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LA STANCHEZZA DELLA DEMOCRAZIA
Partecipano: Paolo Alli, Presidente Assemblea Parlamentare della NATO; Caroline Kanter, Direttrice della Fondazione Konrad Adenauer a Roma.
LA STANCHEZZA DELLA DEMOCRAZIA
Trascrizione non rivista dai relatori
LA STANCHEZZA DELLA DEMOCRAZIA
Martedì 21 agosto 2018
Ore 12.30
Partecipano:
Paolo Alli, Presidente Assemblea Parlamentare della NATO; Caroline Kanter, Direttrice della Fon-dazione Konrad Adenauer, Roma.
Introduce
Roberto Fontolan, Direttore Centro Internazionale di Comunione e Liberazione
ROBERTO FONTOLAN
Bene, allora benvenuti, grazie della vostra presenza vorrei presentarci qui oggi due illustrissimi ospiti: la signora Caroline Kanter che è direttrice della Fondazione Konrad Adenauer, Roma, una realtà molto importante come avremo modo di capire nei prossimi minuti e Paolo Alli che è Presi-dente Assemblea Parlamentare della NATO, dopo una lunga intensa carriera anche nella vita poli-tica italiana. Quindi vi prego accogliamoli con un applauso. In questo nostro spazio cammini come saprete cerchiamo di affrontare un po’ alcuni aspetti della vita contemporanea, del dibattito pub-blico contemporaneo e abbiamo dato ieri, c’è stata una giornata molto intensa, molto interessante legata alla Siria, alle vicende della Siria di questi ultimi anni. Oggi in questo spazio affrontiamo un tema che ha preso quota, recentemente negli ultimi anni e che abbiamo intitolato La stanchezza della democrazia. Abbiamo pensato su questo di interloquire con due figure che sono espressione alte proprio della vita democratica, la Fondazione Adenauer è una realtà importantissima presente in diversi paesi del mondo e uno dei temi sui quali lavoro è proprio il tema del rapporto su società e politica, l’incoraggiamento il rafforzamento il consolidamento della democrazia. Perché abbiamo dato questo titolo a questa nostra conversazione? Perché è un argomento di cui si parla molto negli ultimi anni, in diversi paese, in diversi paesi dell’occidente, non ultimo anche ieri qui in un dibattito tra alcuni politici italiani questo tema, forse qualcuno l’ha letto anche sui giornali di oggi, è emerso in modo molto evidente. Qualcuno parla addirittura di fine del parlamento, superamento della democrazia cosiddetta rappresentativa, tematiche stanno cominciando a incidere nella riflessione, nel pensiero delle nostre società. Non è un tema soltanto astratto e istituzionale perché questo ha a che fare molto con la vita di tutti i giorni, ha a che fare molto con le nostre vite, con la vita di tutti perché non riguarda solo la politica e i palazzi, ma la democrazia è la forma che si è imposta, che ha guadagnato il consenso generale, in fondo dicevamo prima anche, siamo ancora in una stagione della giovinezza della democrazia eppure per qualcuno è già in crisi. Ma ha guadagnato il consenso, nessuno di noi oggi, credo, tra i presenti qui penserebbe, vorrebbe, si augurerebbe di vivere in una situazione in un mondo non democratico. Eppure questo dibattito è forte, è presente e come dicevo riguarda poi la nostra realtà, il modo con cui viviamo assieme, perché questo è sostanzialmente la forma della democrazia, una modalità che l’uomo, che l’umanità ha raggiunto, ha conquistato per poter convivere, assicurando dei diritti di base uguali per tutti e assicurando la possibilità di rappresentare questi diritti e questi interessi in una forma che consente, che superi il conflitto e che sia la forma del dialogo. Io non sono uno studioso di politica istituzionale ne di diritto costituzionale ma la sostanza mi pare questa. E allora avevamo un po’ invitato i nostri due illustri ospiti, conversatori di oggi a ragionare un po’ su questo tema e dando a loro ancora il benvenuto ho proposto loro alcune domande. La prima è questa: siete innanzitutto d’accordo con questa espressione la democrazia è stanca? Siete d’accordo con il definire con l’individuare questo momento storico come crisi della democrazia? Allora prego Caroline che leggerà in parte i suoi interventi perché parla benissimo italiano ma si sente più sicura delle cose che dirà, quindi aiutiamo questa conversazione in questo modo. Allora Caroline Kanter come ho detto è Direttrice della Fondazione Adenauer a Roma.
CAROLINE KANTER
Grazie, grazie per l’invito sono molto molto contenta di essere qui oggi, per me è la prima di esse-re qui al Meeting e devo dire è molto impressionante vedere i giovani, le persone, i cattolici, che sono riuniti qui per discutere sui temi attuali importanti per la società italiana, per la società euro-pea. Allora sono anche molto contenta di avere la possibilità di discutere oggi con Paolo Alli, come Fondazione Konrad Adenauer noi abbiamo lavorato molto con lui e io ho molto rispetto per lui per il lavoro che lui fa non solo a livello italiano ma anche europeo e internazionale, sui temi della sicurezza; è un grande piacere per me. Allora sulla prima questione sì, dobbiamo dire che da anni parliamo di una crisi della democrazia anche se dobbiamo essere consapevoli che nella nostra storia della democrazia ormai parliamo di una storia lunga più di 2500 anni, tanti intellettuali si sono lamentati spesso di una crisi della democrazia. Da questa critica è nata anche una parte della filosofia greca, è molto importante. Oggi i media, esperti e anche politici sono allarmati e parlano della crisi ma anche di un ritiro della democrazia dal punto di vista europeo si capisce subito che dobbiamo essere preoccupati. Pensiamo al partito FPU in Austria, il Front National, ma dobbiamo essere preoccupati non solo se guardiamo all’interno dell’unione europea, anche se guardiamo all’estero: Putin in Russia, le