Chi siamo
LAVORARE NEL TEMPO DELLA CRISI. LAVORARE NEL PUBBLICO
UN CAFFÈ CON… Nicola Sanese, Segretario Generale Regione Lombardia. Introduce Francesco Liuzzi, Docente Scuola di Impresa della Fondazione per la Sussidiarietà.
FRANCESCO LIUZZI:
In un articolo apparso sul “Il sole 24 ore”, Harold James, un professore di Princeton, sostiene che la crisi è un’occasione per capire, in termini di governance, che cosa possa permettere che ciò che è accaduto non si ripeta di nuovo. Aggiunge “questa riflessione sui sistemi non è sufficiente se non arriva anche ad una riflessione sulla persona”. Dopo avere detto queste cose condivisibili, Harold James cita alcuni esperimenti, fatti dagli psicologi americani, da cui risulterebbe che le persone con una forte attitudine a comportamenti opportunistici e disonesti, e che quindi potrebbe essere alla base di alcuni fenomeni che hanno originato la crisi, abbiano un tasso di dopamina nel sangue più alta della media. Per questo la soluzione alla crisi sarebbe: non mettere in condizione di responsabilità persone che abbiano la dopamina alta. Ma nemmeno persone con la dopamina bassa, sintomo di bassa propensione a rischio e responsabilità.
La crisi ci chiede una riflessione sulla persona, ma non certamente quella offerta dal prof James. Ci chiede una riflessione che parte dalla conoscenza.
NICOLA SANESE:
Ho cominciato a fare l’insegnante mentre facevo l’università e, dopo la laurea, ho fatto due o tre lavori nel privato (aeroporto, cooperative di alberghi). In questo contesto il lavoro veniva misurato in relazione ai risultati.
Ho fatto successivamente una ventina d’anni nel pubblico; sono stato a Roma con un incarico politico-istituzionale fino al 1995. Terminata quell’esperienza sono tornato nel privato.
Nel 1994 vengo contattato da Roberto Formigoni che mi dice: “Io continuo a fare il parlamentare”- era stato candidato e rieletto- “però mi è venuta un’idea: voglio candidarmi a Presidente della Regione Lombardia”. Lo incoraggio a perseguire questa idea eccezionale e brillante, fino a che lui mi dice: “Se per caso dovessi essere eletto, tu verrai a lavorare con me e farai il capo della struttura”.
Lui è stato eletto e io sono andato a fare il capo di gabinetto e il coordinatore della Presidenza.
La Lombardia è sicuramente la regione più importante in termini di abitanti (9 milioni e mezzo), dal punto di vista economico (produce il 20 % del PIL italiano); senza citare altri dati basti dire che è molto più grande della metà dei 27 paesi della UE.
In questi 15 anni le Regioni si sono trasformate: all’inizio erano come “grandi comuni” con minori competenze. Oggi la Regione è un livello istituzionale molto importante nel nostro Paese, ma soprattutto ha la possibilità, se opera seriamente, di migliorare il livello di vita dei cittadini. Si occupa, infatti, di servizi essenziali: politiche sociali, sanità (dalla organizzazione di ospedali e medici alla prevenzione fino alla cura e alla riabilitazione); istruzione professionale; tutte le grandi infrastrutture con attinenza regionale; tutte le politiche di sostegno all’impresa ….
Cosa ho fatto appena arrivato in Regione Lombardia?
Ho cominciato a muovermi in questo modo:
conoscere i problemi e soprattutto conoscere le persone: ho incontrato tutti i responsabili uno per uno, per conoscerli come persone e come professionisti.
Lavorare con chi c’è. Non ho usato lo spoil system, ma ho ragionato sui risultati.
Abbattere gli inutili formalismi e creare un ambiente sereno.
Qualche dato dei primi cinque anni: siamo partiti con circa 4.500 dipendenti; adesso siamo 3.250 dipendenti complessivi; questo ha ridotto anche la burocrazia. Non abbiamo fatto una operazione di “pulizia etnica”; man mano che qualcuno andava in pensione non veniva sostituito. E visto che abbiamo cominciato a trasferire alcune competenze a Comuni e Province, con le competenze abbiamo trasferito anche le persone.
Questo dimagramento ci ha fatto molto bene: oggi in Italia la pubblica amministrazione costa mediamente ad ogni cittadino 80 euro all’anno, Regione Lombardia ne costa 40. E’ questo il nostro contributo in tempo di crisi. Un risparmio che la Lombardia deve fare perché, come prima regione in Italia e tra le prime cinque in Europa per sviluppo economico e per PIL, non può usare la pubblica amministrazione come ammortizzatore sociale o come rimedio alla disoccupazione. Deve al contrario puntare all’efficienza.
Quello dell’efficienza è un problema che riguarda tutto il nostro Paese, oltre che numerose realtà europee: in media un cittadino dell’Europa a 27 spende per l’apparato pubblico 3.300 euro all’anno; 500 milioni circa in totale è il costo dell’amministrazione pubblica europea. La Germania, che è uno dei paesi più avanzati, costa ai cittadini 3.000 Euro; l’Italia ne costa 4.500.
Con queste cifre, il pubblico ha un senso solo su riesce a dare servizi migliori e utili, in funzione dello sviluppo. Esempi: in Lombardia, ci siamo presi la responsabilità, così come tutte le Regioni, di organizzare un sistema che permettesse ai cassaintegrati di ottenere il 100% del loro stipendio (e non l’80% come stabilisce la legge), a patto che il lavoratore sia disposto a formarsi per rendersi ricollocabile in un altro posto di lavoro.
Abbiamo una “dote formazione” per migliaia di persone: un voucher che il lavoratore utilizza per scegliere quale tipo di formazione professionale vuole ricevere e dove, presso operatori pubblici o privati. Questo stesso sistema vale anche per la sanità, la scuola, la casa tanti altri campi.
