LA STRADA DEL NUCLEARE SOSTENIBILE ITALIANO

In collaborazione con IPASS. Partecipano: Roberto Adinolfi, Amministratore Delegato Ansaldo Nucleare e membro della Governing Board della Piattaforma Tecnologica Nucleare Europea; Franco Battaglia, Docente di Chimica Ambientale all’Università degli Studi di Modena; Carlo Andrea Bollino, Docente di Economia Politica all’Università degli Studi di Perugia; Igino Chellini, Responsabile Studi di Fattibilità e Localizzazione Impianti Nucleari di Enel; Franco Cotana, Promotore della Piattaforma Tecnologica Nucleare Sostenibile Italia; Frantisek Pazdera, Vice Presidente della SNETP (Sustainable Nuclear Energy Tchnology Platform) Europea; Stefano Saglia, Sottosegretario di Stato al Ministro dello Sviluppo Economico. Introduce Silvio Bosetti, Direttore Generale Fondazione EnergyLab. Modera Paolo Togni, Presidente Associazione VIVA-per la diffusione di una corretta conoscenza ambientale.

 

PAOLO TOGNI:
Posso avere un attimo d’attenzione, per favore. Allora con pochi minuti di ritardo, meno di quelli canonici perché sono sette solamente, iniziamo questo incontro, questa tavola rotonda su “La strada del nucleare sostenibile in Italia”. E’ un problema, questo, della sostenibilità ambientale che viene molto dibattuto, probabilmente, con pochi fondamenti tecnico-scentifici. Comunque, oggi, ne parleremo meglio con i presenti partecipanti alla tavola rotonda. Voglio salutare in primo luogo l’onorevole Stefano Saglia, Sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico con Delega sui Problemi Energetici, quindi è l’uomo energia del sistema Italia. E ora non so con quanta gioia lui si carichi di questo compito, comunque, siccome è un esperto che al di là delle azioni politiche si è occupato di questi problemi, che io sappia, da almeno dieci anni ma probabilmente anche da prima, direi che forse non è la persona migliore in Italia ma, sicuramente, è nelle prime tre. Non sempre accade lo stesso con gli incarichi istituzionali. Ci fa l’introduzione l’ingegner Silvio Bosetti, che è direttore generale di EnergyLab, una fondazione fra regione Lombardia, università lombarde e fondazioni Edison e AEM ; poi avremo il professore Battaglia, Franco Battaglia, del quale molti di voi leggeranno le puntualizzazioni, ultimamente anche un po’ frutto di una polemica fuori di luogo, non da parte sua, ma da parte di quel signore professor Sartori il quale sta invecchiando male, perché man mano che passa il tempo va sempre peggio, dice sempre cose più sballate; il professor Bollino, invece, insegna economia politica all’Università di Perugia e non posso tacere il fatto che è stato per tre mandati al GSE cioè alla rete di distribuzione italiana, attraverso il quale l’energia prodotta viene smistata agli italiani; l’ingegner Chellini dell’ ENEL, è il responsabile per la scelta dei siti nucleari, altro problema abbastanza delicato; l’ingegner Adinolfi della Ansaldo Nucleare che è una delle poche, sicuramente la più grande, aziende che abbia mantenuto il possesso di una tecnologia a ingegneria nucleare, dopo lo sciagurato referendum a suo tempo proposto dai verdi; avremo poi il dott. Frantisek Pazdera, che è il Vice-Presidente della Piattaforma Tecnologica Nucleare Europea, un’ organizzazione che serve per fare viaggiare, raccordare le attività nucleari fra i paesi della comunità; e infine il professor Franco Cotana, che è ordinario all’Università di Perugia ed è il promotore della piattaforma tecnologica nucleare italiana che è in corso di avviamento. Io, riservandomi di fare qualche piccolo intervento in corso d’opera, pregherei Bosetti di fare la sua relazione.

SILVIO BOSETTI:
Buongiorno a tutti. Il mio scopo è quello di introdurre l’odierno incontro, cercando di farvi comprendere, con foto e diapositive, qual è lo scenario del settore dell’energia elettrica nel nostro paese, qual è il ruolo che l’energia nucleare potrà giocare in questo scenario. Pochi minuti, alcune informazioni:
1° il tema. Quali sono le fonti di energia elettrica nel mondo? Al di là dei colori che si vedono poco, nei diversi continenti del nostro pianeta c’è una diversificazione delle fonti dell’ energia elettrica abbastanza evidente. In particolare la Cina ha un uso dominante del carbone, così come è molto presente il carbone nei paesi del nord America, utilizzato in Europa, soprattutto in Germania al 30%. L’utilizzo del nucleare come fonte, a partire dagli anni ’60, lo vedremo dopo, ha differenti percentuali di presenza negli Stati Uniti e in Canada rappresenta il 20% dell’energia prodotta. Come si colloca l’Italia in questo scenario? Lo scenario italiano è ben diverso. È uno scenario che dipende, soprattutto, dalle fonti fossili. Non solo il carbone, che tra l’altro è in minima parte, ma l’olio e in particolar modo il gas naturale, che è uno dei combustibili più usati nelle nostre centrali. L’energia elettrica prodotta dal parco delle centrali in Italia non è sufficiente a coprire il fabbisogno del nostro paese. Tanto è vero che importiamo ad oggi circa il 15% dell’energia da altri paesi, in particolare dalla Francia. Se dal punto di vista dei combustibili è una situazione anomala, tuttavia il nostro paese è molto virtuoso sul tipo delle tecnologie utilizzate, quindi usiamo combustibili non forse totalmente appropriati, ma che vengono usati in maniera intelligente ed adeguata. Penso, in particolare, al rendimento delle cosiddette centrali a ciclo combinato. Cos’è una centrale nucleare? Non è molto differente nel suo complesso di sistema da una centrale termo-elettrica tradizionale. La differenza sta nella produzione del vapore che poi viene fatto espandere nelle turbine. Non abbiamo una caldaia, non abbiamo combustione, abbiamo un reattore che, utilizzando i principi dell’uranio – poi credo che qualcuno spiegherà meglio la fissione – è in grado di alimentare e produrre vapore, che poi vene fatto espandere nelle turbine secondo il ciclo, diciamo, delle turbine tradizionali, utilizzato anche in altre centrali. Quindi sostanzialmente la grossa differenza sta nella modalità con la quale produciamo il vapore nel così detto reattore, che è il cuore di tutto il sistema di una centrale elettro-nucleare. Come ricordava anche stamattina il ministro Scajola in un ben più ampio e interessante convegno sull’energia, nel mondo ad oggi sono funzionanti 439 impianti. 35 impianti, stamattina si diceva 40, sono in costruzione e un’altra novantina, 50 progettati e altri 40 ipotizzati, sono in fase di progettazione. Il 16% dell’energia elettrica prodotta nel 2007 nel mondo è di derivazione da impianti elettro-nucleari. Impianti che hanno anche dimensioni piuttosto significative. In questa immagine ce n’é una in Francia che è addirittura di 4000 megawatt. Per darvi un’indicazione, il fabbisogno in termini di potenza del nostro paese, poi magari il prof. Bollino sarà più preciso, è di poco inferiore a 60.000 megawatt elettrici. In Italia c’è stata sì una storia nel settore della produzione elettro-nucleare: come voi ben sapete fu Fermi il primo a sviluppare la possibilità, straordinaria, dello sviluppo della fissione elettro-nucleare. E nel maggio del 1963 entrò in funzione l’impianto di Latina, era il secondo in Europa, 200 megawatt elettrici. Ed allora era il maggior impianto nucleare in funzione in Europa. Seguirono, poi, negli anni ’60 e ’70 la centrale di Garigliano, Trino Vercellese e in fine, il ben noto, impianto di Corso che ebbe il nullaosta alla costruzione nel 1971 ed iniziò la produzione in rete nel maggio del 1978. In parallelo fu avviata la realizzazione dell’insediamento di Montalto di Castro, una centrale da ben 2000 megawatt, del quale non è stato raggiunto il completamente in seguito della decisione successiva di convertirlo a gas naturale. Come molti di voi sanno, non i più giovani che sono qui tra di noi, nel 1987 fummo chiamati a rispondere a tre referendum, dove non si chiedeva volete costruire centrali o volete che funzionino le centrali nucleari; dicevano, molto più semplicemente: può l’Italia continuare ad investire nella ricerca e nell’ innovazione del settore nucleare? I comuni che ospitano centrali nucleari devono continuare a ricevere sussidi in materia? L’ENEL, che era l’operatore di allora, non può produrre energia nucleare