crisi in Brasile, il Venezuela fanno pensare che si tratta di un fenome-no globale. Allora è vero che la democrazia in tutto il mondo vive una crisi profonda? La risposta è no se guardiamo gli indici della democrazia: per esempio the world wide economic indicator. Ana-lizzando circa 200 stati loro vedono un trend leggermente positivo per quanto riguarda un miglio-ramento democratico. Anche questi indici sostengono però che l’onda della democratizzazione degli anni 90 si sia fermata e che stiamo vivendo un periodo di stagnazione. Nonostante quello non si può parlare di una crisi o di un ritorno della democrazia in tutto il mondo: una affermazione del genere semplicemente non è fondata su uno studio empirico. Problematiche sono però le de-mocrazie mature, nel mondo occidentale come la Germania, la Francia che si ritrovano in una crisi. In alcuni casi possiamo parlare di una crisi profonda: questa crisi iniziava già negli anni 70 e questo processo è tuttora in corso. Dobbiamo cercare di fermarlo pensando come vogliamo costruire il nostro futuro anche perché pensando al sistema politico, l’opinione pubblica, specialmente tra i giovani è preoccupante. In uno studio condotto recentemente in cui sono stati intervistati un campione di giovani europei provenienti da sette stati membri è emerso il seguente risultato: meno di un quinto dei giovani intervistati ritiene che il sistema politico, quindi la democrazia, funzioni come dovrebbe nel proprio paese, soprattutto i giovani ragazzi in Grecia, 52%, anche qui in Italia 43%, in Spagna 35% chiedono a gran voce un forte cambiamento radicale del sistema, al punto che richiedono che esperti indipendenti prendano le decisioni al posto dei politici eletti. Allora parliamo di un governo tecnico. Dobbiamo cercare di tenere presente le democrazie sono sistemi dinamici che sono sottoposti ad un cambiamento continuo e questi cambiamenti dobbiamo accettare e contribuire in modo costruttivo, una democrazia sana è costituita da un governo e da un’opposizione forte. E questo manca in questi giorni, in Germania, anche il Italia mi sembra. Il cambiamento è anche l’alternanza tra le forze politiche è fondamentale per la democrazia che fa sì che tutti i cittadini si sentano rappresentati. Diventa un grave problema se l’elettore non ha scelta a causa di mancanza di alternative politiche: questo fatto contribuisce alla crisi della democrazia. Ritengo che sia nostro compito e nostra responsabilità incoraggiare, e modellare il processo di cambiamento che vive necessariamente ogni democrazia. Grazie.
ROBERTO FONTOLAN:
Grazie per questa prima risposta. Paolo Alli, Presidente Assemblea Parlamentare della NATO, che è un organismo certo che ha un compito di difesa, ma di difesa della democrazia.
PAOLO ALLI:
Certo è un organismo, è un’alleanza politico militare dove la parte politica negli ultimi decenni ha avuto sempre più importanza. Io ho girato molto il mondo in questo mio ruolo, in particolare negli ultimi anni, e se devo essere sincero nella Assemblea Parlamentare della NATO ci sono 29 paesi membri rappresentati, una sessantina di paesi osservatori. A parte il mondo arabo, tutti parlano di democrazia. Il termine democrazia è sulla bocca di tutti, allora il problema è capire che cosa significa democrazia, perché c’è la democrazia cinese, dove il presidente della repubblica eletto poi è presidente del consiglio, capo dell’esercito, e segretario del partito, questo mi sembra un tipo di democrazia un po’ lontano dalla nostra concezione. In Russia Putin vince le elezioni alla grande, poi bisogna capire quanto il processo democratico lì sia reale, la Turchia che ha una grande tradizione democratica però vediamo quali gravi problemi ha con una leadership che negli ultimi decenni ha ondeggiato tra l’idea di diventare un paese occidentale e diventare leader del mondo islamico. Io termine democrazia di per sé è talmente utilizzato anzi addirittura abusato che farebbe dire non è in crisi la democrazia: è in crisi uno dei modelli della democrazia che è quello della democrazia rappresentativa, che è quello che noi in occidente conosciamo perché è quello che è nato e si è consolidato nel dopo guerra. Che sia in crisi questo modello è evidente e io cito un particolare: la democrazia rappresentativa si è data anche degli strumenti di democrazia partecipativa per esempio i referendum. Bene i referendum negli ultimi anni in tutte le parti di Europa e del mondo sono diventanti il modo per sovvertire, per votare contro chi governava. Addirittura in Svizzera, voi sapete che la democrazia svizzera è da sempre fondato sull’uso dei referendum, fanno fatica perché il referendum non diventa più un giudizio che il cittadino da rispetto al contenuto del tema, ma diventa un voto pro o contro chi sta governando.
Questo dice che, lo abbiamo visto in Italia con il referendum costituzionale, lo abbiamo visto con la Brexit, ecc, se andate in giro per l’Inghilterra adesso fate fatica a trovare gente che vi dice che ha votato per la Brexit, però la Brexit ha vinto, quindi vuol dire che l’ansia di cambiamento e la velocità di cambiamento nella società sono tali che chiedono comunque il cambiamento per il cambiamento. Guardate anche le ultime elezioni amministrative in Italia, in Italia è sempre successo che il sindaco uscente aveva un vantaggio di posizione per il fatto di essere il sindaco uscente. Andate a vedere i risultati: in quasi tutta Italia nel 90% dei casi i sindaci uscenti hanno perso. I sindaci uscenti ricandidati hanno perso, di qualunque colore fossero; questo significa che la gente dice: “sì va beh, le cose non vanno tanto male però dobbiamo cambiare”. Perché dobbiamo cambiare? Cambiare per cambiare.
