LA SFIDA DEL DRAGONE: IN CINA PER COGLIERE NUOVE OPPORTUNITÀ

La sfida del dragone. In Cina per cogliere nuove possibilità

La sfida del dragone. In Cina per cogliere nuove possibilità

In collaborazione con FederlegnoArredo. Partecipano: Lyndon Neri, Studio Design Neri & Hu, Shanghai/Londra; Francesco Rutelli, Presidente del Forum delle Città della Via della Seta; Roberto Snaidero, Presidente FederlegnoArredo. Introduce Dario Di Vico, Inviato de Il Corriere della Sera.

 

DARIO DI VICO:
Buongiorno, grazie per essere intervenuti a questo dibattito che ha un timing meraviglioso, perché, come sapete, la Cina è l’argomento del giorno. Il nostro titolo è ottimistico, perché guardiamo al medio periodo, però la giornata è iniziata sotto il segno di una caduta molto significativa della Borsa di Shanghai, che ha avuto degli effetti di trascinamento anche sulle Borse occidentali, compresa la nostra. La nostra riflessione è orientata però sul medio periodo e quindi sulle opportunità che si possono cogliere in Cina per le nostre imprese. Abbiamo tre speaker che sicuramente ci aiuteranno in questo percorso di approfondimento del tema. Sono Roberto Snaidero, Presidente FederlegnoArredo, Francesco Rutelli, Presidente del Forum delle Città della Via della Seta, e Lyndon Neri, titolare dello Studio Design Neri & Hu, presente a Shanghai e a Londra. Quindi un mix di speaker in cui ci sono esperienze imprenditoriali, politiche e una conoscenza della Cina piuttosto approfondita. Inizierei dal Presidente Snaidero, che poi è anche padrone di casa, perché questo dibattito rientra dell’arco delle iniziative promosse da FederlegnoArredo nel Meeting. A lui chiedo un po’ di farci il punto, perché la sua associazione ha intensificato molto i rapporti con la Cina nell’ultimo periodo, con obiettivi ambiziosi. Per avere qualche termine di riferimento, l’export italiano in Cina è stimato in circa dieci miliardi; gli Stati Uniti valgono circa 30-35 miliardi e sono stati ancora quelli che, nell’ultimo anno, grazie a un rapporto dollaro/euro più equilibrato rispetto al passato, ci hanno dato maggiori soddisfazioni: pensate che l’incremento statunitense ha quasi annullato l’effetto negativo sulle esportazioni dell’embargo russo. Questi un po’ sono i numeri. Chiedo al Presidente Snaidero come sta andando questo lavoro e che prospettive ci sono.

ROBERTO SNAIDERO:
Buongiorno a tutti e grazie di essere intervenuti a questo incontro a nome mio e anche di tutte le tremila aziende che rappresento sul territorio nazionale. Parte del mercato cinese sembra facile, ma non lo è. Io vorrei raccontare un po’ la storia di come mai, come accennava Dario, la federazione ha voluto intensificare gli interventi da parte della nostra associazione, il Salone del Mobile, proprio sul mercato cinese. Ormai sono circa vent’anni che vado avanti e indietro ogni anno per capire un po’ questo fenomeno della Cina. Io ho fatto una prima trance da Presidente di Federlegno negli anni 2006-2007, noi non siamo come i politici che durano per tutta la vita, caro Francesco, ma abbiamo per statuto che il massimo sono due mandati, poi ritorniamo a casa. Nel 2006 siamo stati come Federazione a visitare un evento fieristico a Shanghai, proprio per renderci conto della situazione. In tale occasione ho avuto modo di incontrare il mio omologo Presidente dei produttori cinesi di mobili e con lui ho firmato un primo accordo di rispetto della proprietà intellettuale. Il problema al tempo esisteva, in quanto ci ritrovavamo su tutti i mercati mondiali delle copie dei nostri prodotti esposti nei vari showroom: ad esempio, una copia di una cucina Snaidero, esposta allo showroom di Pechino, il cui costo in originale con trasporto era di ventimila euro, costava 2.500 dollari. Piano piano stiamo riuscendo a limitare un po’ questo problema delle copie e, circa due anni fa, abbiamo deciso come Federazione di affrontare in modo professionale il mercato. Tre o quatto anni fa, noi esportavamo circa 120/130 milioni di euro, cifre insignificanti rispetto alle potenzialità di questo mercato. Nel mercato americano noi esportiamo circa un miliardo di euro, al tempo verso quello russo esportavamo circa 950 milioni di euro, su un totale di 12 miliardi. Quindi ho deciso di affrontare in maniera professionale questo mercato creando, all’interno della nostra Federazione, un Club di made in Italy, dove le aziende interessate ad entrare sul mercato cinese, prima di entrare, potessero avere una approfondimento delle caratteristiche commerciali, della mentalità del rivenditore cinese, essendo un mercato completamente diverso dal nostro. Oggi mi pare siano coinvolte circa 65 aziende, con la prospettiva di fare un evento fieristico a fine 2016. In questa fase di transizione le aziende si sono comunque mosse sul mercato; noi da tre anni abbiamo una crescita dell’esportazione verso il mercato cinese di circa il 23/24%, quest’anno dovremmo chiudere le esportazioni intorno a trecento milioni di euro. La Ducati presenterà una nuova moto sul mercato cinese, ciò vuol dire che c’è ancora, in questo grande mercato, la potenzialità. Noi andremo il prossimo novembre 2016 a fare questo evento fieristico, proprio per approfondire e per concretizzare questi aspetti. Ma noi siamo una delle eccellenze del made in Italy, organizziamo il Salone del Mobile, evento mondiale numero uno: quest’anno su 350 mila visitatori abbiamo avuto il 70% di visitatori stranieri, di cui il gruppo più numeroso era quello cinese. Il modo di affrontare il mercato cinese non è come gli altri, c’è il problema di capire la mentalità del rivenditore. La Cina, per quanto riguarda il commercio internazionale, è un Paese giovane, passata da un’economia chiusa a un’economia liberistica. Noi stiamo lavorando per creare in questo evento fieristico non solo un’esposizione di mobili, ma un discorso di italian life-style.

