Chi siamo
L’ADRIATICO NELLA SUA STORIA E NEL SUO FUTURO
In collaborazione con Regione Emilia-Romagna. Partecipano: Duccio Campagnoli, Assessore alle Attività Produttive, Sviluppo Economico e Piano Telematico Regione Emilia-Romagna; Valerio Massimo Manfredi, Archeologo e scrittore; Corrado Piccinetti, Docente presso il Dipartimento di Biologia Evoluzionistica Sperimentale all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Introduce Stefano Girotti Zirotti, Giornalista RAI, Vice Capo Redattore Direzione Generale Comunicazione Relazioni Esterne.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Buonasera, devo dirvi subito che il professor Valerio Manfredi è in ritardo, perché alle prese col traffico, per cui noi abbiamo un po’ cambiato il programma. Iniziamo con un filmato; non vi dico di che cosa si tratta. Prego.
Filmato
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Abbiamo presentato questo servizio in apertura a questo convegno sul tema dell’Adriatico nella sua storia e nel suo futuro. Alla mia destra l’assessore Duccio Campagnoli, che è assessore delle attività produttive della regione Emilia – Romagna; il professor Corrado Piccinetti, docente di biologia marina. Stiamo aspettando il professor Valerio Manfredi, che è un archeologo e uno scrittore di chiara fama. Stavo dicendo che pensare all’Adriatico in questo contesto, cioè nel Meeting, non può essere senza considerazioni che vanno oltre il tema dell’economia, della pesca, dell’identità geografica e delle istituzioni, perché il mare nostrum, il Mediterraneo quindi anche l’Adriatico, è un grande serbatoio di tradizioni, di miti, di credenze popolari e di religione. Perché? Perché fin dai tempi antichi pensare Mediterraneo, pensare Adriatico fa venire in mente la storia di Ulisse, fa venire in mente il mito degli Argonauti, persone che ricercavano qualcosa in se stesse, nella simbologia. Fa venire in mente lo sposalizio del mare, cioè un momento in cui l’atteggiamento della fede e il suo coinvolgimento nella natura diventa propiziatorio ancora oggi per i pescatori. L’Adriatico però non è soltanto nostalgia di ricordi, non è soltanto il risveglio di emozioni archetipiche. E’ anche una grande risorsa per le attività produttive ed è una grande risorsa per l’ecosistema del nostro pianeta. Preferirei però, prima di dare la parola al professor Corrado Piccinetti, mandare un altro servizio televisivo, anche perché la RAI, l’azienda per cui lavoro, affronta questa temi e spesso non è nemmeno così noto l’impegno che si cerca di dimostrare.
Filmato
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Il primo servizio era un’edizione del telegiornale di trent’anni fa, riferito alla storia della marineria del museo di Cesenatico. Questo servizio è riferito all’anno 2003. Nel 2003 ci furono delle condizioni particolari di siccità, condizioni quasi irripetibili; però la domanda è: l’Adriatico, soprattutto in questa costa occidentale, deve essere cristallino o deve essere verdino – giallino? Quando sta bene che colore ha? Corrado.
CORRADO PICCINETTI:
Certamente la risposta, se dobbiamo dire quando è nelle sue condizioni normali, dovrebbe essere verdino. Il colore dell’Adriatico non è l’azzurro dell’Adriatico, nella nostra costa è il verde adriatico del D’Annunzio. Diciamo, quello più o meno è il colore classico che ha sempre avuto. Il verde non è altro che collegato a un certo numero, che sono dalle cento alle cinquecentomila cellule di fitoplancton per ogni litro d’acqua. E questa è una caratteristica particolare di questo bacino, perché ne fa un bacino che è estremamente produttivo. Avere tutte queste cellule vegetali, che sono organismi unicellulari in sospensione nell’acqua, determina che tutti gli organismi che per mangiare filtrano l’acqua, hanno tanto cibo a disposizione. Si diceva nel servizio che abbiamo visto, che le cozze soffrivano, crescevano poco eccetera, perché? Perché la cozza è un organismo filtratore per eccellenza. Voi prendete una cozza di circa 5-6 cm, filtra in media circa 5 litri di acqua all’ora. Però filtrando trattiene tutte le particelle da 10 micron (il micron è un millesimo di millimetro, quindi proprio piccolino), da 10 micron fino 100 micron; le trattiene tutte, le leva dall’acqua e se le mangia. Voi tenete conto che una cozza in Adriatico per arrivare a una taglia di 6 cm circa ci mette circa dagli 8 ai 10 mesi; se andiamo nel Tirreno ci mette 18 – 20 – 22 mesi a seconda della trasparenza dell’acqua; se andiamo in certe zone della Sicilia o a Malta non cresce mai, non riesce a crescere, perché c’è l’acqua troppo trasparente, non ha da mangiare e quindi muore di fame e quindi la quantità è molto molto bassa. Ecco perché gli allevamenti di mitili si fanno prevalentemente qui, perché anche le vongole (noi abbiamo il fenomeno delle vongole veraci nell’Adriatico, Goro e in tutta questa zona anche costiera, abbiamo la pesca delle vongole) son tutti dei filtratori e questi animali trovano nella ricchezza dell’Adriatico una caratteristica vitale. Però non dobbiamo pensare che tutto l’Adriatico sia esattamente uguale e verde. L’Adriatico è verde solo nella parte della costa verso la costa italiana per una larghezza di 10-12-15 miglia; alle volte nei periodi di piena massima può arrivare anche a 17-18 miglia dalla costa. Però quando voi avete fatto queste 18 miglia, cominciate a trovare anche da noi l’acqua azzurra e poi più vi avvicinate alla costa orientale più quest’acqua è azzurra e blu. Perché? Perché l’acqua non è qualche cosa che sta fermo, si modifica, cammina. Questa acqua entra in Adriatico dal Mediterraneo orientale, passa davanti alle coste della Grecia, Albania, Montenegro, Croazia e risale lentamente, ed è un’acqua azzurra quella del Mediterraneo orientale, la stessa acqua che troviamo all’isola Corfù, tanto per dire che alle volte uno dice “lì c’è un’acqua trasparente”, senza rendersi conto che è la stessa che viene su e che si trasforma. Solo che quando incomincia poi ad arrivare nel golfo di Trieste, comincia a prendere i fiumi, il Tagliamento, il Piave, poi viene giù giù, l’Adige, il Po; man mano che scende aumenta questa portata. E in quest’acqua ci sono contenuti quelli che sono dei sali minerali, normalissima cosa; quindi non è che uno deve pensare a un fenomeno di inquinamento. C’erano questi sali anche, non so, in epoca romana ed hanno caratterizzato l’Adriatico con questa produttività elevata. Produttività elevata che però la risentiamo non solo in quelli che sono gli animali filtratori ma la troviamo anche nei pesci. Qualcuno di voi ha mai mangiato le sogliole dell’Adriatico? Rispetto alle sogliole della Sicilia, alle sogliole del Tirreno, dove vivono lo stesso le sogliole, la sogliola dell’Adriatico ha un cibo talmente