Chi siamo
LE IMMAGINI DELLA RAGIONE
Partecipa Fabrice Hadjadj, Scrittore e Filosofo. Introduce Alberto Savorana, Portavoce di Comunione e Liberazione.
Il testo dell’incontro è pubblicato nel libro “La conoscenza è sempre un avvenimento”, edizioni Mondadori Università.
ALBERTO SAVORANA:
Bene, buona sera, benvenuti a questo incontro del 30°Meeting per l’Amicizia fra i popoli con il filosofo francese Fabrice Hadjadj. Giovanissimo, ha 38 anni, di origini ebraiche, convertito al Cattolicesimo, Fabrice Hadjadj è noto a tanti tra noi per via di alcune interviste su giornali italiani, che ci hanno fatto scoprire una personalità assolutamente singolare nel panorama della filosofia contemporanea, che non a caso gode della stima e dell’amicizia di suoi colleghi d’oltralpe come Alain Finkielkraut o Rémi Brague. Una persona per cui la sfida della conoscenza è una avventura innanzitutto umana, di rapporto con il reale, con la realtà, in una accanita ricerca di significato. Era inevitabile quest’anno, per il Meeting dedicato al tema della conoscenza come avvenimento, fare di tutto per poterlo avere con noi, per potere ascoltare il contributo di una persona che è innanzitutto leale con la sua struttura umana, che ha nella ragione lo strumento, l’organo di apertura alla realtà. Lo abbiamo invitato a tenere una lezione, una comunicazione su le immagini della ragione, quasi a voler sottolineare – questo è parte della nostra storia, della esperienza che facciamo e che ha dato vita al Meeting di Rimini -, che sempre la ragione è messa in moto, è messa in azione da qualche cosa che viene prima, il reale, la realtà nella sua attualità di cose, di persone, di incontri. La ragione nell’esperienza che viviamo non è un organo astratto che opera per teorie, per discorsi che si impongono sulla realtà, ma piuttosto è quella capacità di immergersi nel reale. E prima di cedergli la parola, vorrei leggervi pochissime righe di uno dei testi più noti e preziosi di don Luigi Giussani, Il senso religioso, in particolare quel capitolo, il capitolo X, in cui don Giussani descrive la dinamica della ragione in azione. “Supponete di nascere, di uscire dal ventre di vostra madre all’età che avete in questo momento, nel senso di sviluppo e di coscienza così come vi è possibile averli adesso. Quale sarebbe il primo, l’assolutamente primo sentimento, cioè il primo fattore della reazione di fronte al reale? Se io spalancassi per la prima volta gli occhi in questo istante uscendo dal seno di mia madre, io sarei dominato dalla meraviglia e dallo stupore delle cose come di una "presenza". Sarei investito dal contraccolpo stupefatto di una presenza che viene espressa nel vocabolario corrente dalla parola "cosa". Le cose! L’essere: non come entità astratta, ma come presenza, presenza che non faccio io, che trovo, una presenza che mi si impone”. Ed è da questo che noi partiamo e con curiosità vogliamo ascoltare il suo intervento. Grazie.
FABRICE HADJADJ:
Grazie. Voglio confessare immediatamente, quando gli organizzatori di questo Meeting mi affidarono il titolo del mio intervento, sono rimasto perplesso: immagini della ragione. Non è certo un tema che attira le folle, con immagini della carne, oppure immagini di Monica Bellucci, forse avrei riscosso maggior successo o ancora con training della ragione, perché ciò avrebbe offerto sbocchi pratici ma con immagini della ragione, eppure, meno l’aridità del titolo, piuttosto che la situazione nella quale esso mi colloca che causa in me una certa inquietudine che faccio qui davanti a voi se non darvi da vedere una persona che sta ragionando. Quindi la prima immagine della ragione qui sono me stesso. Come lo sapete già da Aristotele sono io stesso un animale dotato di ragione e anche voi per altro. Siamo dei bipedi senza piume ma razionali, avremmo anche potuto, al posto di questa conferenza, guardarci gli uni e gli altri uno dopo l’altro e scoprire immagini vive della ragione incarnate in ciascuno dei nostri volti. Non so se gli organizzatori avrebbero apprezzato questa cosa ma queste immagini, le immagini dei nostri volti, saranno sempre più ricche di tutto ciò che potrei dire. Per altro tutto ciò che dirò si riassume in una tesi molto semplice che si distrugge a beneficio della nostra reciproca presenza. La ragione si compie meno in una