DARIO DI VICO:
Qui alla mia destra c’è Lyndon Neri, il suo curriculum è lunghissimo: la sostanza è che è un architetto, un designer, che lavora e che ha realizzato prodotti insieme alla sua partner, la signora Rossana Hu. Ha vinto diversi premi e ha fondato anche un negozio di retail, che si chiama Designer Republic, ha sede a Shanghai e offre una collezione unica di prodotti realizzati dai migliori talenti di design dei mobili in tutto il mondo. Quindi è un interlocutore di primissimo ordine per quel che riguarda sia il radicamento cinese sia l’evoluzione del gusto e del business. Prima di entrare nelle questioni più legate alle attività del suo studio, gli chiederei brevemente di aiutarci a capire cosa sta accadendo: noi siamo stati abituati a considerare la Cina un Paese che cresceva a due cifre e che quindi compensava un’Europa più lenta e oggi siamo scioccati, fatichiamo a trovare chiavi di lettura.

LYNDON NERI:
Se sapessi la risposta sarei un uomo molto ricco, e sono contento quindi di non avere una risposta e che molti dei miei amici cinesi a casa non abbiano una risposta a questa domanda. Però questo calo nelle borse va benissimo per noi: tutti in Cina vogliono crescere sempre più velocemente e, quando uno vuole andare sempre più veloce, succede che non si hanno più pensieri originali, non c’è più tempo di pensare o di pensare a se stessi, si cerca di copiare. Quindi penso che questa situazione farà del bene al nostro Paese, perché così si potrà sedere e pensare, capire cosa succede con questa crescita costante. Ci sarà sempre un 7/8%, se c’è un 6% le cose vanno male? Questo calo è molto salutare per tutti noi.

DARIO DI VICO:
Adesso le chiedo se ci racconta un po’ le cose che sta facendo con il suo studio e come la sua attività intreccia anche i problemi che ci hanno portato qui, cioè il made in Italy, le imprese, l’evoluzione del gusto, se siamo solo eredità della nostra bellezza o siamo anche innovazione, o meglio se lei ci percepisce così.

LYNDON NERI:
L’Italia è percepita come un Pese fantastico quando si parla di design; in Cina si pensa che ci sia una buona qualità. Ho progettato molti prodotti per le aziende italiane e devo ammettere che gli italiani all’inizio non sono ben organizzati, però quando si arriva a Milano i prodotti sono perfetti. Quindi i cinesi hanno questa percezione: tutto quello che è italiano è molto bello. Oggi quello che facciamo come studio è qualcosa di piccolo, cerchiamo di fare qualcosa per recuperare i vecchi edifici, qualcosa che non è cinese. Le persone percepiscono la Cina come qualcosa di grande, veloce, ricco. Vogliamo lavorare con clienti poveri, che hanno piccoli progetti, che hanno edifici vecchi, perché ci sono tantissime zone storiche e, se non si capisce la storia, non ci può essere futuro. Quindi i nostri progetti si occupano molto del vecchio e del nuovo, del pubblico e del privato, cerchiamo di preservare l’aspetto privato e di convincere i clienti ricchi a dare una grande fetta delle loro proprietà al pubblico. Ho perso molti clienti in questo modo, però sono più felice.

DARIO DI VICO:
Cosa ci dice delle possibilità che ci sono in Cina, perché noi spesso abbiamo percepito la Cina come una concorrenza low cost, che venisse ad insidiare un tradizionale insediamento di mercato delle nostre imprese. E allora abbiamo detto: saliamo di gamma, di qualità. Lei pensa che ci stiamo riuscendo? In questa operazione di crescita di qualità incrociamo poi un pubblico cinese che richiede questa crescita? La famosa middle class cinese, che con la sua richiesta di gusto dovrebbe aiutare le nostre imprese, esiste veramente e quali tempistiche sono credibili?

LYNDON NERI:
La questione in realtà ha a che fare con l’istruzione, non c’entrano i soldi. La classe media sta crescendo, ma se non è istruita nel campo del design o nella comprensione del significato della cultura, non ci sarà assolutamente mercato per l’Italia. Per alcuni di noi architetti è importante portare la cultura, formare le persone, spiegare loro che cosa è apprezzare il buon design. Senza questa comprensione non ci sarà mercato, anche se le persone si stanno arricchendo sempre più. Quello che cerchiamo di fare quindi è di capire che ci sono molte persone, che sono molto interessate alla qualità migliore e gli italiani sono riusciti a lavorare molto bene. Io ho il mio brand, che si chiama Neri & Hu, però la produzione è in Portogallo, non in Cina; le persone pensano che le cose siano fatte in Cina, ma in realtà le cose lì costano di più, quindi io vado in Portogallo. Ho degli amici, che non ho mai incontrato, che sono italiani, però sono venuti da me e mi hanno chiesto di produrre per noi dell’arredo, perché fosse più economico. Io sono scioccato perché ci sono dei prezzi che arrivano in Cina da fuori, che sono più bassi di quelli fatti in Cina. Le città cinesi stanno crescendo così velocemente, diventano sempre più care e i prezzi sono veramente ormai a livelli ridicoli. Ho fatto design per una serie di prodotti per il mio brand, sono tutti fatti in Portogallo, in Spagna o in Inghilterra. Quindi il prossimo sarà l’Italia.