Per cercare di coinvolgere e motivare i dipendenti abbiamo usato realmente la leva della valutazione legata allo stipendio (come prevede anche il contratto nazionale). Abbiamo introdotto gli obiettivi e legato parte dello stipendio dei dirigenti, quadri e in parte funzionari alla realizzazione di questi obiettivi. In Regione Lombardia è difficile ricevere il 100%; io per esempio nel 2008 ho ricevuto il 94% e in genere passo per uno che lavora abbastanza.
Per motivare le persone ho inventato un sistema, che conoscono tutti in Regione, che si chiama il sistema delle 5 “C”, diventate ora 7.
1. La prima “C” è la conoscenza. Ho lavorato molto per convincere ciascuno a conoscere non solo le cose di sua competenza, ma anche tutte le questioni portanti per l’ente per il quale lavora, in base anche alla propria responsabilità e qualifica.
2. La seconda “C” è il coinvolgimento: evitare che ciascuno trattenga per sé le sue conoscenze per mantenere il potere. Ma lavorare perché tutto venga condiviso. Qui ho utilizzato spesso metafore come la formula uno, la squadra di calcio, l’orchestra…
3. La terza “C” è la collegialità. Solitamente nel pubblico prevale la logica del “io decido da solo, perché il potere è il mio, la firma è la mia e la metto se voglio, quando voglio e come voglio”. Al contrario la collegialità prevede che ci si trovi insieme per decidere perché io conosco, tu conosci, collegialmente approfondiamo e nella collegialità arriviamo a decidere. È comunque chiaro che c’è sempre un capo e spetta a lui l’ultima decisione soprattutto quando ci sono dei contrasti.
4. La quarta” C” è la contestualità: non si decide una cosa analizzando solo il pezzettino di oggi; si devono analizzare tutte le conseguenze. Pensiamo al caso degli ammortizzatori sociali. Quando abbiamo introdotto l’integrazione del 20% allo stipendio dei cassintegrati, il Direttore Generale competente ha dovuto fare una convenzione con l’Inps, per avere i soldi, ha dovuto prendere accordi con il governo, ha dovuto pensare alle alternative possibili al termine della cassa integrazione, cioè dopo 11 mesi…. Contestualità è quindi sviluppare tutto ora per allora.
5. La quinta “C” è la concretezza. Dopo avere fatto una certa operazione, ci dobbiamo chiedere “a cosa è servita?”. Se la risposta è “a niente!”, allora dobbiamo avere il coraggio di non ripeterla più. Ogni operazione deve essere orientata al bene comune cioè al “bene di noi” come lo ha definito il Papa nella sua ultima enciclica.
6. La sesta “C” è valida soprattutto per i dirigenti ed è la comunicazione: quello che si fa, deve essere comunicato al proprio datore di lavoro, che per il pubblico sono i cittadini.
7. L’ultima “C” è facoltativa perché difficile. È la creatività. Nel pubblico, quello che fai non lo fai per te: al 27, chi lavora nel pubblico ha la paga certa. Per trovare un po’ di motivazione, si deve fare qualcosa di utile, che può diventare prezioso per i tuoi amici, per i cittadini….
DOMANDA:
Come si fa ad appassionare le persone che lavorano per te?
NICOLA SANESE:
Come ha scritto il Santo Padre nel messaggio che ha mandato al Meeting, la conoscenza pretende il coinvolgimento; la vera conoscenza non può fare a meno di te e degli altri. Questo non significa che devi scrivere in agenda “Mercoledì mattina dalle 9 alle 10 coinvolgere i collaboratori”.
Anche chi parte da posizioni non immediatamente di fede, se fa un’esperienza umana, arriva alle stesse conclusioni. Penso a Marchionne che, dovendo risanare la FIAT, racconta in un recente libro di essersi circondato da manager che, accanto alle ovvie competenze specifiche, avevano la capacità di coinvolgere e di farsi coinvolgere.
DOMANDA:
Come avviene il processo di creazione delle idee?
NICOLA SANESE:
Il processo di creazione delle idee non è mai frutto di uno solo, si lavora molto insieme. In Italia, si tende a considerare il politico come il regista unico di ogni politica; in realtà il politico guida, dà l’input e gli indirizzi e poi sono dirigenti e funzionari a elaborare percorsi e strumenti. Il buon politico, perciò, sa ascoltare non solo i cittadini, ma anche i suoi dirigenti e funzionari.
Tra politica e amministrazione si deve quindi stabilire un rapporto di stima e di reciproca fiducia, nel rispetto della differenza dei ruoli. In Regione Lombardia è così: c’è un costante confronto con il Presidente Formigoni che vuole quotidianamente conoscere, ascoltare, dare indicazioni sulle questioni più importanti. Questo succede fin dal primo giorno, all’inizio in un gruppo ristretto, oggi con incontri a “geometria variabile” in base ai temi trattati.
Così vengono le idee: quella della dote ad esempio non è venuta dai politici, ma dai tecnici. La creatività può essere di tutti, l’importante poi è che le decisioni ultime le prendano il Presidente, la Giunta e il Consiglio regionale.
DOMANDA:
Chi si occupa della comunicazione della PA?
NICOLA SANESE:
La PA non deve fare niente di quello che può fare il mercato. Quindi anche per la comunicazione, l’istituzione deve comunicare tutto, servendosi del sistema di mercato. Non bisogna costruire all’interno del sistema pubblico un sistema di comunicazione; tutto deve essere fatto utilizzando le risorse esterne. È questo un pilastro importante, su cui anche il Presidente Formigoni ha molto insistito.
(Trascrizione non rivista dai relatori)