunta ai flussi migratori regolari normali. Quindi l’aspetto della formazione è fondamentale. Certamente serve investire di più nel continente africano. Stiamo cercando anche di aprire più ambasciate. Adesso, il Consiglio dei Ministri ha già deciso, si sta allestendo l’ambasciata in Mauritania, che è un Paese molto importante anche per la stabilità dell’area dell’Africa subsahariana e c’è anche una presenza positiva, non soltanto dei nostri diplomatici. Credo che quello che è stato fatto in Sudan sia significativo: i nostri concittadini, sia in Sudan sia in Niger, anche durante i momenti più complicati, non sono mai stati toccati, né da una parte né dall’altra, il che vuol dire che ci si è mossi bene. Poi io credo che si debba, per quanto riguarda la formazione, sostenere politicamente ed economicamente, la presenza delle missioni cristiane. Perché il mondo missionario svolge un ruolo, diciamo, immanente oltre a quello trascendente, per favorire la crescita, la formazione di tanti giovani. E questo non va dimenticato. Noi dobbiamo essere grati a tanti di questi missionari E devo dire che quando siamo riusciti a risolvere qualche problema, penso sia stato grazie all’interessamento di padre Albanese, abbiamo risolto il problema dell’ospedale di Bangui. Poi oggi vedrò pure qualche suora salesiana, perché stiamo lavorando per sistemare qualche altra cosa. Vedrò il direttore generale Castaldo, in Eritrea; c’è un lavoro prezioso che stanno facendo le suore italiane salesiane in Eritrea. Sono tutte presenze culturali, formative che, ripeto, non tocca a me occuparmi dell’aspetto trascendente, sono ben contento che ci sia, però io posso soltanto come ministro degli Esteri favorire e sostenere queste azioni perché vanno nella direzione sempre disinteressata, questo è importante, disinteressata. Faccio una piccola divagazione: quando sento parlare sempre male, perché ci sono le cose della vita ma sono anch’essi esseri umani, sempre male di preti e monache e penso ai tanti missionari, che sono sparsi nel mondo e che regalano la loro vita ai più deboli, credo che dobbiamo levarci il cappello e dire loro grazie per quello che fanno. Rientra sempre in quella educazione: perché l’amore per l’Africa? Perché quando tu sei piccolo e vai in prima elementare e ti insegnano che quando nasciamo siamo tutti uguali, indipendentemente dal colore della pelle, tu non sarai mai razzista, questo è quello che conta. Io non sono mai stato razzista perché me lo hanno insegnato le suore, dove mi hanno mandato i miei genitori, che volevano che avessi un’educazione cristiana. Ma questo è fondamentale, perché c’è anche questa cultura a volte di disprezzo: si confonde l’immigrazione illegale con il colore della pelle. Io credo che non si debba guardare da questo punto di vista. L’immigrazione illegale: se c’è un criminale, sia bianco, giallo, rosso, il colore della pelle non conta, è un criminale, indipendentemente. Ma noi dobbiamo sempre pensare che abbiamo di fronte a noi delle persone, degli esseri umani come noi. Poi magari saranno meno ricchi di noi, però sono esseri umani come noi. Noi siamo nati per caso qua, potevamo nascere là. E dico questo dal punto di vista culturale e anche di presenza. È fondamentale, perché questo atteggiamento positivo delle nostre missioni in Africa favorisce anche un’azione di presenza italiana. L’immagine positiva del prete o della suora missionaria che stanno lì, che sono italiani e insegnano magari l’italiano, ha la scuola, fa essere anche loro degli ambasciatori del nostro Paese, che permettono poi all’Italia di seguire questi nostri ambasciatori con la tonaca, ambasciatori che vanno in nome di Dio, ma poi, visto che sono italiani, aiutano anche il nostro Paese. Noi abbiamo fatto qualche riunione e vorrei farne un’altra con i missionari italiani, proprio perché credo che sia giusto, nell’interesse nazionale, sostenere tutte queste iniziative. Il sostegno non è soltanto perché il ministro è cristiano, allora siccome è cristiano li aiuta, no, il ministro li aiuta in quanto ministro, e poi se è cristiano sarà una questione aggiuntiva, ma l’essere ministro è capire che quei missionari e quelle missionarie sono parte del sistema anche italiano e aiutano l’Italia, aiutano il dialogo con l’Africa. È un fatto secondo me che non va assolutamente sottovalutato, quindi credo che presto organizzeremo una riunione con tutti questi ambasciatori con il Crocifisso.