all’estero. Bene noi rispondemmo: no l’Italia non può. E altrettanto noto che le uniche cose che continuò a fare l’Italia furono queste: continuammo a produrre energia elettrica in Francia, con fonte nucleare in collaborazione con EDF, i comuni, mi risulta, di Caorso ed altri hanno continuato a ricevere alcuni sussidi, e un po’ di ricerca, dico io, abbiamo continuato a farla. E invece furono fermate le centrali funzionanti e si decise di non costruirne più, cosa che il referendum non chiese. Si parla oggi di terza generazione o terza generazione avanzata, c’è un discreto numero, si parla di 5 o 6 grandi imprese, di fornitori di tecnologia in grado di dare al mercato dell’energia elettrica impianti adeguati. Qui ne faccio vedere due, forse i più famosi in Europa in questo momento: uno costruito da una grande società francese, si chiama AREVA EPR e l’altra realizzata da WESTINGHOUSE. Una nota: come voi ben sapete, la tecnologia è proprio lo sviluppo che impara molto dall’esperienza e queste centrali di terza generazione sono esattamente lo sviluppo, come attenzione ai temi di sicurezza, del rispetto dell’ambiente, della funzionalità, dell’efficienza, che sono potuti essere stati realizzati in virtù dell’esperienza acquisita dai così detti impianti di seconda generazione e come qualcuno dice, sagaciamente, non ci potrà essere una quarta generazione, tra 40 anni, se non cominceremo a realizzare gli impianti di nuova tecnologia. Vado verso la fine, senza citare un passaggio straordinario del nostro paese, ovvero, nel febbraio marzo del 2008, quindi non più di un anno-18 mesi fa, nessuno nel nostro paese parlava ancora di energia nucleare. Bene, in meno di 12 mesi il nostro paese si è dato una struttura normativa in grado, eventualmente se investitori e se le norme lo consentiranno, di tornare a realizzare impianti nel settore nucleare. Lo scorso luglio è stata approvata la legge che ha un numero, il 99 del 23 luglio, che dà mandato al governo di delineare la così detta roadmap per tornare all’energia elettro-nucleare in Italia e cito alcuni temi, che, credo, nella nostra tavola rotonda verranno ripresi: la creazione dell’agenzia per la sicurezza nucleare, soggetto fondamentale per un paese che vuole dotarsi di impianti di questa natura, l’individuazione delle tecnologie che rispettano tutti i parametri di sicurezza ambientali, economicità e via discorrendo, il tema della determinazione delle procedure autorizzative, perché il paese possa tornare a realizzare e soprattutto ad esercire impianti come questi, la possibilità di creare dei consorzi tra imprese per realizzare e gestire questi impianti. Questa, nel nostro paese, qualora fosse percorsa, è una novità assoluta: sia consorzi tra più imprese produttrici, i cosiddetti consorzi orizzontali, come i consorzi verticali che mettono insieme produttori di energia elettrica con grandi consumatori di energia. Le compensazioni al territorio, tema fondamentale perché in un epoca in cui è facile dire di no a qualsiasi tipo di iniziativa delle infrastrutture, il rapporto con il territorio diventa delicato e importantissimo. C’è il tema, altrettanto noto, dello smaltimento delle scorie radioattive al termine del ciclo, delle barre di uranio, come quello del cosiddetto decomissioning, cioè tra 40 anni 60 anni, quando l’impianto terminerà il suo ciclo, cosa sarà di tutti gli impianti? Dove verranno smaltiti? Dove verranno portati? C’è un tema fondamentale, in questo Meeting ci sono moltissimi giovani ed è quello della divulgazione, della informazione. Ogni anno negli USA, dove si apprestano a realizzare tra i 6 e i 10 impianti, hanno bisogno di 500 persone all’anno tra le agenzie, le imprese, le università per seguire questi temi e quindi il tema della formazione. E poi, credo che interverranno anche oggi, c’è una grandissima possibilità e accennerò dopo anche per l’industrie nazionali. Qualche giornale inizia a parlare del Risiko industriale che ne nasce. Se, come dice il ministro, nel 2013 si porrà la prima pietra per gli impianti nucleari e si potrà avviare, qualcuno dice anche dal 2018/2019, in Italia il primo impianto nucleare ed oltre 10 impianti entro il 2030, come si aggregherà il mondo dell’impresa, dell’industria, della finanza? Avete letto, forse, lo scorso marzo, dell’accordo tra l’Italia e la Francia per favorire aggregazioni di competenze sia sulla ricerca che sull’industria su questo tema. Si preannuncia, forse, un accordo anche con gli USA, c’è stato un correlato accordo tra la maggior impresa italiana, l’ENEL, con direi il campione mondiale del settore nucleare che è francese, a queste sono associate, i così dette provider di tecnologie AREVA, WESTINGHOUSE ma anche i russi si stanno affacciando con tecnologie interessanti. Si parla di consorzi tra utilities e poi ci sono operatori stranieri già operanti in Europa che, dicono, è un mercato libero. Anche noi, qualora si ritornasse a produrre in Italia, vogliamo esserci. Tenete presente che la Germania non ha ancora detto che ritorna sul nucleare e la Spagna è ancora ferma e l’Inghilterra ha ripreso con un’altra forma, che è quella della privatizzazione delle proprie imprese. L’Italia da questo punto di vista è uno di quelli più virtuosi e innovativi del settore. Velocemente verso le conclusioni su alcuni fattori fondamentali: qual è l’opinione pubblica su questo tema? L’anno scorso ci fu un’inchiesta che chiese quali erano le tematiche su cui il nostro paese era più attento e, dopo i salari, le prospettive per il lavoro e le tasse, vennero le fonti di energia. Quindi è una tematica su cui l’opinione pubblica desidera e vuole essere informata e alla domanda, ritenete di saperne abbastanza sull’energia?, molti, il 70%, dicevano ancora poco. Esiste in Italia un adeguato di livello d’informazione e consenso? Anche qui più di 3 persone su 4 dicono che ne sanno ancora poco. Da qui l’importanza, che credo che cominci proprio qui dal Meeting, di un’attività di divulgazione e disseminazione corretta, intelligente e soprattutto vera. Dall’altro il sorprendente dato, veramente sorprendente, che l’anno scorso oltre il 50% dell’ opinione pubblica intervistata si dichiarava favorevole ad un ritorno del nostro paese all’industria dell’energia nucleare.
Un altro fattore fondamentale: quale ricaduta ci può essere sull’impatto occupazionale, finanziario e industriale per l’Italia? E’ qui un aspetto fondamentale, perché se è vero che il nostro paese è uscito dalla tecnologia elettronucleare, è altrettanto vero che nella realizzazione di un impianto, il contributo delle nostre competenze può essere significativo, non solo in termini finanziari, ma anche in termini industriali e di occupazione. In una indagine inglese, fatta recentemente da un istituto universitario su commissione della Confindustria nazionale inglese, è stato fatto vedere quanto dei cosiddetti fornitori provider di tecnologie, ingegneria, realizzazioni edili e di elettromeccaniche, possono fare in termini di economia su questo tema, arrivando anche a valori decisamente vicini al 70-80%. Se voi immaginate che un impianto elettronucleare, uno, può costare tra i 3 e i 4 miliardi di euro, potete immaginare quanta leva occupazionale e industriale il nucleare può mettere in moto già da subito. E finisco con la forza dell’esempio. Ho avuto la fortuna con alcuni docenti di università milanesi, l’anno scorso, di recarmi in Finlandia, primo tra i paesi occidentali, dal 2003, a rimettersi in moto nella realizzazione di impianti. Bene, in quest’isola, a Olkiluoto, a trecento chilometri da Helsinki, in un paesaggio che qualcuno dice bucolico, a fianco di due impianti realizzati nel 1970, sulla sinistra, si sta realizzando il primo impianto con tecnologia di terza generazione EPR, che verrà messo in funzione tra due anni. La forza dell’esempio per noi è sempre significativa, ed è sicuramente un episodio a cui guardare, da cui imparare; sono stati scoperti e ribaditi alcuni aspetti legati alla complessità e, in generale, alla difficoltà di percorrere impianti come questi: lì stanno lavorando contemporaneamente – in quel cantiere – oltre tremila persone, e quindi la possibilità non solo di percorrere, ma di realizzare concretamente anche nel nostro Paese centrali nucleari. Grazie per l’attenzione.

