L’ARCHEOLOGIA IN SIRIA OGGI: UN PROGETTO PER LA PACE

L'archeologia in Siria oggi: un progetto per la pace

L'archeologia in Siria: un progetto per la pace

Partecipano: Giorgio Buccellati, Professore Emerito di Storia e Archeologia del Vicino Oriente Antico alla UCLA, USA; Ziad Hilal, Direttore del progetto “Medio Oriente e Nord Africa” del Jesuit Refugee Service (Servizio Gesuita di accoglienza per i rifugiati) Homs, Siria; Paolo Matthiae, Archeologo e Professore Emerito di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Introduce Roberto Fontolan, Direttore del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione. In occasione dell’incontro proiezione dei video-interventi di S. Ecc. Mons. Mario Zenari, Nunzio Apostolico a Damasco (Siria) e di Maamoun Abdulkarim, Direttore Generale delle Antichità di Siria.

 

ROBERTO FONTOLAN:
Benvenuti, qualcuno stamattina mi ha chiesto se questo titolo non sia anacronistico, archeologia, un progetto per la pace, la Siria… se non è un assurdo. Si può parlare di un progetto di pace oggi per la Siria? Perché qui non siamo a Ginevra, non siamo alle Nazioni Unite, non siamo in grado di negoziare accordi né possiamo offrire garanzie a chi combatte. Abbiamo però una certezza che è il frutto di tanti anni della nostra storia e della storia di questo Meeting: la pace è un cammino di educazione, di conoscenza, d’incontro, un cammino che può essere lungo ma anche breve, non è il tempo importante, è importante da cosa inizia e il cammino della pace inizia da un evento, da un punto, la scoperta che l’altro è un bene per me, tu sei un bene per me. Se accade qualcosa ora, se ora in questo istante possa dire che l’altro, che tu sei un bene per me, la pace diventa possibile, altrimenti rimaniamo e rimarremo schiavi dell’eterna partita tra torti e ragioni, tra ingiustizie subite e ingiustizie inferte. Desideriamo che accada qualcosa tra noi, tra me e te, cioè desidero incontrarti, condividere, scoprire insieme quello che abbiamo in comune. Abbandonarsi a questo desiderio non è più semplice, più vero e più umano che combattersi? L’archeologia è un tesoro, è un patrimonio culturale, l’espressione però dobbiamo renderla un po’ più viva, più vicina a noi, perché sa un po’ di cose da conservare in una teca sotto vetro, ma come ogni espressione del bisogno dell’uomo di cercare e cercare sempre, l’archeologia più che un patrimonio culturale è un patrimonio umano. E’ una risorsa di oggi, accende il desiderio di incontrare l’altro, l’altro che è stato e l’altro che è, l’altro di ieri e l’altro di oggi. Cosa c’è dietro di noi? Cosa c’è dentro di noi? Da dove veniamo? Cosa abbiamo in comune? Ecco perché possiamo permetterci questo titolo, apparentemente anacronistico e sentiremo il perché, le ragioni profonde di questa cosa da due straordinarie figure di studiosi che vorrei non solo presentarvi ma ringraziare tantissimo: il professor Paolo Matthiae, alla mia destra, e lo ringrazio in nome di tutti; Giorgio Buccellati, possiamo dire che è un habitué del Meeting, come il professor Matthiae ha speso decenni e spende la vita per il lavoro attorno a questa città di Urkesh; e qui sul palco, ancora con me, vorrei presentarvi e ringraziare per la sua presenza padre Ziad Hilal, che è gesuita, vive a Homs ed è direttore dello Jesuit Refugee Service, poi ci racconterà perché un po’ la sua vita, la sua opera incarna il titolo del Meeting e cioè che il destino non lascia solo l’uomo, che si può sempre contare su una compagnia, su uno sguardo amico, su una luce che brilla nell’oscurità. Questo nostro incontro di oggi è un po’ articolato perché abbiamo lingue diverse, arabo, francese, italiano, abbiamo video, è un po’ spumeggiante, un po’ meno lineare rispetto ai normali incontri di tavole rotonde, perciò ci aiuteremo insieme a seguire le varie voci. Allora, per cominciare vorrei presentare i nostri amici che vengono dalla Siria, che sono qui davanti, in prima fila, sono studiosi, dirigono progetti e realtà locali dell’antichità siriana, poi sentiremo parlare il dottor Alolo in rappresentanza di questo gruppo di studiosi che a loro volta hanno fatto un viaggio molto turbolento e complicato per arrivare qua con noi, ma li presenteremo tra pochi minuti. Ora, in questo incontro che sarà un po’ vario, avremo diversi linguaggi che s’incontrano. La partenza è affidata a Monsignor Zenari, che è Nunzio della Santa Sede a Damasco, che non è potuto essere qui con noi ma con una breve testimonianza filmata, che adesso vedremo, ci dà un po’ l’introduzione e anche un po’ il senso di questo incontro, spiegandoci come avvicinarci a questo tema.

Video

INTERVISTATORE:
Eccellenza, lei è Nunzio a Damasco dal 2009, cioè da due anni prima che scoppiassero le ribellioni contro il presidente Assad, che poi si sono trasformate in guerra. Che cosa voleva dire essere presenza prima della guerra e cosa vuol dire esserlo oggi nella guerra? C’è ancora una possibilità per i cristiani di essere presenza e testimonianza nel dramma della quotidianità?