abbondante che è un pochino più grassa, perciò resta morbida quando uno la cucina ed ha un sapore totalmente diverso. Le sogliole in Sicilia non sono così apprezzate come sono quelle dell’Adriatico. Questo però porta degli altri svantaggi, degli altri problemi, perché ci possono essere caratteristiche organolettiche, proprie di un cibo troppo grasso. Per esempio adesso c’è il fermo pesca; fra una settimana, finito, voi ritroverete sul mercato un quantitativo enorme di triglie, la triglia di fango, che ce n’è tantissime in Adriatico (quest’anno poi è un anno in cui sono abbondanti, perciò ce ne sarà un grosso quantitativo e anche a prezzi certamente abbordabili e quindi potrete farne una buona provvista e sfogarvi a mangiare le triglie perché effettivamente ne vale la pena); però quando voi prenderete queste triglie, le vorrete squamare, le vorrete pulire e vi resteranno le mani un pochino unte di grasso. Questo pesce è cresciuto. Pensate che questo pesce arriva praticamente a metà di luglio, fine di luglio, che è di 5 cm; non pesa nemmeno un grammo. Arriviamo adesso al fine del fermo di pesca (fine di agosto – primi di settembre) ed è di 11-12-13 cm; e tutto questo lo ha fatto nel giro di 45 giorni, arrivando ad un peso di 25-30 grammi, quindi ha moltiplicato il suo peso. Perché? Perché ha trovato un mare che è produttivo, che è ricco; ed è il mare l’ Adriatico, il più produttivo che noi abbiamo in tutto il Mediterraneo. Questa è una caratteristica positiva o negativa? Certamente il turismo preferirebbe avere l’acqua azzurra, trasparente, quando uno fa il bagno vorrebbe vedere i propri piedi o quello che mette la maschera vorrebbe vedere gli organismi sul fondo eccetera. Eppure bisogna pensare che l’ Adriatico è un mare dove c’è una produttività elevata, che è un mare, un ambiente ideale per far crescere, moltiplicare e dare una buona alimentazione a quelli che sono gli organismi. Guardate la costa croata (bellissima, una costa alta, acque più profonde, acque pulite, trasparenti eccetera), ci sono anche dei pesci grossi; però a un certo momento la produttività ossia il rinnovamento annuale è molto più basso da loro rispetto che da noi. Perciò se loro pescassero con la stessa intensità con cui peschiamo noi, dopo sei mesi non avrebbero più un pesce, perché non c’è un rinnovamento così rapido. Da noi di triglie, che adesso andremo a pescare, ce n’è un quantitativo di tonnellate e tonnellate; pensate, una barca ne dovrebbe prendere da 100 a 150 chili per ogni ora di pesca. Se non si fermeranno un pochino, arriverà un quantitativo di triglie sul mercato che non sarà possibile vendere, perché non ci sarà mercato; ecco perché allora ci devono essere una serie di azioni, perché la pesca è un’attività economica, non basta che ci sia un ambiente produttivo, ci deve essere anche un qualche cosa che permetta di commercializzare, quindi ci deve essere una autoregolamentazione dalla parte dei produttori sulle quantità da portare al mercato, ci devono essere una serie di altri condizionamenti, diciamo, economici e gestionali. Ciò spiega anche un altro problema. Queste specie, questa triglia ad esempio che adesso cresce, se noi non la prendiamo (e questo è il motivo forte dei nostri pescatori che la vogliono prendere a tutti i costi), quando siamo arrivati alla fine di ottobre – primi di novembre (voi sapete che in queste parti noi la chiamiamo la bora dei morti, che è questo raffreddamento brusco della massa d’acqua che avviene in genere ai primi di novembre) quando avvengono questi 2 o 3 giorni di tempo cattivo, si rimescolano le acque, si raffreddano velocemente e a questo pesce l’acqua fredda non gli piace molto, allora si allontana, fa anche 10 miglia in un giorno solo. In tal modo quelle arrivano alla fine di novembre – primi di dicembre sulle coste delle Croazia. Ecco perché questo meccanismo di gestione della risorsa, di questo mare così produttivo, dobbiamo condividerlo con quelli che stanno dalle altri parti; perché loro utilizzano questo fenomeno per la triglie, noi lo usiamo per le sogliola. La sogliola nasce sulle coste dell’Istria, poi dopo viene sulle coste nostre, dove noi lo peschiamo. Abbiamo questi cicli biologici che sono così interfacciati fra le due zone, le due coste, con caratteristiche ecologiche totalmente diverse, che si ripercuotono sull’economia. Perciò è necessario avere una armonizzazione, un coordinamento, un collegamento o magari anche una gestione unica. Alle volte noi discutiamo che sarebbe utile fare quello che noi chiamiamo un sogno, un distretto di pesca. Ma non è un sogno, è un qualche cosa che sarebbe il meccanismo con il quale coordinare l’attività di prelievo delle risorse tra le due coste, perché noi siamo strettamente legati. Se noi peschiamo tutte le triglie prima, in Croazia non ci arrivano; se i croati ci pescano tutte le sogliole riproduttori in Istria (novembre, dicembre, gennaio), noi non abbiamo più le sogliole piccole. E così è anche per i paganelli, i calamari e quasi tutte le specie, anche le seppie hanno questa biologia con una trasversalità, ossia che si spostano da una sponda all’altra. E questo è un elemento che noi dobbiamo considerare e soprattutto quando poi cominciamo a passare dalla biologia, dall’ecologia del sistema, a quello che è l’elemento di gestione. Noi non dobbiamo mai dimenticare che la pesca, oltre che una storia, oltre che una tradizione, oltre che una conoscenza dei ritmi, dei cicli, dei tempi con cui le varie specie appaiono, arrivano, si riproducono eccetera, è una attività economica e la gente con questa attività economica deve poterci continuare a vivere. Altrimenti la pesca se non produce un utile, un margine, non può continuare. Per questo occorre una gestione, una gestione che sia integrata fra le varie specie e che sia fatta nel migliore dei modi. Io non so, non vorrei essere andato troppo per le lunghe.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Ritorneremo sull’argomento anche dopo, dopo aver sentito le parole di Duccio Campagnoli in merito. Ma ora farei un passo indietro nei tempi e nella storia. Essendo arrivato il professor Manfredi, come stavo dicendo nell’introduzione, pensare Adriatico, pensare Mediterraneo vuol dire anche pensare ai miti, alle tradizioni, alle simbologie, non solo per Ulisse e gli Argonauti ma anche per aspetti religiosi come lo sposalizio del mare. Però prima di dare la parola a Valerio, io i farei vedere un servizio che si riferisce appunto al ritrovamento di una nave romana che è avvenuto a Comacchio qualche quindicennio, ventennio fa.
Filmato
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Valerio, allora, l’Adriatico è anche un momento di riflessione, spunti di simbologia, chi siamo, da dove veniamo?