dottrina o in una discussione senza fine, piuttosto che nella contemplazione amorevole dei volti. E quindi per giungere a mettere in chiaro questo punto vi dirò quello che ho imparato a scuola. La ragione è ciò che mi distingue dalle bestie. Gli occhiali e l’abito sono secondari, l’essenziale si trova nella ragione ma, la ragione è anche ciò che rende possibile la mia stupidità. Essere dotato di ragione è anche essere capace di farne un cattivo uso è potere essere sragionevole, attraverso la ragione non sono più una bestia ma posso essere stupido, ciò che le bestie non possono essere. Un cane che corre dietro una palla non rappresenta una stupidità così come invece il ministro che corre dietro agli onori. Questo è perché le bestie agiscono per istinto e non devono riflettere riguardo alla finalità della loro esistenza a cercare i mezzi per raggiungere il loro scopo arrivano a ciò spontaneamente in maniera istintiva mentre invece noi dobbiamo ragionare, porci delle domande, chiedere l’aiuto, l’opinione degli altri, trovare uno o dei padroni. Quindi anche rischiare di sbagliarsi, di sprofondare nella stupidità, di misconoscere il vero e di mancare il bersaglio. La ragione, per il fatto che si oppone all’istinto, ci fa entrare in una avventura, in un dramma. Ci eleva al di sopra degli altri animali, ma apre allo stesso tempo la possibilità di un fallimento, quindi di un fallimento che quindi ci pone al di sotto degli animali stessi. Ed è allo stesso tempo la pietra angolare ma anche l’ostacolo, quindi un principio di altezza, ma allo stesso tempo di caduta. Se appunto, osservate una tigre, ebbene, la sua andatura, agile, altezzosa, ieratica e poi dopo guardate come si sposta un Vescovo, un filosofo, siete proprio colpiti perché il Vescovo, il filosofo vi sembreranno maldestri, impacciati. E questo è perché il Vescovo, il filosofo sono dotati di ragione, la loro andatura non è così fluida come l’animale, perché non è determinata da un istinto, è il prodotto di un apprendimento che non si è mai compito, di una cultura attraversata di ingiunzioni contrarie, di un calcolo, di un tatto, che cercano di accogliere, di sedurre gli interlocutori. E questo imbarazzo è proprio il segno di una apertura, perché la tigre è splendida, ma cammina sempre allo stesso modo, si muove sempre allo stesso modo , mentre il Vescovo può saltare, per esempio.. può camminare a ritroso, il filosofo può ballare, saltellare, come un rospo, cosa che la tigre non può fare. La loro goffaggine è proprio segno della ragione che.. ed è proprio a misura dell’invenzione di cui è capace proprio la ragione. E qui lascio già intravedere il senso del mio intervento, ovvero: la ragione non è così ragionevole come si potrebbe credere, forse è anche, più essenzialmente, la facoltà del clown, piuttosto che quella dell’ingegnere. La ragione ci fa entrare in una vita più avventurosa, più stupefacente, più stupefatta e, per dirla breve più viva. Il titolo “immagini della ragione” ci lascia supporre che la ragione non conosce se stessa direttamente; non abbiamo prima di tutto un concetto della ragione, ma delle immagini più o meno giuste, più o meno deformate, e che noi non siamo puri spiriti. Noi conosciamo attraverso la nostra sensibilità, i sensi interni e esterni ed è proprio attraverso l’esperienza della nostra sensibilità che a poco a poco la nostra ragione si conosce, conosce se stessa. È una scoperta lenta, difficile; me ne rendo conto ogni volta con i miei studenti, quando chiedo loro: che cosa si può conoscere con la vista? Mi rispondono: i colori e tramite questi le figure i rilievi eccetera. E con l’udito? Rispondono: con l’udito conosciamo i suoni, l’acuto il grave, eccetera. E con il tatto? Il rugoso, il liscio, il caldo, il freddo, non ci sono problemi per queste cose. Ma quando chiedo loro: che cosa conoscete attraverso la ragione? E qui, insomma, si trovano un po’ impacciati. Che cosa conosce l’intelligenza umana -chiedo loro- qual è il suo obiettivo formale? Ebbene a tale domanda i miei studenti rimangono un po’ stupefatti e questo stupore è un po’ il segno che sono donati di ragione, perché se fossero bestie, avrebbero reagito automaticamente: darebbero la risposta giusta, abbaiando come un cane, senza averla cercata, senza averla pensata neppure… e quando i miei studenti