S. ECC. MONS. MARIO ZENARI:
Dunque la Siria è un mosaico di gruppi etnico-religiosi, che ha tenuto abbastanza bene e ancora in un certo qual modo tiene e sarebbe augurabile fare tutto il possibile affinché tenga. Ciascun gruppo aveva anche il suo ruolo, un ruolo particolare l’aveva la comunità cristiana che era stimata e apprezzata, perché tutti sanno che i cristiani sono lì da 2000 anni, sono lì da sei secoli prima dell’Islam, sono quindi arabi ed è notevole l’apporto che hanno dato nella renaissance araba, è notevole l’apporto che hanno dato nel campo della letteratura e delle arti fino a qualche decennio fa, quando c’era la libertà. Naturalmente ora, con questo conflitto, le cose sono cambiate un po’ per tutti questi gruppi etnico – religiosi, però devo dire che la presenza dei cristiani è ancora molto apprezzata e stimata e più di una volta ho incontrato dei capi musulmani, capi tribù, che addirittura sono venuti a trovarmi in nunziatura e mi hanno espresso il loro rammarico nel vedere queste degenerazioni dell’Islam, questi ultrà radicali e dicono no, questo non è l’Islam che noi pensiamo e ci dispiace enormemente che alcuni dei nostri amici cristiani siano quasi obbligati a partire. Io ripeto spesso: dobbiamo aiutare i cristiani a rimanere perché sono un arricchimento della società e questo lo riconosce, lo ha detto più volte anche il Presidente Assad. Questo l’ha detto nella regione anche il re di Giordania, senza la presenza dei cristiani queste società rischierebbero di divenire più povere sotto l’aspetto culturale e sociale ed io direi che la missione di cristiani, soprattutto in questo momento, ma lo era anche prima, è quella di essere ponte, soprattutto in questo momento di crisi. I cristiani avevano anche prima questa funzione, come io ho visto visitando le altre comunità un po’ dappertutto e costatavo come i villaggi misti, dove c’erano nello stesso villaggio cristiani e sunniti, cristiani e drusi, erano villaggi che vivevano in armonia, perché dicevano loro stessi, i musulmani, che con i cristiani si può vivere in pace, in armonia, non sono fanatici, sono tolleranti e aperti.

INTERVISTATORE:
Eccellenza, oggi in Siria è a rischio l’intero patrimonio artistico e culturale e l’esempio più eclatante è la distruzione di Ma’alula, ma sono molti i posti che sono stati distrutti durante questa guerra. Sappiamo che distruggere la memoria è uno dei delitti più gravi e sicuramente più intollerabili. Come oggi si può in Siria difendere questo patrimonio culturale inestimabile?

S. ECC. MONS. MARIO ZENARI:
Come lei ha accennato, ho avuto modo di visitare Ma’lula, insieme con altre autorità ecclesiastiche, cattoliche e ortodosse, proprio il giorno di Pasqua; era una ferita al cuore pensare che in genere le nostre chiese cristiane in tutto il mondo quel giorno siano ben adornate di fiori, le campane suonano e vedere questo scempio, queste distruzioni a causa del conflitto tra le parti in causa, monasteri antichissimi come quelli di san Sergio e san Tecla, veramente faceva male al cuore; ma poi anche qua e là tante distruzioni avvenute, parlo del minareto di Aleppo, per esempio, anche di Moschee. Credo che sia bene, doveroso e urgente parlarne perché veramente è un’ulteriore ferita grave che è inferta alla Siria.

ROBERTO FONTOLAN:
Ecco, ringraziamo anche così da lontano Monsignor Zenari e auguriamo a lui, che rappresenta la Chiesa universale in questo martoriato Paese, di poter contare anche sul nostro aiuto, la nostra vicinanza e la nostra preghiera. E ora, questa parte dell’incontro è dedicata a questi due esploratori del passato; io penso che esplorare il passato sia un po’ come viaggiare nel cuore profondo dell’uomo, non so se interpreto troppo, mi correggerete. Il professor Paolo Matthiae, cui do subito la parola, professore emerito alla Sapienza che è l’università di Roma, socio nazionale dell’Accademia dei Lincei, pensate che ha condotto quarantasette campagne di scavo a Ebla, questa incredibile e grandiosa scoperta italiana, dal 1964 al 2010, ha scritto numerosi libri ed è membro di accademie in mezza Europa. La prego professore di prendere la parola e di introdurci a questa meravigliosa avventura nel cuore profondo dell’uomo. Grazie per il suo tempo con noi.