 

Silvestri. Sì, sicuramente la valenza civile delle strutture missionarie, o comunque della Chiesa, o comunque di quelle che si chiamano anche Facebase Organizations in Africa, ha un impatto enorme, è importante che venga riconosciuta anche, diciamo, negli aspetti operativi. Questo mi dà l’occasione per fare, con una piccola digressione rispetto all’Africa, ma che in realtà c’entra anche con l’Africa, una domanda sul tema della libertà religiosa. Un tema che qua al Meeting è molto caro, libertà religiosa nel senso della possibilità per ognuno di esprimere la propria fede, come possibilità per tutti e non come un favoritismo per un certo tipo di confessione. Lei a giugno ha nominato un inviato speciale per la promozione della libertà religiosa con particolare riferimento alle minoranze cristiane; il Ministero ha stanziato delle risorse per progetti a favore, diciamo, delle minoranze cristiane e anzi con una dotazione più cospicua del solito. Questo è un tema che lei mi sembra che senta importante, appunto anche in relazione a quello che diceva prima, cioè per il ruolo che ha la presenza della Chiesa, in particolare della Chiesa cattolica. Su questo, come il governo e il Ministero intendono andare avanti e quali sono anche le criticità che ci possono essere, proprio per le critiche che diceva anche prima.

 

Tajani. Io voglio citare una frase, poi magari qualcuno farà polemiche, che, a proposito di minoranze religiose, pronunciò il presidente egiziano al-Sisi. Durante l’ultimo incontro che ebbi con lui, chiedendo di Zaki, chiedendo di Regeni, al terzo punto posi il problema dei copti, e dissi “la minoranza copta”. Al-Sisi, che era stato fino a quel momento gentilissimo, reagì male. Ha detto: « Non è la minoranza copta, sono egiziani, come tutti gli altri, di religione cristiana, ma sono egiziani, non sono una minoranza». Ecco, questo dovrebbe essere compreso in tutti i Paesi del mondo. L’altro giorno abbiamo assistito alla devastazione di decine di chiese in Pakistan, perché due cristiani avrebbero strappato una pagina del Corano: blasfemia! Sarà vero, non sarà vero? Ma anche se fosse vero, non si mette a ferro e fuoco un’intera città per colpire chi professa una religione diversa. Troppo spesso gli uomini hanno utilizzato la religione per combattersi. Ma io credo che non si possa non tutelare il diritto di ogni essere umano a professare la propria fede in libertà. Come i musulmani possono professare, i buddisti, gli ebrei, ognuno in Italia professa la propria religione anche se è un Paese a maggioranza cristiana. Così dovrebbe essere in tutto il mondo, senza odiarsi per un motivo religioso. Io, per esempio, ho apprezzato moltissimo e sono stato il primo ministro a visitare negli Emirati Arabi Uniti una bellissima realizzazione voluta dal presidente, che è l’emiro di Abu Dhabi: è stato fatto un centro delle religioni abramitiche. Lo stesso architetto ha costruito una chiesa, una moschea e una sinagoga, e sono l’una attaccata all’altra. Tu entri dentro e ti fai il giro dei tre luoghi di culto. E lì c’è la libertà religiosa, perché in un Paese a maggioranza musulmana, ma dove ci sono centinaia di migliaia di migranti o di immigrati che sono cristiani, si è deciso di avere una visione non intollerante della religione. Il principio di reciprocità dovrebbe essere ovunque. In Albania per tanti anni i cristiani e i musulmani si sono sposati. Quindi è una questione di fede, ma la fede dovrebbe portare alla pace. Ricordiamo quello che San Giovanni Paolo II fece, il vertice di Assisi, e qualcuno contestò: non rinunciava al suo convincimento cristiano-cattolico, ma riteneva che tutti coloro che credono in Dio, qualsiasi religione professino, siano persone che hanno comunque uno sguardo rivolto non soltanto verso il basso ma anche verso l’alto e la religione dovrebbe portare alla pace. Ecco perché è importante difendere Il diritto a professare la propria fede. Ma questo diritto deve essere difeso non con la violenza, deve essere difeso con il dialogo interreligioso. È fondamentale l’articolo 17, del trattato dell’Unione Europea, ne sono stato responsabile quando ero vicepresidente del Parlamento Europeo. Lavorando per questo, ho visto purtroppo anche degli imam perseguitati dai musulmani perché erano andati a rendere omaggio alle vittime della sinagoga di Bruxelles. Erano esseri umani, per quegli imam, ma invece quegli imam erano, secondo alcuni fondamentalisti, dei traditori della fede. Il problema è molto complesso, serve lavorare molto, serve convincere molto, serve il principio di reciprocità. E però serve anche che i cristiani, nei Paesi dove sono la maggioranza, non abbiano timore a dirsi cristiani. Perché sennò la minoranza che non è cristiana non ti rispetta. Togliere il crocifisso dalla scuola, togliere il crocifisso dall’ufficio pubblico non è rispetto della minoranza, è debolezza, è rinunciare alla propria identità e quando si rinuncia alla propria identità si diventa aggressivi, si diventa intolleranti, perché la rinuncia alla propria identità è un segno di debolezza, non è un segno di forza. Ricordo un servizio di telegiornale di tempo fa: si raccontava di un direttore di una scuola che aveva deciso di non far svolgere il presepe vivente in quella scuola per rispetto dei bambini non cristiani. I giornalisti all’uscita della scuola hanno intervistato le mamme dei bambini non cristiani e hanno detto: «Ma l’avete chiesto voi?». «No», dice una mamma, «veramente noi non abbiamo chiesto niente, a noi va benissimo, noi crediamo addirittura in Maria. Per noi Gesù non è Dio, è un profeta, però noi non abbiamo mai chiesto di non fare il presepe». Quindi che cosa significa? Che, se tu rinunci alla tua identità e hai paura di professare la tua fede, ti trovi di fronte qualcun altro che è abituato a credere, che non ti rispetta più e magari cerca lui di importi il suo modello. Ecco perché se noi vogliamo il dialogo e vogliamo aprirci di più, anche sulla questione migratoria, dobbiamo essere certi della nostra identità, che qui in Italia non può che essere una identità cristiana, lo diceva Benedetto Croce, che non significa escludere gli altri, ma è la nostra identità. La cultura cristiana è la separazione tra stato e chiesa. anche qui significa dialogo, libertà di espressione, cioè lo Stato non ti impone di fare una cosa. Però dobbiamo batterci in tutto il mondo, dobbiamo impegnarci sul serio. Non capisco perché se c’è una minoranza di un altro tipo che viene offesa, tutti quanti si agitano. Se invece viene offesa la minoranza cristiana, vabbè, sì, non importa. Non va bene questo, perché è sempre la tutela della persona quella che va fatta. Posso dire una cosa sull’Africa?

