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LA SFIDA DEL CAMBIAMENTO: WELFARE E SVILUPPO. COME USCIRE DALLA CRISI SENZA SACRIFICARE NESSUNO
La sfida del cambiamento: Welfare e sviluppo. Come uscire dalla crisi senza sacrificare nessuno
Partecipano: Mauro Moretti, Amministratore Delegato di Ferrovie dello Stato Italiane; Corrado Passera, Ministro dello Sviluppo Economico, Infrastrutture e Trasporti; Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. Introduce Francesco Bernardi, Presidente DSE.
LA SFIDA DEL CAMBIAMENTO: WALFARE E SVILUPPO. COME USCIRE DALLA CRISI SENZA SACRIFICARE NESSUNO
Data:
Lunedì, 30 AGOSTO 2012,
Ora:
ore: 11:25
Partecipano:
Mauro Moretti, Amministratore Delegato di Ferrovie dello Stato Italiane; Corrado passera, Ministro dello Sviluppo Economico, Infrastrutture e Trasporti; Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. Introduce Francesco Bernardi, Presidente DSE.
MODERATORE:
Buon giorno, buon giorno a tutti. Diamo inizio a questo incontro sul Walfare e lo sviluppo salutando e ringraziando i nostri relatori: il ministro Corrado Passera, l’amministratore delegato delle ferrovie dello Stato Mauro Moretti e il presidente per l’associazione della sussidiarietà Giorgio Vittadini. L’incontro di stamane, avrebbe una pretesa ambiziosa, cioè quella di dare una risposta concreta, diretta, a delle domande che sempre di più riguardano tutti i cittadini italiani su problemi quotidiani, su problemi primari. Noi ormai da decenni siamo abituati a pensare ad alcune cose della nostra vita, l’assistenza sanitaria, l’educazione primaria, il servizio pensionistico, come ormai dei diritti acquisiti. La mia generazione che vi parla a sessant’anni, è stata probabilmente in Italia la prima generazione che ha considerato questi servizi come un bene acquisito, una cosa ineluttabile. Tanto che il ricovero in ospedale è naturale che lo si pensi come gratuito, che la scuola la si pensi come un servizio appunto non oneroso per le famiglie e il sistema pensionistico come una certezza. Accade che per una serie di vicende che attengono alla crisi economica, attengono al calo demografico, al fatto che la vita delle persone si è allungata, taluni dicono alla globalizzazione, altri dicono all’insorgere di nuove patologie e così dicendo, accade che queste certezze oggi stanno venendo meno. Tanto che la domanda principale che tutti si fanno è: “che cosa ci attende nel prossimo futuro?”. Dobbiamo forse pensare a un di meno di servizi? Quei servizi che appunto noi abbiamo sempre considerato primari? E che lo sono in realtà. Dobbiamo pensare a mantenere il medesimo livello di qualità ma con un onere per ciascuno di noi maggiore rispetto a quello che è oggi. E ancor di più, quest’idea per cui questi servizi che prima citavo vengano sempre erogati in maniera quasi totalizzante dallo Stato, è figlia di quale concezione? Ci sarebbe un altro modo di disegnarli e ci sarebbe stato quindi possibilmente un’evoluzione per i medesimi rispetto alla crisi che dicevamo? Ora per fare chiarezza attorno a questi temi prima di entrare nelle domande più operative, abbiamo pensato di chiedere al professor Vittadini di farci un po’ un quadro di riferimento per iniziare ad orientarci in questa difficile problematica. A te la parola Giorgio.