PAOLO MATTHIAE:
Una terra affascinante tra mare e deserto. Una storia millenaria di civiltà diverse, un patrimonio culturale di ricchezza incomparabile al centro di un vortice di tempesta che sembra inarrestabile, in cui le tragedie umane appaiono senza fine. Questa è la Siria oggi, dilaniata da un conflitto spietato derivante da contrapposizioni inconciliabili che hanno provocato parecchie decine di migliaia di vittime e molte centinaia di migliaia o piuttosto milioni di profughi. Vite spezzate, speranze distrutte, destini annientati. In questa tragedia umanitaria la priorità è riservata ai tentativi di alleviare le sofferenze ormai di milioni di donne e di uomini. Ma solo un’attenzione distratta ed episodica è rivolta alle distruzioni, ai danneggiamenti e ai pericoli cui sono esposte le opere di un patrimonio culturale tra i più ricchi del nostro mondo. Un immenso patrimonio dell’umanità ha già subito danni irreparabili, come la distruzione del minareto medievale della moschea Omayyade di Aleppo, l’incendio del Suq medievale della stessa Aleppo, i saccheggi degli scavi clandestini a Dura Europos, la città frontiera fra mondo romano e mondo partico, le ferite alle strutture mirabili del Krak dei Cavalieri, la più bella fortezza del Mediterraneo, la città di frontiera, la devastazione del Suq ottomano di Homs, i danneggiamenti del Castello di Schayzar, i furti al Museo Archeologico di Hama, gli scavi clandestini su larga scala ad Apamea e alla Necropoli di Palmira, l’intenzionale distruzione dei Tori Aramaici a Raqqa, la devastazione dei monasteri di Maa’lula, mentre perfino Mari ed Ebla corrono ormai rischi notevoli.
In un’estrema semplificazione, tre sono i tipi di rischi e di danni che il patrimonio culturale della Siria subisce, in larga parte in maniera inattesa, per quanto concerne la dimensione dei fenomeni. Il primo è dovuto all’assenza di adeguati controlli del territorio da parte delle forze della polizia. Se un tempo ancora non lontano, questa assenza determinava solo l’incremento di scavi clandestini, a scala ridotta, deplorevoli certo, ma non drammatici, oggi essa provoca l’intervento, quasi dovunque, di bande organizzate, talora a livello internazionale, di scavatori clandestini che procedono su larga scala con mezzi meccanici, altamente distruttivi, con protezioni armate sui luoghi di scavo e con connivenze sofisticate per l’esportazione degli oggetti recuperati illegittimamente fuori del Paese e l’avvio ai grandi centri del mercato internazionale di antichità.
Il secondo è dovuto all’uso da parte di forze armate, di siti storici come luoghi per accampamenti di corpi militari o per l’insediamento di comandi militari. Questo fenomeno ben noto tristemente nell’Europa della Seconda Guerra Mondiale, fa sì che questi siti, spesso di inestimabile valore storico e artistico, non solo siano danneggiati per l’uso del tutto improprio, ma soprattutto divengano possibili, se non assai probabili, bersagli di bombardamenti o comunque di attacchi con armi pesanti dagli effetti gravemente devastanti, da parte di altre forze armate contendenti. Noi italiani abbiamo presente tutti Montecassino durante la Seconda Guerra Mondiale; il Krak dei Cavalieri in Siria e la Cittadella di Aleppo hanno subito dei danni per fortuna molto ridotti da questa situazione.
Il terzo dei fenomeni, il più grave, è dovuto all’implacabile e cieco odio dell’altro da parte di fondamentalisti fanatici, caratterizzati da un’identità culturale estrema ed esclusivista, inaccettabile. Questo fenomeno, sostenuto da una totale intolleranza ideologica o religiosa, si è verificato tristemente molte volte nella storia, provocando le più micidiali perdite di opere del patrimonio culturale, in quanto un tale odio intende perseguire l’annientamento totale attraverso la distruzione intenzionale e non accidentale di tutto ciò che è l’identità dell’altro ed è il più devastante e odioso dei fenomeni che generano perdite al patrimonio culturale.
I funzionari della direzione generale delle antichità e dei musei di Damasco e gli abitanti delle città e dei villaggi in Siria, spesso a rischio della vita, cercano disperatamente, quanto eroicamente, di arginare i danni, invocando il rispetto dei monumenti da parte di tutti i contendenti e tentando di mantenere un controllo difficilissimo dei siti storici. Alcuni risultati importanti sono stati conseguiti con gruppi di persone della società civile che, in assenza di controlli delle forze dell’ordine istituzionali, polizia, hanno creato forze di volontari che assicurano la protezione di importanti luoghi del patrimonio culturale, come è avvenuto di recente sia a Palmira, sia non lontano da Ebla. L’Unesco si è attivata con sessioni di lavoro tenute a Hamman e a Parigi per bloccare i traffici di antichità dalla Siria, ottenendo l’adesione di Libano, Giordania, Turchia e Iraq con alcuni clamorosi successi come la restituzione a Damasco di decine di opere bloccate dalla polizia di frontiera del Libano e il sequestro di numerosi oggetti minori alla frontiera della Turchia. Ma è tempo ormai che la vittima dimenticata di questa tragedia, che è il patrimonio culturale della Siria sull’orlo di un baratro senza ritorno, divenga oggetto di un’attenzione continua e sistematica. La campagna lanciata a Roma per iniziativa di Francesco Rutelli e mia, con adesione di illustri studiosi di tutta Europa, vuole promuovere una mobilitazione internazionale di presa di coscienza mondiale del problema, di contrasti di traffici illeciti delle antichità, di sostegno al personale di sorveglianza dei siti, di coordinamento a ogni azione di controllo, di progettazione dei restauri e dei ripristini dei siti e dei beni danneggiati. La mostra dal titolo “ Siria: Splendore e Dramma”, aperta in questi giorni fino al 31 agosto a palazzo Venezia a Roma, illustra in modo drammatico la situazione del patrimonio culturale della Siria e vuole essere appunto un richiamo all’attenzione del pubblico italiano europeo e noi auspichiamo mondiale. Concludo. Come può il mondo della cultura, ma anche della politica dimenticare quella Aleppo che così cantò un grandissimo poeta arabo, Abul ʿAla Al-Maʿarri, che forse Dante in qualche modo conobbe? Versi di Abul ʿAla Al-Maʿarri: “Una valle dell’Eden pare Aleppo a chi giunge, ma per chi s’allontana è un fuoco di inferno. In essa ciò che è grande appare superbo, mentre nel rango si eleva il piccolo – Aleppo è talmente straordinaria che il piccolo diviene grande – tal quale il mare e il fiume Queiq – che è il piccolo fiume che passa attraverso Aleppo, è come il mare, tanto Aleppo è straordinaria – ogni singola pietra di Aleppo pare il monte Sabir presso la Mecca”. Come può l’umanità di oggi dimenticare una città cantata in questo modo da un precursore di Dante? Grazie.

ROBERTO FONTOLAN:
Grazie professore anche per quel punto drammatico che ci ha ricordato, cioè l’odio dell’altro, il desiderio di annientare l’altro che è una pulsione alla quale assistiamo sgomenti, soprattutto in questo periodo. Ora il Professor Giorgio Buccellati: insegna all’Università della California a Los Angeles, Direttore di numerosissime istituzioni in particolare dell’Istituto Internazionale per la Mesopotamia e l’altra Siria, conosce perfettamente molte lingue, tra cui anche lingue antiche, ha pubblicato una grammatica strutturale del babilonese, insomma un uomo che ha le chiavi di accesso per tutti noi verso il nostro passato, perché ci consente di capire cosa è accaduto, cosa facevano i nostri genitori, i nostri progenitori. Insieme alla moglie Marilyn, che è qui seduta in prima fila e che voglio salutare in nome di tutti, ha curato una bellissima mostra che è in corso qui al Meeting. Tutta questa presentazione per dire che il Professor Buccellati è un po’ l’anima di questo nostro incontro e allora cedo volentieri a lui la parola.