VALERIO MASSIMO MANFREDI:
Più che simbologia, direi che andiamo sul sicuro, sul materiale. E’ chiaro che più ci allontaniamo nel passato, più arriviamo al confine delle nebbie e cioè il confine della mitologia. Però, diciamo, come studiosi, come archeologi dobbiamo dal mito spremere con tecniche filologiche anche molto sofisticate tutto quello che si può avere di storico. Poi le tracce lasciate dagli uomini sul terreno ci permettono di disegnare delle rotte e disegnare anche dei punti di sosta, dei fondaci commerciali, dei luoghi di scambio eccetera. Allora, attenzione che quando parliamo di un periodo molto antico noi intendiamo l’estremo limite della civiltà dei Greci e cioè il mondo miceneo, il mondo miceneo che noi da tempo identifichiamo con il mondo di Omero, con il mondo degli eroi omerici. E’ una situazione discussa, ancora aperta, però sostanzialmente accettata. Ora, che cosa abbiamo noi in Adriatico che riguarda questo mondo? Bene, abbiamo: primo, una localizzazione di vari siti dell’Odissea, solo tracce; voi sapete che l’Odissea, come è arrivata a noi, ha un’ambientazione tirrenica, quindi Scilla e Cariddi è lo stretto di Messina, il paese dei morti dell’evocazione dei morti sono i Campi flegrei per le loro esalazioni sulfuree, l’isola dei ciclopi è l’area della Sicilia vicino all’Etna, Porto Pozzo in Sardegna è forse l’identificazione del paese dei Lestrigoni, poi il nord Africa è il paese dei lotofagi eccetera eccetera. Gli eroi vengono veicolati dagli uomini, quindi dove noi troviamo gli eroi risaliamo agli uomini che ve li hanno trasportati. Se io vado a Chicago e trovo una chiesa di immigrati dedicata a S. Antonio da Padova vuol dire che lì ci sono dei veneti; se trovo una chiesa, una parrocchia dedicata a S. Gennaro vuol dire che lì ci sono dei napoletani; se a S. Rosalia sono siciliani di Palermo. La stessa cosa avveniva allora. Quindi, premesso che l’itinerario dell’Odissea è perduto, quello che noi abbiamo è l’esito della navigazione degli Eubei, degli abitanti dell’Eubea nel Tirreno. Ma torno a dire abbiamo tracce di un’ambientazione dell’Odissea in Adriatico e quindi una cosa molto antica. Poi abbiamo tracce dell’ambientazione degli Argonauti. Quella degli Argonauti è una leggenda antichissima, perché la loro nave non è nemmeno una nave storica, è una piroga. Argo è scavata in un unico pino gigante del
monte Ossa. Quindi è una piroga addirittura; non è nemmeno una nave a fasciame. La navigazione: c’è, diciamo, una parte dell’avventura degli Argonauti che li conduce a nord dell’ Adriatico; poi risale dei fiumi, vanno nel Danubio, raggiungono l’Europa centrale e poi scendono di nuovo nel Mar Nero e tornano da dove erano venuti. Questi miti ci dicono che lì c’erano i micenei, cioè che i micenei frequentavano il nord dell’ Adriatico. La cosa è stata dimostrata scientificamente dal rinvenimento a Fratta Polesine di un insediamento, diciamo, che presenta una quantità di prodotti, di manufatti micenei, in particolare lavorazione dell’ambra, cioè ambra che viene importata dal nord Europa, esportata in Grecia, lavorata e riesportata. Guarda caso abbiamo un mito alle foci del Po che parla delle isole Elettridi; electron significa ambra. E’ poi quell’ambra che troveremo abbondantissima in meravigliosi gioielli qui a Verucchio, nell’enclave etrusca di Verucchio appunto, che voi spero abbiate visto (se non l’avete vista andatelao a vedere perché è un museo meraviglioso). Isole Elettridi perché? Perché lì è ambientato, alle foci di Eridano, è ambientata la caduta di Fetonte. Sapete il figlio del Sole che chiede di guidare il carro solare ma poi i cavalli gli prendono la mano, lui va troppo in alto e brucia le case degli dei, poi va troppo in basso e brucia le case degli uomini, al che Zeus lo colpisce. Lui precipita alle foci di Eridano, cioè del Po. Lì le sorelle, le Elidi, lo piangono amaramente. Le loro lacrime diventano ambra, quella stessa ambra che si lavora a Fratta Polesine. Vedete come funziona questo meccanismo che, come vedete, implica un tipo di interpretazione estremamente sofisticata. C’è chi ha voluto vedere nella caduta di Fetoente la traccia di disastri ambientali che avrebbero potuto alla fine condizionare o provocare quegli eventi che, verso la fine dell’età del bronzo, non hanno ancora una vera e propria spiegazione ma sono nel complesso in qualche modo catastrofici: crollano le rocche micenee in Grecia; qui da noi, in valle padana, muore in pochi anni la civiltà terramaricola; gli ittiti, l’impero ittita crolla in Asia Minore; l’Egitto è gravemente minacciato dall’invasione dei popoli del mare. Quindi qualcosa di grande è avvenuto. Quando si riaccende la luce, diciamo, dopo questo periodo oscuro, che gli studiosi tedeschi chiamarono medioevo ellenico, troviamo di nuovo in Adriatico una presenza greca. Sono naviganti di Rodi e di Coo, che sono due isole greche. Come lo sappiamo, come arriviamo a determinare questo? In parte dai reperti ceramici che troviamo lungo tutto l’arco adriatico soprattutto orientale e poi quello settentrionale, perché così avveniva la navigazione. Siccome la costa ovest dell’ Adriatico è importuosa, come diceva Tito Livio (importuosa litora), la navigazione si svolgeva lungo l’arco orientale, poi attraversava il golfo del Quarnaro, poi entrava nel sistema lagunare, poi finalmente erano al sicuro. Quindi di laguna in laguna arrivavano fino alle bocche del Po e poi oltre. C’è anche qui una traccia mitologica, scoperta da un grande studioso di cose adriatiche enon solo, che è il professor Lorenzo Braccasi dell’università di Padova: la diffusione del culto di Diomede. Chi è Diomede? È un eroe omerico; dopo Achille il più aggressivo, il più feroce, il più valoroso, il più spericolato, amico intimo di Odisseo (la mente e il braccio). Diomede è venerato in vari santuari. Abbiamo tracce del culto di Diomede lungo tutto l’arco adriatico fino alle foci del Po; pensate che abbiamo testimonianze in quell’area dove c’è più o meno Ferrara eccetera, che si sacrificava un cavallo a Diomede. Pensate che a Diomede si attribuiva la fondazione mitica di Spina, la mitica Spina 1, che non è stata mai trovata (noi abbiamo Spina 2, cioè quella etrusca). Poi appaiono altri eroi, anche questi portati dagli uomini. Chi sono? C’è Antenore, Antenore a Padova. Se voi andate a Padova trovate una tomba che è la tomba del mitico fondatore Antenore. Poi, sapete che gli archeologi sono dei ficcanaso, l’hanno aperta e dentro c’era un soldato morto, se ricordo bene, in oriente per ferite di arma bianca che non si sa come sia finito