Io ho fatto una campagna elettorale alle ultime elezioni dove non sono stato eletto, c’è qui con me Giovanni Grasso che mi ha assistito nel mio collegio di Mantova: beh era impressionante, la gente non voleva sentirsi dire la realtà dei fatti, perché dice: “sì sì, tu hai ragione il paese adesso è meglio di cinque anni fa, però noi dobbiamo cambiare”. Allora probabilmente è questa ansia e questa velocità di cambiamento nella società che induce modifiche tali che la politica viene messa in difficoltà perché la politica è tradizionalmente anche i meccanismi di funzionamento del parlamento sono tradizionalmente meccanismi che richiedono tempi di riflessione, che richiedono approfondimenti. Invece siamo nella società della semplificazione dove ormai si affermano anche luoghi comuni, per esempio, la competenza, non è importante. La competenza in politica non è importante: meglio avere un presidente del consiglio che non ha mai fatto politica. Io mi sento dire queste cose, “perché almeno non viene condizionato dagli interessi della politica”, oppure “chi non ha mai governato è onesto per definizione, chi ha governato sicuramente qualche problema ce l’ha”. Gli slogan prevalgono sempre sui dati di fatto e la percezione prevale sempre sulla realtà: faccio solo due esempi. La sicurezza in Italia: in Italia da alcuni anni l’indice di criminalità sta riducendosi del 7-8% all’anno eppure la gente si sente sempre più insicura. Il tema della migrazione, voi sapete benissimo che dall’agosto dello scorso anno i migranti sono diminuiti del 90% grazie agli accordi che Minniti aveva fatto con la Libia, benissimo, Salvini però ha vinto le elezioni con lo slogan contro i migranti e sta cavalcando questa cosa e parliamo di 200, 300, 500, 100 migranti che stanno sui barconi, un numero totale che è meno di 3000 migranti al mese che si affacciamo al mese delle nostre coste. Oggi il numero dei migranti che arrivano in Italia su base annua è un quarto degli italiani che ogni anno emigrano verso l’estero. Quindi non c’è un’emergenza immigrazione ma la percezione della gente è esattamente il contrario. Per non dire del tema del compromesso, la mediazione che è tipica della democrazia rappresentativa, ogni forma di compromesso è un inciucio, i rappresentanti eletti sono dei privilegiati ecc. E’ chiaro che tutto questo porta alla crisi del modello della democrazia rappresentativa a favore di questa mitica democrazia diretta.
ROBERTO FONTOLAN
Abbiamo già forse anticipato alcune cose che volevo chiedere adesso come secondo spunto di ri-flessione e cioè quali sono, in cosa vedete voi, i segni di questa crisi. Quali elementi di debolezza reali identificate. Caroline ci ha parlato per esempio di questi dati piuttosto impressionanti di que-ste indagini sull’universo giovanile in diversi paesi europei, l’ansia o il bisogno di cambiare perché comunque bisogna cambiare, alcune cose che ha detto Paolo. Vogliamo un po’ approfondire, quali sono i segni che voi ravvisate, segni oggettivi al di là delle posizioni precostituite che fanno pensa-re che effettivamente questo modello di vita comune sia entrato in una fase critica in cui le rispo-ste sono difficili da dare. Poi su questo aggiungerò un’altra cosa. Prego Caroline.
CAROLINE KANTER
Sì, grazie. A mio avviso il punto principale è la mancanza di fiducia verso la classe politica e questo problema si manifesta non solo nell’ambito politico ma anche nella Chiesa, nello sport e nelle ban-che per nominare solo alcuni ambiti che stanno vivendo questo fenomeno. Allora penso che c’è una grande insicurezza nell’ambito della società in generale, si vede, come ho detto, nella politica ma anche in altri aspetti. Nell’ambito della politica a causa di questa mancanza di fiducia stiamo osservando, così dice Giovanni Orsina, descrivendo il lento divorzio tra cittadino e politica; dob-biamo allora chiedere come possiamo fermare questo processo e come possiamo canalizzare il malcontento dei cittadini. Per quanto riguarda il problema della distanza fra cittadino e politica dobbiamo affermare una comunicazione non adeguata. Uno scienziato politico sottolinea in questo contesto che il deficit di comunicazione dei partiti di massa causano le crisi politiche e come Paolo Alli ha detto penso che abbiamo anche visto nella campagna elettorale qui in Italia alcuni Stati erano molto positivi anche sul piano dell’economia italiana ma c’era questa distanza e mancanza di comunicazione. Non è arrivato ai cittadini il messaggio positivo. In Germania ho trovato un sondaggio in questo contesto abbastanza interessante con la distanza propria del Governo e del Parlamento si riduce la fiducia; solo il 28% dei tedeschi hanno fiducia nel Parlamento europeo, verso il Parlamento nazionale tedesco, il Bundestag, il 40% dimostra fiducia, nel Parlamento Re-gionale quasi la metà dei cittadini, il 50%, dimostra fiducia. Questo sondaggio ci fa capire che dob-biamo avvicinarsi al cittadino. Avvicinarsi non come un modo di dire ma fisicamente e per questo approccio non servono solo i selfie o i tweet ma serve il dialogo vero e diretto. Dobbiamo cercare di parlare con il cittadino ed ascoltarlo. Eventi come questo, il Meeting di Rimini, sono importanti perché aiutano a ridurre la distanza e promuovono il dialogo. Se la politica e le istituzioni politiche sono indebolite non riescono a prendersi la loro responsabilità e nel cittadino cresce la sensazione che altri attori, l’economia, le multinazionali, i lobbisti hanno potere e influenza ma che la voce del cittadino non viene sentita. Per chiudere una citazione di Franz Josef Strauss che ha detto negli anni 70 che sia necessario un accordo a tre vie, la Patria, lo Stato e l’Europa. Allora dobbiamo lavorare perché il cittadino si senta rappresentato in tutti e tre gli elementi specialmente come europeo.
PAOLO ALLI
Innanzitutto sono molto d’accordo con ciò che diceva Caroline, ovviamente anch’io sono molto contento di poter essere qui con lei perché abbiamo lavorato molto insieme e ci siamo ripromessi di farlo, tra l’altro ho avuto anche l’onore di entrare a far parte del Consiglio di Amministrazione della Fondazione De Gasperi, anzi vi suggerisco di andare a vedere la bellissima mostra che la Fondazione ha fatto. Io credo che quando un sistema di governo non dà risposte adeguate ai propri cittadini i cittadini hanno il dovere e il diritto di chiedere un cambiamento ma il problema vero quello che è successo negli ultimi anni in Italia, in Europa e anche nel mondo, è fortemente in-fluenzato dalla crisi economica del 2008 perché l’onda lunga della difficoltà che le famiglie e gli imprenditori hanno dovuto sopportare non solo in Italia a causa di questa grande crisi ha aumen-tato ovviamente a dismisura il livello di rabbia di pretesa nei confronti delle istituzioni allora ci so-no oltre alle cose a cui accennavo prima alcuni altri aspetti da cui si capisce si percepisce perché il modello della democrazia rappresentativa è in crisi per esempio l’invocazione di un nuovo centra-lismo, dell’uomo forte che dia le risposte a tutti perché comunque il Parlamento è un organismo che non è in grado di dare queste risposte. Le reazioni al crollo del ponte di Genova sono legittime di rabbia, di sconforto, di sconcerto ma io ho un po’ l’impressione che la frettolosa invocazione “nazionalizziamo le autostrade” in realtà fosse già pronta da prima di questo incidente. Io ho vissuto cinque anni con i colleghi del Movimento Cinque Stelle affianco che tutte le volte che veniva proposto un modello sussidiario si scagliavano contro questo coinvolgimento dei privati; i privati visti come “ladri”, come “approfittatori”, il pubblico è l’unica vera garanzia. Io non so se valga la pena nazionalizzare o meno le autostrade, dico solo che c’è una crisi anche del modello sussidiario del concetto di sussidiarietà non solo in Italia ma anche in altre parti del mondo. La Big Society di Cameron è crollata miseramente. Cameron aveva vinto le elezioni nel Regno Unito con il tema della Big Society, ve lo ricordate se ne è parlato tanto anche qui al Meeting. L’allargamento della società e il coinvolgimento della sussidiarietà orizzontale, quel modello è crollato sotto i colpi della Brexit che è esattamente il contrario cioè “rinchiudiamoci in noi stessi; stiamo nella nostra isola”. In Italia secondo me si ricomincerà a rimettere in discussione la libertà di educazione, se non è già stato fatto, oppure invocare l’intervento dello Stato come nuovo garante per i cittadini. Non dico che non serva un ripensamento di questi modelli, dico però, che tutto questo è legato a una forte insoddisfazione a una forte crisi economica e finanziaria cioè quindi un Paese che non ha dato le risposte che il Paese si aspettava e di conseguenza il modello viene messo in discussione.