GIORGIO BUCCELLATI:
Grazie Roberto e comincio, in effetti, dalle tue ultime parole, da quello che hai detto all’inizio, cioè se l’archeologia può parlare al profondo del cuore. Deve parlare, l’archeologo deve fare da interfaccia tra il passato e il futuro e soprattutto in quei momenti in cui il tessuto sociale nel quale viviamo, nel quale vive l’archeologia, sembra che si stia disintegrando. Quindi c’è una responsabilità in altre parole di andare, come dicevi bene, al di là delle cose, perché una fibra morale aveva dato origine a queste cose che noi vogliamo cercare di rivivere ed è, in effetti, un poco lo scopo della mostra e poi di quest’incontro quest’oggi che ci porta proprio al momento cruciale: vale la pena essere archeologi in un momento tragico come adesso? Vorrei dare una risposta a questo da due punti di vista. Il primo è quello che si riferisce al lavoro fatto dal Direttorato Generale delle Antichità e dei Musei, che è l’equivalente della nostra Sovraintendenza. Già Paolo metteva in luce varie attività che loro hanno fatto e ce ne parlerà brevemente tra poco nel video il Direttore Generale che purtroppo non è potuto venire per motivi molto pressanti e analoghi a quelli che hanno impedito a Mons. Zenari di essere qui con noi. Quello che vorrei mettere in luce è lo spirito con cui il Direttorato delle Antichità si è impegnato a mantenere e a promuovere il passato. Direi che nella tragicità di questo momento il Direttorato sta vivendo davvero un momento glorioso, sembra assurdo ma è così, c’è una grande tradizione professionale nel Direttorato delle Antichità che noi tutti come archeologi che lavoravano sul campo in Siria avevamo sempre apprezzato. La burocrazia era sempre secondaria, quello che contava di più, quando si andava nel palazzo amministrativo che sono gli uffici del Direttorato, era l’archeologia, si andava lì a chiedere un permesso e andava a finire che si parlava di cocci. C’era bisogno di un certo intervento e si parlava di storia. E’ sempre stato così in Siria, a differenza di altre istituzioni e quindi la tradizione era gloriosa e importante ed è una tradizione che stanno portando avanti ora con una luminosità tutta nuova, perché è una luminosità che si fonda sul coraggio. Ci vuole coraggio a restare al proprio posto dopo quattro anni dissanguanti, ci vuole coraggio a mantenere un’attività che sembra solo di routine, potrebbe sembrare essere una routine inutile ed è invece investita di tutto un significato nuovo. Il Direttorato delle Antichità è veramente un modello per il mondo ed è un modello che insegna molto. Si vede spesso in Occidente un atteggiamento che in fondo a me sembra un po’ colonialista, quello di voler andare a insegnare come si fa a proteggere il patrimonio. Lo stanno facendo loro molto, molto bene nella misura del possibile. Padre Pizzaballa l’altro giorno, forse alcuni di voi l’hanno sentito, diceva di non essere un buonista, anch’io non voglio essere un buonista, però allo stesso tempo è sbagliato ignorare gli aspetti positivi di quello che sta succedendo e di quello che stanno mettendo in opera, è quindi in questo senso che è un modello per il mondo. Non vi sto a dire i particolari, perché ci vorrebbe un po’ troppo tempo e anche perché in parte ne parlerà il Direttore Generale tra un attimo, ma voglio soprattutto sottolineare questo aspetto in un momento in cui il Direttorato Generale è sostanzialmente isolato. Sapete un’altra cosa, mi rivolgo soprattutto a Paolo e agli altri colleghi che sono qui, bisogna riconoscere che il Direttorato sta difendendo i nostri siti. Noi abbiamo la concessione di scavare, ma non siamo là a proteggere i siti adesso, chi lo fa per noi in fondo sono i funzionari del Dipartimento, che appunto non sono funzionari in questa veste, sono veramente colleghi che sentono profondamente la necessità morale di quello che bisogna fare e i tre colleghi che vi parleranno tra poco ne sono uno splendido esempio. Per concludere, un altro aspetto anche questo molto piccolo, perché si riferisce al nostro lavoro, ma che vi dà un’idea dell’impegno e di quello che l’impegno nelle cose piccole può potenzialmente ottenere anche nelle cose grandi. Abbiamo sentito prima, credo, quello che diceva Mons. Zenari, la parola mosaico. La Siria è certamente un mosaico di identità diverse, ma vedete, il mosaico non sono le singole tessere, il mosaico è la composizione totale ed è quello che la Siria, a me sembra, sta vivendo adesso, la ricerca di un’identità nazionale che si fonda sulle realtà particolari in un modo molto tormentato, combattuto, ma che spero veramente abbia l’esito più positivo possibile. Nel nostro piccolo, (se la regia può mandare in onda un video), nel nostro piccolissimo mondo di Tell Mozan, che è il sito dove scaviamo, abbiamo sviluppato una serie di attività che erano iniziate prima del 2011, quindi prima dei grandi disordini, sono delle piccole attività che però continuano