GIORGIO VITTADINI:
Mah, lo spunto di questo incontro nasce dal fatto che avevamo appena fatto un libro uscito adesso appunto dal tema “la sfida del cambiamento: superare la crisi senza sacrificare nessuno”, e ci sembrava interessante affrontarlo con gente che è protagonista di questo passaggio economico-sociale-politico. I due interlocutori non sono casuali perché Corrao Passera, prima di essere Ministro per anni è venuto al meeting nelle sue diverse vesti, prima essendo Amministratore Delegato delle Poste Italiane nella fase di privatizzazione e poi di Banca Intesa in tutti questi anni abbiamo discusso di questi temi anche prima della sua responsabilità attuale di ministro quindi sviluppo e welfare. E io ho conosciuto Moretti quando non era ancora Responsabile delle Ferrovie dello Stato ma era Responsabile della Rete e si parlava già allora di come tutto il tema infrastrutturale fosse funzionale allo sviluppo. Allora questa diventa un’occasione interessante per mettere a tema qualcosa che è, secondo me, cruciale, partendo da un presupposto che non forse tutti sanno ma è importante rilevare. Sul Walfare la tradizione europea è una tradizione interessante, non eludibile perché è idea del Walfare universalistico, che qualunque persona ha diritto a una assistenza – e la parola assistenza non è casuale, cercherò di vedere come cambia – su temi fondamentali come la sanità, tutti i servizi di assistenza in senso stretto, la cultura – si discute se nel Walfare si debba introdurre o meno tutto il problema educativo, certamente ci sono problemi di frontiera come la formazione – ma l’idea è che al di là del reddito, chiunque abbia diritto ad un servizio universalistico: noi siamo abituati a questo. Non è scontato, perché pensate al mondo nord-americano, la grande discussione che c’è sulla riforma sanitaria di Obama che è un tentativo di andare verso un sistema universalistico, perché lì, tolto i poveri che ad esempio nella sanità hanno il sistema di medic-air e medic-aid, tutti si pagano l’assistenza sanitaria, se la pagano con l’assicurazione, quindi possono esserci momenti, situazioni, condizioni, in cui gente non è coperta complessivamente – non parliamo del tema dell’assistenza – e con problemi sociali non indifferenti. Si può passare da avere una grande situazione economica a finire più o meno sulla strada. Il tema sollevato da Obama non è un tema da poco. La discussione è feroce, i ricorsi alla corte suprema fortissimi, proprio perché il tema del Walfare universalistico non è un tema acquisito. Ora dite “bene l’Europa, meno male”, ecco: cosa succede però? Succede che dagli anni ‘80 in poi va in crisi, quello che vediamo tutti adesso, tutti ne parlano – forse qualche anno fa sarebbe stato strano – va in crisi il Walfare State, cioè l’idea che lo Stato possa garantire tutti questi servizi. Va in crisi perché? Perché come si vede mancano i soldi, non si possono spendere tutti quei soldi. Va in crisi per motivi anche positivi, perché la popolazione vive di più; noi per esempio siamo uno dei primi due o tre Paesi che vivono di più e quindi vuol dire che hai più gente da assistere e hai gente da assistere in momenti della vita che sono, come dire, tali per cui la gente non è più autosufficiente, perché vivendo di più si hanno più malattie croniche. Pensate che in regione Lombardia, già adesso, per fare un esempio statistico, pur essendo l’assistenza, come in tutta Italia, pensata per acuti (?) l’assistenza sanitaria, il 32% delle persone che sono in ospedale sono malati cronici che vengono messi lì perché non è pensato a livello nazionale un sistema sanitario per i malati cronici. Pensate quindi la quantità di bisogni che crescono, l’anziano e tutto il tema di badanti e altro, ma anche perché è aumentata la richiesta qualitativa. Certamente in Italia nessuno si accontenterebbe di quello che riceveva nel ‘48, nel ‘50 quando c’erano temi che furono denunciati da Togliatti, De Gasperi insieme come Matera: i Sassi di Matera che possono essere qualcosa di molto bello sul piano