lì dentro, ma questo non ha la minima importanza. Perché? Perché Antenore è spia di un’altra cosa. Antenore è un eroe troiano; è un eroe troiano e dopo la caduta di Troia, secondo la leggenda, alla testa di un popolo dell’Asia Minore, detto degli Eneti, arriva nell’ Adriatico, arriva nel nord dell’ Adriatico e fonda Padova e, guarda caso, i Veneti. Ma Antenore è parente stretto di Enea, sono cugini, ed Enea è l’eroe fondatore di Roma (non subito; diciamo che fonda Lavinium, poi ci sono i 7 re di Alba, poi ci sono i 7 re di Roma ma questa è una questione cronologica banale). Ma i due eroi, Enea ed Antenore, sono il segno della volontà dei Veneti di fare un patto d’acciaio coi romani in funzione anticeltica. Spero che Galan non si suicidi se impara questa cosa qui, mi dispiace ma questo è. Patto d’acciaio. I veneti si sono perfino inventati un eroe, tale Pediano, che combatte contro i Galli assieme a Camillo, a Furio Camillo nel 390. Ma come mai Antenore è lì? Perché ce l’hanno portato gli ateniesi. Vedete, i greci quando arrivavano in terre barbare, come era l’Italia a quel tempo, per stabilire un contatto veicolavano la loro cultura tramite i miti e le leggende, che erano meravigliosi tant’è vero che siamo ancora qui dopo 30 secoli a parlarne. Ai popoli di stirpe greca, a colonie greche veicolavano eroi greci come fondatori; ai popoli non greci, in termine tecnico si dice panellenici, eroi non greci, però che facevano parte del ciclo omerico, quindi troiani: Enea per i romani, che non sono greci, Antenore anche per i veneti, che non sono greci. Poi questa parentela è sfruttata in chiave politico – militare per fare un patto di alleanza tra romani e veneti, cioè cugini, fratelli di sangue, in funzione anticeltica. Questa identificazione delle origini di Roma tramite Antenore è così forte che, diciamo, il capo dello stato veneziano si chiama doge, che viene dal latino dux e si dichiara signore di una quarta parte e un terzo dell’impero romano, e i nobili veneti e veneziani si faranno rappresentare fino al 1700, dai vari Tiepolo eccetera, vestiti e armati come patrizi romani, ancora con buona pace di questi signori di cui prima parlavo. Perché Atene è qui? Cosa ci fa nell’arco adriatico settentrionale? Semplice. Compra cavalli dai veneti e compra frumento dagli abitanti della pianura padana. Perché? Perché ci sono le guerre persiane. V secolo, guerre persiane. Quindi i mercati della Russia meridionale, della Crimea sono chiusi, perché i persiani bloccano gli stretti. Allora gli Ateniesi, portandosi dietro un eroe panellenico, come è Antenore, intavolano rapporti proficui di commercio con i veneti (cavalli) e con gli etruschi, (grano), etruschi che hanno fondato Spina 2, una specie di Hong Kong, in un isolone del delta del Po che poi nei secoli verrà interrato e verrà trovato agli inizi del secolo scorso nelle operazioni di bonifica. Niente da vedere di interessante, perché era tutto di legno; solo le tombe, le tombe che hanno i più ricchi corredi di ceramica attica di tutto il Mediterraneo, perché era roba bella e la roba bella la si esportava, come ancora oggi si fa, in cambio di altro. Pensate, non si è mai trovata una moneta a Spina. Tutto scambio. Oggetti di lusso contro grano e probabilmente altre derrate alimentari vitali per la sopravvivenza. Dopo, con l’eclisse di Atene, c’è invece la penetrazione, pensate, di un principe siciliano greco, Dionisio I di Siracusa, il primo a tentare la costituzione di uno stato territoriale in occidente. E pensate, questa è un’altra cosina divertente, che lui arrivò al punto di avere quasi tutta la Sicilia e buona parte della Calabria e meditava di costruire un muro dal Tirreno allo Ionio per tener fuori questi barbari del nord. Quindi, vedete, bisogna essere molto prudenti, primo, e possibilmente anche studiare. Più uno è ignorante, più dice fesserie.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Abbiamo compreso alcune…
VALERIO MASSIMO MANFREDI:
No, adesso io scherzo, non mi prendete sul serio. No, prendetemi sul serio per il resto. Perché sto dicendo delle cose serissime e una cosa bellissima è che Dionisio, pensate, manda in esilio il suo miglior amico, Filisto, che è anche il suo storico che scrive la sua vita che abbiamo perduto ma che sopravvive nella pagine di Diodoro Siculo. Sapete dove lo manda in esilio? Ad Adria, ad Adria dove c’è una colonia greca e anche una colonia etrusca. Tra parentesi gli etruschi di Spina sono gli unici che hanno un tesoro a Delfi, cioè una cappella votiva a Delfi; gli unici non greci. Sapete perché? Perché mentre Atene era impegnata con le guerre persiane, probabilmente loro hanno fatto opera di polizia dei mari, cioè contro i pirati per tenere aperte le rotte commerciali. Filisto cosa fa? Si annoia nel suo esilio di Adria, immaginate cosa offriva Adria nel IV a.C.? Già adesso non è che c’è una movida, con tutto il rispetto, non è che ci sia una gran movida ma immaginate nel IV a.C. Quindi il nostro Filisteo, che era un grandissimo personaggio, cosa fa? Costruisce un canale navigabile tra il Po e la laguna che si chiamava ancora all’epoca di Plinio “fossa Filistina”, cioè di Filisto, che sopravvive nel toponimo chioggioto di Palestrina. Vedete com’è la storia delle parole, la storia delle parole, la storia degli uomini, la storia delle storie, come si intrecciano l’una con l’altra e come è fantastico percorrere una dopo l’altra queste strade, per arrivare praticamente a ritroso sino ai nostri giorni, trovare ancora sul territorio le tracce di questi nostri lontani predecessori. Altro luogo della forza di Dionisio in Adriatico è Ancona, quindi ancora Adriatico; perché? Perché lì c’è il mercato di arruolamento di guerrieri celti che lui utilizza come mercenari e meridionalizza molto; perché si inventano, pensate, il mito di Galatea, che diventa la madre di Galata, cioè lei insieme al ciclope Polifemo concepisce un figlio; questa ninfa Galatea lo chiama Galata e lui è il progenitore dei Galati, ossia dei Galli, ossia dei Celti; un modo per agganciarli alla Sicilia, un modo per ancorarli alla Sicilia. Quindi, come dire, anche i celti erano un po’ “terronizzati”.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Mi dispiace interrompere …torniamo sull’argomento.
VALERIO MASSIMO MANFREDI:
Scusate, l’ho tirata troppo lunga, chiedo scusa ai colleghi. E’ un bellissimo argomento, mi sono fatto prendere la mano. Scusate.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Volevo farti una domanda: si hanno tracce del cibo o del tipo di pesce di cui si nutrivano in quei periodi?