tutt’ora. Quello che vedete adesso è stato filmato due settimane fa, siamo in contatto quasi giornaliero con i nostri assistenti di Tell Mozan. Questo è Ibrahim che ci sta mostrando la situazione della grande scala monumentale del Tempio e del modo in cui la proteggevamo e il modo in cui continuano a farlo. Questo per me fa una grande impressione, il fatto che non ci sia nessun senso di fatica, che dopo quattro anni Ibrahim ci possa mostrare in questo modo le piccole fessure tra le pietre o lo stato attuale dei muri in mattone crudo che continuano a proteggere, è commovente oltre ad essere di gran conforto, perché, in effetti, tutte le strutture sono preservate dalle intemperie che a questo punto avrebbero ridotto questi muri a un niente, non ci sarebbe assolutamente più niente se non fossero stati preservati in questo modo. E’ anche bella la semplicità, infatti, era una delle nostre mire di avere il sistema più semplice possibile di protezione ed ha funzionato, proprio perché loro possono continuare a farlo pur non avendo accesso. Vedete quelle piccole toppe che adesso lui mostra con un senso di orgoglio? E’ l’arte povera della conservazione, ma l’arte efficace. Gliel’ho detto io: invece di spendere soldi in tende nuove, rattoppatele, l’importante a questo punto, dato che non ci sono turisti come potete immaginare, l’importante e di proteggere le strutture antiche. Guardate…, non c’è l’audio, ma l’orgoglio con cui ci mostrano tutto questo è apparente anche solo dal video. Poi ci mostra un muro che era particolarmente danneggiato e che già noi avevamo coperto e ci dice: l’anno scorso abbiamo rimpiazzato questa copertura che stava disintegrandosi. Questa umiltà del lavoro continuo, efficace, della fedeltà al lavoro è importante. Amena Mamo è una donna del paese di Mozan, sposata in un altro paese ed è in un certo senso quella che dirige una trentina di donne, le quali, con l’aiuto dei funzionari del Dipartimento dell’antichità che sono andati lì quando noi non potevamo andare, hanno sviluppato un sistema di produzione artigianale così come lo facevano prima, ma in maniera più organica. Non vediamo le loro facce, ma in un certo senso le mani sono altrettanto indicative di questa umiltà, dicevo prima, di questo senso di non mettersi in mostra, ma di produrre delle cose delle quali sono orgogliose. Nel testo questa donna dice: l’aiuto materiale è importante, ma l’aiuto morale che ci avete dato lo è ancora di più. Belle parole veramente…e tra l’altro belle cose che ci arrivano. Pensate un po’, queste donne le mettono in un sacco di plastica nera, che è quella che si usa per la spazzatura, e lo mandano in quel modo, tramite un autobus, con grandi difficoltà a Damasco, dove lo stesso sacchetto viene messo in un involucro un po’ più convenzionale e arriva in Italia. Anche qui l’orgoglio della varietà, vedete quanta creatività c’è nei modelli che riescono a fare. L’audio che purtroppo non possiamo sentire, perché è tutto in arabo, è altrettanto commovente, si sente proprio dal tono della voce come si sono identificati, come questo è diventato un pochino il senso della continuità, nel senso di trasmettere un patrimonio intangibile, la capacità di fare queste cose agli altri. Bambole, ci sono tante belle bambole, le vedete alcune nella mostra, se non ci siete già andati dovete proprio andare a vederle. Il bello di questo è appunto che l’intenzione nostra era quella di sviluppare una dimensione economica nei villaggi e il fatto che riusciamo a continuare a farlo è di grande conforto per noi. Il terzo e ultimo breve segmento è di Hammade. Era l’assistente di Marilyn nel lavoro della ceramica e ha imparato moltissimo, è bravissimo nell’analisi dei cocci. Marilyn e io siamo andati l’ultima volta nel dicembre del 2011, abbiamo, con l’autorizzazione del Direttorato dell’Antichità, portato una parte dei cocci che avevamo scavato, ma non ancora studiato, nel suo cortile, dove lo vedete lavorare e vedete anche qui questo orgoglio, umile, leale, fedele, continuo, costante, è veramente di grande commozione. Qui ci sta sottolineando il fatto che questi cocci piccoli come sono li può da un lato descrivere in maniera tecnica e lo fa in maniera veramente perfetta grazie all’insegnamento di Marilyn, ma dall’altro ci dice anche come viene tutto messo in correlazione e quello che ci sta facendo vedere adesso e insiste, al posto dove è stato trovato, c’è stato scritto la stratigrafica. Le sue analisi che sono in quei fogli che vedete davanti vengono messe dagli stessi e da altri assistenti sul computer e poi ci vengono mandati via Internet e li riceviamo quasi settimanalmente, ma certo mensilmente. Di nuovo questo sorriso, pensate è di due settimane fa questo e lo sottolineo ed è uno dei tantissimi che abbiamo avuto nel corso di questi anni. Che dopo quattro anni si possa ancora vedere questo suo gesto, era proprio quello con cui volevo concludere. Grazie.