artistico oggi, allora erano dei tuguri dove la gente viveva; infatti possiamo mettere nel tema del Welfare largo anche tutto il tema del housing sociale e qualcosa di non scontato come il fatto che il 75% degli italiani a differenza di quello che succede in America – in America per questo han fatto scoppiare la crisi finanziaria – hanno la casa di proprietà. Ma capite? Non ci sono più i soldi, per esempio per finanziare il mondo cooperativo che costruisce case alte, e quindi questo sistema va in crisi. Allora a livello di Unione Europea, in modo un po’ superficiale, i liberisti, penso all’ex Commissario scozzese, dice “tranquilli: se non c’è più lo Stato viene il mercato”, pensando, con una superficialità che è stata spazzata via dalla crisi finanziaria, che bastava sostenere lo Stato e il mercato; ma secondo voi il mercato può occuparsi di cose fondamentali, non so, le malattie rare, la formazione professionale ,anche quando abbia un ritorno che non è un ritorno che può essere un utile diviso per gli investitori? Può essere scontato che lo Stato investa su qualcosa che non ritorna secondo una logica giusta di mercato? Ci son tantissime realtà, tantissime questioni che non possono essere semplicemente sostituite a un tasso di remunerazione tale da far introdurre l’investitore privato. Anche in sanità si sa benissimo che l’investitore privato se è lasciato libero, selvaggio, non è che fa qualcosa ultimamente per un bene comune. Per esempio, sempre qui vi do un dato, nel sistema delle assicurazioni americane, la stessa amministrazione lombarda costa quattro volte di più, tanto è vero che la spesa sul PIL in America nonostante non ci sia il Walfare universalistico è circa del 16%, in Italia del 7%, in Lombardia del 5%; perché? Perché quando fai semplicemente un mercato a fine di lucro su certi servizi non è detto che porti a un’efficienza, un’efficacia maggiore. Quindi quest’idea che il mercato speculativo entri su tutti i temi di questo tipo, pensate anche all’assistenza di certe malattia croniche appunto, non funziona: è stato un errore pensarlo e chi lo ripete è un ignorante. C’è un zona non grigia, ma bianca che deve essere pensata per qualcosa di intermedio, che non è né lo Stato né il mercato a fine di lucro. Questa è la prima considerazione che apre la prima domanda: come superare questa situazione senza perdere questo vantaggio che noi non siamo abituati a pensare ancora di perdere? Voglio vedere se l’Italia comincia, solo per l’introduzione di ticket, ad essere già limitati: viene fuori la rivoluzione. Allora, cosa vuol dire? Come superarla? Questo è il primo tema che pongo. Il secondo tema che pongo è che in realtà anche dietro l’idea di Walfare State – che poi è stato importantissimo, è stata la possibilità che fasce di popolazione uscissero dalla indigenza – ma guardate, si parla solo di Walfare State: noi l’abbiamo documentato nella mostra l’anno scorso e continuiamo a ripetere che il Walfare State è stato accompagnato da quella di cui parleremo dopo di una walfare society, perché vuol dire che il movimento cattolico e il movimento operaio in Italia hanno creato tanto di quel Walfare, nonostante Crispi e altro, e anche in molti Paesi europei, che ha accompagnato questa uscita dalla povertà di molta gente. Però certamente dentro l’idea di Walfare, e da qui apro l’idea del perché Walfare è crescita, c’era un’idea negativa. Diceva, un po’ di anni fa, il sociologo Donati che l’idea di Walfare di Stato, lo Stato Leviatano che si è sviluppato prima con l’idea dello Stato Polizia perché l’uomo è egoista e quindi io devo controllarlo, si è poi sviluppato sull’idea del Walfare State che siccome l’uomo è egoista, se lo lascio libero – anzi, le leggi economiche tradizionali solo (?) favola di Manzil delle api 1714, l’egoismo dei singoli porta al benessere collettivo (un periodo inconcluso, poco chiaro e molte parole mangiate) – allora per permettere il servizio a tutto ci vuole uno Stato dall’alto che controlli e impedisca questo egoismo. Vi sembra strano? Ma allora da