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LA SFIDA DELLA PREVENZIONE, CHIAVE PER UN SISTEMA SANITARIO SOSTENIBILE
In diretta su askanews, Italpress
Francesco Bardelli, Chief Health&Welfare e Connected Business Development Officer di Generali Italia e Ceo di Generali Welion; Valentino Confalone, amministratore delegato Novartis Italia; Lorenzo Giovanni Mantovani, direttore del Centro Dipartimentale di Studio sulla Sanità Pubblica, Università Milano Bicocca; Paolo Veronese, CEO Veronese Sicurezza e founder Passione Sicurezza. Introduce Riccardo Zagaria, amministratore delegato Doc Generici
L’incontro mira a sottolineare l’importanza della prevenzione come elemento fondamentale per un sistema sanitario sostenibile. Attraverso un dialogo costruttivo, i partecipanti esploreranno strategie innovative e condivise per promuovere una cultura della prevenzione, garantendo una migliore qualità della vita e una maggiore sostenibilità del sistema sanitario.
Con il sostegno di Generali-Cattolica, DOC
LA SFIDA DELLA PREVENZIONE, CHIAVE PER UN SISTEMA SANITARIO SOSTENIBILE
LA SFIDA DELLA PREVENZIONE, CHIAVE PER UN SISTEMA SANITARIO SOSTENIBILE
Martedì 20 Agosto 2024 ore 19:00
Sala Conai A2
Partecipano:
Francesco Bardelli, Chief Health&Welfare e Connected Business Development Officer di Generali Italia e Ceo di Generali Welion; Valentino Confalone, amministratore delegato Novartis Italia; Lorenzo Giovanni Mantovani, direttore del Centro Dipartimentale di Studio sulla Sanità Pubblica, Università Milano Bicocca; Paolo Veronese, CEO Veronese Sicurezza e founder Passione Sicurezza. Introduce Riccardo Zagaria, amministratore delegato Doc Generici
Zagaria. Buonasera e benvenuti a tutti a questo incontro dal titolo “La sfida della prevenzione, chiave per un sistema sanitario sostenibile” all’interno del 45esimo Meeting per l’Amicizia tra i Popoli. Siamo a Rimini, ma so che ci sono diverse persone connesse, quindi saluto tutti. Ad affrontare questo tema, che vogliamo mettere al centro dell’incontro di oggi, cioè la prevenzione come strumento di sostenibilità nel nostro sistema sanitario, saranno con noi illustri ospiti e relatori. Iniziamo col presentare l’ingegner Francesco Bardelli, Chief Health and Well Care Connected Business Development Officer di Generali Italia; il dottor Valentino Confalone, amministratore delegato di Novartis Italia; il professore Lorenzo Mantovani, direttore del Centro del Dipartimento di Studio sulla Sanità Pubblica dell’Università di Milano-Bicocca, esperto di economia sanitaria, e il dottor Paolo Veronese, CEO della Veronese Sicurezza. In questa oretta di dialogo con i nostri illustri relatori vogliamo mettere al centro la prevenzione come uno degli strumenti più efficaci per rendere sostenibile il nostro sistema sanitario. Come tutti voi sapete, il nostro sistema sanitario ha copertura universale, ma come ci illustrerà poi il professor Mantovani introducendoci nello specifico alla parte tecnica dell’argomento, la curva demografica a cui stiamo assistendo in questi ultimi anni ci condanna in futuro alla possibilità di un sistema sanitario non più sostenibile. Quindi il tema che vogliamo affrontare oggi – e lo faremo sotto diverse angolature – è quello di capire come si può investire in prevenzione e come la prevenzione può essere realmente uno strumento che rende più sostenibile (anche investendo adesso per un futuro prossimo) il sistema sanitario. Quindi, come agire in modo che anche i nostri figli possano godere della copertura sanitaria di cui oggi noi godiamo vivendo in Italia. Quindi inizierei subito con una domanda al professor Mantovani. Caro professor Mantovani – parlo così perché è stato mio relatore della tesi ormai venticinque anni fa (mi sono laureato in Health Economics e lui era il mio relatore), in un recente rapporto Meridiano Sanità evidenzia come la prevenzione possa diventare un elemento centrale per la sostenibilità del sistema sanitario, soprattutto in un contesto come quello italiano dove l’invecchiamento della popolazione è rapido e la prevalenza delle malattie croniche è in costante aumento. Ad esempio, il rapporto indica che quasi un anziano su due convive con almeno tre malattie croniche. Alla luce di questi dati, potrebbe approfondire il ruolo della prevenzione primaria e secondaria nel ridurre la pressione sul sistema sanitario e migliorare la qualità della vita dei cittadini? E, più in particolare, quali sono, secondo lei, le priorità su cui concentrarsi per ottenere risultati significativi nell’ottica in cui abbiamo detto prima?
Mantovani. Chiedo di proiettare la prima diapositiva. Trovo abbastanza ironico che sia qualcuno che pesa 135 chili a parlare di prevenzione.
Zagaria. È dimagrito, eh?
Mantovani. Sono dimagrito.
Zagaria. Ne ha persi cinquanta da quando l’ho invitato, quindi si è messo in cammino.