PAOLO TOGNI:
Silvio Borsetti ha toccato una serie di argomenti che poi saranno sviscerati nel prosieguo dell’incontro. Io volevo soffermare l’attenzione su due punti, poi il resto lo vedremo: il problema dell’impatto ambientale degli impianti di produzione elettrica da energia nucleare e il problema dell’impatto psicologico nei confronti delle popolazioni interessate da questi discorsi. Lo dico solo per ricordo, poi torneremo sull’argomento. Allora, l’on. Saglia credo che ci voglia dire qualcosa sulla posizione del Governo.

STEFANO SAGLIA:
Grazie per questa opportunità. Questa mattina abbiamo ascoltato anche il mio ministro, il nostro ministro Scajola, nel riprendere alcuni dei temi che oggi andiamo ad approfondire. Ci dobbiamo abituare a questo tipo di platea e a questo tipo di conversazioni, perché il primo requisito, che coloro che ritengono che il nucleare debba riprendere la sua attività nel nostro Paese, è certamente quello della comunicazione. Noi scontiamo molti anni di omessa comunicazione, di mancanza di informazioni, in alcuni casi di distorsione delle informazioni. Noi dobbiamo avere il coraggio, e il Governo lo ha avuto sino ad oggi, di dire agli italiani cosa è meglio per loro. Questa estate, stando sotto l’ombrellone – ci si riposa, ma si legge anche qualcosa, si riesce magari a leggere quei dossier o quei libri che durante l’anno, per vari motivi, non si è riusciti a sfogliare – a me è capitato di leggere un libro che si intitola Predatori dell’oro nero e della finanza globale. Un libro di Benito Livigni, che è un ex dirigente, un importante dirigente dell’ENI, che, per tanti libri che ho letto sull’argomento, debbo dire dà uno spaccato di quello che sono gli equilibri geopolitici internazionali nel campo dell’energia davvero inquietante. Se noi fissiamo già subito questo argomento, che dovrebbe essere un argomento che ci preoccupa, soprattutto per le future generazioni, cioè qual è la connessione della crisi economica, della finanza selvaggia, del mercato sempre comunque e a tutti i costi e anche dei conflitti che nascono tra le popolazioni, ci rendiamo conto quanto sia importante l’approvvigionamento delle materie prime e quanto sia importante – sempre di più – il tema dell’energia. Faccio questo riferimento perché il primo requisito al quale il Governo ha cercato di rispondere, dicendo al Paese che noi abbiamo intenzione di riprendere la produzione di energia elettrica dal nucleare, è il tema della sicurezza e dell’autonomia del nostro Paese. Leggendo quel libro, ci si rende conto come mai accadono certe cose in Darfur, perché l’Africa sta diventando la meta dei predatori globali, in particolare dei cinesi; cosa accade in Nigeria; cosa accade in tutta l’Africa occidentale; cosa accade cioè in quei paesi dove ci sono guerre sanguinose e dove il principale obbiettivo è quello dell’accaparramento delle materie prime e l’approvvigionamento delle fonti energetiche. Questo non può essere un tema rispetto al quale mettere la testa sotto la sabbia. Nel fare politica non ci si occupa solo dell’amministrazione del proprio condominio, ma ci si preoccupa anche di cosa accadrà alle future generazioni, di cosa accade all’Italia dal punto di vista internazionale, di quale deve essere la preoccupazione di una classe politica che vuole dare un futuro al suo popolo, e allora il tema della sicurezza energetica diventa importante, perché se si resta dipendenti in larga parte dai combustibili fossili, quello a cui facevo riferimento prima, cioè i conflitti internazionali, il tentativo di accaparrarsi le fonti di approvvigionamento sarà un fenomeno sempre più pesante nel mondo e se l’Italia dipenderà esclusivamente dalle fonti fossili, dal petrolio, dal carbone, dagli idrocarburi in generale, sarà meno libera. E questo è il secondo concetto. Cioè avere una autonomia, una indipendenza energetica, anche parziale, perché ovviamente non possiamo pensare di sostituire un secolo di approvvigionamento energetico in pochi mesi, è la condizione per essere più sicuri e anche più liberi, quindi c’è una connessione tra questa scelta e la libertà, che è il tema dominante sempre del Meeting, che ci deve far rispondere sì all’opzione nucleare. Perché? Anche il nucleare, ovviamente, ha bisogno dell’uranio per poter esplicare la sua potenza e la sua generazione energetica. Però oggi nel mondo, innanzitutto, i paesi detentori di questa fonte sono numerosi, non vi è un prezzo dell’uranio che è determinato, come accade per il petrolio, da fluttuazioni internazionali così sensibili, come è attualmente, e soprattutto l’approvvigionamento di questa fonte è molto contenuto, perché il combustibile che si utilizza per alimentare una centrale nucleare è infinitamente inferiore di un combustibile che può essere il carbone o può essere il petrolio o può essere il gas che ci serve per fare energia. Allora, quindi, sicurezza: dobbiamo dare sicurezza al nostro Paese e non renderlo ricattabile esclusivamente dai Paesi produttori di gas, di petrolio, di idrocarburi; lo dobbiamo rendere più libero, quindi dobbiamo fare in modo che il nostro Paese possa produrre sul proprio territorio l’energia di cui ha bisogno, obbiettivo anche questo a lunghissimo termine, però certamente, non possiamo continuare a dipendere per l’85-86% dalle fonti estere; avere una energia stabile e meno costosa, e anche qui bisognerebbe aprire una parentesi. Colori che ritengono che sia sbagliata l’opzione nucleare dicono che il nucleare costa molto. In realtà il nucleare costa molto meno delle altre modalità di produzione energetica, per una semplice ragione, che gli impianti di energia nucleare durano in esercizio dai 40 ai 60 anni. Questo, ovviamente comporta un ammortamento dei costi, anche dello smantellamento finale della centrale, che sono molto più contenuti di qualsiasi altra tecnologia.
Infine, l’altro argomento che ha fatto forza sul Governo per assumere questa scelta, è il tema della ripresa industriale. Il nucleare porta con sé, non solo dal punto di vista della ricerca, ma anche nell’impiego dei materiali e nell’attività delle imprese (e dirò dopo, rispetto anche alla scelta che faremo per quanto riguarda le imprese che dovranno accompagnare il Paese in questa avventura) dà una formidabile possibilità di ricostruire una filiera industriale che può creare occupazione e soprattutto occupazione stabile e occupazione a fronte di sistemi industriali complessi e significativi, nei quali continuiamo ad esserci, perché le imprese italiane ci sono. Hanno ovviamente bisogno di giocare una partita importante che evidentemente è il progetto nucleare italiano.
Infine, la questione forse più importante di tutte queste è proprio la questione ambientale. Cioè, se noi riteniamo – e qui il professor Battaglia potrebbe buttarmi giù dal tavolo immediatamente… ma facciamo finta che abbiano ragione coloro che sono i sostenitori delle tesi dell’IPPC, cioè di quell’organismo internazionale che stabilisce che è l’attività antropica dell’uomo, cioè le emissioni in atmosfera, che determina i cambiamenti climatici – non entro nel merito della discussione se è vero o non è vero questo concetto, ma se il mondo va in questa direzione, per questa scelta è giocoforza riprendere l’opzione nucleare, nella misura in cui il nucleare non ha emissioni in atmosfera, e quindi è una energia assolutamente pulita.
Tutto questo per dire che riprendere il nucleare in Italia, secondo noi, è una scelta responsabile, e lo è di una classe dirigente che non guarda ai risultati di domani, perché sappiamo perfettamente che questo è un progetto a lungo termine, ma è un progetto di responsabilità che una classe dirigente fa nei confronti della sua popolazione, dando proprio una opzione per il futuro. Il nucleare non è il passato. Il nucleare è il futuro ed è fondamentale proprio per le condizioni nelle quali oggi sta il mondo, nel momento in cui la contesa per l’accaparramento delle materie prime è arrivata a questi livelli. Guardate che questo è un argomento di oggi, non è un argomento fra dieci anni, perché il picco della produzione petrolifera (c’è chi lo teorizza al 2030, c’è chi lo teorizza al 2040) comunque sarà raggiunto, così come il tema delle attuali strategie geopolitiche – basti pensare che cosa sta facendo la Russia in questi anni, che cosa fa la Libia, cosa fanno, ancora, i paesi del Golfo Persico, quali sono gli equilibri mondiali – non prevedere che ci possano essere dei problemi giganteschi di fronte al nostro futuro, sarebbe una scelta irresponsabile da parte di una classe politica. Allora, per queste ragioni, abbiamo deciso di proporre al Parlamento non un decreto, ma una legge, con alcune deleghe legislative, che ha trascorso più di un anno in Parlamento, quindi è stata oggetto anche di emendamenti, modifiche, riflessioni e quant’altro. Questa legge è entrata in vigore proprio il giorno di Ferragosto, e da qui partono i tre mesi, in alcuni casi sei mesi, per l’emanazione dei decreti che, come diceva giustamente prima il professor Bosetti, partono da un soggetto fondamentale che è l’Agenzia per la Sicurezza Nucleare. Dato che siamo un Paese responsabile, intendiamo avviare questo progetto ovviamente secondo gli standard dei paesi occidentali, dei paesi che hanno sviluppato questa tecnologia e lo facciamo con il presidio di una Agenzia terza e indipendente, indipendente anche dal Governo, che deve vigilare non solo sul funzionamento delle future centrali, ma vigilare sistematicamente sull’intero iter di costruzione delle nuove centrali. Guardate quello che è accaduto in Francia, a Flamamville, dove c’è stato un anno di ritardi, non come qualcuno scrive perché l’impresa ha avuto delle difficoltà, ma perché l’Agenzia aveva ritenuto che la costruzione del contenitore del combustibile non fosse secondo i criteri da loro stabiliti e quindi ha bloccato il cantiere. Stessa cosa accade in Finlandia, cioè una cosa estremamente seria che vigila sulla sicurezza. E, anche qui, andare a vedere un cantiere di questo tipo, è una esperienza molto affascinante, perché ci si rende conto, al di là della mole di lavoro che mobilita questo intervento: a regime sono 5.000 persone che lavorano nel cantiere per la realizzazione della centrale e poi lavorano 500 persone molto qualificate per il suo funzionamento.
Ma pensare che il contenitore all’interno del quale vi sarà il combustibile avrà delle pareti in cemento armato che sono due strati di cemento armato dello spessore di oltre due metri e mezzo l’uno, e che, dopo i parametri di sicurezza imposti dalla vicenda dell’11 settembre, è in grado di sopportare anche l’esplosione di un Boeing 747 che ci finisse dentro, capite bene che è una iniziativa non solo sicura, ma complessa nella sua realizzazione. Noi siamo convinti, quindi, di dare attraverso questa tecnologia, una tecnologia sicura, perché se oggi andiamo a vedere, come detto prima, oltre quattrocento reattori in funzione nel mondo – e sono reattori in funzione da trenta, da venti, alcuni da quaranta anni, l’esercizio di una centrale nucleare può addirittura, secondo alcuni, arrivare anche a sessanta anni – è una attività che ha visto, nella storia del nucleare alcuni incidenti irrilevanti, ma che è bene ricordare, perché noi ricordiamo la tragedia di Chernobyl, come è accaduto, per esempio a Three Mile Island, dove non c’è stata nessuna vittima; c’è stata una fuoriuscita del combustibile, è stata gestita e non vi è a tutt’oggi nessun riscontro né di malattie successive a questo incidente, né di difficoltà per la popolazione. Perché, poi, come tutti gli impianti industriali, il problema è come lo si gestisce e quali sono i sistemi di sicurezza. La vicenda di Chernobyl non può essere vissuta come una vicenda emblematica della questione nucleare, perché se voi pensate a quel contenitore che vi dicevo prima, che è gigantesco e che contiene il combustibile, a Chernobyl era poco più di un impianto industriale, che non aveva queste capacità di contenimento. Ma, detto tutto questo, perché noi siamo convinti di questa scelta? Ne siamo convinti perché noi abbiamo alcuni obblighi da un punto di vista internazionale che dobbiamo rispettare. Per rispettare questi obblighi, noi pensiamo che la nostra strategia energetica debba, da un lato, ridurre la presenza di idrocarburi, da un altro, puntare soprattutto sul nucleare e sulle fonti rinnovabili. Anche qui, troppo spesso, questi due elementi sono vissuti come contrastanti, ma essendo entrambi tecnologie che consentono di produrre energia senza emissioni in atmosfera, sono strettamente complementari e le politiche ambientali dei paesi sviluppati puntano su queste tecnologie, e anche l’amministrazione statunitense, che io spero davvero porti a uno sviluppo in tutto il mondo delle fonti rinnovabili, come peraltro in Italia noi stiamo facendo – e stiamo facendo più e meglio di altri paesi; perché, poi, quando si dice che siamo in ritardo, non è vero, perché noi abbiamo nel settore del solare, per esempio, un aumento esponenziale di questo tipo di investimento, nel settore delle fonti rinnovabili. Per dire che le due cose sono strettamente correlate, perché entrambe ci consentono di ridurre quello che, a detta della maggior parte della comunità scientifica, è un problema, che è quello appunto delle emissioni di CO2 nell’atmosfera. Fermo restando che poi siamo anche leader nel mondo sul sequestro, la cattura e lo stoccaggio della CO2.
Quindi, per concludere, noi cosa faremo? Adotteremo questi decreti. Naturalmente quello più delicato, che appare a tutti più delicato, anche se non lo è da un punto di vista ovviamente scientifico e tecnologico, è il problema della localizzazione degli impianti. Noi faremo una mappa del nostro Paese, stabiliremo quali sono le aree nelle quali è consigliabile non installare un impianto, una centrale nucleare, lasciando poi alle imprese la libertà di proporre al Governo soluzioni localizzate in quella aree che, invece, riteniamo che possano ospitare una centrale nucleare. C’è il problema del pregresso. Su questo abbiamo rinnovato i vertici della SOGIN, che è la società che si occupa del decomissioning del vecchio nucleare; chiederemo all’ANSALDO di allargare le sue spalle, perché noi abbiamo un soggetto che si chiama ANSALDO ENERGIA che in Italia ha mantenuto queste competenze nel settore del nucleare, le ha sviluppate facendo impianti all’estero, lavorando in Romania, lavorando in alcuni paesi, con alcune tecnologie. Noi non pensiamo che ci debba essere l’ esclusiva di una tecnologia. L’esperienza francese e l’accordo ENEL ed EDF è un accordo molto importante e sarà sicuramente protagonista del rinascimento italiano nucleare, ma non sarà l’unico, perché noi vorremmo avere in Italia anche una pluralità di scelte e di operatori, e anche laddove abbiamo individuato un modello consortile, a che cosa abbiamo pensato? Abbiamo pensato al modello finlandese, cioè al modello nel quale operatori nazionali col consumatore, coi grandi consumatori industriali, possano insieme collaborare per produrre energia per sé e per la popolazione.
Per quanto riguarda la localizzazione, bisogna costruire una grande strategia per la raccolta del consenso. Non per dire che è tutto facile, è tutto semplice, ma per fare come fanno altri paesi (addirittura, in Francia, c’è una commissione per il dibattito pubblico, che costruisce il dibattito sul territorio; è una istituzione, è gestita direttamente dallo stato) per andare a spiegare quali sono i benefici e quali possono essere le negatività di una scelta di questo tipo. Rendendo consapevole tutto il paese e rendendo consapevoli anche quelle popolazioni che, qualora decidessero di non ostacolare la realizzazione di un impianto di questo tipo, impianti di questo tipo sono un volano di investimenti enorme per i territori che li ospitano, non solo per le compensazioni economiche che ricevono, ma anche perché diventano poi sede di centri studi, centri di ricerca e creano lavoro. Noi, su questo, siamo impegnati: costruire una filiera industriale nel nostro paese. Io penso ad alcune imprese che ci sono in Italia, che lavorano all’estero, che sono bravissime a fare le turbine, che sono bravissime a fare gli impianti tradizionali, che possono tranquillamente ritornate in questo settore. Quindi, io credo, senza falsi entusiasmi, che il progetto nucleare italiano possa ripartire, che ci siano tutti i presupposti per farlo; l’importante è che lo si affronti da un punto di vista non ideologico, ma da un punto di vista pragmatico e realistico, secondo quelli che sono i principi che ho detto all’inizio. Grazie.