VALERIO MASSIMO MANFREDI:
Sai, il pesce va a male presto eh… Però le ossa rimangono. Tutte le popolazioni rivierasche vivevano di pesce, tutte vivevano di pesce, anche le grandi città della Grecia, Atene, d’inverno vivevano di pesce conservato, di pesce salato, probabilmente pesce azzurro. Noi vediamo nei corredi di Spina ci sono dei bellissimi piatti di portata da pesce. Lo sappiamo perché vi sono dipinti tutti i tipi di pesce e riusciamo anche a riconoscerli: ci sono le spigole, ci sono le triglie, ci sono i branzini, ci sono i molluschi, i granchi eccetera, come è naturale che fosse. Poi presso tutti questi popoli lagunari, immaginate, la pesca era ricchissima, proprio perché lì in questi specchi tranquilli era facile pescare ma erano acque pericolose. Perché questi naviganti non vedevano l’ora di entrare nell’arco lagunare? Perché c’era la bora, la bora che arrivava imprevista e provocava moltissimi naufragi, moltissimi, tanto è vero che in queste acque vi sono molti relitti, come quello della Fortuna Maris, che però è una nave romana, roba moderna insomma.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
C’era anche narrazione sul pericolo degli Argonauti con delle navi troppo leggere e un po’ incaute.
VALERIO MASSIMO MANFREDI:
Ma, vedi, la cosa interessante della navigazione degli Argonauti è proprio la loro nave, perché secondo il mito è la prima nave mai costruita dall’uomo per questa impresa straordinaria. Loro partono da Iolco, in Tessaglia che oggi è vicino alla città di Bolos e sono diretti a cercare il vello d’oro. Il vello d’oro si trova nella Colchide, che grossomodo è la Georgia di oggi. La prima nave che abbia solcato il mare. E il poeta Apollonio Rodio, che scrisse le “Argonautiche”, descrive lo stupore di Poseidone che si vede passare sulla testa questa cosa che non si era mai vista prima. Guarda caso questa nave è descritta come una nave monossile, cioè ricavata in un unico tronco di legno e scavata. E volete di più? Andate al museo di Ferrara e vedrete due splendide piroghe monossili neolitiche, credo, lunghe, mi sembra, 7-8 metri. Vedete come le cose poi si saldano. Quindi l’Adriatico è anche interessato dalla navigazione degli Argonauti, perché la navigazione è fluviale. Anche qui c’è dietro un particolare tipo di colonizzazione. Poi arriveremo che troveremo gli Argonauti nei paesi del Nord, alle foci del Reno. Man mano che l’uomo dilatava i suoi orizzonti portava con sé i suoi eroi, perché questi mari sconosciuti che generavano angoscia esistenziale apparivano già meno ostili se prima era passato l’eroe, che aveva sconfitto i mostri, che aveva accecato il ciclope, che aveva beffato le sirene, che aveva sconfitto tutte le forze primitive della natura, quindi l’aveva reso più familiare, l’aveva reso appunto un mare greco.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Scusa Valerio, poi proseguiamo perché è suggestivo sentirti parlare con questo vissuto di temi storici che, come stavo dicendo nell’introduzione, fanno meditare anche al giorno d’oggi. Prima di dare la parola a Duccio Campagnoli sul tema appunto sviluppo della pesca, sicurezza dei porti, navigazione, vediamo intanto se poi gli usi e i costumi del mangiare di oggi e dei pesci sono cambiati con un servizio.
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DUCCIO CAMPAGNOLI:
Intanto vorrei che, per i minuti che ci restano, si tornasse subito poi al racconto straordinario e di enorme interesse che abbiamo tutti seguito del prof. Piccinetti e del prof. Manfredi, perché vorremmo sapere anche come va a finire sia la storia della triglie del prof. Piccinetti, che come voi avete sentito conosce per nome e cognome tutti i pesci che vi sono in Adriatico e quindi, diciamo ci può guidare in tutte le loro avventure; siai il racconto del prof. Manfredi, dal quale abbiamo già appreso una notizia straordinaria da primo titolo del TG1 di stasera, e cioè che i veneti erano amici dei romani; e quindi si apre uno sconvolgimento, per fortuna. Ma io direi che da queste straordinarie loro parole, intanto abbiamo avuto tutti quanti prova che questa non è una considerazione rituale ma lo faccio proprio con molto trasporto di quanto sia importante, bello, giusto questo tema del Meeting: “La conoscenza è sempre un avvenimento”. Effettivamente conoscere significa misurarsi con le cose e soprattutto conoscenza è incontro. Non c’è conoscenza, non c’è civiltà, non c’è cultura se non c’è incontro e questo vale anche per l’Adriatico che oggi conosciamo, che abbiamo conosciuto e ancora ora scopriamo, a volte con preoccupazione, anche come terreno di divisioni, territorio di conflitti, territorio di scontri. E’ difficile pensare ai muri sull’Adriatico ma c’è chi pensa anche a quelli, ed invece la grande storia, la storia della conoscenza, ci dice che c’è conoscenza se c’è incontro, se c’è incontro tra popoli, persone, culture, diversità e capacità di saper vivere davvero questa conoscenza che è incontro. Vorrei anche dire, allora, che dobbiamo in Emilia Romagna ringraziare il Meeting, non solo per le tante cose che ci ha dato in tutti questi anni e che ci dà e ci darà ancora, ma anche per averci riconsegnato direttamente in una struttura di
Meeting proprio questo tema dell’Adriatico. Voglio dire che quando abbiamo pensato in questi ultimi anni di essere presenti qui al Meeting con l’Emilia Romagna, guardando ad una delle cose che ci sono in questa regione, nel nostro paese ecc., cioè la bellezza del mare e anche i problemi della sua economia, abbiamo trovato riferimento ed ispirazione in un tema che qualche anno fa il Meeting propose, il tema dell’Adriatico come incontro di culture, incontro di diversità, incontro anche di diverse esperienze religiose. Il lavoro che noi oggi stiamo cercando di fare, con l’aiuto di tanti contributi, innanzitutto culturali e scientifici, come quello del prof. Piccinetti e di tanti altri che ci aiutano, è proprio un po’ quello di saper guardare all’Adriatico in tante direzioni diverse. La prima è certamente quella di conoscerlo come una delle possibili nuove grandi regioni europee. C’è una definizione che si adopera nell’Unione europea, che è quella della costruzione di una regione euro-adriatica, che un altro grande intellettuale italiano, il prof. Magris, vede tra l’altro come una regione unica tra l’Adriatico e addirittura il corso del Danubio…
VALERIO MASSIMO MANFREDI:
Infatti il commercio dell’ambra avveniva appunto dal mar del Nord e arrivava fino a Delo.
DUCCIO CAMPAGNOLI:
Quindi la scoperta e riscoperta di una grande regione adriatica, quindi anche di una economia possibile e di un incontro possibile, di questa grande regione euro-adriatica che può essere, deve essere, dovrà essere una delle parti dell’Europa grande da costruire e che ha poi il suo centro nella cultura del suo mare, nella cultura adriatica.