Mantovani. C’è da dire che quando ti facevo da relatore pesavo quasi 50 kg di meno. Ok, allora questo è un lavoro che abbiamo pubblicato qualche anno fa; in realtà è un lavoro nato da un’idea di Giancarlo Cesana, nel quale siamo andati a stratificare la popolazione sulla base delle malattie croniche riscontrate, valutandone l’impatto economico e finanziario. Questo è il numero medio di malattie croniche note e curate. C’è una tecnicalità, quindi è una stima conservativa, cioè in realtà sono di più, in funzione dell’età. E vedete che c’è un’esplosione delle malattie croniche degenerative, soprattutto cardiometabolico-respiratorie, a partire dai 55 anni, che è la mia età attuale. Ovviamente questo succede per ciò che è accaduto prima dei 55 anni, non nascono come dei funghi, e poi tende a decrescere, vedete, dopo gli 85 anni. Sembra un’osservazione bizzarra, ma poi vedremo anche che c’è una ragione. Alla stessa maniera, si riporta il costo medio annuo di gestione di questi individui – era una popolazione di un milione di soggetti di quella che era all’epoca la Asl della Brianza, As di Monza. In realtà non è un’osservazione casuale quella per cui c’è una decrescita del costo sopra gli 85 anni e una decrescita del numero di malattie. C’è un effetto che si chiama “healthy survivor effect”, cioè coloro che hanno superato tutti i rischi precedenti sono, come si direbbe in linguaggio comune, fatti diversi. Sicuramente tutti voi conoscete un nonno o qualcuno che a 96 anni aveva ancora superato tutto, non aveva mai avuto la febbre, non aveva mai avuto nessun problema di salute. Cosa accade? Accade che all’interno di questo milione di soggetti, quelli che effettivamente richiedono cure, richiedono assistenza sanitaria e assorbono la gran parte del budget, circa il 60%, non sono quelli che hanno una sola malattia, ma sono quelli che ne hanno due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, che sono circa il 15-20% della popolazione e sono in grandissima parte, se vedete le età, 65 con 2, 68 con 3, 70, 71, 72, 73, 74. Sono proprio in quella fascia di età tra i 55 e i 75-80 anni. Sono sempre di meno; a ogni malattia ne perdiamo la metà, i numeri assoluti si dimezzano e il costo per gestire questi individui aumenta di circa il 70% a ogni malattia contratta, che viene diagnosticata e curata. Tra l’altro, c’è anche un cambio nella proporzione maschio e femmina. Vi chiedevo: è casuale il fatto che quei soggetti con più di 80-85 anni in realtà apparentemente richiedano meno cure? Non è casuale. Effettivamente sono soggetti che sono sopravvissuti, sono soggetti che hanno, potremmo dire in linguaggio comune, una tempra differente. Questo è quello che è successo nel febbraio, marzo, aprile del 2020 in Bergamasca e in Bresciana con l’impatto della pandemia. Vedete l’innalzamento improvviso, non preventivato. Si osservano i tassi di mortalità giornaliera, partendo dalla la base con l’improvvisa impennata. Ma quello che voglio mostrarvi è l’effetto relativo, cioè quanto è aumentata la mortalità in questi soggetti in rapporto all’età. Sotto i 60 anni aumenta fino a quattro volte, tra i 60 e i 65 arriva a 12 volte la mortalità attesa, 12 volte quello che ci attendiamo nel picco, 70-79 anni, 13 volte, 80-89 anni, 11 volte, solo 8 volte negli ultranovantenni, mentre ci saremmo attesi che più i soggetti sono anziani, maggiore sarebbe stato il rischio relativo. In realtà no, perché proprio questi soggetti sono, tra virgolette, differenti. Vedremo poi cosa questo comporta.
Allora, questo è il futuro demografico, in realtà è già il presente demografico del nostro Paese. Vedete questi due lobi? Sono il baby boom, il cosiddetto baby boom. Noi chiamiamo baby boom pensando che ci sia stata un’esplosione di nascite. In realtà non c’è stata un’esplosione di nascite nel secondo dopoguerra, c’è semplicemente stata una drammatica, drammaticamente positiva intendo dire, riduzione della mortalità infantile. Noi abbiamo avuto, da quando ci sono le statistiche, dall’Unità d’Italia, a parte i periodi di guerra, tra i 900 e il milione e 100 mila bambini nati fino alla metà degli anni ’70. Il punto qual era? Quando è nato il mio bisnonno nel 1870, su mille bambini nati vivi, durante il primo anno di vita, in gran parte nei primi 28 giorni, ne morivano 250. Quando è nato mio nonno nel 1902, ne morivano 160. Quando è nato mio padre nel ’30 ne morivano 100, quando sono nato io nel ’69 ne morivano 30, quindi da 250 a 30. E solo in quel decennio, mio fratello è del ’60, 43 morti per mille nati vivi, 30. Quando è nato mio figlio, il primo nel 2003, eravamo scesi a 3. Ok? Da 250 a 3 nell’arco di 140 anni e quindi ovviamente i bambini hanno continuato a nascere ma sopravvivevano. Perché? Condizioni igieniche, vaccinazioni, antibiotici, antipiretici, acqua corrente, riscaldamento nelle case, separazione animali-esseri umani. Vedete questi due lobi? Dopo il baby boom c’è stato il cosiddetto baby bust, la denatalità. Vedete questi due lobi che salgono? Mostrano quello che sarà nel 2045, la piramide praticamente si rovescia, nel 2065 diventa una sorta di rettangolo, cioè sostanzialmente quasi tutti quelli che vivono arrivano fino in fondo. Allora, prevenzione: quali sono le fasce attuali? La vera prevenzione primaria si fa in parte già durante la gestazione, ma si fa con l’educazione sanitaria, evitando i fattori di rischio. Questa è la vera prevenzione primaria e le fasce di età vanno sostanzialmente dalla nascita fino ai 35-40 anni. E qui abbiamo anche la possibilità di curare i soggetti – si pensi ad esempio alle terapie geniche, di cui parleremo fra un attimo. Questo è un bambino bolla, questo era un bambino bolla del ’77, estremamente fortunato, ha l’ADA-SCID, una malattia genetica rara; sottoposti a terapia genica, attualmente i primi bambini curati vanno all’università. Questo era un bambino bolla molto fortunato, figlio di un dipendente della NASA, per cui aveva accesso alla tecnologia d’eccellenza; adesso questi bambini guariscono. Si cura la sclerosi multipla – il primo picco di malattie croniche, oltre che quelle genetiche, è quello che colpisce le donne prevalentemente nella quarta decade di età, mediamente intorno ai 35-40 anni, e l’esempio paradigmatico