ROBERTO FONTOLAN
Quindi c’è un evidente incapacità mi pare di capire da questi vostri due interventi o impossibilità della politica in senso lato a dare risposte chiare veloci esaurienti ai bisogni dei cittadini. Questo è un elemento fondamentale della crisi della democrazia cioè la difficoltà in cui i meccanismi della politica sono precipitati negli ultimi anni. E’ così? Cioè c’è questo elemento? Siete d’accordo su questo punto?
PAOLO ALLI
Sì, sicuramente soprattutto il tema della velocità perché oggi i meccanismi della così detta Demo-crazia Partecipativa illudono la persona che con un “click” o con un “like” si risolve il problema in-vece quando si ha a che fare con situazioni complesse non si possono fare semplificazioni di questo tipo. A un problema complesso servono risposte complesse e articolate per questo per esempio un dibattito parlamentare non è che dura mesi perché noi siamo lì a grattarci la pancia, dura mesi perché servono approfondimenti di varia natura tecnici, amministrativi. L’idea della flat-tax è molto affascinante voglio vedere come si riuscirà a realizzare. Per realizzarla ci vorranno mesi se non anni. Oggi però la gente percepisce la non risposta immediata come una non risposta. Quindi la responsabilità della politica è quella di saper dare da un lato delle risposte immediate ma dall’altro anche spiegare alla gente che serve comunque un momento di approfondimento.
ROBERTO FONTOLAN
Che cosa ci può essere al posto della democrazia in quello che vedete emergere nel dibattito nelle posizioni di politologi, leder politici, intellettuali autori di libri. La “democratura”, come è stata battezzata recentemente, una formula in cui c’è un’apparenza di democrazia e un sostanziale affidarsi ad una figura forte che assume le forme della democrazia ma non la sostanza della democrazia, il “Governo dei Sapienti” per citare l’antica Grecia o la rete come è un grande tema di discussione che è stato introdotto nel caso italiano dalle performance politiche straordinarie del Movimento Cinque Stelle, ma il tema della rete, dell’influenza della rete sui meccanismi della democrazia è stato messo in luce non so se per la prima volta ma certamente per esempio nel caso delle elezioni americane soprattutto nel caso della seconda elezione di Obama. Qualcuno ne ha pure scritto dei libri, ne abbiamo parlato anche qua al Meeting qualche anno fa, proprio l’utilizzo della rete come un momento di supplenza del dialogo politico mancante tra il partito classico e i cittadini; l’utilizzo della rete per fare politica per conquistare consenso. Nel dibattito sono un po’ emerse queste cose i sapienti, o per dire il governo dei tecnici la politica dei tecnici il tema dell’uomo forte, il tema della rete come nuove soluzioni alla crisi della democrazia.
CAROLINE KANTER
Come voi sapete in Germania abbiamo fatto molta esperienza anche con altre forme oltre alla democrazia e devo dire che queste esperienze non erano molto positive. Voglio spiegare un po’ perché per me comunque la democrazia rappresentativa è il sistema giusto. Dobbiamo discutere sulla comunicazione e su come noi possiamo utilizzare la rete, internet, per essere più vicino per spiegare il nostro messaggio politico ai cittadini. Comunque penso come modello ci serve la democrazia rappresentativa perché alla fine ci serve una persona, un politico che prenda anche la responsabilità. Quando parliamo anche della democrazia diretta, lei ha già dato alcuni punti perché dobbiamo vedere questo approccio critico, ma a mio avviso manca anche la persona che alla fine prende la responsabilità in un sistema rappresentativo ci sono elezioni tre o quattro o cinque anni dopo i cittadini hanno la libertà non solo la libertà anche il dovere di andare al voto ancora e questo è il momento di scegliere o vogliamo dare ancora la fiducia a questo governo o all’opposizione. Un altro aspetto, quando parliamo della democrazia diretta mi sembra importante: non è garantita che venga rappresentata l’opinione della maggioranza della società perché dobbiamo tenere presente che non tutti partecipano e che c’è una forte mobilizzazione e a volte abbiamo visto in Germania anche una strumentalizzazione da gruppi di interessi diversi che influenzano l’opinione del cittadino. Ci sono alcuni gruppi che fanno le campagne forti con tanti soldi per influenzare l’opinione pubblica. E un altro aspetto che mi sembra molto importante che Paolo Alli ha già menzionato è la complessità dei temi di oggi. Ci saranno esperti, sì, ma comunque i tecnici alla fine non prendono la responsabilità. Un politico ci ha i valori, ha la sua posizione e spero che anche i politici hanno la capacità e l’esperienza.
ROBERTO FONTOLAN
Molto in Italia direi più che in Germania. Se pensiamo alla discussione che c’è stata in Italia sul contratto di governo e tutti facevano riferimento al famoso accordo tedesco poi qualcuno ha sco-perto che l’accordo tedesco era un volume di quattrocento pagine e il contratto italiano erano venti articoli buttati giù così, ma insomma noi abbiamo sempre la Germania come modello ma non riusciamo a essere veramente tedeschi nella pratica.