ROBERTO FONTOLAN:
Grazie. Ora viviamo il secondo atto di questo nostro incontro che è con alcuni nostri amici che ci hanno raggiunto dalla Siria, dicevo, in modo molto fortunoso e turbolento. Il Direttore Generale delle Antichità e dei Musei, Maamoun Abdulkarim non è riuscito a raggiungerci come aveva anticipato il professor Bucellati e ci ha inviato un suo messaggio video, un breve messaggio video, che ora ascolteremo. Subito dopo andrò a presentare i nostri amici, i nostri ospiti dalla Siria. Allora, la regia può mettere in onda il video del direttore Abdulkarim.

Video

MAAMOUN ABDULKARIM:
In nome della Direzione Generale dell’Antichità e dei Musei e del Ministro della Cultura in Siria, è un piacere per noi partecipare a questo grande evento culturale, al Meeting di Rimini 2014 e darvi un’idea della situazione attuale del patrimonio culturale siriano durante la crisi siriana. Vorremmo ringraziare il comitato organizzatore di questo evento culturale per avere invitato la Direzione Generale dell’Antichità e dei Musei a partecipare e vorremmo anche ringraziare il professor Giorgio Buccellati e la professoressa Marylin Buccellati. La Siria è stata la culla di alcune delle più antiche civiltà del mondo. Questa ricchezza è adesso in pericolo per via della crisi che ha colpito il Paese da oltre tre anni. Alcune intere città siriane, alcuni castelli e molti siti archeologici sono stati soggetti a danni e distruzioni. Dopo gli eventi dolorosi del Paese e l’assenza in alcune regioni di adeguate istituzioni governative e autorità archeologiche, il pericolo incombe sui siti archeologici ed è un pericolo sempre in crescita. Alcuni di questi siti stanno assistendo ad attacchi molto violenti e pericolosi per via dell’aumento degli scavi illegali sistematici effettuati da bande armate di saccheggiatori con la collaborazione di centinaia di persone assoldate in Siria e anche nei Paesi limitrofi, che minacciano i residenti con le armi affinché non interferiscano. E poi c’è l’impatto diretto della guerra: alcuni siti archeologici sono stati trasformati in campi di battaglia. In questo processo la rappresentazione dell’uomo nell’arte viene distrutta da gruppi estremisti che hanno l’intento di sradicare queste testimonianze uniche della diversità culturale della Siria. In alcuni casi, le persone che sono state sfollate per via dei conflitti hanno trovato rifugio nei siti archeologici. Sei siti sono registrati nel patrimonio dell’umanità dell’Unesco e tutti sono stati elencati e sono stati denunciati come in pericolo di danni o distruzioni nel giugno 2015. Per quanto riguarda i musei, per esempio quelli di Deiratie e Rak hanno sofferto tantissimo. Alcuni manufatti sono stati rubati da Marat Al Numan e dal Museo delle Arti Popolari di Aleppo e dai Musei di Ama e Affamia, dove per fortuna c’è stata la sottrazione soltanto di un manufatto. Per il resto le raccolte degli altri musei sono state messe al sicuro prima che potesse essere effettuato ulteriore danno a tutte queste collezioni. Ci siamo poi posti cinque obiettivi principali. Innanzitutto, sensibilizzare. Abbiamo cercato di unificare le visioni di tutti i siriani per quanto riguarda il loro passato culturale; dobbiamo difenderlo e proteggerlo perché rappresenta quello che ha sempre tenuto insieme il nostro popolo. Abbiamo chiesto a tutti i siriani di assumere responsabilità e occuparsi della salvaguardia del patrimonio archeologico. In secondo luogo, il nostro personale deve essere coeso a tutti i livelli. Grazie a questa visione, il lavoro della nostra Direzione Generale è stato professionale, scientifico ed efficace. I nostri funzionari sono stati sempre uniti ai loro sforzi, hanno portato a successi in tanti casi e in tante regioni. Quindi abbiamo fatto degli sforzi continui per ridurre l’impatto della crisi attuale sulle antichità e siamo riusciti con successo a diversi livelli, grazie ai nostri sforzi. Terzo, la professionalità. La nostra Direzione fa appello a tutte le parti in causa per evitare e rispettare i siti archeologici e la loro santità, visto he riteniamo che siano importantissimi e riteniamo che abbiano un’importante sacralità, fonte di orgoglio per tutti i siriani, poiché sono siti unici al mondo. In quarto luogo abbiamo la necessità di prevenire i danni e controllarli. Dall’inizio di tutte le problematiche abbiamo sempre sviluppato una campagna aggressiva proattiva per proteggere i siti e i musei. Questo va evidenziato ancora di più. Abbiamo risposto immediatamente alle minacce, ci siamo attivati sin dall’inizio e l’abbiamo fatto proprio tenendo a pieno regime tutto il nostro corpo di funzionari e guardie che vengono e sono pagati tuttora e sono stati sempre pagati senza alcuna interruzione. Quinto punto, apertura alla dimensione internazionale. La Direzione Generale ha mantenuto un’attiva collaborazione con tutte le agenzie internazionali che si occupano della protezione delle antichità. Da un lato, si è contribuito a tenere aggiornato l’inventario dei danni e degli oggetti potenzialmente in pericolo; poi, abbiamo anche attratto l’attenzione di coloro che sono preposti all’applicazione delle leggi, collaborando con loro per arrestare il traffico illecito di manufatti che sono stati esportati dal Paese. Un altro aspetto molto importante, la collaborazione internazionale che sicuramente riguarda la continuazione delle spedizioni estere nel nostro Paese.

ROBERTO FONTOLAN:
Abbiamo avuto anche questa voce da Damasco. Ora vorrei introdurre tre Direttori delle Antichità, queste persone delle quali parlava il professor Bucellati, che proteggono, che lavorano, che si impegnano giorno e notte, che sperano contro ogni speranza, potremmo dire in un certo senso, per salvaguardare questo patrimonio, che è appunto patrimonio umano – patrimonio dell’umanità vuol dire patrimonio umano, patrimonio mio. Allora, presento il dottor Ghazi Alolo, che è il Direttore delle Antichità della regione di Idlib in Siria, di cui fa parte, se ho capito bene, il sito di Ebla, quindi dove ha lavorato a lungo il professor Matthiae. Il professor Alolo ci rivolgerà un breve saluto, un breve discorso. Poi, sempre qui in prima fila, abbiamo il dottor Khalid Al-Masri, Direttore delle Antichità della regione di Aleppo, la città di cui abbiamo sentito parlare poco fa e che vive anche questa tragedia della perdita così tremenda del proprio passato, e il dottor Elias Suleiman, Direttore delle Antichità della regione di Kamishli in Siria, dove si trova appunto il sito di Urkesh, dove Giorgio e Merylin Buccellati hanno lavorato tanto a lungo e di cui abbiamo visto qualche accenno in queste immagini. Prego dottor Alolo. Parlerà in arabo, ma avremo l’oversound della traduzione in italiano, curata per altro, lo posso dire, da un nostro amico siriano a sua volta, che è il principale collaboratore del nostro caro amico giornalista Gian Micalessin, che ogni volta che va in Siria si appoggia a questo amico e professore di italiano che abbiamo conosciuto, che è qui con noi in questi giorni e che si chiama Saman Daud. Lo voglio ringraziare per questo suo aiuto al nostro incontro. Prego.