è la sclerosi multipla. Anche qui abbiamo delle terapie che sono in grado di spegnere la malattia. È questa la prevenzione primaria. Il Piedibus esplica cinque forme di prevenzione primaria, quattro andate a segno e una probabilmente no. I bambini che camminano, i genitori che camminano, un minore impatto ambientale, minore inquinamento (perché non viaggiano le macchine, ma viaggiano i piedi), il contrasto alla fonte principale di disability-adjusted life years a livello mondiale in questo momento che è il mal di schiena, low back pain: i trolley, che mediamente pesano dai 12 ai 13 kg già in quarta elementare, impediscono che il bambino possa avere dei problemi con la colonna vertebrale crescendo. Poi c’è la quinta forma, che di solito non funziona, ossia le due o tre porzioni di frutta che stanno chiuse dentro quegli zaini e che normalmente la madre o uno dei genitori toglie al venerdì in graduale stato di decomposizione a seconda di quando sono state consegnate, perché poi il bambino va dal nonno e il nonno esiste per viziare il bambino (è questo il compito prevalente del nonno). Questa è la vera prevenzione primaria. Poi abbiamo la prevenzione secondaria, che in realtà potremmo chiamare mitigazione del rischio, in quanto i fattori di rischio (e io in realtà non dovrei parlarne), hanno già cominciato a funzionare, hanno già cominciato a fare il loro effetto, per cui a questo punto abbiamo essenzialmente due possibilità. Una è il cosiddetto stile di vita: camminare, nutrirsi adeguatamente, smettere di fumare se uno ha iniziato, poiché il fumo è il principale tra i fattori di rischio. Io ho fatto un trade-off, ho smesso di fumare e ho guadagnato una trentina di chili. E poi i trattamenti, che sono estremamente efficaci, soprattutto quelli di prevenzione cardiovascolare, metabolica, respiratoria; probabilmente li conoscete, in realtà sono trattamenti che ormai credo abbiano un costo abbondantemente inferiore a quello dei chewing-gum. Poi abbiamo la prevenzione terziaria: io ho avuto i miei fattori di rischio (colesterolo elevato, la pressione arteriosa, il diabete), ho un evento, ho un infarto, evito di avere un ulteriore infarto, evito di avere un ictus, quindi evito. E questo è ciò che succede nelle fasi ancora più avanzate dell’età. Quando ho cominciato a fare l’epidemiologo, l’età media del primo infarto nei maschi era 56, 57, 58 anni, adesso è arrivato a 70. Dai 70 in poi facciamo la prevenzione terziaria e, soprattutto con questa popolazione che invecchia, assistenza. Assistenza non vuol dire cura, perché sostanzialmente per la vecchiaia non c’è cura, ma significa assistere, stare vicino. È un frequentativo di “sisto”, che è un frequentativo di “sum”, sto costantemente vicino. Qui tuttavia, pillola dopo pillola si arriva a 13-14 pillole che interagiscono tra loro, col cibo, col paziente e creano dei problemi. Queste tredici pillole è meglio darle nella fascia di età precedente perché lì effettivamente fungono. Quindi, è questa la situazione attuale con le dimensioni relative della primaria, secondaria, terziaria e assistenza. Come saremo nel 2045? Anche questa piramide si inverte, tendendo a diventare sostanzialmente una sorta di rettangolo. Questo è di fatto ciò che ci attende. Allora, cosa dobbiamo cercare di fare? La prevenzione primaria e la secondaria non sono in alternativa tra loro, non è che se io faccio una non faccio l’altra; concentriamoci tuttavia su quella secondaria, che è il vero problema attuale del nostro servizio sanitario nazionale. Noi dobbiamo cercare di evitare che i soggetti che attualmente presentano più malattie concomitanti ne sviluppino altre, perché questo (e io, onestamente, non ci credevo dieci anni fa) in realtà produce un risparmio netto per il servizio sanitario nazionale. Dobbiamo agire per la mitigazione del rischio, per il rallentamento della progressione fino alla fase dell’assistenza, che è un altro mondo, che ha degli altri professionisti e che ha anche un altro impatto, perché è soprattutto una questione sociale. Abbiamo compresso la mortalità in fondo alla curva dei nati, non muoiono più 250 bambini. Un gerontologo si chiedeva, già 45 anni fa circa, come comprimere la morbilità, cioè come mantenere i soggetti sani fino al sopraggiungere della morte. Purtroppo questo è destinato verosimilmente a rimanere un sogno. Perché? Questo studio, a cui il mio gruppo partecipa, che si chiama Global Burden of Disease, dimostra che in Italia abbiamo progredito, per esempio, dal 1990 al 2020, otto-nove anni di aspettativa di vita per i maschi e quattro-cinque per le femmine (un po’ meno, perché erano già più avanti e poi perché hanno adottato degli stili di vita un po’ meno salubri, tipicamente il fumo di sigaretta). Purtroppo, però, nei prossimi 10-12 anni vivremo in condizioni di salute meno ottimali con aumento di disabilità, per cui dobbiamo attrezzarci. Concludo con Lucio Anneo Seneca, che ci dice che non ci dobbiamo curare di quanto a lungo viviamo, perché questo in grandissima parte non è nelle nostre facoltà, ovviamente con le conoscenze dell’epoca. Adesso siamo andati un po’ più avanti, ma ci dobbiamo curare di come viviamo, perché questo è in nostra facoltà e credo che noi dobbiamo ripensare i nostri modelli di prevenzione perché a ognuno di quei target corrisponde una modalità di prevenzione differente. Questo non significa, significherebbe anche avere più risorse in un mondo ideale, ma anche riallocare quelle che abbiamo in maniera più razionale. Vi faccio un esempio: le malattie concomitanti in un soggetto, come ha detto Riccardo prima, sopra i 65-70 anni sono mediamente tre e sono tre con scale di gravità. Noi fin qui le abbiamo pensate come “malato o non malato”, “bianco o nero”. In realtà, all’interno di ciascuna di queste condizioni di malattia c’è una gradazione, e non ce n’è una, ce ne sono tre o quattro nello stesso soggetto. Quindi il pensiero “sì o no” non vale più, è un pensiero di quando l’epidemiologia era bambina, adesso l’epidemiologia è diventata adulta. Diceva san Paolo: “Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino, ma divenuto uomo adulto ciò che era da bambino l’ho abbandonato.” Ecco, credo che dobbiamo dirigerci in quella direzione.