CAROLINE KANTER
Io sono un po’ triste quando vedo anche delle immagini della politica in Italia ma anche in Germa-nia, non è sexi per un giovane fare la politica ci vuole un impegno molto forte anche un impegno privato non si fanno tanti soldi in Germania come politico quando vuoi fare i soldi devi lavorare nel settore privato anche noi come organizzazioni vicino ai partiti politici di massa dobbiamo anche pensare a quali sono i punti attrattivi per coinvolgere di più i giovani. Grazie.
PAOLO ALLI
Io credo che non ci sia alternativa per l’occidente alla democrazia rappresentativa, perché il mito dell’uomo forte, dell’uomo solo al comando – che per altro in Italia è presente già da qualche de-cennio, perché fu Berlusconi il primo a introdurre quest’idea dell’uomo che comanda da solo – questo mito si scontra oggi con un fenomeno che io chiamo il “consumismo delle leadership”. Voi osservate quanto dura una leadership oggi nel mondo: lo spazio di qualche anno, se va bene. Mat-teo Renzi nel 2014 aveva il 41% quasi dei consensi. Tre anni dopo, è sparito dalla circolazione. Ma-cron, in Francia, è stato eletto come una grandissima novità, dopo un anno nei sondaggi è dato a valori disastrosi come consenso. Regge Angela Merkel perché il sistema tedesco è un sistema mol-to più forte e più strutturato, e il popolo tedesco lo è anche altrettanto, diciamo, ma in giro per l’Europa, per il mondo – ho già detto di Cameron, è sparito dopo quattro anni, adesso la May sta lì ma chissà chi potrà arrivare dopo di lei, Trump, anche lui, grande fenomeno mediatico, la rete, la pancia dell’America profonda, eccetera, ma non lo so: io sono stato negli Stati Uniti, sono arrivato a Washington il pomeriggio del giorno in cui Trump aveva incontrato Putin e sentivo democratici e repubblicani, li vedevo mettersi le mani nei capelli per questo presidente che non sembra rappre-sentare, certamente, agli occhi del mondo lo schema tipico del presidente americano. Voglio dire: una leadership oggi si afferma molto rapidamente, ma decade anche molto rapidamente, se si fa eccezione ovviamente della Cina, della Russia o del mondo arabo dove ci sono altre logiche che governano. Dove il popolo può intervenire nella scelta dei propri leader, queste leadership vengo-no buttate all’aria molto rapidamente. Adesso vedremo Salvini e Di Maio quanto durano, ma il fat-to che l’uomo forte, che l’uomo solo al comando non sia la soluzione l’ha dimostrato la storia degli ultimi quindici-vent’anni in tutta Europa, lo sta dimostrando ancora adesso, quindi io dico, secondo me non c’è alternativa alla democrazia rappresentativa, che però si deve dare una regolata. Lo stesso Giorgetti ieri diceva nel dibattito qui: “bisogna che cambiamo qualcosa”. Ma, guardate, non sono neanche tante le cose che bisognerebbe cambiare, perché noi abbiamo un parlamento che fa fatica a funzionare perché è l’unico sistema al mondo ancora basato sul bicameralismo paritario, per cui una legge va a camera e senato avanti e indietro, ma non ci sarebbe stato neanche bisogno del referendum costituzionale che aboliva il senato, basterebbe lavorare sui regolamenti di funzionamento di camera e senato. Però all’inizio di ogni legislatura si parte per fare queste modifiche regolamentari, e poi alla fine prevale questo concetto che comunque ognuno deve poter dire la sua e i tempi si allungano. I sistemi elettorali sono fondamentali, perché o il sistema elettorale tiene conto della reale situazione sociale oppure va a finire che non si rappresenta la realtà del paese. Tra l’altro, è dimostrato dalla storia in Italia, che è il paese che ha fatto più riforme elettorali di tutti gli altri messi insieme, che ogni volta che un partito, una maggioranza di governo propone una nuova legge elettorale per consolidare il proprio posizionamento, inevitabilmente perde le elezioni successive. Ci sono dei ragionamenti che la politica e il parlamentarismo dovrebbe fare su se stesso, di riforma, per andare incontro alle esigenze dei cittadini, per stare più vicino ai cittadini. Il dato che diceva Caroline sul gradimento che c’è in Germania rispetto al parlamento europeo, parlamento nazionale o parlamento regionale, io credo che anche in Italia – non ho dati, ma certamente il sindaco è considerato molto più vicino ai bisogni dei cittadini di quanto non sia il presidente della regione o un parlamentare.
ROBERTO FONTOLAN
E’ abbastanza impressionante il dato che citava Caroline Kanter prima: in parallelo a questo tema della crisi della democrazia c’è anche, nei vari paesi che sono culla della democrazia come noi la conosciamo, una forte crisi di quegli organismi che potremmo definire come “democrazia delle democrazie”, cioè quei luoghi, quelle strutture, come l’Unione Europea o le Nazioni Unite, che i paesi usciti dai disastri del Novecento e delle guerre avevano, in un’atmosfera completamente di-versa – desideravano uscire da queste storie di tragedie con delle possibilità nuove, delle scom-messe nuove. C’è un libro bellissimo di Mary Ann Glendon, l’ex ambasciatrice americana al Vaticano, che racconta come è stata la formazione della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, un libro veramente incredibile, bellissimo, che rappresenta quasi un mondo edenico rispetto a quello che viviamo oggi, il desiderio di condividere, di incontrare, di costruire, il desiderio di darsi delle modalità nuove di convivenza. Invece questi organismi, dalle Nazioni Unite a tutte le loro varie emanazioni e agenzie, e l’Unione Europea, che è sotto un attacco ormai continuo da molti anni, si stanno rivelando luoghi in cui le difficoltà superano le virtù, in questo momento. Questa crisi, anche, della modalità internazionale con cui i paesi, le società, le culture hanno cercato di darsi un modo di convivere: voi come la vedete, come la sentite questa cosa?