GHAZI ALOLO:
Buonasera a tutti. Ringraziamo tutti i nostri intervenuti, ringrazio anche il professor Bucellati e la sua signora. Signori e signori, dopo un periodo di tranquillità e benessere che ha avuto la Siria, durato alcuni decenni, ci siamo trovati davanti ad una crisi paurosa che ha dominato una gran parte dell’area siriana. E’ stata una forte scossa che si è riflessa sul patrimonio culturale siriano. Tanti dei nostri siti che si trovavano nelle zone del conflitto, hanno finito per essere danneggiati, saccheggiati e abbiamo iniziato a vedere delle bande di contrabbandieri. Ciò è stato accompagnato anche da un movimento di creazione di reperti falsificati. Attualmente la nuova Direzione dei Beni Culturali, sin dall’inizio del suo operato, ha cercato di diminuire il suo effetto collaterale sui reperti storici. Sono state prese decisioni forti tramite le quali si è riusciti a mantenere solidità e unità; si è lavorato con tutti i membri della Direzione che si trovano in tutto il territorio siriano con uno spirito di team, perché la nostra politica fin dall’inizio era tesa a creare un’unica visione siriana verso i beni culturali propri e delle sue varie etnie, confessioni, appartenenze, tesa ad allontanare questi beni dalle dispute ideologiche e politiche. Abbiamo lavorato con lo spirito di un team unito, partendo dalla nostra consapevolezza che attaccare i nostri beni culturali significa in pratica attaccare la nostra identità nazionale, per cui abbiamo portato quest’idea con grande passione e con lavoro faticoso. In questo senso la Direzione Generali dei Beni Culturali e Musei si è mossa con grande sforzo per conservare questa cultura ereditata. Signore e signori, noi stiamo lavorando in una situazione eccezionale e in uno stato in cui manca la sicurezza: la nostra equipe archeologica solo con molta fatica riesce a raggiungere i luoghi del proprio lavoro e dobbiamo affrontare tanti problemi ed impedimenti. La vita dei nostri membri è sempre a rischio, tant’è che abbiamo perso dei nostri impiegati che sono morti per un nobile scopo, tutto questo per conservare i nostri beni e minimizzare i danni. Noi viviamo quotidianamente nella sofferenza e sotto fortissima pressione. Vi cito alcuni esempi: un guardiano dei beni culturali che lavora nella periferia ovest di Aleppo, che dista venti chilometri dal centro della città, deve percorrere una strada per cui impiega undici ore per raggiungere il suo posto di Lavoro, ovviamente percorrendo solo le strade sicure; in questo modo usa la metà del suo stipendio per pagarsi i mezzi di trasporto, considerando che prima di questa crisi lui ci impiegava venti minuti per recarsi al lavoro. Un nostro guardiano spesso compie lunghe distanze a piedi per mancanza di mezzi di trasporto, o per il costo altissimo del carburante; oppure sta davanti al bancomat per ore, perché manca la corrente elettrica o non può usare il mezzo che appartiene alla nostra Direzione perché deve nascondere la propria identità davanti a tutti, altrimenti metterebbe se stesso di fronte al pericolo di essere ucciso o rapito, perché lui rappresenta per loro lo Stato siriano. I nostri impiegati lavorano in una situazione dura, in ambienti dove manca comunicazione, energia, in una situazione economica difficile, a causa dei prezzi alti di tutti i beni. Perciò i nostri lavoratori osservano tutto ciò che sta accadendo con alta professionalità e mandano i loro resoconti alla nostra Direzione. Onorevoli signori presenti, io con i miei colleghi, con sofferenza e fatica siamo riusciti a venire qui per raccontarvi con fedeltà e sincerità tutto ciò che sta succedendo nel nostro Paese. Venire qua comporta per noi un alto rischio; abbiamo impiegato tanto tempo e tanta fatica. Abbiamo dovuto viaggiare per ore su strade secondarie, non tanto sicure, per riuscire a raggiungere Damasco e da lì Beirut. Le nostre priorità come Direzione Generale sono di proteggere i musei e di assicurare quello che c’è, assicurare quello che c’è dentro, perché sono obiettivi per tante bande criminali o di quegli estremisti che ci chiamano “i difensori e santificatori delle statue”. Abbiamo speso tanto impegno per trasportare tanti reperti archeologici in zone sicure e per ultimo abbiamo trasportato i reperti dei musei di Homs e di Deir Azor – parliamo di oltre diecimila pezzi. Siamo riusciti a stimolare la società locale nelle zone calde che si trovano fuori dal controllo dello Stato per affrontare e bloccare tutti quelli che cercano di aggredire e assaltare i nostri musei; per esempio al museo di Maaret Alnuman, che contiene una rara collezione di mosaici, il popolo è riuscito a bloccare queste bande e conservare tutti i reperti; la medesima cosa è accaduta ai musei di Hama e Idleb, che contiene i tesori di Ebla. Per finire, da questo pulpito, chiedo alla comunità internazionale, in tutte le sue istituzioni, di aiutarci nella nostra fatica che stiamo affrontando per proteggere i nostri beni culturali, che sono parte dei tesori di tutta l’umanità. Grazie.

ROBERTO FONTOLAN:
Grazie Dottor Alolo, ringrazio con lui di nuovo i nostri amici Khalid Masri e Elias Suleiman. Ed ora il dottor Alolo ha citato la città di Homs, ed è proprio da questa città che viene padre Ziad Hilal, con cui vivremo il terzo atto del nostro incontro, che è Direttore, come dicevo, del progetto “Medio Oriente e Nord Africa” dello Jesuit Refugee Service, che è il servizio gesuita di accoglienza e di protezione dei rifugiati. Ha vissuto moltissimi anni in Francia dove ha conseguito un master in teologia e uno in educazione, ed è proprio l’educazione la sua vocazione, possiamo dire, perché pensate era tornato in Siria per un’attività di formazione all’educazione, per un’attività in nome di questa vocazione all’educazione, e dopo poco tempo è scoppiata la guerra, e così è cambiata anche la sua vita. Allora lo ringraziamo di essere qui con noi di nuovo e ascoltiamo quello che ha da raccontarci. E’ un’esperienza veramente eccezionale nella sua drammaticità e anche padre Hilal si servirà di video e foto per aiutarci a condividere con lui l’esperienza che sta facendo.