Zagaria. Bene! Grazie, Lorenzo. Ingegner Bardelli, Lorenzo ha appena affermato che occorre adesso essere preparati. So che Generali Italia – l’azienda che tu rappresenti – sta promuovendo un modello di sanità integrata che mira ad affiancare il sistema pubblico per facilitare l’accesso delle persone e delle famiglie alle prestazioni sanitarie. Considerando i trend emergenti, come quelli che abbiamo visto, e ad esempio anche la digitalizzazione di servizi e il crescente interesse nei confronti della telemedicina, quali sono le principali iniziative che state portando avanti per sostenere la prevenzione come strumento di sostenibilità sanitaria? A te la parola, Francesco.
Bardelli. Grazie per la domanda e un saluto a tutti da parte mia. Faccio una piccola premessa, mi permetto, perché io partecipo al Meeting da sempre, da quando facevo il liceo, e essere qui a parlare per me è una grande emozione. La seconda grande emozione è vedere nella platea i miei figli e i miei genitori. Li ringrazio per essere qui e devo dire che è una cosa che mi emoziona. Ci voleva un po’ di emozione, perché dopo tutti i numeri che ci ha fatto vedere il professore, bisognava tirarsi su di morale.Non essendo un docente, non farò vedere slide, ma ci tengo a citare un paio di numeri che ritengo importanti nella nostra discussione. Il primo numero, già citato dal professore, è che tra gli over 65 si concentra il numero più alto di patologie per singola persona, e questo oggi impegna il 49% dei 180 miliardi circa destinati alla spesa sanitaria nazionale, di cui la metà viene sostanzialmente impegnata per persone over 65. Tenendo conto del trend demografico descritto, delle curve, della piramide rovesciata, del trapezoide, questo chiaramente crea uno stress sul nostro sistema sanitario nazionale, quindi sulla spesa sanitaria nel suo complesso, sia quella pubblica, (che sui 180 miliardi sono circa 140), sia quella privata, che sono appunto i restanti 40 miliardi. Questi restanti 40 miliardi – faccio solo questo accenno – sono nel 90% del totale in carico alle famiglie (si chiama “out of pocket”), famiglie che si devono preoccupare di questa spesa senza nessun effetto mutualistico perché solo il 10% di questi 40 miliardi oggi è intermediato da fondi, mutue, aziende che offrono questi benefit o assicurazioni. Chiaramente per noi, come Assicurazioni Generali, è strategico il contributo che intendiamo dare per riuscire ad allargare questa fetta di spesa privata, intermediata, per offrire la possibilità di mutualizzare, riducendo quindi i costi delle famiglie per quel pezzo – per quei 40, per quei 30 miliardi che oggi vengono spesi dalle famiglie. È una strategia che definiamo come “essere partner di vita” dei nostri clienti. Credo che il tema della salute, dello stare bene e del benessere sia il momento della verità in cui dimostrare di essere capaci di essere vicini ai nostri clienti. Per l’81% della popolazione italiana la salute è diventata, soprattutto dopo il Covid, la priorità numero uno. Abbiamo visto i numeri, abbiamo visto i costi, quindi come noi possiamo intervenire? Abbiamo detto che la prevenzione (ce l’ha fatto vedere bene il professore) è un’arma fondamentale, è un fattore decisivo per rendere sostenibili i mega numeri che abbiamo osservato prima, guardando soprattutto l’evoluzione demografica. E la prevenzione, abbiamo detto, è prevenzione primaria, secondaria e terziaria. Vorrei raccontare come Generali sta intervenendo e quali iniziative stiamo attualmente portando avanti, considerando che (ne sono sicuro) nel prossimo piano strategico avremo modo di investire ulteriormente. La prevenzione primaria, che per noi è quella comportamentale, si lega al tema dell’educazione e della comunicazione, del trasmettere (noi lo facciamo principalmente nelle imprese, nelle piccole e medie imprese italiane) la cultura di comportamenti e stili di vita salutari. Altre ricerche, altri numeri. L’Organizzazione Mondiale della Sanità conferma che il 60% delle morti globali, quindi del totale delle morti nel mondo, è dovuto a quattro patologie: cancro, malattie ai polmoni, diabete e malattie cardiovascolari. Dei comportamenti che possono ridurre i fattori di rischio affinché queste patologie non si presentino e non peggiorino si è già parlato, ne abbiamo individuati quattro. L’attività fisica è una delle principali difese e opere di prevenzione che abbiamo per noi, per i nostri figli, soprattutto per gli over 65. Un’alimentazione sana – e in Italia siamo fortunati da questo punto di vista. Se guardiamo altri stati, l’America di certo ha abitudini un po’ diverse, meno salutari delle nostre. E poi, ci sono due vizi molto diffusi da evitare: fumo e alcol. Questi quattro comportamenti sono decisivi per ridurre i fattori di rischio delle quattro patologie che ho citato, che sono responsabili del 60% delle morti globali. Quindi, su questi temi, la prevenzione primaria è fatta di cultura, di diffusione di queste informazioni per suggerire dei comportamenti di vita sani. Noi abbiamo sviluppato, tra le altre iniziative rese possibili anche grazie alle nuove tecnologie, un Life Digital Coach che aiuta a misurarsi, a confrontarsi con amici e parenti (noi lo facciamo nelle aziende con i dipendenti) nell’avere dei comportamenti sani in termini di alimentazione o di minuti di attività da fare ogni giorno. Altra cosa importante che facciamo sono le campagne di vaccinazione. Anche la vaccinazione rientra nella cosiddetta prevenzione primaria. Parlando di prevenzione secondaria, che riguarda il campo clinico-sanitario, occorre cercare di identificare, prima che si presenti la malattia, dei marker, dei segnali che possano permettere di evitarla o di trattarla quando è ancora in fase iniziale. Quello su cui ci stiamo impegnando molto sono i check-up, offerti all’interno delle nostre polizze assicurative per le famiglie, nonché campagne mirate, specifiche e specialistiche che facciamo all’interno delle imprese. Noi investiamo molto. Un’altra cosa che stiamo facendo, sempre nell’ottica sociale di incrementare la cultura e la sensibilità su questi temi, è il welfare index creato per le piccole e medie imprese, che va a misurare quanto