CAROLINE KANTER
Si, penso che noi conosciamo bene queste critiche, ma io non penso che queste organizzazioni in-ternazionali o sovranazionali sono obsolete: io sono convinta che servano le riforme, ma quando vediamo il passato, con l’UE, con le istituzioni europee, ma anche con l’ONU siamo andati nella di-rezione giusta, no? Il modo di funzionamento non è chiaro oggi e ci servono le riforme, ma è sem-pre da chiedere se questi organismi sono obsoleti o sbagliati, e io non sono convinta di questo, perché dobbiamo anche essere consapevoli, chiedere a noi e ai giovani dove siamo, dove vogliamo andare, e che cosa sono i nostri valori. Anche in Germania abbiamo adesso questo dibattito, ci servono nuovi partner nel mondo, perché non possiamo continuare a lavorare con il governo di Trump, diventa più difficile nell’Unione Europea con Orban e tutto questo, ma alla fine io sono convinta che ci sono i valori della democrazia, i valori occidentali, e questi sono i punti forti. Si, ci serve un lavoro e le riforme, ma oggi dobbiamo andare a cercare i partner. Alla Russia, alla Cina, voglio solo dire, dobbiamo fare un po’ attenzione.
PAOLO ALLI
Si, io credo che il richiamo ai valori che faceva Caroline adesso è il richiamo fondamentale. Il si-stema della democrazia rappresentativa nasce e si consolida in un tessuto sociale di tipo forte-mente comunitario, oltre che identitario. Io ricordo i miei genitori, fecero parte di quella genera-zione che fece il miracolo economico degli anni Sessanta: l’ambizione era quella di fare più grande il proprio paese, prima che il proprio interesse personale. Il mio papà mi diceva: fa’ il tuo dovere, poi potrai accampare i tuoi diritti. Il rispetto per l’altro, per un tessuto comunitario dove il bene comune viene prima dell’interesse del singolo. Questo sistema è messo in crisi oggi dal crescente individualismo che vediamo affermarsi soprattutto dopo la crisi dei valori che ha colpito l’Europa, iniziata nel ‘68. Non è un caso – ed è secondo me molto importante che il Meeting di quest’anno dedichi tutto questo spazio e questa attenzione al ‘68, perché è da lì è nata questa ondata di individualismo, di pretesa che poi ha scardinato, in nome di un relativismo che Benedetto XVI aveva definito come la dittatura del razionalismo, il tessuto comunitario affermando il valore dell’individuo che viene prima. Ma questo primato del valore dell’individuo ha come conseguenza inevitabile l’egoismo dei popoli: ciascun popolo oggi tende a dire “va bene, ma prima vengono i miei interessi”. Trump ha vinto le elezioni dicendo “America First”, Salvini ha detto “prima gli italiani”, Orban fa i muri, i paesi di Visegrad, Kurz, eccetera. Insomma, siamo in una situazione in cui in ogni parte del mondo quello che io chiamo egoismo dei popoli o individualismo dei popoli compromette esattamente le grandi istituzioni multilaterali. Le Nazioni Unite sono nate – oltre ovviamente a Fondo Monetario Internazionale, Unione Europea, ma prendiamo solo il caso delle Nazioni Unite – qual è il concetto di base? E’ stato l’occidente a inventarlo: attorno alla tavola rotonda mettiamo tutti i quanti, i grandi e i piccoli, e diamo diritto di parola a ciascuno perché si possa insieme trovare le necessarie mediazioni per sanare gli interessi di tutti. Ora, la Cina – Caroline citava la Cina – ha un’idea di multilateralismo che è a modo suo intelligente: c’è sempre questo tavolo attorno a cui la Cina mette tutti gli altri, però in mezzo ci sta la Cina, e tu per parlare con un altro devi passare attraverso Pechino. Questo è lo schema che sta dietro per esempio il grande progetto della Via della Seta, osannato da molti, che secondo me è potenzialmente il più grande progetto geopolitico mai fatto nella storia dell’umanità, che coinvolge 60 paesi per 3 miliardi di abitanti, dove il vero obiettivo della Cina è mettersi al centro del tavolo e governare questo sistema, un po’ come era l’Unione Sovietica, dove tu avevi Mosca e i paesi satelliti intorno. Ora, noi dobbiamo difendere il multilateralismo che noi abbiamo inventato, a tutti i costi, perché se no noi finiamo nel modello cinese o nel modello russo: direi più nel modello cinese, e condivido le cautele di Caroline sulla Cina, perché la Cina ha un disegno neocolonialista molto chiaro, sta comprando l’Africa, parti del mondo, debito pubblico – poi io sono un po’ stupito che Tria vada in Cina per vedere se ci comprano anche il nostro debito pubblico, perché poi non è che comprano questo debito pubblico “aggratis”! Comunque, questo per dire un po’ la confusione dell’attuale governo secondo me, ma chiudo subito la parentesi.
Noi finiremo nelle mani del neocolonialismo cinese o del neoimperialismo russo se non difendia-mo le nostre grandi istituzioni internazionali. Primo, le Nazioni Unite, il Parlamento Europeo, l’Unione Europea, che deve essere rafforzata – purtroppo questo è un limite, il fatto che l’Europa non sia ancora gli Stati Uniti d’Europa, non sia ancora una comunità di popoli – e di conseguenza tutto il resto. La Nato regge perché c’è di mezzo il tema della difesa e ovviamente di fronte ai mis-sili che possono arrivare dalla Corea del Nord o dalla stessa Cina si tiene un po’ più botta, ma il ri-schio del crollo del modello multilaterale – è lo stesso Trump, Trump preferisce dialogare bilate-ralmente con ciascuno dei paesi che ha di fronte, perché poi nel dialogo bilaterale il grande man-gia il piccolo, nel dialogo multilaterale il grande deve riuscire a trovare una forma di compromesso. Del resto, dopo la seconda guerra mondiale i vincitori e i vinti si sono messi allo stesso tavolo e hanno deciso che la ricostruzione dell’Europa era la priorità, e quindi ciascuno ha rinunciato a qualcosa. Noi qui rappresentiamo due paesi che stavano dalla parte degli sconfitti, a quell’epoca. E’ stato fatto il Piano Marshall, sono stati fatti interventi, e io mi domando: ma oggi, con le classi politiche di oggi, questo sarebbe possibile? Io ricordo quando De Gasperi andò alla conferenza di pace di Parigi ed esordì dicendo: “nel prendere la parola di fronte a questo consesso mi rendo conto che nulla, tranne la vostra personale cortesia, è dalla mia parte”. Prendiamo uno dei leader italiani degli ultimi vent’anni: mettiamo Berlusconi, mettiamo Renzi, mettiamo Salvini in quella posizione. Avrebbero avuto la dignità e la forza morale di dire quelle parole? No, perché probabilmente non hanno più alle spalle il popolo che avevano allora, che era un popolo che voleva assolutamente la ricostruzione e il risanamento delle ferite della guerra.