DARIO DI VICO:
Grazie. Insomma abbiamo bisogno di una parola di incoraggiamento, specie poi se viene da una persona che è presente sullo scenario internazionale. Io passerei a Francesco Rutelli, anche il curriculum di Francesco Rutelli, nonostante sia giovane, è lunghissimo. Quindi non l’ho mandato a memoria. Francesco Rutelli ovviamente è più conosciuto per il pubblico italiano che è qui in sala, e attualmente appunto presiede il Forum delle Città della Via della Seta. la prima domanda è: questo Forum, che obiettivi culturali ed economici si prefigge? Dove si incontrano le due dimensioni, quella strettamente economica e quella culturale?

FRANCESCO RUTELLI:
Anch’io ringrazio voi e ringrazio Federlegno e il Presidente Snaidero per l’opportunità di conversare su un tema che è un tema dei più importanti al mondo. Come diceva il nostro coordinatore Dario Di Vico, le notizie che arrivano oggi dalla Cina ci dicono che quello che sembrava un mondo lontano e tutto sommato che avrebbe avuto il suo corso quasi o interamente in modo indipendente da noi, dalla nostra volontà, invece ci tocca molto da vicino. E’ una conseguenza della globalizzazione, è una conseguenza dell’immensa crescita che la Cina ha conosciuto, un Paese che raddoppia la propria ricchezza e il benessere. La gente vuole uscire da una crisi e da una povertà che l’ha attanagliata per molto tempo e vuole farlo in fretta. Forse una delle cose che mi hanno colpito di più, andando in Cina più volte negli ultimi anni, è come anche uno dei problemi più grandi che ci sono in Cina, che è l’inquinamento, sia stato tutto sommato accettato dalla popolazione come una specie di conseguenza inevitabile della crescita economica e dell’uscita dalla povertà e della possibilità di avere delle opportunità che prima non c’erano. Io sono anche molto colpito nell’andare nelle Università e vedere quanti ragazzi studiano il cinese, quanti ragazzi si applicano a conoscere questo mondo. Mi hanno chiesto loro di presiedere questo Forum che si sta creando. Voi sapete che la leadership cinese ha deciso di attribuire a quella che è un’esperienza storica, la Via della Seta, una finalità politica e politico-economica, sia marittima, che è più importante dal punto di vista commerciale, sia terrestre. Considerate che la Via della Seta è un concetto moderno. Il primo che l’ha usato è stato un geografo tedesco alla fine dell’’800. Nessuno di quanti andavano con i cammelli, o i commercianti, o quelli che vendevano prodotti lungo questi itinerari di migliaia di chilometri era consapevole di percorrere la Via della Seta. Però già ai romani era chiarissimo che per procurarsi la seta bisognasse andare a Damasco, bisognasse andare in luoghi molto lontani, e che veniva da luoghi ancora molto più lontani e su questi commerci si è creata una delle direttrici economiche e culturali più importanti della civiltà umana. Oggi, dicevo, la leadership cinese ha deciso di riproporre questa idea antica con finalità politico commerciali. Pensate che abbiamo tenuto delle riunioni a Venezia e a Milano, all’Expo, poche settimane fa, nelle quali abbiamo fatto firmare, per esempio, un accordo tra il porto di Venezia e il porto di Ningbo. Non so quanti tra i presenti conoscano il nome di questa città: bene, è oggi sulla via di diventare il primo porto commerciale del mondo, superando Hong Kong, Shanghai e Singapore. Sono mondi in trasformazione immensa e se, per esempio, i nostri porti italiani dell’Adriatico, del nord, decidessero di consorziarsi, anziché litigare tra di loro, noi diventeremmo un punto di approdo, un terminale fenomenale, perché sono giorni di navigazione in meno per le merci che, passato il canale di Suez, anziché dover arrivare a Rotterdam, possono entrare direttamente in Germania passando dall’Italia. La nostra collaborazione con la Cina deve fare i conti però con un grande limite, un grande errore che abbiamo fatto oltre che con delle potenzialità. Qual è il limite? Di pensare che noi dobbiamo parlare al mondo cinese soltanto sulla scia di ciò che la storia ci ha lasciato. E’ tanto quello che ci ha lasciato la storia. Marco Aurelio, – è forse più una leggenda che storia – avrebbe inviato una delegazione in Cina. Si parla addirittura di una legione romana scomparsa nel cuore della Cina, lungo la leggendaria Via della Seta. E poi c’è Marco Polo e poi c’è il grande gesuita Matteo Ricci e la presenza di tante presenze cattoliche che hanno avuto un significato anche commerciale, economico e di conoscenza scientifica eccezionale. Bene, noi pensiamo, noi in particolare la classe politica, la classe dirigente, che il rapporto con la Cina possa essere rievocato sulla scia del passato. In parte è vero, ma solo in parte. I cinesi amano l’Italia. Hanno studiato a Venezia, Roma, Firenze, Pisa ma amano l’Italia contemporanea non meno di quella antica. La parola che ha usato prima Snaidero, italian lifestyle, il nostro stile di vita, significa tante cose. Significa certamente il caffè, significa la moda, significa il design in maniera decisiva, significa la cultura, l’arte, il cinema, le opportunità che l’Italia offre, il turismo. Arriveranno centinaia di milioni di turisti cinesi e noi non ci stiamo attrezzando per organizzare il fatto che queste centinaia di milioni di turisti cinesi che verranno anche in Occidente e già lo fanno, possano diventare veicolo di crescita economica e di lavoro. Mi sono interessato a questi temi perché sollecitato dai cinesi e ho assunto gli incarichi che ho su loro iniziativa, incarichi che sono in gran parte non profit, di volontariato per alcune cause che mi stanno a cuore. E allora il tema della via della seta sta a cuore ai cinesi, perché indubbiamente per loro è un’opportunità di espansione economica sia verso i Paesi che forniscono le materie prime, l’energia, sia per i traffici commerciali, ma può vedere nell’Italia un terminale, non solo storico, ma contemporaneo. E proprio il fascino che l’Italia esercita per la sua capacità, per la sua creatività, per le sue produzioni, oggi può essere una risposta notevolissima anche in termini economici. Questa è una sfida che, a chi come me ha 4 figli, e 4 figli che vivranno in un mondo diverso da quello di ieri che abbiamo conosciuto, è una sfida che non si può lasciare. Per questo applaudo all’idea di Federlegno Arredo che fa la più importante fiera italiana nel mondo, il Salone del Mobile, di lanciare questo tentativo, questa iniziativa, in Cina, perché lì bisogna combattere la contraffazione, affermare i valori italiani e radicarsi non in un modo occasionale, episodico, casuale. La Cina può riservare molte soddisfazioni economiche ma anche molte delusioni. Se uno va lì senza essere attrezzato, magari affidandosi a degli intermediari locali, spesso finisce per fare gli interessi di quegli intermediari ma non gli interessi delle imprese italiane.