queste investano sul welfare. Una delle dimensioni più importanti nel welfare è chiaramente tutto ciò che è prevenzione, tutto ciò che è copertura assicurativa per quanto riguarda le prestazioni sanitarie. Questo per noi è importante, lo stiamo portando avanti anche grazie ai decreti legislativi che stanno molto spingendo il mondo del welfare aziendale e dei benefit. I check-up si estendono a diverse specialità mediche e sono fatte anche su campagne specifiche (per la donna, per l’uomo, per lo sportivo, nutrizione, dermatologia…). È un ulteriore modo per diffondere la cultura del prevenire, del guardare. Si diceva un vecchio detto: “Prevenire è meglio che curare”. In effetti i dati lo confermano, sembra banale ma è così. Mi soffermo ora sull’assistenza e sulla prevenzione terziaria. Qui, sostanzialmente, noi ci impegniamo su tutto il fronte della riabilitazione, quindi abbiamo creato un network di circa 400 studi fisioterapici che sono a disposizione dei nostri clienti per ogni tipo di cura riabilitativa, consentendo di rimettersi in condizione dopo il verificarsi di alcune patologie. Qui, ovviamente, abbiamo tutto ciò che riguarda l’assistenza domiciliare. Riguardo a quest’ultima, possiamo offrire dei sostegni economici attraverso le famose long term care. Anche qui si sta studiando col governo la possibilità che diventi uno strumento a disposizione di tutti e non solo di chi può permetterselo. Oltre a questo, stiamo investendo anche in servizi di assistenza domiciliare, cercando di creare un player che possa fornire questi servizi portando l’assistenza a domicilio e sgravando gli ospedali e le strutture ospedaliere dai malati cronici. Chiudo parlando di una quarta iniziativa in cui noi crediamo molto per aumentare la prevenzione, che è il favorire e l’incrementare l’accessibilità alle cure. Abbiamo creato un network di circa 13.000 strutture sanitarie su tutta la Penisola, su tutto il territorio italiano, è il più capillare d’Italia. Nel 75% delle province italiane ci sono almeno 10 strutture convenzionate, quindi facilmente raggiungibili e prossime ai nostri clienti e quindi ai cittadini. Sono circa 12 milioni i nostri clienti, quindi rappresentano bene la popolazione italiana, e noi vogliamo rendere accessibile le cure, soprattutto perché sono strutture di grande qualità a cui abbiamo aggiunto anche l’ultima nostra iniziativa col gruppo San Donato. Abbiamo realizza una joint venture per creare ulteriori 100 Smart Clinic su tutto il territorio nazionale che offrono cure di alta qualità a un costo contenuto, perché questa è la nostra missione: una maggiore accessibilità, sia grazie alla nostra capacità di fare massa, permettendo ai nostri clienti con questi volumi di avere delle prestazioni a un prezzo convenzionato, sia attraverso la telemedicina, che consente di raggiungere specialisti medici del nostro network da qualsiasi parte d’Italia, rendendo ancora più vicina e accessibile la prestazione di qualità dovunque uno si trovi, soprattutto nella parte diagnostica che, appunto, riguarda la prevenzione. Mi fermerei qua per ora.
Zagaria. Perfetto, grazie mille Francesco. Do ora la parola a Valentino Confalone, che rappresenta Novartis, azienda farmaceutica notoriamente focalizzata sulla ricerca e sullo sviluppo, nonché sulle cosiddette terapie innovative. Considerando tutto quello che è stato detto sia da Lorenzo che da Francesco in ambito di prevenzione, come vedi il ruolo della tua azienda in particolare, ma più in generale di tutte quelle che sono le aziende farmaceutiche in questo contesto, cioè nell’ambito della prevenzione? E più in particolare, quale strategia state adottando per coniugare innovazione, prevenzione e sostenibilità nel sistema sanitario nazionale? A te la parola, Valentino.
Confalcone. Se mi avessi fatto questa domanda 15 anni fa ti avrei risposto probabilmente in maniera molto diversa. Indubbiamente il cuore dell’attività di un’azienda farmaceutica è la ricerca di farmaci che diano soluzioni terapeutiche innovative. Oggi è ancora così, evidentemente, ma non è più sufficiente. Un’azienda farmaceutica deve essere parte della soluzione dell’intero sistema salute e quindi deve coinvolgersi nella ricerca di soluzioni che rendano l’intero sistema salute più efficiente, lavorando anche sul tema della prevenzione, che è una chiave essenziale, come è stato ricordato, in termini di efficientamento del sistema stesso. Questo perché altrimenti il sistema non regge, essendo un sistema che ha dei vincoli di bilancio importanti, in cui le risorse non bastano mai e la spesa, per i motivi che sono stati ricordati – invecchiamento della popolazione, peso della cronicità – diventa sempre più difficile da gestire. Quindi anche le aziende farmaceutiche devono essere protagoniste nella ricerca di soluzioni di efficientamento del sistema. Il ruolo della prevenzione in questo ambito è centrale, per i motivi che sono stati detti. Le aziende farmaceutiche lo possono fare in tutti i contesti, che sia prevenzione primaria, secondaria o terziaria, ma certamente hanno un ruolo più focale nella prevenzione secondaria. Cito qualche esempio di iniziative che le aziende farmaceutiche, e Novartis in particolare, stanno mettendo in atto sulla prevenzione secondaria. Mi vengono in mente tre esempi essenziali sulle patologie che abbiamo ricordato essere le più importanti, quelle oncologiche e quelle cardiovascolari, ma c’è anche un terzo molto interessante sulle terapie geniche che riguardano i bambini. Noi abbiamo avviato tutta una serie di iniziative insieme alle Regioni, in particolare in questo momento con la Regione Piemonte e con la Regione Abruzzo, per l’implementazione dei piani oncologici regionali che comprendono una parte fondamentale di incentivazione allo screening oncologico, in particolare sui tumori come il tumore alla prostata e il tumore alla mammella, che sono i due tumori con la più ampia prevalenza, quindi i più frequenti rispettivamente nell’uomo e nella donna. Oggi ci sono regioni che sono molto avanti a livello di screening, che arrivano ad assicurare che il 70-75% della popolazione femminile, ad esempio, realizzi uno screening per il tumore alla mammella, in