ROBERTO FONTOLAN
Quindi alla crisi della democrazia – avviandoci verso le battute finali – si risponde con impegno, senso della complessità, fatica, comunicazione, tempo: tutte cose che oggi non sono molto di mo-da. Come facciamo a ricostruire un tessuto, a mettere dei cerotti su questo sistema che pure è il sistema che ha assicurato, almeno in tanta parte del mondo, una vita più dignitosa, serena, pacifi-ca, un desiderio di costruire con l’altro? Mettere in crisi questo vuol dire rinunciare a tutto questo? Da un lato mi sembra che sia il messaggio che è venuto fuori finora, ma rilanciare questo modello, questo sistema, questa forma implica tante virtù che oggi non sono tra le virtù più praticate. Come si fa?
CAROLINA KANTER
Sì, allora io voglio patteggiare alcuni esempi abbastanza pratici della Germania, ma prima di parlare di questo voglio solo dire che penso che i numeri sono anche molto chiari, dobbiamo patteggiare e discutere i numeri anche con i cittadini. Perché da soli siamo piccoli, solo insieme come Unione Europea siamo forti. Se parlo come tedesca siamo 80 milioni di tedeschi in confronto di quasi 8 miliardi di persone che vivono nel mondo, allora 1 %, con Unione Europea siamo 8% e l’ Unione Europea fa quasi 35% del PIL mondiale. Allora tutti questi leaders politici che chiedono adesso il protezionismo e un approccio nazionale loro devono spiegarmi come vogliono negoziare con un Trump o con la Cina. In questo contesto penso veramente che i nostri valori sono importanti, perché oggi qui abbiamo la Merkel in Germania, domani abbiamo un’altra persona, ma alla fine questi valori democristiani sono la base. Non servono solo i leaders ma anche i valori e il programma. Questo mi sembra importante. Sì, se posso spiegare un po’, abbiamo alcune esperienze che abbiamo fatto in Germania per lavorare per difendere questo sistema democratico. Il punto che mi sembra importante è la volontà di ascoltare. In Germania il sottosegretario generale della Cdu, Annegret Kramp-Karrenbauer, ha annunciato che nel 2020 la Cdu vorrebbe fare un nuovo programma programmatico. Allora il segretario generale ha iniziato un Zuhör-Tour, si chiama tour d’ascolto, in tutta la Germania per capire bene cosa pensano i cittadini e quali sono le Leitfragen, le domande principali che si pongono i cittadini. Queste domande dobbiamo inserire in questo programma. Il secondo punto che mi sembra molto importante, e che abbiamo anche sentito ieri nel dibattito con il sottosegretario Giorgetti e altri politici, l’importanza della formazione, la formazione civica e politica. Per me è un aspetto chiave per assicurare la partecipazione politica e per garantire l’accettazione del sistema politico. Dobbiamo combattere contro il dimenticare e questo è importante per la Germania, perché lo vediamo adesso per quanto riguarda la gestione del passato nazista e anche la dittatura, due sistemi totalitari. Le giovani generazioni devono sapere da dove nascono queste dittature e cosa sono le conseguenze. Dobbiamo sapere da dove veniamo. Voi sapete che adesso abbiamo questo partito Alternative für Deutschland in Germania, un partito della estrema destra che è anche nel parlamento e banalizza il passato nazionalsocialista. Con il partito di Linke invece vediamo una forza politica che banalizza e semplifica il regime della RDT nonostante che vivano tante vittime di questo sistema totalitario ancora in Germania. Allora secondo me è importantissimo che i giovani sanno cosa significa vivere in un sistema dove la democrazia non ha valore, dove non puoi esprimere liberamente la tua opinione. Attualmente in Germania sta nascendo un grande dibattito se le classi della scuola devono andare a vedere i campi di concentramento come parte integrante dello studio della storia. Io personalmente penso che sia importante sapere i fatti e sapere la propria storia e vogliamo portare avanti i nostri valori, se vigliamo portare avanti i nostri valori. La scuola è l’unità fondamentale e lo specchio della società per cui dobbiamo dedicare alla scuola maggiore attenzione a mio avviso. Un professore all’università di Postdam, sottolinea che per la formazione della democrazia in modo vincente devono essere assicurate tre condizioni. La prima: le scuole devono avere tempo per discutere i temi fondamentali della società, come per esempio i diritti delle minoranze. Secondo, le scuole devono integrare la formazione della democrazia nei programmi di studio scolastici. Terzo punto, importante, le scuole devono approfittare del sapere degli esperti e anche gli insegnanti devono avere una formazione prima di parlare di temi come razzismo e altro. Allora in Germania abbiamo visto e capito che la formazione alla democrazia è stata trascurata per troppo tempo e vediamo che ora ci sono proprio grandi differenze anche regionali per quanto riguarda l’intensità dell’educazione politica nelle scuole tedesche, e qui abbiamo bisogno di alcune riforme. Il terzo punto che voglio toccare rapidamente è la cittadinanza attiva. Ne abbiamo già parlato un po’, ma questo è un lavoro importante per i partiti politici e ci serve una ripoliticizzazione, una repolitisierung della società e qui è importante il lavoro che voi fate come Fondazione De Gasperi ed è la cosa che noi facciamo come Fondazione Adenauer. Voglio veramente sottolineare che la partecipazione politica non finisce ad un like, un selfie, un post. Serve una partecipazione attiva, servono persone che sono informate, questo è un nostro diritto ma manche un nostro dovere come cittadini. Questo è un lavoro importante da fare anche in Germania con la generazione giovane. Se vogliamo che la democrazia funzioni, noi tuti abbuiamo un ruolo. Grazie
ROBERTO FONTOLAN
Paolo, alcuni elementi di rinascita, diciamo: ascolto, formazione, riguadagnare la politica come bene.