PAOLO TOGNI:
Grazie, Stefano, credo che sia stata molto chiara la tua esposizione. Io credo che noi dobbiamo capire bene che libertà, regole e controlli o stanno tutti insieme oppure non funzionano. Capisco che è una affermazione sintetica e apodittica, però ragioniamoci un pochino. Ora non c’è tempo per sviscerare questo discorso, ma libertà, mercato, regole e controlli sono i quattro pilastri sui quali si può reggere anche il discorso del nucleare, oltre che tutti quelli che riguardano la nostra vita associata. Franco Battaglia ve l’ho presentato prima. Quando Saglia ha parlato del picco della produzione di petrolio, abbiamo verificato che, in un discorso fatto durante la colazione, ha adottato proprio quest’argomento. Franco, per favore, dieci minuti precisi perché il tempo è davvero corto.

FRANCO BATTAGLIA:
Sì. Grazie. Allora, è stata già illustrata la ripartizione dell’uso dell’energia che fa l’umanità, oltre l’80% di combustibili fossili, noi dobbiamo essere consapevoli che la nostra civiltà è fondata sulla disponibilità di energia, abbondante ed economica. Se questo non c’è, la nostra civiltà è destinata a morire. Non c’è nessun problema, perché sono decadute le civiltà degli Aztechi, dei Greci, dei Romani, quindi probabilmente anche la nostra… Nel 1956, il geofisico Hubbert ha fatto una previsione che era basata sullo studio delle prospettive della disponibilità di petrolio negli Stati Uniti e anche del mondo, a livello mondiale, utilizzando come dati la produzione pregressa. Disse: “Il picco di massima produzione del petrolio negli Stati Uniti avverrà tra il 1966 e il 1971”. Questo picco avvenne nel 1970, e da allora ad oggi, la produzione americana di petrolio è la metà di quella di allora e i giacimenti in Alaska che sono stati scoperti successivamente all’analisi di Hubbert non hanno spostato l’anno del picco. Ciò che è importante, nella curva di Hubbert, non è tanto quando finisce il petrolio, cioè la coda della curva a destra, ma è da quando si ha il picco: da quel momento in poi, la produzione sarà inferiore alla domanda. In questo grafico, voi vedete con i puntini la produzione pregressa; la curva rossa indica l’analisi fatta alla Hubbert – è stata fatta nel 1999 – sulla produzione di petrolio di 42 stati, che comprendono il 98% della produzione mondiale di petrolio. Noi siamo seduti sul picco di petrolio, quindi il picco di Hubbert non si avrà tra 15 o 30 anni, per il fatto che è irrilevante sapere se ci siamo seduti oggi o se ci saremo seduti tra 30 anni. O meglio, se sappiamo che ci saremo seduti tra 30 anni, oggi abbiamo l’opportunità di agire, se ci siamo seduti oggi, siamo già in ritardo. Questa analisi indicata dalla curva rossa è in perfetta sintonia con un’analisi della BP, che stima a 2,2 trilioni di barili di petrolio la quantità totale di petrolio disponibile, che sarebbe l’area della curva. Bene, siccome già ne abbiamo consumata la metà, di conseguenza, questa analisi è in perfetta sintonia con l’analisi della BP. Supponiamo che la quantità di petrolio disponibile non è di 2 trilioni di barili, ma di 3 trilioni di barili: ecco la curva è quella di Hubbert e il picco si sposta di 15 anni. Ogni miliardo di barili che si scoprono in più, sposta il picco di Hubbert di cinque giorni. Quindi, signori, il problema dell’umanità non è il riscaldamento globale, come ci vengono a raccontare. E’ una frottola che io posso dimostrare: l’uomo non c’entra col riscaldamento globale (non abbiamo tempo, e quindi lasciamo perdere). Il nostro problema è questa curva. In realtà io dico una cosa, che il picco del petrolio noi l’abbiamo superato già da vent’anni, anzi da trent’anni, perché se si va a riportare, non la curva di Hubbert, ma si va a riportare in grafico la produzione di petrolio divisa per il numero degli abitanti della terra, la curva che si ottiene è questa: come vedete, si ha un massimo di produzione di petrolio per abitante della terra nel 1980. Questo cosa significa? Che dal 1980, il pianeta produce più esseri umani, li produce in modo più veloce, di quanto non produca il petrolio.
Le conseguenze di natura politica e militare, le lascio trattare ad altri. A voi le lascio soltanto immaginare. Questa curva è quella che le generazioni future, probabilmente prenderanno (questa è la curva di Hubbert fatta in una spanna di circa 4.000 anni). Quindi questo possiamo dire, che è il simbolo con cui le generazioni future indicheranno la nostra civiltà. Di questo dobbiamo essere molto consapevoli, perché siamo seduti sul picco di massima produzione del petrolio. Cosa possiamo fare? Ecco, qui ci sono tutta una serie di illusioni che ci vengono raccontate. L’illusione dell’energia dal sole, l’illusione dell’accumulo, dell’economia a idrogeno, l’illusione da risparmio energetico, dell’efficienza energetica, della creazione di posti di lavoro. Ci raccontano tutte queste frottole che non servono minimamente a toccare il nostro problema principe, che è la curva di Hubbert. Sull’illusione dell’energia da sole, io ho scritto questo libretto (chi è interessato se lo può procurare; io non ho tempo per esplorare nei dettagli la questione, tuttavia dirò soltanto alcune cose). Il nostro Paese ha bisogno di 40 gigawatt elettrici, 40! Per produrre uno di questi 40 abbiamo varie opzioni: possiamo mettere un reattore nucleare, un impianto a gas che abbiamo detto costa un miliardo, un impianto a carbone, che costa due miliardi (un reattore nucleare costa tre miliardi), oppure possiamo mettere 6.000 turbine eoliche che hanno un impegno economico di sei miliardi, oppure impianti fotovoltaici per sessanta miliardi. Queste sono le cifre, quindi, quando qualcuno dice che il nucleare è costoso e lo dicono quelli che promuovono il fotovoltaico, cosa bisognerebbe rispondere? State attenti, che però non è questo il problema delle fonti solari, non è questo il problema dell’energia fotovoltaica o eolica. Il problema è ben altro; è un problema tecnico. Il problema tecnico è il seguente. Quando il sole non brilla o il vento non soffia, questi impianti contano zero. Quindi, se il nostro Paese ha bisogno – il consumo italiano è di 40 gigawatt; in certi momenti il Paese assorbe anche 55 gigawatt – di erogare energia, di produrre energia alla potenza di 50 o 60 gigawatt, quando il vento non soffia o il sole non brilla, questi impianti contano per zero. Questo è importante. Quindi quando noi ci siamo svenati, abbiamo speso sessanta miliardi per avere una produzione elettrica di 1 gigawatt all’anno, possiamo dire: chiudiamo un impianto a carbone, a gas, o nucleare? No che non possiamo dirlo, perché abbiamo bisogno di impianti convenzionali che eroghino energia nel momento in cui il sole non brilla, e lo stesso per quelli eolici quando il vento non soffia.
Sul risparmio energetico… Efficienza energetica: è un’ottima cosa, ma state attenti che quando noi aumentiamo l’efficienza o di produzione o di consumo di energia, il risultato inevitabile sarà che di energia se ne consuma di più, e così con ogni bene. Stamattina si ricordava che noi facciamo bene: certamente l’efficienza è un’ottima cosa. Il rapporto tra consumo di energia e prodotto interno lordo sta diminuendo negli anni, nei paesi occidentali, al ritmo dell’1,7% annuo, ma il consumo di energia aumenta al ritmo quasi doppio. Come mai, malgrado l’efficienza? Appunto, aumentare l’efficienza di disponibilità di un bene fa consumare di più di quel bene, quindi non risolve quel problema che avevamo, che è la curva di Hubbert. Abbiamo una via d’uscita? Questa è il nucleare. Su questo ho scritto un libretto che è uscito la scorsa settimana (credo che sia disponibile fuori da questa sala). Esiste un modo di produrre energia in modo razionale? Il modo c’è innanzitutto, regola n°1, chiudere con ogni impegno economico su fotovoltaico ed eolico. Questo è importante, perché avete visto qual è l’economia coinvolta in quegli impianti, quindi costosissimi, zero come potenza. Poi noi abbiamo disponibilità di nucleare, carbone e gas: queste sono le curve di carico, cioè quanta potenza assorbe il nostro paese. Come vedete ci sono delle ore della giornata, delle 24 ore in cui il nostro paese assorbe 30-35 gigawatt, quindi noi dobbiamo garantire quelli, soprattutto di notte, quindi chiaramente di notte per esempio il fotovoltaico non può funzionare. Qual è allora la tecnologia che meglio soddisfa il carico di base? È la tecnologia nucleare, quindi ci vorrebbero almeno non 25, non 20 reattori nucleari, dovremmo avere almeno il 50% dell’energia elettrica prodotta da nucleare. Se la potenza installata fosse un po’ di più, sarebbe ancora meglio, perché le eccedenze di produzione potrebbero essere utilizzate per pompare acqua nei bacini idroelettrici ed utilizzare i bacini idroelettrici per soddisfare le richieste di picco nelle ore e nelle giornate in cui si ha la massima richiesta di energia elettrica. Quindi il mix razionale dovrebbe essere nucleare per la richiesta di base, carbone per la richiesta superiore a quella di base, ma sempre nella norma, il gas soltanto per le richieste di picco. Il gas è un bene prezioso, costosissimo. Noi siamo al 50% in Italia, al 50% di produzione di energia elettrica da gas, un modo razionale vorrebbe il 5-10%, non di più. Questo è quello che si fa nel resto del mondo: la Francia ha il 5%, la Germania il 10%, l’Europa è al 20%, noi siamo oltre il 50%. Quindi nucleare per la base, carbone per la norma sopra la base, gas per le richieste di picco o ancora meglio l’idroelettrico per le richieste di picco, cioè aumentare il carico di nucleare, utilizzare il nucleare per pompare acqua nei bacini e utilizzare l’acqua dai bacini per soddisfare la richiesta…

PAOLO TOGNI:
Franco, chiedo scusa, siamo già usciti dai tempi…

FRANCO BATTAGLIA:
Ho finito, faccio solo vedere la localizzazione dei reattori nucleare nel mondo, faccio vedere la localizzazione dei reattori nucleari in Italia, i quattro pallini rossi in Europa, come si fa la gestione delle scorie radioattive, dove sono i depositi. Si dice il problema delle scorie radioattive è un problema non risolto. È una panzana, non è vero. È un problema di ingegneria elementare, perfettamente risolto. Si è detto, si è parlato poco fa di tragedia di Chernobyl… Io vi posso dimostrare, Chernobyl è stata una tragedia è indubbio, ma ci viene raccontata con panzane; il numero di decessi, il numero di morti tra la popolazione civile che ha fatto l’incidente di Chernobyl è pari a zero, non c’è nessun decesso tra la popolazione civile in conseguenza dell’incidente di Chernobyl. Purtroppo il mio tempo è scaduto.