Quindi abbiamo cercato di costruire, di pensare questa idea (tra l’altro ha tante antiche ascendenze come abbiamo sentito) di una regione euro-adriatica e dentro essa l’idea per ciò che riguarda il mare, l’economia del mare, di un distretto dell’Adriatico. Una formula un po’ burocratica, di quelle che bisogna adoperare per costruire anche proposte, ma che significa l’idea di una regione che intanto sia una regione transfrontaliera, cioè che metta assieme le regioni adriatiche della nostra costa, della nostra parte di costa, e anche le regioni dell’altra parte dell’Adriatico, quindi le nuove regioni, i paesi che sono nati dalla ex Jugoslavia, quindi tutti quanti i paesi della costa Istriana e Dalmata, quindi Croazia, Slovenia fino alla piccola parte che c’è anche in territorio Serbo, per costruire insieme, in maniera appunto transfrontaliera, tra paesi che sono già Europa e paesi che debbono diventare Europa e ci auguriamo che diventino Europa, tante forme di collaborazione e di cooperazione, di convergenza anche per quello che riguarda l’economia del mare. Questa grande regione euro-adriatica è una realtà molto importante, pensate che soltanto facendo il conto di chi vive sulle due sponde adriatiche, quindi senza fare il calcolo della grande regione euro-adriatica, noi possiamo vedere che questa è una regione con quasi quaranta milioni di abitanti e che rappresenta il più grande distretto di economia del mare, di economia del turismo della nostra Europa. Regione euro-adriatica, distretto adriatico, distretto adriatico per provare anche a fare un’altra importante operazione, che è quella di costruire le condizioni di un’idea di economia del mare, nella quale fare contemporaneamente un’opera di conservazione delle migliori culture e tradizioni: la nostra piccola pesca costiera, per esempio, che è quella che consente di poter avere di fronte una qualità di tradizioni gastronomiche, di cultura del prodotto e che naturalmente vive nella misura in cui rimane possibile la pratica, il rinnovo di una pratica di un mestiere così antico. Contemporaneamente bisogna fare una operazione di innovazione, perché come il Prof. Piccinetti ci ha insegnato, bisogna saper coltivare questa grande risorsa che è il mare e non soltanto prenderne i frutti e i prodotti. Coltivare il mare è una cosa complicata, ma è una cosa possibile, bisogna allora praticare un’idea di pesca responsabile, di pesca sostenibile. Bisogna pensare a come ripopolare le specie, le faune, e bisogna ad esempio dar vita a zone protette, nelle quali creare possibilità di
popolamento delle specie, in maniera tale che questa grande risorsa che il mare ci consegna possa essere effettivamente riprodotta. Quindi tradizione, quindi innovazione e quindi poi anche incontro di pratiche ed esperienze diverse tra le due sponde dell’Adriatico.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Se posso azzardare una sintesi con un titolo, praticamente è un distretto che si basa sul pesce senza passaporto per contiguità con diversi confini. Però prima di andare avanti volevo chiedere una cosa a un amico che è qua in sala, che di professione è un dirigente della Presidenza del Consiglio che si occupa del riciclaggio, di beni mafiosi, come mestiere e in più si occupa di un osservatorio sulle questioni ambientali dell’Adriatico, in particolare in Puglia, che è il dott. Michele Marino. Ecco, abbiamo sempre parlato del Nord Est, parlaci un attimo di quelle che sono invece le problematiche della Puglia.
MICHELE MARINO:
Si, mi sento un po’ un pesce fuor d’acqua perché non so se parlare di storia o del futuro dell’Adriatico. Molto brevemente vorrei dire che esiste anche una storia minore, non una storia minima però, quella delle regioni dell’Adriatico meridionale. Ricordo al professore anche l’approdo di Enea a Porto Badisco
VALERIO MASSIMO MANFREDI:
C’è Diomede che muore alle Isole Tremiti, Diomede muore alle Isole Tremiti… e fonda una città, Salapia, nel Gargano.
MICHELE MARINO:Sono proprio le nostre spiagge.
VALERIO MASSIMO MANFREDI:
E probabilmente addirittura il Santuario di San Michele Arcangelo insiste su un vecchio culto dell’eroe Diomede, quindi…
MICHELE MARINO:
Non a caso apparve
VALERIO MASSIMO MANFREDI:
Il giro si chiude
MICHELE MARINO:
L’arcangelo Michele nel V secolo, voglio dire che non era un caso. Si, volevo soltanto sommessamente ricordare appunto che l’Adriatico è certamente i Dogi, Venezia, la repubblica marinara più importante, Trieste città mitteleuropea, ovviamente Rimini con la costa romagnola, famosissima nel mondo, ma c’è anche tutta la nostra costa, che sono circa 1000 km. Qui abbiamo il rappresentante della provincia di Foggia.
VALERIO MASSIMO MANFREDI:
Il mare è più profondo nello stretto di Valona…
MICHELE MARINO:
Ed è anche la costa che si avvicina di più a quelle transfrontaliere, nella terra d’Otranto appunto. Un invito a chi ama viaggiare e conoscere la storia: noi abbiamo per esempio degli itinerari religiosi, degli itinerari preistorici antichissimi, relativi al paleolitico superiore
di 11.000, 12.000 anni fa, sul Gargano. La nostra associazione nasceva nel ’76, aveva già nel suo DNA, grazie al prof. Marinelli, nativo del lago Trasimeno, di favorire la pesca nelle acque dolci, nel ’76 quando forse Lega Ambiente ancora non esisteva. Quindi l’altra medaglia della nostra associazione è quella di promuovere il turismo in maniera ecocompatibile ovviamente e quindi un invito a visitare appunto la nostra terra che rappresenta una storia minore ma non minima. Quindi l’idea è quella di salvaguardare l’ecosistema, ma purtroppo nelle nostre regioni meridionali…. Io vivo a Roma, però d’estate di solito vado in vacanza in Puglia o in Sardegna o in Sicilia e vedo che l’educazione ambientale evidentemente è una materia fondamentale da inserire nei programmi e nella formazione, per cui direi che è fondamentale oltre che promuovere i rapporti internazionali transfrontalieri nel bacino del Mediterraneo, anche quello che l’on. Tatarella ebbe l’intuizione di fare per primo nel ’95 a Bari, come assessore alla cultura per le politiche del mediterraneo. Ora la regione Puglia ha ripreso questa augusta tradizione in modo trasversale e appunto le associazioni culturali e ambientaliste di volontariato secondo me possono anche dare un notevole contributo, non soltanto per lo sviluppo di questi rapporti con i vicini dell’altra sponda, ma proprio per favorire una vera educazione ambientale, quindi per poter accogliere poi turismo anche internazionale. Noi abbiamo sul Gargano, già da oltre quarant’anni, turismo internazionale, che forse va regredendo come un po’ tutto il turismo nazionale per cui….
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Perché devono scappare, scusa? Prof. Piccinetti, il pesce nelle Puglie, sogliola a parte, è uguale come specie a quello del Nord?