alcuni casi. Ma ci sono regioni che invece sono molto lontane, veramente lontanissime da questi valori; parliamo di 20-25%. Ecco, stiamo lavorando affinché tutte le regioni arrivino a fare la nostra parte, chiaramente, perché poi la responsabilità primaria è delle istituzioni, affinché questo livello di screening elevato venga raggiunto in tutto il territorio nazionale. Un’altra area importante è quella dello screening neonatale. In Italia abbiamo la possibilità oggi di assicurare un trattamento con terapie che sono oggettivamente molto costose, ma che curano patologie neonatali davvero molto rare. Parliamo di poche decine di bambini all’anno che necessitano di questo tipo di terapie. In Italia oggi viene pagato il trattamento, ma non il test necessario per scoprire che quella patologia è presente nel bambino. Il tempo per la diagnosi è essenziale affinché la cura abbia efficacia. Una cura che costa diverse centinaia di migliaia di euro, se non milioni in qualche caso, ma il test costa 10 euro. Noi oggi non riusciamo a pagare il test in tutte le regioni italiane, solo in alcune. Per fortuna questo livello di attenzione sta aumentando, il numero di regioni che ha reso disponibile il test neonatale anche per questa patologia sta aumentando e quindi la situazione sta migliorando. Anche su questo ci stiamo impegnando affinché questo avvenga il più rapidamente possibile. L’ultimo caso è quello delle terapie cardiovascolari. Peraltro, incidentalmente, domani offriremo la possibilità, per chi visita questo Meeting, di realizzare un test per i livelli di colesterolo. Perché è così importante? Perché livelli elevati di colesterolo e di una lipoproteina che si chiama “a”, che è un valore che di solito non viene misurato, ma che è geneticamente definito, indicano il rischio di un evento cardiovascolare. Aumentare il livello di queste diagnosi accelera la possibilità di scoprire di essere ad elevato rischio di un evento cardiovascolare e quindi di evitare che quell’evento si realizzi. Ed evitare un infarto, oltre ad avere un valore per l’individuo, ha un valore per la società, perché individuare quelle categorie di persone a più elevato rischio (o con la prevenzione primaria, o ancora di più, con la prevenzione secondaria, cioè con trattamenti che in molti casi non sono neanche costosi), evita l’incorrere dell’evento cardiovascolare. Per il sistema salute nel suo complesso, è molto meno costoso che dover gestire una persona che ha avuto un infarto, che poi ha tutte le conseguenze in termini di comorbilità, quindi di altre tipologie di problemi. Quindi stiamo lavorando con alcune regioni, in particolare con il Friuli-Venezia Giulia e con il Lazio, per fare in modo che quelle persone che hanno un più alto livello di rischio di evento cardiovascolare vengano identificate e che il loro medico le possa chiamare e poi le possa gestire in maniera adeguata per evitare che l’evento si realizzi. Questo è un sistema che permette al sistema economico, al sistema sanitario, di risparmiare nel lungo periodo e evidentemente all’individuo di evitare poi la gestione di un evento che può essere anche mortale. Sono queste principalmente le aree su cui stiamo intervenendo come Novartis, che rappresentano per l’intera industria farmaceutica indubbiamente una responsabilità, al fine di rendere il sistema nel suo complesso più efficiente. Un ultimo punto, che secondo me è molto importante, riguarda il modo di poter creare degli incentivi affinché l’intero sistema sanitario investa nelle attività di prevenzione, sia primaria che secondaria o terziaria. Oggi investiamo meno del 5% del Fondo Sanitario Nazionale in attività di prevenzione, quando sappiamo che una prevenzione adeguata potrebbe evitare quasi il 50% degli eventi cardiovascolari o oncologici, che sono le principali cause di mortalità. Perché investiamo così poco su un aspetto che può avere un impatto così ampio? Si tratta apparentemente di una contraddizione, ma in realtà c’è un motivo legato alla modalità con cui il nostro sistema sanitario crea incentivi per investire in alcune aree piuttosto che in altre. Noi consideriamo la spesa in salute, compresa quella in prevenzione, una spesa di breve periodo, non un investimento di lungo periodo. Quindi, per una regione, per un’azienda sanitaria locale, investire in prevenzione oggi rappresenta un costo i cui benefici si vedranno probabilmente fra 5-10 anni, quando si saranno evitati determinati eventi di lungo periodo. Se io ho un problema di budget nell’anno 2024, devo risolvere il problema di budget immediato per cui magari risparmio su quell’intervento, su quelle terapie magari innovative che hanno un beneficio di lungo periodo, perché ho da gestire il problema dell’oggi. Se io invece riuscissi a rompere questo meccanismo di silos di spesa, cioè spesa prevenzione diversa dalla spesa di salute, diversa dalla spesa farmaceutica, diversa dalla spesa pensionistica, e riuscissi a guardare la spesa nel suo complesso, i benefici nel loro complesso nel lungo periodo, quindi considerando la spesa in salute non una spesa corrente, ma un investimento di lungo periodo, probabilmente riuscirei a incentivare dei comportamenti più efficienti per il sistema nel suo complesso. Su questo stiamo lavorando insieme alle istituzioni per immaginare meccanismi che incentivino una spesa intelligente più efficiente all’interno di un budget che inevitabilmente è limitato, perché le risorse non sono purtroppo illimitate.
Zagaria. Grazie, Valentino. Sicuramente spunti molto interessanti. Diamo adesso la parola all’ultimo relatore, per cui chiedo a Paolo di focalizzarsi sulla prevenzione primaria, in particolare sull’aspetto educativo. Tutti noi qui presenti passiamo molto tempo in ufficio, all’interno delle aziende presso le quali lavoriamo, perciò ti pongo una domanda specifica in questo senso. Quando si parla di aziende di sicurezza, difficilmente si associa ad esse il tema della prevenzione. Come, al di là dell’adempimento delle solite norme, oggi viene intesa la sicurezza in azienda? L’ambito lavorativo può realmente diventare un vero e proprio luogo di educazione nella prevenzione – in questo caso, prevenzione primaria?