DARIO DI VICO:
Lei è stato uomo di Governo, non si sa mai, potrebbe ancora esserlo in futuro, tra l’altro, opinione personale, è stato il miglior sindaco di Roma che c’è stato, ma se lei fosse al Governo, sarebbe però preoccupato del fatto che quella che è stata un po’ la locomotiva dello sviluppo mondiale finisca per incepparsi. Ecco, se fosse un uomo di Governo italiano, sarebbe preoccupato o meno?

FRANCESCO RUTELLI:
Sì, sarei preoccupato se questa cosa avesse una natura sistemica. La Cina ha visto una crescita che è stata fortissimamente orientata sulle esportazioni, come sappiamo bene, e negli ultimi anni i cinesi hanno puntato sulla crescita del mercato interno, per ragioni diverse, per dare maggiore benessere alla popolazione eccetera. Considerate che in Cina oggi c’è l’immigrazione della manodopera, anche e c’è la migrazione di produzioni verso altri Paesi dove è meno costoso. Noi abbiamo conosciuto la Cina come fabbrica del mondo, e oggi lo è un po’ meno. Tra l’altro il problema dell’inquinamento ce l’hanno, eccome. Tenete presente addirittura che quando si sono tenute in Cina le Olimpiadi, o il G20 come l’anno scorso, hanno bloccano le fabbriche, il traffico pesante, il traffico privato per ridurre l’inquinamento. E quindi secondo alcuni studiosi di problemi climatici, se il clima, cioè le emissioni di anidride carbonica mondiali nel 2014 non hanno superato per la prima volta il livello del 2013, forse lo si deve anche al fatto che c’è stato il G20 a Pechino e i cinesi per un mese e mezzo hanno bloccato centrali a carbone e fabbriche in un raggio di circa 200 Km attorno a Pechino. Però è evidente che la Cina cresce ancora il 7%, che è un bel crescere e continuerà. C’è una stima per cui, per continuare a crescere, la Cina sposterà nel prossimo decennio circa 150 milioni di persone dalle aree rurali alle città. Ecco, soltanto discutere di come verranno costruite queste città, se saranno più sostenibili, come saranno arredate, che tipo di tecnologie avranno, che tipo di abitazioni, che tipo di sistemi di trasporto, è una sfida mondiale. Allora, purtroppo, anche qui i più bravi sono i tedeschi. La Siemens ha fatto dei programmi formidabili per occuparsi della qualità ambientale nelle città cinesi. Se fossi un uomo di Governo, io cercherei di coordinare le imprese italiane perché vadano a portare in Cina un’offerta italiana di sistema, attenta alla qualità produttiva, ambientale e alla qualità della vita.

DARIO DI VICO:
Grazie. Al Presidente Snaidero chiedo di raccontare un po’ come Federlegno affronta il problema della distribuzione, perché non basta avere ottimi prodotti, come noi sicuramente abbiamo, bisogna farli arrivare nel posto giusto nel tempo giusto.