PAOLO TOGNI:
Grazie Franco. Sono stati toccati in questo intervento una serie di problemi che attengono pure ai profili economici e finanziari di questa cosa. Carlo Bollino, come bravo economista, ci può spiegare ancora qualche cosa. Grazie. Scusami, scusami Carlo, dieci minuti.

CARLO ANDREA BOLLINO:
E’ indubbio che il tema sia importante, vorrei approfondire pochissimi ragionamenti di carattere economico e sono ragionamenti che farò usando le dita a memoria insieme a voi, quindi senza la dimostrazione di tavole e tabelle con grafici complessi, perché io penso, e l’ha detto molto bene il Sottosegretario Saglia all’inizio di questa nostra conversazione, io penso che i cittadini debbano avvicinarsi alla conoscenza, ma devono essere anche in grado di percepire fino in fondo in modo sia razionale che intuitivo, quindi con la pancia e con il cervello, quello che gli viene detto dalla politica, perché sennò rimangono discorsi calati dall’alto. Noi economisti abbiamo una teoria su questo che si chiama asimmetria formativa, invece per parlare semplice io voglio dire semplicemente questo: se noi andiamo dal panettiere, tutti noi sappiamo valutare la qualità del pane che il panettiere ci vende, la differenza d’informazione tra noi e il panettiere non c’è perché siamo capaci di stare alla pari. Purtroppo certe volte quando noi andiamo da un medico che blatera parole incomprensibili non sappiamo che pesci pigliare per quello che riguarda la nostra salute, questa è l’essenza di quello che la teoria economica chiama asimmetria informativa: uno ne sa più dell’altro. Allora io voglio cercare oggi di fare in modo che su questo tema del nucleare, invece di proporvi grafici e curve, si possa ragionare in maniera semplice per quello che sappiamo e su cui tutti noi possiamo documentarci. Allora la prima cosa da sapere è che l’analisi che possiamo fare ci dà vantaggi e svantaggi. Gli svantaggi sono che non ci sono posti serra per il nucleare, c’è la sicurezza degli approvvigionamenti, il prezzo dell’uranio è piuttosto contenuto, la base delle risorse e dell’utilizzo del territorio e poi lo dirò fra poco. è piuttosto ampia, tra gli svantaggi ovviamente c’è la paura che un domani possano aumentare i costi, possano dilatarsi i tempi, cosa ne faremo di questi oggetti oscuri, cioè c’è il problema dello smantellamento, del decomissioning, chi paga, chi paga questi grossi impianti? E’ sempre pantalone cioè il popolo che poi alla fine viene chiamato a pagare? Qual è la sicurezza di questi impianti, sia durante il funzionamento normale, e sia naturalmente nel momento di possibilità di gravi incidenti. Questo è il doppio aspetto della sicurezza che avvisto. Allora, poco fa, Saglia ha parlato, ricordate e io declino quello che lui ha appena detto, che l’uranio viene da paesi diversi da quelli da cui prendiamo il petrolio. Allora facciamo questa semplice analisi: un terzo del petrolio nel mondo viene dall’Opec, cioè dai paesi arabi, salvo qualcuno che non lo è, l’altro terzo viene dalla Russia, tra petrolio e gas, per quello che riguarda l’uranio un terzo dell’uranio prodotto nel mondo viene dal Canada e un terzo viene dall’Australia, e allora voglio fare una facile battuta, che per altro non abbiamo tempo di commentare: quanti sono i terroristi australiani e canadesi che conosciamo nel mondo? Fine della battuta, questo è il problema della nostra libertà, quindi già abbiamo una situazione completamente diversa da un punto di vista politico, vediamolo da un punto di vista delle dimensioni: ogni, più o meno, poi gli ingegneri saranno più precisi a correggermi, io mi sono documentato, ogni centrale che sbuffa, che produce elettricità, sbuffa tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera, dell’ordine sostanzialmente da uno a due. Noi consumiamo una tonnellata di petrolio, buttiamo due tonnellate di CO2 nell’atmosfera, quindi siccome noi consumiamo nel nostro paese 190 milioni tonnellate equivalenti di petrolio all’anno, il nostro sistema, la nostra civiltà butta nell’atmosfera il doppio di milioni di tonnellate di anidride carbonica; bene, il dato che io ho potuto raccogliere e porgervi per la nostra considerazione, è che mediamente un miliardo di kilowattore di energia elettrica viene prodotto con 26 tonnellate di uranio, se questo dato parametrico come l’ho analizzato e sottoposto naturalmente al vaglio degli ingegneri, io sono un economista ma se questa è la dimensione, il 25 % dell’energia elettrica italiana, quel 25% che Scajola ha detto che fra 10 anni dovrebbe essere prodotto col nucleare secondo il suo piano, produrrebbe la necessità di trattare 2000 tonnellate di uranio, l’ammontare di metri cubi che stanno in una piscina olimpionica, – facciamo 50 metri per 20 per 2 metri di altezza abbiamo 2000 metri cubi d’acqua – per altro, siccome l’uranio pesa anche più dell’acqua, l’uranio ce ne sta in abbondanza: questa è la dimensione delle tonnellate dell’emissione dell’impatto ambientale che il 25% di consumo di elettricità della nostra civiltà avrebbe in termini di scorie radioattive da mettere da qualche parte, tonnellate di uranio da processare. Mi sembra una bella differenza. Adesso vengo ai costi delle 439 centrali, quindi tutte statistiche basate sulle 439 centrali esistenti, le 60 già ordinate, escluso Cina e India, nel resto del mondo e le ulteriori 130 prese in considerazione secondo gli esperti che viaggiano intorno a questo mondo. Quindi attenzione, ho escluso Cina e India da questo calcolo perché Cina e India potrebbero anche essere paesi che hanno annunciato e chissà se poi continueranno nella loro politica di costruzione faraonica o pianificata così come le abbiamo considerate, sennò i numeri sarebbero ancora superiori. Qual è il punto che voglio fare, che dei 439 esistenti già 60 sono stati praticamente messi all’aparplain industriale e addirittura presi in considerazione in prefattibilià. Si ne parla di ulteriori altri 130, quindi diciamo di una visione che va avanti nel numero, questi sono i dati statistici per voi. Allora, concludo con le considerazioni di carattere economico, i calcoli più, non dico, attendibili, diciamo i più naturali, la media le statistiche, la statistica dei dati medi che possiamo ottenere, ci dicono che un kilowattore prodotto dalla energia nucleare oggi, se crediamo a quello che abbiamo sentito stamattina, per chi di voi era ad ascoltare Fulvio Conti – compreso quello che dobbiamo accantonare – lo smantellamento, il personale, l’assicurazione, una quotazione media di prezzo dell’uranio sui massimi e non sui prezzi medi del recente passato, ma poi dirò perché è ininfluente – ci porta il costo del kilowattore intorno ai 60 se siamo realistici, non a due o a dodici, quindi non prezzi miracolosi, a 60 euro a megawattore. Noi oggi, ricordiamo, l’ha detto il ministro Scajola, paghiamo il kilowattore un 30% in più, circa 90. E allora la considerazione che voglio fare, per dare ancora più credito al piano realistico, quello che io considero realistico, realistico per la nostra tasca, poi dopo se la politica saprà fare sono affari loro, ma consideriamolo come tasca dei cittadini: 60 € contro 90 € sono 30 € di risparmio ogni MWh (megawattore) prodotto da nucleare. Un megawattore prodotto da fonte rinnovabile, secondo la tabella allegata alla legge finanziaria che ha fissato sostanzialmente il prezzo delle fonti rinnovabili, è in questo momento 180 euro tutto compreso – questo perché vi ricordo che si dice che il certificato verde vale 180 meno il prezzo di mercato – quindi 180 meno il prezzo di mercato, più qualunque prezzo di mercato, ritorniamo a 180. 180 è esattamente il doppio di 90, quindi sto dicendo, anche se vi annoio con i numeri, una cosa molto semplice, un kilowattore o un megawattore prodotto da nucleare costa il 30% in meno, un megawattore prodotto da fonte rinnovabile costa il doppio, cioè altri 90 euro. Allora la proporzione fra meno 30 e più 90 è molto semplice, la sappiamo calcolare anche con questa noiosità dei miei numeri: la proporzione è 3 a 1. Ci vogliono 3 megawattore di risparmio da un impianto nucleare per pagare un megawattore di impianto a fonte rinnovabile nella sua media. Allora la laicità della mia conclusione – rispetto all’amico Battaglia che avete visto è stato molto più battagliero contro le fonti rinnovabili – è che le fonti rinnovabili sono parte della ricerca del futuro. È vero che oggi costano tanto e sicuramente non servono ad assicurare il nostro fabbisogno, ma fanno parte dell’investimento in conoscenza, in tecnologia che le nostre università e i nostri laboratori dovrebbero fare per il futuro, assieme a quelli del nucleare. Se noi andiamo verso una situazione in cui ogni nuovo fabbisogno di energia elettrica per la nostra civiltà viene soddisfatta in una proporzione di 3 a 1, cioè ogni 3 nuovi kilowattore o megawattore di energia nucleare si accompagnano a un nuovo kilowattore o megawattore di energia a fonte rinnovabile. La nostra tasca, quella di oggi, rimane inalterata, e scusate se è poco.