rimangono a bocca aperta, stupiti, ebbene, faccio finta di essere sorpreso e anche indignato e chiedo loro: ma come mai, che appunto [voi] che siete dotati di ragione e ciò vi distingue dagli altri animali e che ora siete all’ultimo anno del liceo, conoscete il calcolo integrale, le confessioni di Jean Jacques Rousseau e invece non sapete ciò che è più elementare, ovvero, ciò che è la ragione, che conosciamo attraverso la ragione. E a questo punto ce ne è uno che cercherà di salvare l’onore della classe, con la ragione conosciamo le cose; dico: sì certo, anche con la vista conosciamo le cose allora. Che cosa conosciamo in particolare delle cose, attraverso la ragione? E il più furbetto della classe risponderà: con la ragione conosciamo come funzionano le cose. E ovviamente è sottointeso che, conoscendo tale funzionamento, potremmo realizzare della macchine sempre più potenti, sempre più pratiche, anche. Ecco quindi l’immagine della ragione che ci viene fornita, massivamente dalla nostra epoca: quella di un potere tecnico, qualcosa quindi che ci fa vedere come funziona qualcosa, perché possiamo fabbricare dei congegni che funzionino; per esempio la soluzione razionale al problema dell’AIDS, dell’educazione affettiva e sessuale dei giovani, è appunto un oggetto tecnico, il preservativo, il gel orgasmico… e per contrapporsi ad una tale immagine, ebbene, dico ai miei studenti: ciò che conosce la ragione è forse come qualcosa non funzioni in realtà, cioè il comico e il tragico delle cose. Prova è che il riso è proprio all’uomo e, ciò che è proprio all’uomo, arriva proprio da ciò che lo differenzia dagli altri animali e quindi della sua ragione: il riso, come la tristezza umana, sono attività razionali. Quindi, quando la ragione sa che qualcosa non funziona, per esempio, quando sa cogliere il tragico, il comico dell’esistenza, quando si trova davanti a ciò che va oltre se stessa, va molto più in là, rispetto a quando capisce ciò che funziona e lo riduce a piccoli meccanismi. L’immagine più pura della ragione non si trova, secondo me, nella “Critica della Ragion Pura”, ma prima di tutto in un bambino, nel momento in cui la sua ragione si risveglia e si dichiara in tutta la sua freschezza. Penso allo sguardo di mia figlia Ester, uno sguardo sgranato e scrutatore, stupito e in cerca di qualcosa, girato verso le cose, ma anche girato verso se stesso. Allora con questo sguardo arrivano poi le domande: che cosa è questo? Perché questo? Che cosa è un cuore? Perché abbiamo un cervello? Che cosa è una suora? Perché siamo in piedi e non camminiamo a quattro zampe? Perché i bambini si trovano prima di tutto nella pancia loro mamma? Perché moriamo? È noto che il bambino non la finisce più di chiedere il perché per tutte le cose, per qualunque cosa e anche per quanto riguarda le cose più essenziali. Il bambino è convinto che l’adulto, i suoi genitori, siano capaci di rispondere a tutte le sue domande. Ma gli adulti, spesso, hanno smesso dio farsi delle domande. Sono assorti da preoccupazioni da preoccupazioni utilitaristiche, sociali, la loro ragione ha perso il suo slancio contemplativo. Si è infagottata in funzioni pratiche, operative, strumentali, non ha più tempo per le cose dei bambini, per le puerilità, tutto è stato ingessato, frettolosamente con risposte evasive; ma quando i bambini fanno le loro domande, ebbene, gli adulti vedono il loro edificio crollare, quasi, provano gioia, ma sono anche angosciati. È l’angoscia dovuta al fatto che la puerilità sia ancora più profonda della loro stessa attività di adulti, di persone indaffarate. L’angoscia di fronte a tale razionalità allo stato puro, che cerca un senso a tutte le cose, che vuole risalire fino alla causa prima, che riveli la vitalità gioiosa e giocherellona dell’intelligenza: vitalità alla quale, spesso, gli adulti hanno rinunciato. Quindi non è per l’assenza di soluzioni che muore il mondo, al contrario è a causa di desiderio di soluzione finale. Che cosa sono stati i totalitarismi? Sforzi, pieni di buoni intenti, per risolvere definitivamente il problema umano. Questa soluzione definitiva può solo distruggere tutto ciò che costituisce un dramma e rimane incontrollabile. Eliminiamo tutto ciò che non è efficiente, tutto ciò che mostra, che segnala la presenza del sovrannaturale nella