ROBERTO SNAIDERO:
Vorrei seguire un attimo quello che diceva l’onorevole Rutelli prima, cioè arrivare in Cina così, giusto per fare un viaggio, è il caso peggiore. Noi abbiamo dovuto creare una struttura a Shanghai, un ufficio di FederlegnoArredo con due persone impiegate che assistono le imprese associate di Federlegno in questo mercato. Questa è una delle prime misure che abbiamo voluto attuare su questo mercato, proprio per dare l’impressione anche ai Cinesi che non siamo lì solo per fare una visita alla fiera, ma perché abbiamo voluto entrare sul mercato. Ricordavo prima di questo accordo fatto con il collega, Presidente dei produttori di mobili cinesi e mi ricordo, non so se era il 2008 o il 2009, che gli dicevo che aveva delle aziende che mi stavano copiando e che il suo costo era un 30% in meno rispetto al nostro costo del prodotto e lui mi disse che avevano anche loro dei grossi problemi ovvero stavano spostando la loro produzione in Vietnam. Io lo ho guardato con un paio di occhi così e gli ho detto che era fuori di testa, perché se loro vendevano a 100 il prodotto che a noi costava 1000, in Vietnam sarebbe costato 50. Loro lo hanno fatto e adesso si ritrovano il competitor vietnamita contro il prodotto cinese. Il più grosso dei problemi è quello di riconoscere gli interlocutori adatti per quanto riguarda il commercio. Noi qui in Italia siamo abituati a vedere gli showroom, a parte IKEA che non è nostro associato commerciale, ma perché fa tutto un altro tipo di prodotto rispetto al nostro. Io apprezzo molto più il nostro prodotto assemblato, che ha una vita di 15-20 anni, piuttosto che quelli IKEA che durano forse due o tre anni. Questo lo dico con tutto il rispetto per IKEA che è una grandissima azienda internazionale, ma io preferisco il prodotto italiano finito. Anche in Cina il sistema del commercio è basato sui grandi Mall, sui grandi centri commerciali e bisogna tenere sempre presente che siamo in mezzo a una caterva di competitors. I competitors sono veramente 7-8 piani di questi grossi fabbricati, 300-400 espositori. Bisogna quindi superare questa fase e noi, come Federazione, stiamo portando le nostre aziende all’incontro coi proprietari di questi Mall, proprio per avere degli spazi dedicati esclusivamente alle imprese italiane. Il prodotto italiano è un prodotto molto ricercato. I cinesi stanno crescendo come potere d’acquisto, non vogliono più avere la copia, vogliono avere l’originale. Noi stiamo incrementando le nostre esportazioni verso il mercato cinese. Poi c’è il problema AlìBaba, con cui stiamo avendo delle cause, perché su alcuni prodotti entriamo nella copia dei complementi d’arredo. Questo è un grosso handicap che noi abbiamo. AlìBaba è il più grosso centro per gli acquisti e-commerce. Andate sul loro sito e vedrete tanti prodotti con nomi cinesi che sono la copia perfetta di prodotti italiani. Noi stiamo cercando di combattere questo problema. Poco prima di entrare ho incontrato il Ministro Galletti che mi ha detto: “Guarda Roberto, come Ministero dell’Ambiente voglio partecipare anche io a questo evento fieristico a Shanghai, proprio per dare un segnale di Italian life-style delle aziende italiane che operano anche sotto l’aspetto ambientale”. Noi abbiamo affrontato diversi mercati, gli imprenditori italiani hanno corso in giro per il mondo, stiamo affrontando anche il mercato africano, ma quello cinese è il più grande mercato che possiamo intravedere nel nostro futuro.

DARIO DI VICO:
Senta Presidente, in altri settori, penso al calzaturiero, sono iniziati altri fenomeni che vengono detti di reshoring. Le aziende italiane che a un certo punto avevano pensato di andare all’estero a produrre per abbassare drasticamente il costo del lavoro, ad un certo momento hanno incominciato a tornare indietro, nel senso che sostengono che la qualità, ma soprattutto la possibilità di avere una filiera di fornitori di primissima fascia, è un elemento a cui non si può rinunciare. Quindi meglio pagare un costo del lavoro più elevato, producendo in Italia e quindi avere una qualità assicurata dal sistema di filiera più alta, che fare il contrario come si è fatto finora. Nel settore dell’arredamento, qual è il mix giusto di localizzazione di investimenti? Ha senso andare all’estero? L’importanza qualitativa della filiera italiana fa sì che non si possa fare questa scelta? Insomma ci spieghi il punto di vista non dei calzaturieri, ma della Federlegno.

ROBERTO SNAIDERO:
Negli anni passati abbiamo avuto diversi esempi di aziende italiane che hanno trasferito la loro produzione all’estero. Noi come industria dell’arredamento importiamo le materie prime, in quanto l’Italia non ha quelle materie prime che noi utilizziamo per fare i mobili. Questo è già un primo fatto che dobbiamo considerare. Tante aziende hanno trasferito la produzione nei Paesi balcanici, Romania, Croazia, Serbia, dove ci sono le specie di legno più pregiate e hanno tentato di arrivare lì fino al prodotto finito. Ma a fronte di un costo della manodopera che al tempo, parlo di 10-15 anni fa, era molto basso, la produttività era vicino allo zero, la qualità era vicina allo zero. Oggi il 90% di queste aziende sono rientrate in Italia, rimane ancora all’estero una fase di produzione dei semilavorati, anche perché tanti Paesi hanno proibito l’esportazione dei tronchi, per avere modo di avere impiego per la manodopera. Poi c’è un’altra grande cosa: il made in Italy. Se io faccio il mobile in Croazia, piuttosto che in Romania, piuttosto che in Kenia, io non posso utilizzare il made in Italy che è un marchio che ancora oggi viene ricercato nel mondo e ci dà la possibilità di chiedere qualcosa di più. L’eccellenza del made in Italy è qualcosa di cui il consumatore internazionale va alla ricerca, perché sa che il prodotto migliore che esista oggi sul mercato è un prodotto che esce dalle aziende italiane. Che poi sia copiato bene o male… Noto anche una crescita della qualità delle aziende cinesi. Io non dico che siano uguali a noi, però in prospettiva credo che ci possano raggiungere. Noi dobbiamo comunque sempre correre. Vorrei raccontare un fatto che è successo al salone del mobile di quest’anno. Noi organizziamo il salone del mobile e assieme al salone del mobile abbiamo il salone satellite, un salone dove noi invitiamo dei giovani architetti, massimo di 35 anni, per presentare i propri prodotti. Alla fine c’è una giuria che decide il migliore dei lavori di questi giovani architetti. La giuria ha dato il primo premio, io non facevo parte della giuria, a due ragazzi cinesi che hanno vinto per l’idea e quant’altro. Questa è l’ulteriore dimostrazione che il salone del mobile è un salone del mobile internazionale. Non abbiamo preclusioni di sorta. Affrontare il dragone non in maniera sportiva ma professionale, ci darà dei grossi risultati, delle grosse soddisfazioni per il nostro futuro.