PAOLO TOGNI:
Consentitemi una battuta: e se poi facciamo solo i 3 megawattore di nucleare, la nostra tasca sopporta un peso inferiore. Direi che la chiave è questa, che non è possibile, non è lecito parlare di energie rinnovabili come un sistema economico, perché si regge sul contributo dello stato e quindi distrugge e non produce attività e patrimonio. Igino Chellini è uno specialista di impianti nucleari, giovanissimo, però è già responsabile degli Studi di Fattibilità e Localizzazione dell’Enel in argomento. Per favore dieci minuti, perché se no stiamo…

IGINO CHELLINI:
Signore e signori buon pomeriggio. Vorrei parlarvi oggi rapidamente, in 10 minuti, di due cose: la prima di cosa sta facendo e di cosa ha fatto Enel negli ultimi anni nel settore nucleare, la seconda del ruolo dell’industria nella rinascita del nuovo programma nucleare italiano. Enel dal nucleare, come abbiamo sentito, è uscito dopo il referendum – l’esercizio delle centrali è stato bloccato alla fine degli anni ’80. Oggi Enel vanta nel proprio portafoglio circa 5.400 megawatt di capacità nucleare, questi contribuiscono per il 15% alla produzione complessiva, il 24%, se guardiamo, è solamente la capacità produttiva all’estero. Per darvi un’idea, quando ci siamo fermati con il nucleare in Italia, avevamo 1450 megawatt istallati, quindi Enel ha fatto in tre anni più o meno il triplo, oltre il triplo di quello che abbiamo ceduto alla fin degli anni ’80. Ora, questo è importante. E come abbiamo realizzato questo importante obiettivo? La prima cosa, ovviamente in tre anni, è stata quella di guardare a possibili acquisizioni, quindi il programma sostanzialmente è passato per uno sviluppo di un programma di acquisizioni importanti. La prima riguardava l’ente elettrico slovacco, la Slovenské Elektrárne, che gestisce attualmente 4 unità per complessivi 1760 megawatt in Slovacchia, dove siamo entrati nel 2006. La seconda realtà è quella di Endesa, spagnola, che gestisce quote di impianti, 7 impianti, per complessivi 3560 megawatt. Questo ci porta a gestire direttamente i megawatt di cui i parlavo. Esiste poi anche un contratto con Edf, che ci dà diritto a ritirare capacità nucleare per 800 megawatt in Francia, pur non avendo la disponibilità ovviamente degli impianti che rimangono francesi. Questo ci porta a 6200 megawatt di capacità utilizzata. Questo chiaramente è il programma a breve. Il programma a lungo termine riguarda l’investimento in nuova capacità produttiva, quindi noi vantiamo, oltre a questa capacità in esercizio, anche dei progetti importanti, il primo in Francia, per la partecipazione alla realizzazione, a questo punto il secondo, se la Finlandia ha il primo, del secondo reattore Epr che verrà realizzato in Europa, un impianto da 1630 megawatt, di cui avremo un ottavo, il 12,5% di capacità. Il secondo investimento, molto importante anche questo, è il completamento di due unità in Slovacchia. La tecnologia è sempre quella dell’acqua pressurizzata, come la tecnologia francese, la capacità in questo caso è di 880 megawatt, e qui, però, il ruolo di Enel è più importante perché siamo gli architetti dell’ingegneria, quindi gestiamo la progettazione e la contrattualistica relativa a questa iniziativa. Tutto questo ci ha portato a costituire un gruppo di lavoro nel nucleare, circa 120 ingegneri – di cui i tre quarti lavorano oggi all’estero – e ci ha portato a rientrare in quelle che sono le principali associazioni mondiali del nucleare, come l’Associazione Mondiale degli operatori Nucleari, WANO, la Piattaforma Europea per la Ricerca sul Nucleare Sostenibile, SNE-TP, e, ovviamente, il Consorzio di Utility Europee, che definisce criteri comuni per la sicurezza e performance degli impianti. Questo è quello che succede all’estero. Cosa succede in Italia? Abbiamo sentito questa mattina dal Ministro Scajola che l’obiettivo è quello di generare un quarto del fabbisogno nazionale da fonte nucleare. Facendo una previsione un po’ a spanne della produzione del fabbisogno italiano al 2020, stiamo parlando di circa 100 Terawattore. 100 Terawattore, con un fattore di utilizzo di impianti importante, oltre il 90%, si realizzano costruendo almeno 13000 megawatt di impianti nucleari, a seconda della taglia degli impianti che si vorrà scegliere, stiamo parlando di 8 o 12 unità, o ovviamente un numero compreso tra questi due. Per dare un ordine di grandezza degli investimenti e considerando un range degli investimenti che va da 2,5 a 3 milioni a megawatt istallato, stiamo parlando di 33-40 miliardi di euro. Vi è abbastanza chiaro?

PAOLO TOGNI:
Chiedo scusa. Ci è arrivata una comunicazione: alle 16.45 dobbiamo sfollare la sala. Quindi, abbiate pazienza, non è colpa mia, i tempi vengono ulteriormente compressi. Quindi da questo momento direi che hai 3 minuti.

IGINO CHELLINI:
Perfetto. Signori è stato un piacere. Due cose però avrei a cuore di raccontarvi. La prima è perché crediamo che il nucleare sia importante per l’Italia, perché per l’Enel il nucleare è una realtà, lo stiamo facendo all’estero e quindi non è un’ambizione che abbiamo, qualcosa stiamo facendo. Vorremmo farlo in Italia perché pensiamo che questo sia un’opportunità per il sistema paese. La prima cosa che è già stata accennata stamattina e durante i lavori di oggi pomeriggio, è che il nucleare è caratterizzato da una forte componente di costo di investimento nel costo complessivo di generazione, quindi il 70% del costo di generazione riguarda l’investimento. Poi abbiamo un 14-15% di esercizio, un 12% di combustibile, del quale l’uranio è solo una frazione, perché poi per produrre il combustibile sono necessari ulteriori passaggi, quindi la materia prima rappresenta il 3-5% del costo complessivo, e poi ovviamente i fondi per il trattamento dei residui e lo smantellamento della centrale. Ora, è abbastanza evidente che il contributo dell’industria italiana si applica, ovviamente, alla costruzione, si può applicare in maniera cospicua alla costruzione, e ovviamente nell’esercizio della manutenzione si avrà un alto coinvolgimento di manodopera, quindi posti di lavoro. Se facciamo un confronto con costo e generazione da fonte gas, per esempio, in questo caso il 70-80% se ne va in gas, che viene importato, quindi non c’è nessun contributo italiano in questo. Un dettaglio su cui non perderò più di tanto tempo riguarda le categorie merceologiche, quindi abbiamo sostanzialmente un 30% di forniture meccaniche, un 20% di opere civili, realtà nelle quali l’industria italiana è presente e può svilupparsi, la parte dei montaggi, la parte di ingegneria, le forniture elettriche, strumentazione e controllo per un 16%. Per quanto riguarda solo le occupazioni in fase di cantiere e in fase di gestione, abbiamo circa 9 milioni e mezzo di ore lavorate durante la costruzione dell’impianto – sto parlando di un orizzonte temporale che è di circa 5 anni, più 2 di lavori preparatori, quindi il nuovo orizzonte temporale è abbastanza lungo e importante -, 2500 persone di picco occupate per l’unità singola, quindi quasi 5000 persone in caso di unità doppia, e un’occupazione di 500 persone per fase di esercizio. Per darvi un’idea di quello che è già il coinvolgimento dell’industria italiana all’estero su impianti di questo tipo, ci sono 34 imprese italiane che operano oggi, partecipano alla costruzione dell’impianto di Flamamville, 15 industrie italiane che lavorano su un altro progetto in Francia – tra le altre cose in Francia l’Italia è il terzo paese in termine di contributo, dopo la Francia stessa, ovviamente, e la Germania – e quindi il contributo dell’industria italiana è qualcosa che è già presente nei cantieri europei oggi. Quali processi ha il coinvolgimento dell’industria italiana? Primo, la determinazione dei criteri di qualifica tecnica ed economica dei fornitori. Secondo, una valutazione, che dovrà essere fatta su base informale, di quello che è la disponibilità in termini sia qualitativi che quantitativi, del mercato italiano – e questo servirà a determinare quale sarà la strategia commerciale da adottare nelle fasi successive, per evitare che si creino delle barriere al possibile coinvolgimento dell’industria italiana. Ed infine il processo formale, quindi certificazione dei fornitori e poi il processo normale delle gare d’appalto. Concludo, spero nei tempi che mi sono stati dati, ribadendo il concetto: per noi il ritorno al nucleare è un vantaggio per il sistema paese, sarà un vantaggio per l’industria nazionale, che potrà così trarre profitto da questo considerevole quantitativo di investimenti che verrà realizzato sul territorio nazionale, genererà sicuramente occupazione – abbiamo visto sia nella fase di cantiere che nella fase di esercizio – ci sarà un impatto sul prezzo medio di generazione – come abbiamo già sentito nei precedenti interventi – e da buon ultimo, il contributo in termini di riduzione dell’emissione di CO2. Ora, questo è sicuramente il vantaggio che porterà. C’è però un aspetto, cioè il rilancio del nucleare in Italia non avverrà, se non ci saranno dei requisiti che dovranno essere soddisfatti. La legge recentemente approvata dovrà essere in qualche modo adempiuta in termini di tempistica, per quanto riguarda la parte dei crediti attuativi; molto importante la funzione dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare, che dovrà essere un istituto che dovrà garantire il rispetto delle regole, quindi per noi indispensabile per assicurare il pubblico che le cose vengano fatte nei modi dovuti; c’è poi tutto il tema della scelta dei siti, dove ovviamente aspettiamo, come tutti, che vengano dettate le regole che ancora non sono note, purtroppo; il discorso della singola tecnologia per singolo investitore, cioè c’è un beneficio, ovviamente non per il sistema paese, o meglio direttamente per l’investitore, a scegliere una tecnologia per minimizzare i costi di progettazione, poi naturalmente uno sarà libero di scegliere la tecnologia che predilige nell’ambito delle regole che verranno dettate dai decreti, ovviamente; e la minimizzazione del numero di siti: noi abbiamo sperimentato in Italia la realizzazione di 6 unità su 5 siti diversi, con 5 tecnologie radicalmente diverse – eravamo chiaramente in una fase di sperimentazione, quindi non era possibile fare altrimenti, ma questo non ha certo aiutato né per la minimizzazione dei costi di realizzazione né tanto meno dalla parte dei costi di gestione. Vi ringrazio.

PAOLO TOGNI:
Grazie. Grazie mille. Mentre l’ingegnere Adinolfi, che è Amministratore Delegato di Ansaldo Nucleare, si prepara per il suo intervento, nel quale spero che faccia capire come e quanti danni sono stati apportati all’ingegneria industriale dal referendum sciagurato del ’86, volevo constatare che le regole alla fine del suo intervento esposte da Chellini mi sembrano in grande sintonia con la bozza di regolamento IAEA per le iniziative per le nuove centrali nucleari, il che ci fa capire che siamo sulla strada giusta. Prego Adinolfi, sei minuti, abbia pazienza.