storia (per esempio, gli ebrei), crolliamo sotto soluzioni di ogni tipo, ci rappresentiamo il fatto che possiamo uscire dalla crisi raddoppiando la nostra efficienza, e quindi raddoppiando l’esclusione di tutto ciò che è debole, peggiorando quindi il primato dell’avere sull’essere e pensiamo che la razionalità si riduce proprio a questa efficienza. Ma come appunto lo vediamo nel bambino, la ragione è innanzi tutto sabbatica, nasce il sesto giorno, ma comincia ad esercitarsi proprio il settimo giorno, il giorno del riposo, il giorno di una recettività attiva e di una gratitudine davanti al fatto dell’esistenza. Prima di agire, contempla. Si tratta quindi per noi di rovesciare l’inversione, che dalla caduta originale, ci fa fare tutto quanto al rovescio . Vi ricordate? Dio pianta alberi nell’Eden e ci viene detto, riguardo a questi alberi, che i loro frutti sono belli da vedere e buoni da mangiare. Ora, quando la donna tende la mano verso il frutto proibito, ci è detto che disse che il frutto buono da mangiare e bello da vedere, quindi l’ordine è invertito: si mangia ancor prima di vedere; si agisce prima ancora di contemplare; l’efficacia precede la recettività; la volontà di potenza ha la meglio, ha io sopravvento sul senso della gratitudine. Ma cosa può essere una azione che non ha, prima di tutto, riconosciuto la grazie stessa di esistere? Una azione che diventa complice del nulla. Che cosa è una azione che non ha riconosciuto prima di tutto l’ordine obiettivo del bene? Ovvero non solo ciò di cui l’altro ha bisogno realmente, ma il fatto che l’altro è una meraviglia? Tale azione favorisce il disordine con le migliori intenzioni del mondo e, con il pretesto di guarire l’altro, diventa ossessionato dalla propria malattia e dimentica di guardare il proprio volto -ciò che appunto è stato notato molto bene da Rose Busingye-: prima di avere ammirato, è caduto in un aiuto narcisistico, in un’etica procedurale che ognora la bellezza dei volti e che quindi perde la propria finalità. Ecco perché ciò di cui abbiamo bisogno non è trovare soluzioni sbrigative, ma reimparare a fare le buone domande, le domande giuste, aprire occhi contemplativi, prima che avventare mani predatrici, di raccogliere lo sguardo sabbatico dell’infanzia. Come sapete Aristotele dice che l’inizio della speculazione risiede nella meraviglia e anche in una meraviglia infantile, perché confronta questa meraviglia con uno spettacolo di marionette. Scrive nella “Metafisica”: l’inizio di tutte le scienze è la meraviglia di ciò che…. lo stupore di ciò che le cose sono quelle che sono, come marionette che si muovono da sole per coloro che non hanno ancora trovato la causa del loro movimento. La ragione si stupisce di fronte alla marionetta ed è la razionalità stessa e cercherà quindi la mano invisibile che la muove. Occorre osservare la precisione di Aristotele: lo stupore di cui parla non è di fronte alle cose eccezionali che non sono come sono abitualmente, si tratta di uno stupore per il fatto che le cose sono quelle che sono, non si tratta di stupirsi di fronte all’insolito, lo strano l’eccezionale, come -appunto- l’esteta che è solo alla ricerca di capolavoro, come anche lo fa la stampa People. Si tratta, invece, di scorgere le cose ordinarie, comuni, come se si trattasse di un evento. Generalmente ci stupiremo per il fatto che naso di una persona è grande, è sottile, è diritto in maniera eccezionale rispetto ad altri nasi, ma la ragione nella sua freschezza, si stupisce del fatto che gli uomini abbiano un naso, semplicemente. Ci stupiamo per il fatto stesso di avere naso: è ciò che dice Chesterton. Ed è qui che risiede il fatto di avere un naso, in un modo o nell’altro, qui risiede, appunto, l’evento di stupore. È quando ci si stupisce di tutto ciò, ebbene, cerchiamo il perché quel naso è così, cioè risaliremo da una causa all’altra, attraverso la fisiologia, l’estetica, la filosofia, fino a giungere ad una causa primaria, dove, appunto, vedremo che il naso deriva da una libertà divina: l’altissima fantasia del Creatore! Ed è qui che, qualsiasi naso diventa improbabile, spiritoso, come appunto il naso di un clown, ci si rende conto che ogni naso è stato fatto per la gioia e nasce dalla gioia. Ciò che ho appena detto ci porta ad un’altra immagine della ragione, molto alla