DARIO DI VICO:
Il Presidente Snaidero è ottimista per definizione, però l’altro giorno c’era qui Carlo Cottarelli del fondo monetario che, sostanzialmente, ha ribadito lo stesso concetto e ha detto di fare attenzione che si sta parlando di un abbassamento della velocità cinese che, se paragonato ai nostri problemi di ristagno, fa ancora molta, molta differenza. Noi abbiamo parlato di proprietà intellettuale e mi interessa il punto di vista di Lyndon Neri, perché molte aziende italiane si scontrano sotto questo aspetto in Cina. Io conosco il caso della Ferrero, a cui sono stati copiati i Rocher. Ha fatto una causa pilota, ha vinto, testando sia la sua capacità espositiva, ma anche una capacità istituzionale del sistema cinese. Ha vinto, ma l’azienda che aveva copiato ha chiuso e ha riaperto con un alta ragione sociale, continuando a fare la stessa cosa. Dopodiché i dirigenti Ferrero hanno capito che dovevano fare di necessità virtù e considerare il prodotto contraffatto come un primo step aspirazionale per poi poter accedere al prodotto griffato. Ma al di là di questo piccolo racconto, quale è il suo punto di vista sulla proprietà intellettuale? Pensa che si possano fare dei passi in avanti? Certe volte noi sentiamo dire che culturalmente per Alibaba vendere il prodotto made in Italy e vendere una copia è la stessa cosa. Ci aiuti un po’ a capire se ci possono essere delle evoluzioni positive nel medio periodo.

LYNDON NERI:
Quando AlìBaba è stata quotata in borsa, Jack Mao è stato molto contento a New York city, ma ci sono stati molti in Cina che si sino preoccupati, perché si sono resi conto che la borsa americana apprezzava che ci fosse un valore per un azienda che si chiama AlìBaba e per AlìBaba fare soldi significa vendere i prodotti più economici possibili. È questo l’obiettivo. Perché se un’azienda come quella viene apprezzata e riceve miliardi in termini di valutazione dalla sera alla mattina, non è che sono solo i Cinesi che valutano positivamente i prodotti di poco costo, ma il mondo intero. Ed è una preoccupazione, perché non è che copiano solo i prodotti italiani, copiano anche i prodotti cinesi. Spero che la Cina diventi un giorno come il Giappone. Negli anni ’50 il Giappone copiava tantissimo. Se pensiamo alla Sony o ad Aiwa, erano copie di diversi marchi dell’Occidente. Anche i coreani hanno cominciato a copiare negli anni ’70. Ovviamente la Cina è un Paese immenso, quindi ha copiato molto più di tutti gli altri. Ma il copiare è solamente uno degli aspetti. Il collega qui a fianco a me ha parlato di inquinamento e io penso che sia anche questo un problema molto importante, a cui spero si trovi una soluzione. Se non ci fosse stato l’inquinamento dove sono cresciuto, sarei stato tanto alto quanto lui, ma c’era l’inquinamento e quindi non sono cresciuto più di tanto, quindi sono amareggiato di questo problema. La contraffazione è un problema e penso che il Governo con il nuovo Presidente stia affrontando questo problema adeguatamente. La corruzione sta per essere trattata seriamente e la proprietà intellettuale è un altro argomento importante, ma la cosa più importante per noi, come cinesi, è creare nuovi prodotti, perché quanto più ne creiamo – e i cinesi copiano i cinesi – ecco che allora il Governo agirà in qualche modo. Abbiamo il sostegno del Ministero della Cultura proprio perché anche io sono stato copiato.

DARIO DI VICO:
So che lei ha un buon repertorio di slide, che però, data l’ora, abbiamo qualche difficoltà ad inserire. Ci racconti della sua produzione e delle cose che ha realizzato.

LYNDON NERI:
Forse non farò federe le diapositive perché sono 200. Se siete interessati, potete andare a visitare il mio sito web. Non pensate di vedere dei progetti di grattacieli, io mi occupo di edifici piccoli, progetto anche tazzine e cucchiai, cose piccole, cose belle, perché io sono convinto che, durante la dinastia Ming e Qing, in Cina c’era la bellezza e quello che è successo è che nella rivoluzione culturale molte cose sono scomparse e quello che stiamo cercando di fare come architetti e designers è di riproporre queste cose, di recuperare la bellezza della Cina per portarla nel mondo. Perché penso che ci sia bellezza? Sì, ci sono tante brutture, ne sono veramente dispiaciuto, ma stiamo cercando, facciamo del nostro meglio per modificare questa immagine. Forse il Paese sta uscendo dalla povertà, stà cercando un contrappeso alla povertà vissuta negli ultimi anni. Perciò tutti cercano di fare più soldi che possono. Qui c’è un pericolo: se una società si basa solo sul profitto, la costante crescita, le cose non vanno bene. Allora vorrei tornare alla prima domanda, perché sono contento che adesso nella borsa la situazione non sia così rosea come si speri.