 

 Silvestri. Sì, dico che è interessante quello che lei ha riportato, cioè la considerazione che faceva al-Sisi all’inizio, quando diceva che i copti sono dei cittadini egiziani, perché questo è lo stesso concetto che Papa Francesco esprime nella Fratelli Tutti, quando dice che bisogna recuperare il concetto di cittadinanza. Noi dobbiamo lavorare perché le persone, migranti, di altre fedi, si sentano cittadini a tutti gli effetti e non delle minoranze con dei diritti particolari, perché è attraverso il concetto di cittadinanza, cioè, partendo dal valore unico e irripetibile della persona, con dei diritti e dei doveri, che allora si può costruire una vera amicizia. Questo è interessante perché fa capire come, partendo da questo concetto, si può trovare anche la possibilità di collaborare con chi è di un’altra fede. Mi ha colpito questo aspetto.

 

Tajani. Ma noi, quando pensiamo a quella che è stata per tanti anni la comunità più forte non cristiana, che è la comunità ebraica, dobbiamo dire che gli ebrei sono stati i protagonisti del risorgimento. Ci sono tanti soldati caduti nella Prima guerra mondiale di religione ebraica. E le famiglie di questi non si capacitavano quando ci furono leggi razziali: ma come? Noi abbiamo combattuto per l’Italia, adesso l’Italia non ci considera più cittadini. E infatti erano italiani come gli altri, erano di religione ebraica, ma erano italiani. Era una parte della nostra storia, della nostra cultura, anche della nostra identità. Proprio la cittadinanza: erano stati degli ottimi cittadini, perché avevano combattuto per la patria comune. Israele è la patria, diciamo così, culturale e religiosa, ma quelli che sono caduti hanno combattuto per la patria Italia. Quindi da questo punto di vista sono assolutamente d’accordo, però voglio raccontare una storia sull’Africa che non c’entra niente con quello che abbiamo detto, però è una storia che mi sta particolarmente a cuore, e che abbiamo scritto insieme al mio gabinetto, al ministero degli Esteri. A pochi km da qua, circa 250, c’è la casa Giovanni XXIII, che è un po’ l’eredità lasciata da Don Oreste Benzi, che lavorava qui. Ho avuto la possibilità di andarla a visitare con mia moglie, e lì ho visto tante donne africane che erano state salvate da don Aldo Buonaiuto, che è l’erede di Don Benzi. Ci hanno raccontato delle storie tremende di schiavitù. Non mi era mai capitato in vita mia che una persona, questa era una donna nigeriana, mi si gettasse in ginocchio davanti, perché gettarsi in ginocchio davanti a un’altra persona è un segno di sottomissione, di disperazione, o non so che cosa. Poi la donna, parlando un po’ in inglese, un po’ in italiano, un po’ con la traduzione di Don Aldo, mi disse che non vedeva da tempo sua figlia bambina che stava in Nigeria, lì c’è il pericolo anche di Boko Haram, che aveva lasciato ed era affidata alla nonna, alla zia. Sembrava un’operazione impossibile. Un mese fa siamo riusciti a fare arrivare quella bambina in Italia, per essere qui con la mamma, che è una donna che è uscita dalla via della prostituzione, e che ha chiesto a me e mia moglie di fare i padrini di Battesimo della figlia. Questa è una storia che riguarda l’Africa e di come noi dobbiamo guardare al continente africano. La politica non c’entra niente, però in questo caso la politica e le istituzioni sono stati utili a questa donna che tante ferite aveva, comunque almeno una ferita gliel’abbiamo fatta rimarginare, credo che abbiamo fatto anche rimarginare potenziali ferite a quella bambina venuta dalla Nigeria.