ROBERTO ADINOLFI:
Ci proviamo. Nonostante i sei minuti siano veramente pochi – anzi io propongo la prossima volta di seguire rigorosamente l’ordine alfabetico per la scelta delle priorità – nonostante i sei minuti siano limitati, cercherò di tracciare rapidamente un quadro dell’industria nucleare italiana. Però permettetemi di partire un attimo alla lontana, proprio dal tema del Meeting di Rimini di quest’anno, cioè la conoscenza. In effetti la storia dell’energia nucleare, dell’uso pacifico dell’energia nucleare, è fortemente intriso dal tema della conoscenza. Per sviluppare una nuova tecnologia sono necessarie tre cose: una conoscenza scientifica, una conoscenza tecnologica, una conoscenza sociale. L’energia nucleare è stata senz’altro, nella seconda metà del ’900, l’espressione, direi ottimale, di una conoscenza scientifica profonda e di una conoscenza tecnologica profonda. Se pensate allo sviluppo della fisica nella prima metà del ’900, che ha portato alla comprensione della fisica atomica e quindi la messa a disposizione per l’umanità di una sorgente infinita di energia, come quella contenuta nell’atomo, se pensate allo sviluppo tecnologico profondo che ha richiesto l’uso pacifico dell’energia nucleare – tanto per dirvene una, per ricordarvelo per meglio dire, l’impiantistica nucleare è stata la prima occasione in cui si sono progettati degli impianti industriali non soltanto per funzionare, ma anche per non funzionare, e cioè per analizzare, a fronte di qualsiasi guasto, quali erano le conseguenze ambientali; quindi l’impiantistica nucleare è stato il primo caso di progettazione nel rispetto dell’ambiente di una nuova tecnologia. Il nucleare è stato senz’altro un esempio brillante di applicazione della conoscenza scientifica e della conoscenza tecnologica, è stato un esempio fallimentare di applicazione della conoscenza sociale, ci siamo cioè dimenticati che per far digerire una nuova tecnologia, una nuova forma di conoscenza al mondo non basta che gli scienziati scoprano, non basta che gli ingegneri progettino, ma è necessario che la gente capisca, partecipi. Questa scoperta l’abbiamo fatta ovviamente ai tempi di Chernobyl quando, all’improvviso, una certa mattina ci siamo trovati a cercare di capire che cosa era successo a Chernobyl, non lo abbiamo capito, lo abbiamo chiesto ai nostri scienziati, ci siamo sentiti dare delle risposte estremamente apodittiche sia da parte di chi era a favore che da parte di chi non era a favore, e in quella occasione è partita una grande riflessione nell’ambito dell’ingegneria nucleare su come in effetti bisognava impostare il tema non solo dell’accettazione degli impianti nucleari, ma anche della progettazione degli impianti nucleari. Io vorrei parlarvi proprio un attimo di come la grande lezione di Chernobyl abbia avuto delle ricadute significative anche in termini di sviluppo della tecnologia, lasciando poi ad altri o a un altro convegno in cui ci sia un po’ più di tempo, l’analisi delle conseguenze sul piano della comunicazione, che invece è altrettanto, se non più interessante. A livello tecnologico diciamo subito che prima di Chernobyl gli impianti venivano sviluppati a livello nazionale, ciascun paese sceglieva la sua tecnologia, gli inglesi sceglievano i reattori gas grafite, i russi sceglievano tecnologie che poi non ci sono piaciute e che sono risultate dannose, ognuno sceglieva la sua tecnologia, e anche quando un paese adottava la tecnologia proposta da un altro paese, non rinunciava per questo a fissare dei propri criteri di sicurezza. L’incidente di Chernobyl ha reso evidente a tutti gli operatori del settore che questo era un approccio che non aveva più senso. I requisiti di sicurezza andavano standardizzati, e anche gli impianti, anche il progetto degli impianti andava standardizzato, perché non si poteva non dire alla gente e al pubblico che un impianto nucleare, costruito in un paese, era altrettanto sicuro dell’impianto nucleare costruito nel paese affianco. Questa è stata la molla che ha generato i cosiddetti reattori di terza generazione. La standardizzazione dei requisiti di sicurezza, effettuata dalle utility elettriche, dall’associazione di enti elettrici sia in America che in Italia, e lo sforzo da parte delle principali tecnologie nell’impiantistica nucleare, hanno dato vita a un certo numero di progetti di impianto, i cosiddetti impianti di terza generazione, che rispondessero a requisiti omogenei, direi in tutto il mondo, e che offrissero delle soluzioni di maggior sicurezza. In particolare per questi impianti si è cercato di ottenere una sicurezza garantita indipendentemente dall’intervento dell’operatore che, come sapete, a Chernobyl era stata parte delle cause dell’incidente stesso. Per fare questo si è aumentato, per esempio, in molti progetti, il grado di ricorso a sistema di sicurezza passivi, cioè sistemi di sicurezza che possono funzionare correttamente grazie a principi fisici elementari, quali l’iniezione per gravità di fluido refrigerante o la circolazione naturale, cioè dei fenomeni che non possano essere messi in discussione da interventi dell’operatore. Ancora di più, nel caso di reattori di terza generazione, si è andato ad analizzare anche le conseguenze in caso di incidenti altamente improbabili e si è cercato di limitare l’impatto sull’ambiente entro limiti minimi, cioè entro i limiti dell’area della centrale; proprio per questo sono stati messi a punto dei sistemi di contenimento con prestazioni molto più elevate, a cui faceva accenno anche prima il sottosegretario Saglia. Il risultato è che a fronte di criteri di sicurezza imposti dalle autorità di sicurezza che fissano la probabilità di un incidente severo a un livello di un evento ogni 10000 anni, oggi i progetti di reattori di terza generazione danno un fattore di sicurezza rispetto a questo requisito, anche di un fattore 200 volte più alto. Quindi un livello di sicurezza molto elevato. Una cosa che mi preme dire è che allo sviluppo di questi progetti ha partecipato in una qualche misura anche l’Italia. Questa è una cosa che non sanno in molti, debbo dire nemmeno a livello di esperti, anche oggi mi è sembrato che non tutti fossero informati di questa cosa, però l’Italia ha partecipato significativamente a questi progetti. Quando vent’anni fa il governo italiano del tempo ci disse di non essere più interessato agli impianti nucleari, chiese anche agli operatori industriali di impegnarsi sullo sviluppo di reattori avanzati. Siccome gli operatori industriali purtroppo credono sempre ai politici, di conseguenza si impegnarono su questo fronte, in particolare modo l’Ansaldo ha partecipato allo sviluppo di reattori a sicurezza passiva a fianco dei costruttori americani e, tanto per darvi un’idea quantitativa, in questi venti anni ci sono stati 270 anni uomo di personale Ansaldo impegnati su questo progetto, per un valore di circa il 15% dello sforzo progettuale complessivo. Sono state fatte esperienze molto significative in Italia, sono state fatte esperienze all’ENEA e alla FIAT a supporto di questi reattori, e quindi non è del tutto vero che in Italia mancano le conoscenze di base per fare questo. I reattori di terza generazione sono quindi i reattori che sono la risposta che l’industria nucleare oggi offre alla crisi post Chernobyl e diciamo che a questa risposta, che si comincia a manifestare in Europa e in America, l’industria italiana, come è stato ricordato prima anche dall’ingegner Chellini, partecipa, in una qualche misura, con il proprio impegno in Cina, negli Stati Uniti, oltre che in Francia e in Slovacchia, come ci ha ricordato l’ingegner Chellini. Cosa dire allora della situazione italiana? Diciamo che il nuovo interesse italiano per il nucleare va senz’altro letto in questo contesto più generale di interesse per il nucleare. Una valutazione di quale sarà la potenza installata a livello mondiale nel 2030, sulla quale ormai convengono buona parte degli analisti, è una previsione di circa 600-650 gigawatt installati nel 2030, a fronte dei 370 gigawatt attuali, quindi praticamente un raddoppio, a cui parteciperanno spero anche i 13,5 gigawatt italiani, portando il totale a 663,5. Quindi la dimensione del nucleare è una dimensione mondiale, ed è per questo che l’industria italiana è interessata a partecipare, però è altrettanto vero che la dimensione della ripresa mondiale, e la capacità dell’industria italiana di partecipare a questa ripresa, sono fortemente dipendenti dalla capacità che l’Italia, come paese, dimostrerà. Questo ce lo ha già ricordato il sottosegretario Saglia. L’importanza del programma italiano ha un valore fondamentale, perché darà credibilità all’industria italiana. Non vi nascondo che questo è in un certo senso la nostra principale preoccupazione: partecipare alla ripresa del nucleare mondiale, contando sugli italiani, significa avere la possibilità di pianificare un programma di crescita in qualche maniera basato su un programma concordato con gli operatori, partecipare su un mercato libero significa non poter negoziare questo tipo di pianificazione e quindi doversi affidare solo alle leggi di mercato. Non che noi non siamo pronti a farlo, lo abbiamo fatto e siamo interessati a farlo dopo avervi lavorato 390 anni per render possibile questa situazione, ma riteniamo senz’altro fondamentale e molto importante quello che il governo italiano ha fatto e sta facendo per riprendere questa possibilità. È chiaro che il tutto è basato su una creazione di consenso, come ho detto all’inizio, creazione di consenso che passa attraverso una dimostrazione della capacità del sistema di gestire adeguatamente la tecnologia nucleare. Sono già state ricordate alcune delle cose fondamentali: creazione di un’autorità di sicurezza indipendente, rafforzamento dei collegamenti internazionali, individuazione di una soluzione praticabile per la sistemazione definitiva delle scorie – problema che non è un problema tecnico, ma è un problema sostanzialmente sociale, come ha ricordato il professor Battaglia – e, infine, vorrei anche ricordare, la partecipazione attiva alle linee di ricerca internazionali. Oggi le organizzazioni italiane partecipano già ai programmi di ricerca europei e, in particolare, alla Sustainable Nuclear Energy Technology Platform, ma è senz’altro necessario, per poter formare una nuova classe di ingegneri e tecnici italiani, avere anche dei programmi a livello nazionale per stimolare adeguatamente la loro formazione. Alla realizzazione di questi obiettivi devono contribuire, ciascuno per la sua parte, tutti gli attori coinvolti. Per quanto riguarda l’industria sono sicuro che essa non farà mancare il suo contributo, per quanto riguarda Ansaldo in particolare, che ha sempre creduto nella possibilità di un ritorno al nucleare e che ha lavorato per creare le condizioni che lo rendessero possibile, è pronta ad affrontare la sfida che più le compete, che è quella della creazione di competenze e conoscenze che consentano non solo di realizzare centrali nucleari massimizzando le ricadute sul sistema produttivo nazionale, ma anche di esportare queste conoscenze al di fuori dei nostri confini, partecipando attivamente alla rinascita internazionale. Vi ringrazio.

PAOLO TOGNI:
Grazie. A questo punto ci sono due soluzioni possibili: primo, occupiamo l’aula e andiamo avanti a esaurimento; secondo, bisogna che i relatori abbiano un grande senso di responsabilità. Lei che dice? Lui è quello che ci ha dato l’ultimatum, avete capito? Insomma, possiamo un po’ sforare, poco poco. Il prossimo relatore è il dottor Frantisek Pazdera, che è il vicepresidente della Piattaforma Nucleare Europea, già presidente dell’Istituto di Ricerca del suo paese, e ci parlerà di che cosa significa questa Piattaforma. Naturalmente non è possibile aver un impianto di traduzione simultanea per tutti i presenti.