Veronese. Grazie per la domanda e buonasera a tutti. Anche io, come Francesco, ho un pizzico di emozione perché ero uno dei volontari del Meeting fino a una decina di anni fa, quindi essere oggi qui sul palco a parlare di un tema così importante è comunque emozionante. Oggi l’impresa (il luogo di lavoro in generale) rappresenta il posto dove la maggior parte di noi passa quasi tutta la giornata. Abbiamo 24 ore, 8 ore mediamente si passano a dormire, e fondamentalmente 10 tra le 8 lavorative e le 2 tra pranzo e un minimo di itinere le passiamo al lavoro. Quindi, di fatto, il luogo di lavoro è il nostro luogo principale di vita e rappresenta un’opportunità per poter parlare di prevenzione in azienda. Fermo restando che il decreto legislativo 81/08 obbliga di fatto le aziende, gli imprenditori a fare prevenzione, tutti i lavoratori sono sottoposti a visite annuali da parte del medico del lavoro, e quella diventa la prima grande opportunità – sottovalutata, aggiungerei. Sottovalutata come, del resto, il tema della sicurezza nella sua totalità. Quando si parla di visite mediche, formazione DPI e tutto quello che è il mondo della salute e sicurezza sul lavoro, tutto ciò viene visto dai datori di lavoro e spesso, forse troppo spesso, anche dagli stessi lavoratori come un qualcosa che… “abbiamo da fare anche questo, io ho una scrivania piena di cose e devo fare la visita medica o devo andare un quarto d’ora prima per le analisi”. In realtà diventa una grande opportunità per un Paese che oggi si trova in difficoltà, lo hanno detto i relatori prima di me. Facciamo fatica a sostenere nel lungo periodo quello che sta accadendo, ma dall’altra parte spendiamo ogni anno milioni e milioni di euro per sottoporre a visite mediche e ad analisi cliniche tutta la popolazione lavorativa, solo perché siamo obbligati. Probabilmente è, invece, un’opportunità che gli imprenditori devono cogliere, cioè spostare e gestire in maniera oculata le risorse che già investono; infatti, non stiamo parlando di andare ad aumentare la spesa delle imprese, ma di massimizzarla fondamentalmente, dedicando in maniera oculata le risorse che già vengono spese. Quando qualche anno fa ho fatto una piccola raccolta di articoli del mio blog, ne è nato un neologismo – chiamiamolo così – che era il concetto di “amorezza”. Perché la parola sicurezza vuol dire “si ne cura”, prendersi cura. Gli imprenditori, le aziende che fanno sicurezza, di fatto si prendono cura dei propri lavoratori, compiendo un vero atto d’amore. Da qui è derivato il concetto di amorezza. Evidentemente, quando mi è stato proposto di parlare di prevenzione per un sistema sanitario più sostenibile, ho dovuto un attimino metabolizzare, però è questo il tema. Gli imprenditori (non so quanti ce ne siano in sala, comunque abbiamo l’occasione di parlare anche a quelli collegati), hanno una grandissima opportunità di dire ai propri dipendenti “io mi prendo cura di te”, che è la chiave con cui invito a fare anche sicurezza oggi. Io non faccio sicurezza perché c’è l’obbligo, non faccio sicurezza perché se viene l’ASL mi chiude l’azienda, io faccio sicurezza perché ho a cuore il destino dei miei dipendenti. È chiaro che qui troviamo due Italie. Abbiamo l’Italia delle multinazionali, delle aziende strutturate, dove non occorre aggiungere nulla sull’importanza strategica di fare sicurezza e di fare prevenzione. Dall’altra parte, abbiamo invece le piccole e piccolissime aziende che spesso, quando si parla di prevenzione, cercano un medico del lavoro che magari non faccia neanche la visita medica. Questo un po’ dispiace, perché si tratta di professionisti, di persone che hanno fatto anche il giuramento di Ippocrate e che pure spesso chiudono gli occhi e vanno avanti. Quindi la prevenzione è la chiave per fare protezione, per proteggere il bene più importante e proteggerlo nel tempo. Un imprenditore deve poter prendersi cura dei propri lavoratori e farlo in maniera seria, perché sa che questo, nel tempo, gli permetterà di avere una continuità aziendale. Se invece ci lasciamo andare a dei comportamenti sbagliati, errati, è chiaro che il nostro capitale umano lo portiamo al degrado. Quindi l’imprenditore deve poter sfruttare questo grande volano, innanzitutto per sé stesso (perdonatemi se sono un pochino più pragmatico), sapendo che dando una grande opportunità a tutta la nostra nazione. L’ultima cosa che volevo dire è che abbiamo avuto un momento storico legato al Covid in cui avevamo l’opportunità di far divenire la prevenzione qualcosa di importante per l’azienda. Non so se vi ricordate il periodo in cui, a parte le mascherine, si effettuavano misurazioni della temperatura tutti i giorni. C’era quindi un’attenzione alla salute forse esagerata, passatemi il termine, forse lì abbiamo avuto un eccesso di zelo e poi magicamente tutto è finito. Quindi, momenti come quelli del Covid dovrebbero averci insegnato qualcosa. Purtroppo, a quattro anni dall’inizio della pandemia, tante cose le abbiamo lasciate per strada.
Zagaria. Grazie Paolo per il tuo importante intervento, che è di grande stimolo, soprattutto per quanto riguarda l’ambito educativo alla prevenzione. Adesso, terminando questo incontro, vorrei porre a tutti i relatori (partendo da Lorenzo) la stessa domanda, a cui chiederei di rispondere in massimo un minuto, un minuto e mezzo.