moda; è quella della ragione atea. La linea di separazione fra fede e ragione corrisponderebbe a quella che separa il teismo e l’ateismo. Ritroviamo qui l’idea essenzialmente che la ragione è demistificatrice ed è incentrata su se stessa; l’essenza di Dio sarebbe così irrazionale, perlomeno al di là della ragione, fuori dal dialogo intelligente. La fede allo stesso tempo si trova confinata a rango di opinione privata che dipende meno dall’intelligenza che dal sentimento. Il problema di questa ragione atea è che finisce con la propria contraddizione cioè che giunge a disprezzare la regione stessa e questo in due modi, innanzitutto come reazione, abbandonando il religioso per l’irrazionale, la ragione atea valorizza il fondamentalismo, cioè le pseudo spirituali più assurde poiché l’ambito religioso non è suscettibile della ricerca razionale. Il razionalismo ateo diventa complice del fideismo delirante, costringe la ragione ad una stretta chiusura dell’ateismo e quindi abbandona il campo delle domande su Dio, e queste domande è spesso invaso da le….
Ma il razionalismo ateo disprezza la ragione anche di per se stesso, cioè non ricavando una reazione ma ricadendo su se stesso. Perché porta a non avere più ad un certo punto di fronte al mistero del male per esempio a non avere più fiducia nella ragione, od ad intrappolare la ragione in se stessa, e quindi distruggendo il suo dinamismo la sua vitalità. Credere nella ragione, nella sua capacità di raggiungere il reale presuppone che si creda che sia buona nella sua fonte, la sua origine che non sia quindi il prodotto di un caso o di un adattamento tecnico pratico se fondo appunto con un certo darwinismo la razionalità sull’adattamento a circostanze in una lotta per la vita, per esempio, la ragione non è più aperta sulle cose per conoscerle in se stesse, ma è solo un mezzo per conoscerle per quanto riguarda i nostri bisogni materiali. La ragione è dunque racchiusa nel mondo soggettivo della sopravvivenza individuale, non ha più nulla di contemplativo ed è quindi immediatamente definita come operativa e tecnica. Se non crediamo in una provvidenza, è difficile credere alla bontà della ragione umana. Crederemo che si tratta di un bricolage, di qualcosa che bisognerà superare un giorno o l’altro attraverso la neuroscienza, la genetica, la cibernetica; la ragione che è stata data alla natura quando è ridotta ad una pura potenza di calcolo appare subito obsoleta, superata dalle macchine e quindi si finisce per sabotarla. In questo modo però commettiamo un errore fin dall’inizio sulla natura stessa della ragione, soprattutto disprezziamo l’infanzia della ragione, l’infanzia. La domanda è: come mai il mondo è intelligibile? Da dove arriva questa concordanza, questa risonanza fra le cose che non parlano e la mia ragione che invece parla, come mai un fiorellino possa suscitarmi delle sensazioni, oppure che il miele che è sul pezzo di pane splende in questo modo. Mi ricordo di un osservazione che mi era stata fatta da una collega comunista, atea, che però era molto logica. Le dicevo che l’intelligenza era per definizione, poteva conoscere appunto il reale altrimenti l’intelligenza sarebbe appunto inintelligente. E lei mi diceva appunto che non si poteva capire la natura attraverso la relazione fra la natura e le cose non si poteva dire che poteva essere capace di conoscere le cose e se stessa, e aggiungeva anche in maniera molto logica che se l’intelligenza può sul serio conoscere il reale bisognerebbe quindi affermare l’esistenza di Dio, cioè uno spirito che avrebbe coordinato la nostra intelligenza e le cose stesse affinché possano accordarsi fra di loro. E mai prima questa deduzione mi aveva così colpito, questo filologico mi è venuto proprio da un ateo, poiché i pensatori cattolici (poiché fanno apologetica) sono molto più potenti forse, hanno paura di andare troppo in fretta per dare la risposta. Ecco che cosa mi aveva detto quindi, cioè se l’intelligenza conosce il reale allora la conoscenza è sempre un evento, anche la conoscenza di un dente di leone per esempio o di un sasso, perché la minima conoscenza presuppone una fratellanza fra la mia ragione e le cose non dotate di ragione e quindi che questa fratellanza presuppone un origine comune, un padre comune che ha coordinato i nostri esseri che sono