DARIO DI VICO:
Noi qui siamo dentro una iniziativa promossa da Federlegno, ma siamo in un ambito più ampio, che è quello del Meeting. Lei è stato qui, non è arrivato questa mattina, è qui da qualche giorno e quindi magari si è fatto una idea. Il tema del Meeting è quello della mancanza, in estrema sintesi. Noi qui stiamo parlando della bellezza. Nell’ambito della sua cultura, che è una cultura radicata nel contesto cinese che via via ha saputo fare i conti con la cultura occidentale, c’è un nesso tra la mancanza e la bellezza? Io non le chiedo qual è la sua opinione nei confronti della religione, però c’è un nesso tra il suo lavoro, tra la quotidiana sfida della bellezza e la sfida che più in generale questo Meeting ci pone?

LYNDON NERI:
Quando sono cresciuto ho avuto un padre che aveva certi timori, e quando sono venuto a Rimini ero contento ma anche un po’ triste. Un collega ieri mi ha detto che c’è tantissima storia in Cina che è stata persa, e che è veramente un peccato che gran parte della nostra cultura sia scomparsa. Io ho risposto che sì, è vero, ma che c’è anche tantissima cultura spirituale che è stata persa in Italia. Se uno va nelle città principali, da Firenze a Roma a Milano, c’è il Duomo, ci sono le chiese, e la chiesa una volta era il centro di tutte le attività. C’era una vicinanza anche nel Rinascimento, da Michelangelo a Borromini, a Bernini, nel capire il rapporto con Dio e questo è un po’ scomparso. Le persone parlano di Dio in un modo più intellettuale ma che non parte mai dal cuore. Sono contento che ci sia ancora una tradizione, che le persone rendano ancora omaggio a Dio, ma questo è stato perduto, mentre questo background spirituale che avevamo bisognerebbe riprenderlo un po’ più sul serio, perche il futuro senza Dio non c’è. Non c’è futuro.

DARIO DI VICO:
Scusi le posso porre la stessa domanda in chiave italiana? Il tema del Meeting è la mancanza, noi qui stiamo parlando della bellezza e anche della bellezza al servizio, diciamo, integrata con il business. Mi piacerebbe una sua riflessione sulla mancanza più in generale, sulla quale ci sfida il meeting, e anche sulle cose di cui stiamo discutendo oggi.