FRANTISEK PAZDERA:
Vorrei innanzitutto salutare tutti quanti a nome della Piattaforma Tecnologica per l’Energia Nucleare Sostenibile. Veramente avrei tante cose da dirvi. Comunque ci sarebbero tante ripetizioni di argomenti che sono stati trattati, magari cerchiamo di saltare le parti che sono già state trattate. Qui vedete le prospettive dell’energia nucleare che ha una posizione molto forte in Europa oggi. Se guardiamo al futuro abbiamo una parte che si riferisce al reattore. La seconda parte, invece, delle prospettive per il futuro è quella di portare, di concentrarsi sulle applicazioni e la produzione. Naturalmente abbiamo bisogno di tipi diversi di reattori, per esempio i reattori ad alta temperatura e i reattori a gas rapido e, per quanto riguarda il futuro dell’energia nucleare, mi riferisco ai reattori a gas più rapidi che ci porteranno dalla generazione due e tre, che è quella attuale – che comporta la sicurezza della fornitura di energia, la competitività, cioè un prezzo dell’elettricità, dell’energia elettrica più basso – alla generazione quattro, che ci garantirà la sostenibilità e la conservazione delle risorse, poi ci assicurerà anche la gestione corretta delle scorie nucleari e l’apertura possibilmente di nuovi mercati. Quindi i reattori rapidi – si va dall’energia primaria all’energia che deriva dalle scorie, per esempio l’uranio esaurito è anche il combustibile che è stato già speso, per così dire. C’è una prospettiva a 100 anni per quanto riguarda le risorse, e si passerà da 100 a 10000. Portare questa tecnologia a diventare realtà è il lavoro della Piattaforma della Tecnologia per il Nucleare Sostenibile in Europa, che è stato fondato nel settembre del 2007. Questa piattaforma adesso coinvolge più di 75 organizzazioni, che fanno parte appunto di questa piattaforma. Ci sono organizzazioni anche italiane, dall’inizio con noi lavora l’Ansaldo, per esempio. In futuro vorremmo raggiungere una visione comune, ma abbiamo anche un rapporto, un report che rappresenta appunto la nostra visione comune del futuro. La visione, per quanto riguarda l’agenda della ricerca, è quella di portare le tecnologie in una agenda di ricerca strategica che verrà pubblicata quest’anno. Per quanto riguarda l’agenda, che si occupa della ricerca strategica, è stata organizzata secondo questi elementi che vedete qua, per esempio reattori leggeri ad acqua, reattori rapidi a neutroni, e altre applicazioni che vedete qui in questa slide, e naturalmente ci riferiamo anche alle infrastrutture. Dando un’occhiata a come vogliamo implementare tutti questi elementi, dei quali vi ho parlato prima, analizziamo anche le condizioni di mercato. Questi sono i programmi che si focalizzano anche sulla ricerca e lo sviluppo a breve e a medio termine, sono programmi di ricerca e di sviluppo, e c’è un’iniziativa industriale europea che si occuperà di implementare questi elementi dei quali vi ho parlato prima. C’è un cofinanziamento, a livello, per esempio dell’Unione Europea, ci sono una serie di programmi. Per quanto riguarda il breve e il medio termine ci saranno dei progetti, e anche progetti finanziati dalle Utilities. Dobbiamo dimostrare che bisogna fare ricerca e sviluppo per quanto riguarda le tecnologie; in questo caso abbiamo bisogno di miliardi di euro, naturalmente, da investire nello sviluppo di questi nuovi reattori. Vi ringrazio per la vostra attenzione.

PAOLO TOGNI:
Grazie. Franco Cotana è professore di fisica tecnica a Perugina. Prego.

FRANCO COTANA:
La mia è una testimonianza vivente del fatto che bisogna coniugare le energie rinnovabili e lo sviluppo delle energie nucleari insieme, l’energia nucleare, anzi, è la fonte con la quale possiamo sviluppare e finanziare anche le energie e le tecnologie rinnovabili. Abbiamo capito oggi che trattare dell’energia nucleare è un argomento piuttosto complesso, che abbraccia diversi settori, dalla ricerca all’industria, alle applicazioni, alla comunicazione, eccetera, eccetera. Ora, se andiamo in ordine sparso a fare tutto questo, probabilmente non otteniamo quell’effetto di cui invece abbiamo bisogno, e in breve tempo dobbiamo raggiungere gli obiettivi che anche il ministro Scajola stamattina ci ha ricordato. Allora ecco la nostra proposta che parte da un centro interuniversitario, perché, altrimenti, se dividiamo anche il mondo della ricerca fra università, ENEA, ISPRA e quant’altro, diciamo che non otteniamo niente. Il nostro CIRIAF è un centro che si occupa da 12 anni di agenti fisici, è ubicato sul territorio nazionale con 14 atenei, raccoglie un po’ il mondo della ricerca, e la nostra iniziativa è quella di proporre la Piattaforma Tecnologica Nucleare Sostenibile Italia, che si deve raccordare con quella europea. L’azione meritoria fatta da Ansaldo potrebbe essere rafforzata sicuramente se tutti partecipano a un processo di sviluppo delle tecnologie, che non sono solo la produzione del nocciolo del reattore, ma tutte quelle componentistiche che sono sterminate, di cui una centrale ha bisogno. Il CIRIAF ha già promosso il 7 marzo 2008 un convegno specifico su questo tema e sono in distribuzione anche allo stand, che è qui nel padiglione A3, gli atti di questo congresso, sappiamo anche che a Terni, i fucinati di Terni sono utilizzati in molte centrali nucleari, quindi noi produciamo componentistica, e anche grande componentistica, per le centrali nucleari. Salto tutto quello che è già stato detto sulla Piattaforma Europea. Voglio focalizzare sul fatto che non c’è solo la ricerca per la produzione dell’energia elettrica del nucleare, anche se è la cosa principale, ovviamente, ma ci sono anche applicazioni oggi, cito due esempi: la Russia sta realizzando delle centrali nucleari piccole per fare ricerca petrolifera nel mar Artico, in posti remoti, dove l’energia è più difficile da produrre; oppure un’altra azienda americana sta pensando a delle pile nucleari da 20 megawatt che per trent’anni possono produrre energia anche al servizio di popolazioni che si devono sviluppare, un segno forse anche di amicizia tra i popoli che devono utilizzare questa risorsa e lo possono fare in tutta sicurezza. Naturalmente qui ci vogliono regole certe, chiare anche per la sicurezza, ma compito dell’organizzazione come delle piattaforme tecnologiche è forse anche questo. Quindi dalla produzione dell’acciaio a quella del vetro ci sono tante altre applicazioni. La missione della Piattaforma Nucleare Sostenibile Italia è quella di, oltre che del raccordo con quella europea, raccogliere e diffondere gli sviluppi delle tecnologie nucleari, creare una conoscenza condivisa, promuovere l’impegno dell’energia nucleare per la generazione termoelettrica in Italia e supportare una diffusione corretta della comunicazione sull’energia nucleare. Naturalmente un’organizzazione che si rispetti ha anche alcuni soggetti, come l’assemblea, il comitato direttivo, il comitato scientifico, e abbiamo previsto una roadmap che entro la metà del prossimo anno ci porterà a definire completamente la piattaforma operante, redigendo alla fine un’agenda strategica per la ricerca, come è stato detto ed è già stato fatto per la piattaforma europea. Abbiamo sentito come Spagna, Francia, eccetera, sono già impegnate nel richiedere i fondi all’Europa. Altrettanto dobbiamo fare noi, in maniera sinergica con tutte le aziende, col mondo della ricerca e della comunicazione. I gruppi di lavoro che intendiamo attivare sono quella del gruppo di lavoro che redigerà questa agenda strategica della ricerca. Puntiamo molto sulla formazione e la gestione delle competenze, io sono anche il coordinatore di un dottorato di ricerche di ingegneria energetica e noi abbiamo già introdotto dei corsi specifici sull’ingegneria nucleare. Meccanismi di finanziamento, comunicazione e informazione, questi sono gli altri gruppi. Naturalmente le linee di ricerca sono variegate, vanno, appunto come è stato richiamato stamattina, dalla localizzazione delle centrali di stoccaggio alle sicurezze e tecnologie di conversione, dai combustibili alla sostenibilità, all’impatto ambientale. Sostenibilità, questa parola non è appiccicata lì per caso, è molto importante. Concludo con questo richiamo al fatto che, diciamo, l’impatto sul terreno, sull’occupazione del suolo, come anche qualcuno ha richiamato, rispetto ad altri tipi di energia, come le energie rinnovabili, è molto più modesto e noi dobbiamo permettere alle future generazioni di potersi sviluppare, di crescere, da 6 miliardi potremmo passare a 10 o anche a 12 miliardi e questo dovrà essere fatto consentendo a tutta questa gente, i nostri nipoti, i nostri pronipoti, di avere degli standard di vita qualitativi adeguati. Concludo ricordando, appunto, che ci sono dei siti già attivati, come quello della Piattaforma tecnologica nucleare sostenibile Italia, SNETP, o www.nuclearesostenibileitalia.it, o quello della piattaforma europea del Ciriaf e dell’Ipas che è un consorzio che è stato creato dal Ciriaf al 60% con una società dell’Enea. Quindi molti di questi interventi, credo, saranno messi anche in questi siti dove potrete trovarli magari in maggiore dettaglio. Grazie.

PAOLO TOGNI:
Ok grazie. Credo che Stefano Saglia voglia fare, o sennò vogliamo noi che faccia, anche se lui non vuole, qualche parola di conclusione. Dopo di che sgombreremo, stia tranquillo, che ce ne andiamo di corsa.

STEFANO SAGLIA:
Grazie a tutti, abbiamo potuto raccogliere molte osservazioni, proposte, idee, progetti per dare una risposta al quesito iniziale, cioè, il nucleare è possibile in Italia? Possiamo togliere l’interrogativo, possiamo mettere un esclamativo, il nucleare è possibile in Italia, e noi lo assumiamo come un impegno nei confronti dei nostri concittadini, ma soprattutto lo assumiamo come sfida per dimostrare al mondo che l’Italia è capace di gestire, di realizzare una infrastruttura, una tecnologia, una infrastruttura energetica capace di guardare anche alle migliori applicazioni per agganciare, sia da un punto di vista industriale che dal punto di vista della ricerca, un treno, che purtroppo, abbiamo perso anni fa, ma che oggi possiamo prendere, perché è un treno sicuro, pulito e soprattutto veloce, perché ci darà la possibilità di contribuire alla crescita economica di questo paese. E quindi una sfida e come tale la prendiamo, perché siamo consapevoli di poterlo fare e di lavare anche l’onta di qualche cattiva figura internazionale, come è accaduto con i rifiuti di Napoli. L’Italia è capace, ha le tecnologie, le intelligenze per gestire anche fenomeni complessi come sono quelli legati alla tecnologia nucleare.

(Trascrizione non rivista dai relatori)