CORRADO PICCINETTI:
Non è proprio uguale, perché il mare della Puglia ha una serie di caratteristiche che non sono le stesse del mare più a Nord, innanzitutto la profondità, tolto il golfo di Manfredonia. Però la sogliola ad esempio. Noi diciamo la sogliola dell’Adriatico. Beh di sogliole dell’Adriatico ne abbiamo due popolazioni, vuol dire due stock distinti, uno che si trova fino all’Abruzzo e una parte del Molise, che si riproduce fuori dell’Istria, un altro che si trova tutto nella parte bassa e si riproduce fuori le coste dell’Albania, che risale fino alle coste della Puglia, arriva al golfo di Manfredonia e si spinge ancora nell’Abruzzo e nel Molise. Quindi noi in Molise e in Abruzzo abbiamo due gruppi di sogliole, uno che viene da sud e che si riproduce di sotto e uno che si riproduce di sopra e che si rigirano con due giri immensi e ciascuno ritorna a riprodursi nella sua zona dove è nato. Questo ci crea una serie di problemi, anche a livello gestionale, perché se gli albanesi dovessero pescare tutte le sogliole che si riproducono nelle loro lagune, una parte della Puglia non avrebbe più le sogliole, mentre noi continueremmo in Adriatico ad averle, però, viceversa, se gli istriani si mangiassero tutte le loro sogliole grosse, avremmo dei problemi noi e non loro. Anche le sogliole mostrano che c’è questo interscambio.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Quindi il vallo di Adriano in questo caso si potrebbe riproporre nell’Adriatico…
CORRADO PICCINETTI:
Io normalmente vedo il mare come un elemento di continuità, perché la stessa acqua che risale, la stessa acqua che da noi scende lungo la costa nostra poi va a interessare la costa pugliese adriatica. Quindi a un certo momento non è che siano zone indipendenti, c’è una continuità insomma, ogni zona ha delle caratteristiche, ossia la Puglia assomiglia di più alla costa croata, perché ha una grande profondità, ma proprio questa grande profondità ad esempio adesso è diventata un elemento di congiunzione. Noi da alcuni anni
stiamo sviluppando nell’ambito di un programma di coordinamento fra tutti gli istituti di ricerca dell’adriatico, nell’ambito della Fao, uno studio coordinato della fossa del basso adriatico, che è l’unica zona in Adriatico che arriva a 1250 metri di profondità. Oltre 800 metri non ci ha mai pescato nessuno, non sa niente nessuno se ci sono dei pesci, uno può dire meravigliosi, può dire bruttissimi, perché sono tutti neri, con la coda lunga, che sembrano dei topi, cioè tutte le forme più strane, non sono commestibili, però ci sono anche i gamberi rossi, tanto per dire, quindi ci sono anche organismi interessanti. Perciò abbiamo detto, facciamo uno studio insieme e così nell’ambito di questo progetto internazionale abbiamo l’Albania, il Montenegro, la Croazia, la Slovenia, l’Italia che lavorano sulla stessa barca, fanno il programma, campionano gli organismi, li studiano insieme, perché è una zona dove abbiamo vietato lo sfruttamento della pesca. In quella zona prima si studia e studiamo insieme, perché deve essere l’inizio di una gestione comune e il basso Adriatico si presta, perché è una zona vergine in un certo senso, nessuno l’aveva toccata. Non si può fare la stessa cosa davanti a Chioggia o davanti a Cesenatico, perché evidentemente sono secoli che ci pescano, quindi ognuno c’ha tradizioni consolidate. Invece lì non c’è niente, allora cominciamo insieme. Però questo è il processo di collaborazione che dovrebbe essere sviluppato….
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Scusa, la storia dell’anguilla?
CORRADO PICCINETTI:
L’anguilla ha una storia meravigliosa. L’anguilla che noi abbiamo, non solo nella nostra regione ma più o meno in tutto il Mediterraneo, per un fenomeno stranissimo, pare che trovi la strada di Gibilterra, attraversi l’Atlantico e vada a riprodursi nel Mar dei Sargassi e lì muoia dopo la riproduzione. Lì nascono uova che sono deposte a circa 1000 metri di profondità, sono grosse, l’anguilla che c’è dentro, la larva, è bruttissima, sembra un pesce abissale, ha due dentoni lunghi così, è una cosa che non la riconosceresti come un’anguilla. Questa cresce lì, si sviluppa e poi da lì lentamente, in un percorso portato dalla corrente, non assomiglia ancora ad un’anguilla, arriva fino alle coste dell’Europa. Ci mette due anni e mezzo, tre anni e man mano che si allontana dal Mar dei Sargassi diventando un pochino più grossa, arriva alle foci dei nostri fiumi, risale, e in quel momento diventa quell’affarino grosso come un fiammifero, allungato, 7/8 cm, con un colore ancora trasparente, che incomincia a prendere la colorazione, e poi si accresce e resta lì, fino alla riproduzione, e va via cinque, sette anni dopo. Evidentemente questo è quello che si sa, ed è certo che succede così. Però rimane il dubbio. La ricerca è bella, la conoscenza è fondamentale, però la conoscenza è anche dubbio, oltre che certezza. Oggi io sono stato particolarmente contento di quest’incontro, perché ha messo a confronto due modi di conoscenza, due modi di vedere il problema. Il problema che ci ha esposto il professore, era un problema che io ho studiato come fenomeno culturale, come meravigliose storie di tutte le simbologie che ci potevano essere in certi tipi di culture, non l’ho visto come storia, perché la storia è documento, fatto, ricerca storica. Però è meraviglioso, perché questa è conoscenza lo stesso. E’ un’altra forma.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
E’ un’ermeneuta.
CORRADO PICCINETTI:
Per me conoscenza scientifica è toccare, provare, riprovare, riverificare. Nel caso dell’anguilla, abbiamo verificato che a 1000 metri, nel Mediterraneo, non si riproduca l’anguilla? No, perché a 1000 non c’è andato nessuno a vedere cosa ci sta, quindi bisogna andarci.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Scusa Corrado. Valerio ma, non ho capito bene se è l’anguilla che viene da lontano o se va lontano, comunque supera le colonne d’Ercole.
VALERIO MASSIMO MANFREDI:
Cioè va di là e poi torna indietro.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Ma le colonne d’Ercole dov’erano esattamente?