PAOLO ALLI
Caroline ha già detto molto bene tutta la ricetta che anche in Italia dovremmo perseguire. Io credo che servirebbe un grande patto di rieducazione alla politica dei nostri cittadini, intendendosi come politica la politica in senso etimologico, cioè la cura della polis, la cura degli interessi della città, della comunità. Questo significa ricostruire un tessuto comunitario, ripartire dalla base, dall’individuo, ma in questo il ruolo della scuola, il ruolo degli stessi partiti che devono rigenerarsi e ripensarsi alla luce di queste novità, il ruolo del sistema della comunicazione perché la comuni-cazione non è soltanto internet ma ci sono anche i sistemi di comunicazione tradizionali, i quali portano una grave responsabilità della situazione in cui è oggi il nostro paese, e infatti qualcuno se ne è accorto tardivamente, perché dando voce a questi istinti populistici poi è chiaro che la gente si convince anche che quella lì è la ricetta giusta. Quindi un grande patto di rieducazione, lo chia-mo io, alla politica e all’amministrazione del bene comune, contando anche sul fatto che poi tanti amministratori locali che per pochissimi soldi, per un rimborso spese risibile mettono magari in crisi le proprie attività professionali per gestire piccoli comuni etc. e si trovano in situazioni di forte difficoltà dal punto di vista economico, dal punto di vista del consenso e si beccano pure gli sberleffi della gente. Dobbiamo cominciare a riconsiderare che tra un po’ non ci sarà più nessuno che vorrà fare il sindaco dei comuni, perché questa è la realtà di fatto. Poi c’è un ruolo dell’Europa molto importante. Io volevo solo leggervi una breve citazione di quello che ha detto Benedetto XVI in un’intervista di circa un anno fa, perché mi ha molto colpito questa cosa. Parlando di Europa di-ce: “È evidente che l’Europa anche oggi nel mondo un grande peso sia economico, sia culturale, sia intellettuale e in corrispondenza a questo peso ha una grande responsabilità. Ma l’Europa deve trovare ancora la sua piena identità per poter parlare e agire secondo la sua responsabilità. Il pro-blema oggi non sono più secondo me le differenze nazionali, si tratta di diversità che non sono più divisioni, grazie a Dio. Le nazioni rimangono e nella loro diversità culturale, umana temperamentale sono una ricchezza che si completa e da nascita ad una grande sinfonia di culture”. L’intuizione di papa Benedetto è geniale, ma noi cosa possiamo fare per costruire o ricostruire questa “sinfonia di culture”? Dobbiamo ripartire dal basso. Io aggiungo un’ultima notazione che mi viene dalle mie esperienze internazionali. Noi dobbiamo anche imparare a osservare cosa accade in altre situazioni, perché esistono paesi che vanno in controtendenza rispetto a quello che capita nel nostro mondo occidentale. Faccio solo 2 esempi, ce ne sarebbero diversi ma ne faccio solo 2. Uno è la Tunisia. La Tunisia non ha seguito il modello effimero delle primavere arabe, ha avviato un processo di dialogo reale, serio interno alla propria società (il quartetto per il dialogo nazionale ha pure vinto il premio Nobel per la pace nel 2015); ha avviato una transizione democratica vera, che oggi è già in crisi perché poi, ovviamente, la realizzazione di certi percorsi è molto complicata, specialmente in mondi come quello islamico, però la Tunisia è una realtà molto interessante da guardare con grande attenzione da questo punto di vista. L’altra realtà, che è ancora forse più interessante, per certi aspetti, è la Georgia. La Georgia è un piccolo paese di 5 milioni di abitanti, che io ho avuto la fortuna di visitare molte volte in questi 5 anni. La Georgia è un ex paese sovietico, quindi loro si sono liberati dal totalitarismo sovietico dopo la caduta del muro di Berlino. Hanno avuto un primo periodo di transizione di una dozzina d’anni, dove hanno avuto un sistema sostanzialmente oligarchico, ancora non molto differente da quello precedente. Poi hanno fatto una transizione a una democrazia presidenziale, dove il presidente aveva molti poteri nelle mani. Pochi mesi fa è stata approvata una riforma costituzionale che trasforma il paese, che trasforma il sistema di governo del paese in una democrazia parlamentare. Quindi hanno fatto un percorso esattamente inverso rispetto a quello che molti invocano da noi. Allora questa riflessione mi fa venire in mente questo giudizio: forse chi la democrazia non l’ha mai avuta, la desidera come l’aria.
ROBERTO FONTOLAN
Bene. Ultimissima battuta per Caroline. È stato citato il muro di Berlino e, appunto, parlando mi è venuto in mente che l’anno prossimo, nel 2019, si celebrerà un importante anniversario per l’Europa, probabilmente per il mondo anche, ed è un tema connesso fortemente alla nostra con-versazione di oggi perché l’ ‘89, la fine del muro di Berlino ha segnato una stagione nuova della nostra vita comune europea, ispirata, fondata, consolidata sulla democrazia. Quindi potrebbe es-sere un’occasione, oltre che per riavere qui Caroline Kanter qui al Meeting l’anno prossimo, pro-prio su un tema così interessante, questo mi sembra uno spazio utile per lavorare in questa dire-zione. Caroline, prego, le ultime parole di questa conversazione.
CAROLINE KANTER
Sì, allora, penso che possiamo vedere che solo alcuni anni fa il nostro mondo in Germania ha cam-biato la vita per noi, per le nostre famiglie, perché abbiamo amici che non hanno vissuto la demo-crazia. Allora per questo per noi è una motivazione a lavorare anche per il futuro della democrazia, ma anche a pensare che i punti di vista dell’Unione Europea e fuori sono molto diversi e gli interessi sono diversi, per gli stati dell’Europa dell’est la libertà, per esempio, è un punto molto importante e molto forte, perché solo alcuni anni fa loro sono riusciti ad avere questa libertà. Alla fine voglio anche dire che a volte in Germania, in Italia e in Europa noi siamo molto concentrati su noi, piegati su noi stessi e non vogliamo dimenticare che ci sono altre persone, altri paesi che hanno anche sfide più importanti che noi. E penso che il Meeting di Rimini dimostra anche che noi dobbiamo dare una mano e lavorare con altre realtà, perché noi alla fine in Europa siamo in una situazione molto fortunata. Grazie.
ROBERTO FONTOLAN
Allora grazie. Mi sembra che c’è un messaggio importante per le nostre riflessioni. Buona giornata, buon proseguimento e ringrazio ancora Paolo Alli e Caroline Kanter.