Perché il cronometro è già virato dal verde al rosso, bisogna essere sintetici nella risposta. Considerando quello che è stato detto oggi in termini di prevenzione, qual è il messaggio, come direbbero gli inglesi, il “take-home message” che volete lasciare sia alle persone che ci ascoltano da casa, sia a quelle presenti qui? Che cos’è che dobbiamo cambiare? Su cosa dobbiamo investire? Ognuno ovviamente per l’ambito di competenza. Quali sono quelle due cose principali su cui le persone che oggi sono intervenute qui vanno a casa e dicono: “Da domani mattina, da oggi, da stasera cerco di cambiare questo comportamento o mi sforzo per fare questa determinata cosa”? Lorenzo.
Mantovani. Allora, la mia risposta è: cercare di ridurre la distanza che c’è. Il termine è “pubblico”, che è venuto fuori da parte di tutti. Stiamo parlando di un bene pubblico, perché la prevenzione è scarsa? Perché è un bene così diffuso che nessuno ha un interesse così tanto specifico da metterlo in pratica. Come facciamo? Rispondo con quella che è considerata la più breve poesia della lingua anglosassone. Un grande poeta, Muhammad Ali, durante una graduation ceremony, credo ad Harvard, disse: “Me, we”, e cioè non considerare solamente una comunità come una somma di individui, ma appunto come un’intera comunità
Zagaria. Francesco?
Bardelli. Sempre più difficile parlare dopo un professore che fa queste citazioni.
Zagaria. Che fa le citazioni poetiche. Difficile, difficile.
Bardelli. Io penso che anche il panel di oggi dica che ci sia necessità di fare più sistema, perché è un problema che un’assicurazione, un professore, un’azienda importante come Novartis, da soli non possono risolvere. È un problema molto grande che riguarda tutti, non riguarda solo le nostre aziende o le nostre professioni, ma riguarda le nostre famiglie e riguarda il futuro di tutti noi. Quindi credo che sia, e sono contento che il Meeting abbia dedicato spazio a questo tema, importante trovare delle modalità di costruire insieme un sistema salute innovativo, che possa davvero, lo diceva prima il collega e sono molto d’accordo, avere uno sguardo di lungo periodo, guardare tutto questo come un investimento e non come un costo e non come una spesa. Credo che questo richieda davvero uno sforzo di mentalità, di risorse, di intelligenza, di denaro, di investimenti, di tecnologia, e sarebbe davvero bello che dal Meeting partisse un tavolo o un’iniziativa che possa mettere insieme diverse realtà per costruire un sistema più sostenibile.
Zagaria. Ottimo, grazie Francesco. Valentino?
Confalcone. Io ricordo che abbiamo un sistema sanitario nazionale straordinario che ci ha accompagnato per 50 anni. L’abbiamo un po’ maltrattato qualche volta, e che però ha consentito quei risultati in termini di longevità, di abbassamento del tasso di mortalità, di allungamento della vita media. Oggi questo sistema è sotto stress, deve affrontare sfide nuove e le armi con le quali ha vinto le sfide che ha dovuto affrontare fino ad oggi non basteranno per affrontare le sfide di domani. Dobbiamo, sono d’accordissimo con Francesco, prendere una visione di lungo periodo e in questo contesto la prevenzione è l’esempio più calzante del tipo di approccio che dobbiamo avere.
Veronese. Vi lascio con un monito agli imprenditori a sfruttare questa grande risorsa per gestire meglio i propri investimenti in prevenzione, sapendo che è un’opportunità di maggior legame con i propri dipendenti, e ricordo ai dipendenti che quando parliamo di sicurezza e prevenzione non è l’ennesima scocciatura del datore di lavoro, ma è anche per voi un’opportunità per fare un check-up di come state.
Zagaria. Ci avviamo dunque alla conclusione di questo incontro, ringrazio ancora i relatori e penso che sicuramente la frase citata da Lorenzo, cioè di fare uno sforzo per cercare di passare da un io a un noi e quindi preservare questo sistema, come ci ha ricordato Valentino, che ha 50 anni che non abbiamo maltrattato, dobbiamo metterci assieme, dobbiamo creare il sistema. L’azienda farmaceutica è innovativa come la sua, l’azienda che fa farmaci generici come la mia, tutti e due assolutamente su ambiti opposti ma fondamentali e sinergici l’uno con l’altro, l’assicurazione, chi si occupa di epidemiologia, devono darci quelli che sono gli strumenti, insieme ovviamente al decisore pubblico e politico, per fare in modo che tutti assieme abbiamo a cuore e preserviamo, passando sempre dall’io al noi, quello che è questo sistema che oggi abbiamo ereditato dai nostri padri che lo hanno fondato e vorremmo non distruggerlo, ma portarlo avanti e fare in modo che i figli di Francesco, che sono qui, ma anche i miei figli che sono qui, possano assolutamente esserne partecipi e parlarne anche tra 50 anni. Quindi ringrazio ancora tutti quelli che sono intervenuti e che si sono collegati. Prima di concludere dal Meeting, ovviamente per chi è collegato è già apparso in sovraimpressione, avete visto che ci sono tutti gli stand che ci sono in giro… prima di concludere vi ricordo ancora tutti qui presenti a Rimini, domani passate a fare il vostro check-up. Come avrete capito, c’è anche qui un professore del San Filippo Neri in prima fila a fare il proprio profilo lipidico; quindi, passate dallo stand di Novartis dove gratuitamente vi verrà fatto il profilo lipidico. Domani almeno tutti quei presenti ci sarà la fila allo stand di Novartis per fare il profilo lipidico, e dopo essere passati a fare il profilo lipidico, passate anche a fare una donazione al Meeting, perché, vi leggo quello che è il comunicato del Meeting, ognuno di noi può dare un contributo decisivo al Meeting e partecipare attivamente a questa grande avventura umana, alla ricerca dell’essenziale. Lungo tutta la fiera si possono trovare delle postazioni “Dona Ora”, caratterizzate da quel cuore rosso che vedete qui, dove ognuno di noi può fare una donazione ed è importante, perché realtà libere come quella del Meeting possono continuare a esistere solo se ognuno di noi dà il proprio contributo. Grazie ancora a tutti i presenti per aver partecipato e anche a chi ci ha seguito. Grazie e ci vediamo ai prossimi incontri del Meeting. Grazie.