ZIAD HILAL:
Sono felice di essere con voi oggi: innanzitutto vorrei ringraziare tutto il comitato organizzatore cui devo questo invito e anche il Nunzio apostolico della Siria Mons. Zenari che mi ha appunto chiesto di venire qui; adesso ho scoperto che il nostro vescovo della Siria è presente fra noi, Georges Abou Khazen, e vorrei cogliere quest’occasione per salutarlo. A partire dal vostro tema, “Il destino non ha lasciato solo l’uomo”, io vorrei condividere insieme con tutti voi la nostra esperienza in Siria, e soprattutto nella città di Homs. Da un lato questa dimostra la fine della vita e la fine del mondo, dell’esistenza, a causa dell’odio, a causa della violenza, della distruzione massiva di un Paese conosciuto e famoso per il suo ricchissimo patrimonio culturale, le sue vestigia, la sua civiltà di fama mondiale come abbiamo appena sentito nella trattazione dei due professori. Sfortunatamente oggigiorno i media mostrano solamente la prima parte di questa tematica, la fine del mondo. È l’immagine cupa che si vuole trasmettere all’intero mondo, senza però proiettare l’immagine positiva, l’immagine bella di un Paese noto per tutta la sua ricchezza museale e umana, la sua ricchezza culturale che dimostra che il destino non lascia l’uomo da solo. Vedremo adesso un video su il nostro operato di Jesuit Refugee Service (JRS) ad Homs; questo video sottolinea l’importanza della società civile in un momento di conflitto, e chiedo alla regia di mandare il video.
Grazie. È il nostro operato con e per l’uomo in Siria. E adesso vorrei sottolineare la rilevanza della nozione della sicurezza. È molto importante avere la sicurezza, proteggere tutelare la vita della città, è il ruolo di ogni governo, di qualsiasi autorità, delle forze di polizia, ma poi arriva la guerra, chi può tutelare, chi può proteggere la vita degli uomini della città? Tutto questo si è indebolito, proprio a seguito della violenza, e abbiamo appena sentito il pericolo che corrono i siti archeologici, quindi bisogna andare verso la società civile, l’unica che potrebbe aiutare gli uni e gli altri. In questo senso possiamo capire la rilevanza degli interventi delle azioni civili che dovrebbero svolgere e sostituire qualsiasi mancanza sul versante della sicurezza, al fine di avere rispetto nei confronti di ogni cittadino. E quindi salvare, dicevo, la diversità culturale, religiosa e il diritto dell’altro al fine di poter esprimere il proprio credo, la propria preghiera, la propria cultura, il proprio modo di vivere, il proprio diritto di pensare e rispettare qualsiasi cultura religiosa e i luoghi santi, i luoghi religiosi e i siti archeologici; senza poi parlare dell’importanza della tolleranza. Questo ruolo dovrebbe essere svolto dalle personalità della cultura, dagli intellettuali, i pensatori, i religiosi e gli educatori. È questa la base della rivoluzione della pace; questa cultura sociale è l’unica che potrebbe veramente mantenere la sicurezza e, quindi, portare a vivere la pace e la tranquillità, allontanando lo spirito della guerra e della violenza, evitando la divisione di questo bellissimo mosaico, che è appunto la Siria, qualsiasi sorta di divisione confessionale, sociale, etnica. Il nostro ruolo oggigiorno più che mai è quello di capire l’importanza di rispettarci gli uni e gli altri, di essere incarnati in questo Paese, cristiani e mussulmani, senza perdere la nostra identità religiosa. Quindi i vari gruppi si devono capire, devono trovare un accordo, al fine di vivere in pace e quindi salvare la società civile. Non ho presente solo i cristiani, ho presente tutti i cittadini, tutte le persone della Siria, ma come sacerdote vorrei parlare un po’ del nostro ruolo come cristiani in Siria. Io condivido quello che ha detto Monsignor Zenari nel suo messaggio. Il messaggio dei cristiani è il messaggio della Bibbia: “non abbiate paura” è essenziale nella nostra vita, il Verbo del Signore incarnato è venuto, è vissuto tra di noi. Nel Vangelo il Maestro dice: “opero e mio Padre opera anch’egli” ed anche a noi spetta operare per la pace e per la riconciliazione. Pensate alla presenza dell’uomo e al passato dell’uomo; abbiamo appena sentito il prof. Buccellati ed il prof. Matthiae che sottolineano l’importanza della società civile in Siria. Salvare la Siria significa salvare l’uomo e se la comunità internazionale ed il mondo hanno dimenticato il popolo siriano, non dovrebbero dimenticare il tesoro della civiltà siriana. È un messaggio questo per salvare questo bellissimo Paese, chiamato Siria. Il nostro ruolo oggigiorno come gesuiti non è solo operare attraverso la parola o attraverso l’azione, ma è anche dare la vita al nostro popolo siriano. L’esempio di Padre Frans van der Lugt, gesuita, che è stato atrocemente assassinato il 7 aprile 2014 nella nostra residenza ad Homs, testimonia questa realtà, che la violenza e l’odio non possono forzare il destino dell’uomo a lasciare il proprio posto, il proprio Paese, la propria culla. E vorrei salutare Padre Frans van der Lugt e tutti i siriani che hanno deciso di rimanere, di restare, di rimanere nel Paese, proprio per salvare la civiltà del nostro mondo e sapere che i nostri tesori sono ancora lì, custoditi in Siria. Grazie a tutti.

ROBERTO FONTOLAN:
Veramente questo ricordo di Padre Frans, come ha detto padre Hilal, assassinato nello scorso aprile, è un punto di grande commozione di questo nostro incontro. Ed è proprio nel ricordo di questa grande testimonianza di una persona che ha dato la vita per quel popolo, in quella situazione, in quel contesto ed ha desiderato ed è voluto rimanere lì, che vorrei concludere questo nostro incontro, che vede anche in questa testimonianza una luce nel cammino, una luce nell’oscurità di questo viaggio che abbiamo compiuto tra vecchio e nuovo mondo, tra la fine del mondo, è stato detto prima, e la nascita del mondo, tra l’odio dell’altro, come diceva il prof. Matthiae prima, e il coraggio di sfidare questo odio, come ha ricordato il prof. Buccellati. Allora grazie e buon proseguimento del Meeting. Grazie ai nostri ospiti e ancora grazie ai nostri amici della Siria.

Data

26 Agosto 2014

Ora

15:00

Edizione

2014

Luogo

Auditorium Intesa Sanpaolo D5
Categoria
Incontri