così divergenti. Ed è ciò che aveva visto molto bene Francesco d’Assisi. Einstein lo diceva con queste parole “ciò che è veramente misterioso non è il fatto che il mondo possa essere inintelligibile, al contrario è che il mondo sia inintelligibile, la leggibilità del poema del mondo che il fisico percepisce molto bene ci lascia intravedere il poeta invisibile e ciò significa che la ragione è una risonanza prima di essere un ragionamento, è la capacità di accogliere nel mio essere altri esseri senza assorbirgli e senza deformarli, ed è il caso della conoscenza sensibile, ma qui si tratta di accogliere non solo il colore, gli effetti sensibili dell’essere ma gli esseri stessi, il loro sapore profondo diremmo, non appena il sapere perde il senso del sapore si distacca dalla vita e vorrà ridurla a semplici astrazioni vuote e tronche. Volevo parlarvi di ciò che diceva Don Giussani sulla fede come capacità estrema della ragione ma poiché il tempo stringe e che altre persone potranno intervenire molto bene su ciò che ha detto Giussani andrò più in fretta, volevo dirvi appunto per riassumervi che lo slancio stesso della ragione che si stupisce, si meraviglia e scopre questa risonanza con le cose la porta a ricercare la verità non solo nella dimostrazione ma anche nella testimonianza, possiamo acquisire delle verità attraverso testimonianze che altri hanno visto e che noi non abbiamo visto. A partire dal momento in cui sono testimoni fedeli affidabili possiamo aderire accettare ciò che ci dicono, con l’adesione perdiamo appunto la verifica, la verifica attraverso l’esperienza della vita stessa, un testimone per esempio mi parla di Cristo, quindi seguirò la vita del vangelo, ma non ho visto il Cristo, questo testimone stesso non lo ha visto resuscitare, ma la sua fede si fonda anche sulla parola di testimoni che lo hanno visto resuscitare e dal momento in cui accetto e do credito a quella verità e che cerco di metterla in pratica nella mia vita posso fare questa verifica di vita scoprendo che questa mia vita si dilaterà. Il termine controllo, verifica, è molto importante per Don Giussani fra l’altro: controllo verifica attraverso l’esperienza. C’è anche un’altra cosa che nello slancio interno della ragione la spinge naturalmente verso la fede come per la sua dilatazione più felice. Si tratta di una motivazione esterna che trascina la ragione sia per l’urlo, perché la ragione è anche urlare, è anche nella nostra condizione attuale è il principio del nostro urlo più straziante, urlo di fronte alla giustizia per chi reclama la giustizia. Nella nostra condizione la ragione si scontra al mistero del male e c’è nel male qualcosa di incomprensibile e cercare di capirlo attraverso la semplice razionalità umana è qualcosa di proprio scandaloso. Quando siete vicino a qualcuno che sta soffrendo e che li dimostrate, gli fate una dimostrazione del migliore dei mondi, che sappiamo nel migliore dei mondi, c’è qualcosa di scandaloso in tutto questo. Prima ho parlato di un’armonia fra la nostra ragione e di uno stupore, ebbene potete obbiettare è scandaloso affermare una tale armonia, non è riconoscere il mistero del male. Bisogna capire al contrario che gli orrori non sono così orribili che sullo sfondo di tale armonia rotta spezzata, se non abbiamo visto prima di tutto la bellezza del mondo, gli orrori che feriscono questa bellezza non ci fanno così male, non ci sembrano così terribili. Se non abbiamo sentito la gioia della vita allora la sofferenza, la morte, l’ingiustizia che spezzano questa vita non ci sembrano così scandalose. Lo scandalo del male suppone lo splendore dell’essere, ma non capiamo niente da soli a tutto ciò e questo sconforto evidente spinge la ragione ad aprirsi un varco, ad aprire un varco all’urlo della disperazione all’appello di un salvatore a passare dalla gratitudine alla supplica. Per concludere perché appunto questo sconforto lo proviamo nella nostra carne stessa, volevo parlarvi della ragione concepita come facoltà puramente spirituale, indipendente, indifferente rispetto al corpo ed in particolare il corpo sessuato. Un tale spiritualismo non è solo un argomento per gli illuminati, ma si tratta di una tesi molto diffusa nei nostri tempi e che ritroviamo nel consumismo che ritroviamo anche nella teoria….. Il corpo è ridotto al