 

Silvestri. Grazie. Allora, un’ultima domanda, diciamo telegrafica. Noi, come Avsi, abbiamo una vision, lei la conosce bene perché la prima uscita pubblica del ministro Tajani, appena nominato ministro, è stata quando abbiamo organizzato, ad ottobre scorso, il nostro convegno “Il futuro che vogliamo”, in occasione dei 50 anni di Avsi. Lei sa benissimo che la nostra vision è lavorare in un mondo in cui ogni persona sia protagonista del proprio sviluppo e della comunità. Allora, se lei dovesse proprio in due parole dire qual è la vision che la guida, che la ispira nel guidare il Ministero, ma soprattutto nel rapporto con l’Africa, quali parole sceglierebbe? Quali parole sinteticamente potrebbe dire “sono quelle da tenere in considerazione nella mia azione di ministro”?

 

Tajani. Sono le parole che devono guidare e che guidano la mia vita, cioè la centralità della persona, la solidarietà nei confronti degli altri, perché non siamo nati per vivere da soli, ma siamo nati per vivere con gli altri, e chi ha di più ha il dovere di aiutare chi apparentemente ha di meno, o quantomeno aiutare chi ha di meno a riscoprire le risorse che ha, sempre con spirito di fratellanza e non con occhio di superiorità, perché quello diventa odioso. Queste sono le cose che devono guidare la vita di un politico, io cerco di fare in questo modo, poi sbaglio tante volte, però sono le cose che mi hanno insegnato fin da piccolo, che mi hanno insegnato a casa, che mi hanno insegnato a scuola, che mi hanno insegnato in parrocchia. E devo dire che questa formazione cristiana -non sono un buon cristiano, nessuno è un buon cristiano- però certamente questa educazione mi dà una visione. So sempre qual è la linea da seguire, anche quando è difficile, però c’è una stella polare. Ed è una stella polare che ti dà sicurezza, perché nella vita la sicurezza è una cosa difficile da acquisire. Ma quella stella polare a me, da quando ero piccolo e fino adesso che ho i capelli bianchi, ha sempre dato, nei momenti belli e nei momenti brutti, grande sicurezza. Mi ha tolto le paure, mi ha fatto sentire nel giusto, pur con tutti gli errori che ho fatto, per carità. Però, come posso dire, forse è una grazia, non sono neanche in grado di dirlo, però certamente quegli insegnamenti sono stati e sono determinanti per la mia vita e cerco di trasmetterli ai miei figli perché felici non si può essere, però si può essere sereni anche quando svolgi ruoli di grande responsabilità come sono quelli che ho svolto e che sto svolgendo. Se però quella stella polare non ci fosse, non so se sarei in grado di fare quello che faccio.

 

Silvestri. Grazie ministro, ringraziamo il ministro non solo perché in questo momento di dialogo ci ha aiutato a capire di più il rapporto con l’Africa, cosa vuole fare il Ministero, l’Italia con l’Africa, il tipo di relazioni e sicuramente usciamo da questo incontro con idee più chiare, ma anche per il suo contributo personale, le esperienze personali che ha voluto condividere con noi, Secondo me sono state molto interessanti e ci fanno anche capire appunto perché oggi lui è impegnato così con l’Africa con questo tipo di approccio. Quindi lo ringraziamo per quello che ha voluto condividere con noi. E grazie anche a tutti voi.

 

Tajani Grazie, grazie di cuore. In genere, quando dici che sei cristiano, non ti applaudono, per fortuna qua ti applaudono. Ti rincuora un po’, no?

Data

23 Agosto 2023

Ora

12:00

Edizione

2023

Luogo

Auditorium isybank D3
Categoria
Incontri