VALERIO MASSIMO MANFREDI:
Guarda qui tocchi un punto dolens, perché due tre settimane fa io ho fatto una piccola intervistina in Nuova Sardegna e sono stato attaccato violentemente da un altro signore che invece ha le sue idee sulle colonne d’Ercole, su Atlantide ecc. ecc. Allora diciamo che ci sono due ipotesi, una che le colonne d’Ercole ci fossero – beh le colonne d’Ercole lo sanno tutti, sono quelle di Gibilterra no, che rientrano poi nella Commedia di Dante ecc. ecc. – poi c’è una teoria che è stata prima enunciata da uno studioso calabrese, che si chiama Rosario Vieni, e poi da Sergio Frau, indipendentemente l’uno dall’altro, comunque i due sono abbastanza così un po’ nervosi uno con l’altro. Insomma ci sarebbe stata una specie di Colonne d’Ercole tra la Sicilia e la Tunisia, quando il mare era molto più basso e quindi le terre erano molto più vicine. Però, insomma questa situazione ci sarebbe stata 9.000 anni fa, ora io non vedo come poi si possa trasmettere attraverso 9.000 anni una memoria storica di questo. E questo inoltre in più fa presupporre che ci fosse una scarsissima conoscenza dell’Atlantico occidentale ancora nel IV secolo, il che è assolutamente non vero, non vero perché i fenici hanno fondato Cadice, la tradizione dice nel IX secolo, mettiamo pure che sia stato anche soltanto il VII, anche il VI, ma è una città grossa, importante, ed è sull’Atlantico, e noi sappiamo che c’era questa questo flusso dell’esplorazione fenicia che andava in Spagna non in Sardegna a importare argento. Pensate che fondevano le ancore in argento per ottimizzare il trasporto nel ritorno, non solo, ma noi abbiamo le prove fisiche della presenza fenicia lungo tutto il Mar d’Africa, fino a Gibilterra, durante il VI e anche il V secolo e sappiamo che a rimorchio di questa penetrazione fino a Gibilterra, fino appunto alle colonne d’Ercole, c’era anche la navigazione focese greca. Allora, alla fine le Colonne d’Ercole sono le colonne di Melcart, perché il dio fenicio Melcart, che era il dio di Cadice, era rappresentato con una pelle di leone. Ecco perché i greci pensavano che fosse Ercole, quindi le Colonne d’Ercole. Quando Alessandro arrivò a Tiro, chiese di poter sacrificare al suo antenato Ercole dentro la città, ma siccome la città era sopra un isolotto e loro erano molto diffidenti, gli dissero guarda che ce n’è uno anche in terra, puoi sacrificare lì nella città vecchia. Allora lui si arrabbiò moltissimo, disse voi dite così perché pensate di essere un’isola – questo vi dice chi era Alessandro, che pensava che essere un’isola fosse una roba opinabile.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Comunque le colonne d’Ercole non erano tra la Sicilia e la Calabria.
VALERIO MASSIMO MANFREDI:
Può darsi che ci sia stato un momento,
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
No quella è Scilla e Cariddi
VALERIO MASSIMO MANFREDI:
in cui tra Sicilia e Tunisia c’era un braccio di mare più stretto. Ancora adesso ci sono delle secche eccetera e di là c’era un controllo cartaginese, però questo non vuol dire che fosse un controllo ferreo, cioè voglio dire Marsiglia è di là da questa linea ed è una colonia greca.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Non era pero tra la Sicilia e la Calabria, forse tra la Sicilia e la Tunisia, quasi sicuramente nello stretto di Gibilterra, non erano comunque tra la Puglia e l’Albania.
VALERIO MASSIMO MANFREDI:
No, questo nella maniera più assoluta, nella maniera più assoluta. Poi diciamo che c’era una lunga tradizione di connessioni.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Però come distretti ci sono delle differenze. Non è vero Tasselli? Per cui la risposta in una chiave di lettura tra nord e sud, tra Venezia e Roma nell’antichità e il presente sta in un sviluppo della pesca, concentrato nel Mediterraneo, deciso a Bruxelles, è così? Vedi alla fine dai tempi antichi ai tempi moderni arriviamo di nuovo…
ALDO TASSELLI:
Abbiamo il regolamento Mediterraneo che ha individuato nel Mediterraneo tante sub aree. L’Italia ne ha sette, sette in cui c’è in effetti quello che dice il professore, che rispecchiano un po’ quello che si sta già facendo, quello che sta facendo la Fao, avendo individuato queste zone. Abbiamo la sub area 17 in cui c’è l’Emilia Romagna, che va dal Friuli fino al Molise; poi abbiamo l’area della Puglia che è la sub area 18. Poi abbiamo altre sub aree e praticamente, se verranno approvati i distretti di pesca, come adesso ha detto il nostro assessore Campagnoli, automaticamente noi avremmo l’Italia al centro del Mediterraneo con una governance sicuramente di indirizzo per la politica della pesca comune nel Mediterraneo dell’Unione Europea. La Liguria, la Toscana, già vorrebbero fare un distretto dove vanno ad attaccarsi praticamente alla Corsica e alla Francia. Le coste africane sono una via preferenziale per la migrazione del nostro paese che va verso Gibilterra, che va dalle altre parti, che va a riprodursi come le anguille nel mare dei Sargassi. Una delle zone più importanti della pesca sono le coste della Mauritania, dove venendo prelevate molte specie ittiche, si vengono a creare delle perdite notevoli di quantità e di prodotto anche nelle nostre zone del Mediterraneo. Ecco che allora una politica dei i distretti di pesca, una politica nuova come diceva anche Corrado Piccinetti, è necessaria. Bisogna rivedere il libro verde e bisogna anche rivedere la p.c.p., la politica comune del pesce nel Mediterraneo, per coinvolgere tutti i paesi in un discorso ambientale comune.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Grazie. Tasselli, è dirigente del settore pesca, mi rimane un’ultima brevissima domanda, poi faccio andare un servizio con cui introduciamo lo sposalizio del mare, che sia proficuo per tutti. Andrea Donati cosa troviamo sui tavoli del rinfresco adesso di tipicità? Andrea Donati è il presidente del Consorzio dei prodotti ittici dell’alto adriatico, con marchio di qualità messo a punto dai ricercatori e dal Centro di ricerche marine di Cesenatico, concesso dalla regione Emilia Romagna a tutte le imprese che stanno alle procedure del marchio stesso.
ANDREA DONATI:
Adesso troviamo dei prodotti veramente straordinari, pescati dalle nostre barche, dalla piccola marineria, a partire dal pesce azzurro, a partire dai moletti, dai naselli. Come il professore Piccinetti diceva, tutto il prodotto tipico delle nostre zone è un prodotto semplice, è prodotto che veramente è valorizzato dalla piccola mareria, proprio perché rispetta l’ambiente marino, proprio perché sono piccole imbarcazioni che pescano poche ore e di conseguenza non stressano il pescato e fanno sì che arrivino sulle tavole dei prodotti che sono freschissimi e veramente abbiano ancora il sapore del mare.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Quindi tipicità sul tavolo ma con innovazione, quindi ci avviciniamo a quello che abbiamo visto prima, perché io ero un po’ scandalizzato, il pesce mi piace crudo.
ANDREA DONATI:
Cerchiamo ancora di valorizzare quelle che sono le caratteristiche del nostro pesce e del nostro mare. Certo oggi le ricette moderne tante volte tendono a mescolare culture estere con il pesce tipico nostrano. Invece noi, con il consorzio, cerchiamo proprio di valorizzare il nostro pesce con ricette semplice e con un prodotto che è ancora naturale, proprio per far sentire il sapore del prodotto mediterraneo.
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Ti ringrazio, ora facciamo vedere un ultimo servizio per ritornare ai temi del Meeting: lo sposalizio del mare.
Filmato
STEFANO GIROTTI ZIROTTI:
Ecco, io credo che i miracoli al giorno di oggi non sono quelli di pane e pesce nella moltiplicazione, ma quelli di avere motivazione, credere in qualcosa, avere fede. Grazie.