biologico e quindi il sesso è una determinazione strettamente materiale e ciascuno perché appunto ha una coscienza libera, una ragione spirituale può appunto trasformare questo materiale del corpo a proprio piacimento. Quindi vedete nella nostra società non è materialista, forse è più spiritualista, ma si tratta di uno spiritualismo che è spezzato, che non si apre sullo spirito vero e proprio, sotto apparenze di iper sessualizzazione il nostro secolo vive sempre più nell’odio del sesso e del corpo così come ci vengono dati dalla natura. Le parole ci ingannano così come vengono utilizzate oggi, abbiamo preso per abitudine di chiamare sesso e sessualità ciò che è la negazione stessa della sessualità, e di chiamare la negazione della sessualità ciò che è al contrario l’affermazione più alta più pura della sessualità ed è ciò che ho analizzato nel mio libro Mistica della carne la profondità dei sessi. Noi pensiamo che la Chiesa è contro il sesso, invece è per il sesso, fino in fondo, fino alla fine, è esperta in sessualità. Pensiamo che la liberazione sessuale così come viene chiamata è a favore del sesso,e invece è contro di essi e ne è prova che la parola paradigmatica del compimento sessuale è appunto la parola preservazione, il compimento sessuale si trova nel latex, nell’industria farmaceutica, nella paura di avere un bambino ciò che appunto è evidente anche se ha opinioni o conclusioni diverse. Dario Fo per esempio nella sua piecé adulti che sono scappati dallo zoo. E l’incontro sessuale di un uomo e di una donna che dovrebbe essere un incontro nella pienezza dell’offerta, andando fino in fondo in maniera tale che il seme possa seminare appunto, ebbene diventa un incontro imbarazzante, me l’ha data giusta, ho preso la pillola, apriamo quelle cose che si trovano sotto una pellicola lucida, lo tirate fuori e lo srotolate e i professori fanno questo generalmente pe spiegarlo lo mettono su una banana e come non vedere con evidenza che questo vuol dire odiare il sesso, odiare la sessualità nella sua sessuazione, odiare la sessualità nella sua fecondità, nella sua unione, nella sua comunione. Pier Paolo Pasolini si era reso conto di questo dopo la sua trilogia della vita farà appunto Salò, e ha creduto all’inizio della trilogia della vita alla liberazione sessuale e però mostra poi nelle centoventi giorni di Sodomia che la liberazione sessuale è un impresa fascista consumistica. La liberazione del divorzio, dell’aborto, la promozione dell’industria farmaceutica perché oggi sapete che non bisogna inquinare i fiumi ma si possono inquinare le proprie vene prendendo ormoni di sintesi e contraccettivi, ebbene questa liberalizzazione Pasolini aveva capito che si tratta di una riduzione della sessualità ad un atto di consumo. La carne non è più accolta nel suo ordine, nel suo dare, nella sua bontà provvidenziale diventa ormai, a partire da questa pseudo-ragione consumista un materiale che bisogna manipolare a proprio piacimento e secondo i proprio capricci. E quindi potete vedere la nostra società non è materialista, per essere materialista bisogna credere in Dio, bisogna credere in un Dio creatore della materia, credere in un Dio che ha messo un ordine nella sua materia in modo che il corpo sia qualcosa che abbia qualcosa da dirci che io possa riconoscere che il mio corpo, la mia carne sono così spirituali quanto il mio spirito perché entrambi vengono dallo spirito. Devo riconoscere che il mio corpo è come l’asina di …… come ben sapete nella Bibbia…. Sul proprio cammino va a maledire Israele e quindi la sua asina vede un angelo sterminatore sulla propria strada e quindi non vuole più andare avanti e ….. cercherà di picchiare il suo asino a morte quasi e all’improvviso sente una voce che il suo asino ha visto l’angelo sterminatore e che quindi se resisteva era per proteggerlo, e ciò che … non aveva visto con il proprio spirito che era da profeta, il suo asino lo aveva visto. Il fratello Asino come diceva San Francesco D’assisi può vedere ciò che la ragione non vedeva nella resistenza, cioè il nostro corpo nella sua sessuazione ci dice qualcosa, è una guida spirituale. Se vogliamo porci, se pretendiamo porci alle determinazioni del nostro corpo in nome di una ragione consumistica entreremo in una tendenza schizofrenica dualistica, suicidarla. La