FRANCESCO RUTELLI:
Grazie, grazie Di Vico per questa domanda. Io sono un grande innamorato e studioso delle città come grande fulcro del cambiamento. Le città nella storia sono state scelte per diventare luogo di incontro tra le persone per molti secoli o per molti millenni in base a fattori geografici. Le città nascevano dove c’era un fiume, dove c’era un guado, dove c’era un’insenatura, un porto, dove c’era una condizione vantaggiosa anche sul piano della bellezza, ma sicuramente della sicurezza e delle condizioni fisiche. Poi è arrivata la tecnologia, sono arrivate le capacità di trasformare le città. Le città sono grandi strumenti del cambiamento nei quali le industrie, lo stesso vivere urbano, i trasporti moderni hanno fatto la differenza. Roma nasce sul guado all’altezza dell’isola Tiberina, tutte le città del mondo, Parigi, Londra, nascono in luoghi che hanno un significato, ripeto, geografico e fisico. Poi le grandi città del mondo sono città della trasformazione. New York, la stessa Londra come città industriale, le città dell’Oriente. La cosa interessante, oggi, è che le città del futuro sono probabilmente quelle che si distinguono per l’uomo, per la persona, cioè per la capacità di essere comunità e per la capacità di avere un valore umano di conoscenza e di trasformazione, legato però alla comunità. Secondo me, le città che oggi se la passano male, sono le città che vivono male da questo punto di vista. Non voglio parlare dell’attualità di Roma, che conosce tanti problemi seri che non vanno sottovalutati, ma nessuno di questi problemi potrà mai sopraffare il significato di una città che, forse, è, assieme a Gerusalemme, l’unica, grande città del mondo che ha la doppia funzione di capitale mondiale e di capitale religiosa. D’altronde Roma è una città universale, e cattolico vuol dire universale. Roma è universale due volte e mai si potrà smarrire la forza ed il valore di questo significato. Però si potrà smarrire il valore della comunità. Ci sono tante parti della mia città che oggi sono fuori controllo, dove non esiste partecipazione civica, dove possono insediarsi anche fattori illeciti o criminali e dove soprattutto si sta perdendo, da parte dei giovani, una speranza, un senso di quella comunità come fatto di trasformazione incessante, che è il bello della città. Un famoso proverbio tedesco dice “l’aria della città rende liberi”, e penso sia la migliore sintesi della bellezza della città, dell’importanza della città e della sua imprescindibilità. In fondo, nella trasformazione cinese, sono le città il fattore cruciale. E i cinesi sanno che possono far crescere il loro benessere con la concentrazione urbana. Noi avevamo immaginato che le città moderne fossero quelle tipo Los Angeles, città sparpagliata sul territorio e che New York fosse il simbolo delle città riuscite male. Oggi abbiamo scoperto che è il contrario. Che le città troppo sparpagliate sono antiecologiche, costose e non hanno un senso di comunità; che le città compatte, paradossalmente, sono più ecologiche e anche più vivibili, dove si può ritrovare il senso di una comunità. La Cina è un mondo, la Cina sicuramente ci porterà delle sorprese negative e positive. Alla battuta che faceva De Vico prima sulla Ferrero, posso raccontare una mia piccolissima esperienza. In uno degli ultimi incontri che ho avuto all’Ambasciata cinese con varie delegazioni, l’ambasciatore italiano ha presentato all’ex Ministro degli Esteri, che è una figura estremamente prestigiosa che guida la associazione cinese della diplomazia pubblica, cioè della cultura e del dialogo internazionale, due uova Ferrero. E gli ha detto: “Ministro, mi dica lei, qual è quello vero?” Naturalmente lui ha sbagliato e ha indicato come vero quello contraffatto, però ha ricavato da questo tipo di esperienza un’ulteriore spinta a tenere conto che lui fu quello che si batté per fare vincere alla Ferrero la prima causa, e dico la prima causa contro la contraffazione, perché Ferrero ne aveva perse tredici precedentemente. Quella che ha vinto contro la contraffazione dell’uovo Kinder è stata la quattordicesima, e la storia continua come abbiamo sentito prima. Vorrei quasi fare io una domanda a Snaidero. In parte l’aveva fatta Di Vico: accorciare la filiera, accorciare le procedure dal punto di vista dell’esportazione dei nostri prodotti, lo considerate più un rischio o più un’opportunità? Voi pensate che sia veramente indispensabile avere il retail oppure avere delle piattaforme web certificate, cioè che non presentano prodotti cinesi che in realtà sono la pura copia di prodotti italiani, francesi o di altri Paesi? Secondo voi c’è la possibilità di accorciare questo passaggio anziché rifare la storia di grandi Mall, Centri commerciali? Chiedo scusa se concludo anziché con una asserzione con una domanda. L’asserzione però la voglio fare lo stesso. I cinesi hanno aumentato moltissimo gli investimenti in Italia. Oggi Financial times ha una pagina in cui segnala tutte le acquisizioni italiane di banche straniere con l’attuale Governo. Un paginone molto interessante, che ci dà un altro punto di vista: gli italiani sono capaci di comprare il mondo. Paginone molto interessante. Noi balliamo sempre in maniera veramente assurda tra dire “nessuno investe in Italia” e dire “oddio ci comprano”. Noi siamo in grado di comprare spesso, non sempre e talvolta ci vendiamo e facciamo comprare ai cinesi. Se la Cina non avesse comprato nulla in Italia, non sarebbe stato un fatto positivo. La Cina ha comprato azioni rilevanti, quote rilevanti di banche, ha comprato la Pirelli. Per carità, c’è un aspetto negativo in questo, ma ci sono aspetti positivi. I cinesi vengono qui, vogliono creare una loro struttura turistica. Sarebbe meglio ci svegliassimo un po’ noi e creassimo una struttura turistica di incoming, in grado di accogliere cinesi, senza bisogno che venga creata una piattaforma tutta cinese che faccia dalla A alla Z il trattamento per i potenziali decini o centinaia di migliaia turisti cinesi. Che la Cina abbia investito in Italia, abbia comprato delle quote di importanti asset italiani, secondo me è molto positivo, perche vuol dire che la Banca Popolare in Cina crede che siano investimenti redditizi, e questo è un bene per l’Italia. I nostri grandi esportatori, Federlegno Arredo in prima persona, puntano sul mercato cinese e sulla loro qualità. Noi in qualche caso siamo anche in grado di comprare. Guardiamo con più fiducia all’avvenire. La via della seta è un ricordo dell’antichità, ma noi siamo italiani, molto bravi a trovare la strada, a patto che camminiamo insieme e che non andiamo ognuno per conto suo. Altrimenti ci perdiamo.

DARIO DI VICO:
Allora io darei la parola al Presidente Snaidero, uno per rispondere alla domanda che gli è stata fatta e poi per concludere il nostro incontro.

ROBERTO SNAIDERO:
Io credo che accorciare la catena non sia una cosa così semplice per quanto riguarda il nostro prodotto. Se noi analizziamo tutti i siti web con proposte nel settore dell’arrendamento, vedremo che ci sono molti complementi di arredo. Infatti una cucina è difficile che la trovi e-commerce, perché è fatta su misura per il consumatore, non è come un tavolino o un divano. Per quanto riguarda invece la seconda parte della domanda, ripeto la prima affermazione che avevo fatto: non vogliamo fare una mostra del mobile a Shanghai fine a se stessa, ma un evento fieristico che rappresenti l’italian life-style. E questo comporta il lavorare insieme. Vorrei chiudere con un invito: nel nostro stand, che è qui a cinquanta metri, ho voluto quest’anno rappresentare quello che la Federazione FederlegnoArredo fa per i giovani. Ho detto che il settore dell’arredamento è un’eccellenza del made in Italy. Abbiamo nelle nostre aziende degli artigiani, degli operai qualificati per fare i prototipi, presenti anch’essi nel nostro stand, che hanno fatto la storia dei grandi architetti, delle grandi imprese italiane e del Salone del Mobile. Ecco, noi vogliamo continuare su questa strada dell’eccellenza e guardiamo al futuro. Abbiamo aperto un centro formativo per i giovani a Lentate sul Seveso, per portare avanti questi aspetti. Le nostre sono aziende medio piccole, spostare la produzione in Cina per le nostre imprese è quasi impossibile, salvo una o due. Ecco, noi cerchiamo di mantenere questo nostro tessuto industriale in Italia, perché l’Italia, con la sua cultura e con i suoi architetti, è la nostra forza e noi vogliamo che in futuro non si chiuda coi nostri artigiani ma che i giovani possano continuare sulla nostra strada.

Data

24 Agosto 2015

Ora

11:15

Edizione

2015

Luogo

Sala Poste Italiane C2
Categoria
Incontri