ragione quindi è sempre incarnata, sempre carnale. La ragione vuole essere bene in carne e quindi si manifesta nella gloria del corpo come è rappresentata dai grandi pittori come Tiziano, il Veronese. Si manifesta nella carità incarnata, corporale di Madre Teresa ed è lì che si manifesta di più piuttosto che in una pratica amministrativa. E per concludere, ho detto per iniziare che la ragione si manifesta di più nel clown piuttosto che nell’ingegnere e non era uno scherzo questo, non voglio negare la forte razionalità delle scienze applicate e nemmeno la loro necessità ma tre ragioni mi portano a non fermarmi ai prestigi dello sviluppo tecnologico: la prima di queste ragioni, è che la ragione è più contemplativa piuttosto che operativa; la seconda è che la ragione si compie meglio nel fallimento della lode piuttosto che nella padronanza. Essere troppo sicuri di se stessi. E infine terzo motivo perché la ragione è lì per risplendere in un corpo che agisce per amore. E la parola ragione avrei dovuto dirlo forse fin dall’inizio viene dal latino ratio, che rimanda etimologicamente al calcolo, i bancari conoscono molto bene questa parola ratio che serve appunto a equilibrare le loro operazioni, e ci chiediamo talvolta se conoscono questa parola. Ma quando si tratta di caratterizzare l’uomo ratio non rimanda tanto al calcolo ma alla parola greca Logos, sia parola e pensiero allo stesso tempo. Logos è il nome proprio di una persona divina, la persona del Figlio, il Cristo è il logos ed il logos si fa carne. Ciò che appunto dice il cristianesimo è che la ragione per eccellenza è figliale. E che appunto all’ascolto di un padre inizia dall’ascolto e si manifesta essenzialmente nel volto del crocifisso resuscitato. Per il cristiano quindi la ragione non può essere semplicemente astratta od ideologica, è sempre personale e designa nella persona non colui che la fa ripiegare nella propria individualità né ciò che la dissolve in un sistema. Ma ciò che la apre alla comunione con le cose e con gli altri. Naturalmente la ragione è conoscenza, affermazione di una legge. Bisogna ricordarsi che Mosè scendendo dal Sinai aveva un volto raggiante. La verità si manifestava nella sua vita e si compiva in un amore. Mi rifaccio al verso di Dante, quindi Dante canta, recita questo verso nel terzo libro del convivio ed è anche il canto che riprende il musicista Casella alle porte del purgatorio. Il purgatorio che è il luogo della purificazione e quindi la purificazione di tutte le immagini della ragione implica di prendere coscienza di tale razionalità amorosa o di tale amore razionale. La verità nella carità e la carità nella verità come dice Benedette XVI. L’immagine più pura della ragione non risiede in una dottrina totalizzante di tutti i saperi e nemmeno in una discussione senza fine né in una padronanza perfetta delle forze della natura, l’immagine più pura della ragione è nel volto che l’amore fa risplendere. Grazie.
ALBERTO SAVORANA:
Io ringrazio, ringrazio di cuore per questa lezione che ci ha dato su che cosa significhi allargare la ragione, seguendo quel grande invito che da anni Benedetto XVI sta lanciando a tutti, e tra questi tutti, coloro che fanno della ragione, dell’uso della ragione parte del loro lavoro, della loro quotidiana ricerca ed attività, una ragione che come abbiamo sentito non è un vuoto girare astratto. La ragione è sempre incarnata, per questo è la realtà che venendo incontro a questa ragione la mette in moto, la mette in moto dando inizio – l’abbiamo sentito con gli esempi che ha fatto, fino a quello più materiale, la sessualità, il corpo, l’amore – a un percorso della ragione al cui culmine, al cui vertice, lo avete notato, fiorisce quell’esperienza unica che ha identificato con la fede, una conoscenza nuova della realtà, una corrispondenza nuova dell’io ragionevole con le cose. Noi lo ringraziamo per questo lavoro che personalmente ed insieme ad altre figure significative della filosofia francese sta facendo, perché è un avamposto di quello che cardinale Newman diceva: “verrà un tempo in cui ai cristiani spetterà il compito di essere soli nel difendere la ragione”, come lo strumento, l’arma, per questa stupefatta conoscenza che muove il cuore. Come muoveva il cuore del nostro Dante. Grazie.
(Trascrizione non rivista dai relatori)