dove viene fuori una concezione come quella di Crispi che nel 1891 abolisce l’idea di assistenza della society per dire: “è lo Stato che si occupa di questo”? Non bisogna essere di sinistra per dire questo, si può essere anche di destra e dire “è lo Stato che controlla”, perché l’uomo è cattivo, l’uomo non può sviluppare qualcosa di politico, quindi il Walfare è un sistema di redistribuzione intesa in senso negativo perché se lascio libero l’uomo c’è la povertà, ci sono i libri di Dickens – per dire i grandi scrittori – o Victor Hugo, questa divisione della società tra ricchi e poveri, Oliver Twist – vi ricordate? – i bambini a questo modo. C’è un’idea negativa di uomo, la stessa che è un’idea tradizionale dietro l’economia. Ecco, se vediamo l’incontro del Papa inaugurale del meeting, ma lo vediamo anche nell’enciclica, e così vediamo moltissimi autori laici che in questi anni hanno parlato di tanti temi, noi vediamo invece che si affaccia un’idea diversa di uomo, un uomo relazionale, un uomo positivo, quello di cui parliamo anche in questo meeting, un uomo aperto all’infinito anche in senso laico, un uomo che vuole costruire, creare. Sono moltissimi i contributi di ripensamento dell’aspetto sociale, in cui dietro, prima ancora dell’idea di Walfare society c’è l’idea dell’uomo che costruisce, fa relazione, fa rete, che genera; ve ne faccio uno per tutti, un classico della letteratura economica: Aro, premio nobel dell’economia degli anni ’50 su un teorema che si studia in tutte le facoltà di economia, il teorema dell’impossibilità; lui, secondo uno schema economico-matematico, cerca di vedere se conciliabili sul piano materiale l’utilità individuale presa come assoluta e il benessere collettivo. E nella prima parte del libro, che è l’unica di cui si parla di solito, dice che è impossibile conciliare l’utilità individuale con il mercato – con un oligopolio – e una non dittatura, perché ognuno cerca di imporre la sua utilità. Però nella seconda parte del libro di cui nessuno parla, dice che se gli uomini rinunciano all’utilità individuale per affermare dei desideri socializzanti, cioè si accordano su alcuni ideali, desideri, è possibile conciliare l’utilità individuale e il benessere collettivo. Poi nelle premesse per questo uomo relazionale che si accorda secondo uno schema diverso, positivo (il periodo è inconcluso o non chiaro). E da lì in poi sono moltissimi gli autori che riprendono questo tema, abbiamo sentito anche a questo meeting Lester Salomon, il teorico del non profit che parla di (??) avariato tra Stato e privato sociale. Dietro il privato sociale, dietro il tema del non profit, dietro l’idea della società civile – abbiamo molti autori anche italiani, per esempio Zamagni, Sapelli e altri – noi vediamo questa positività dell’uomo, relazionale, che si mette insieme, che costruisce. E quindi andiamo verso un’idea di Walfare positivo, come costruzione di valore, creazione di una società che rende migliore l’uomo e quindi rende migliore la società cosa che anche nella tradizione, diciamo imprenditoriale, italiana esiste; perché si cita sempre tra tutti Olivetti, ma l’idea di Olivetti di benessere del collettivo, cioè l’idea che se faccio star meglio la persona che lavora per me va meglio l’impresa, va in quest’idea; incominciamo a vedere cosa vuol dire la crescita, perché se usciamo da una visione tradizionalistica, superata, fordista, per cui devo trarre il massimo dalla risorsa umana per far bene andare la società delle’economia è una cosa, ma l’idea moderna è più l’idea che ci disse Michelin sempre al meeting è che l’uomo non è una risorsa umana, l’uomo è una risorsa: se sta bene lui, se migliora, se è felice, lavora meglio, non come le vacche quando si mette la musica per far andare di più il latte, ma perché è uno che è contento, cerca il desiderio di infinito anche quando costruisce, molto più vicino alla nostra tradizione che altre. Allora vado verso la seconda parte. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che abbiamo un tipo di Walfare costruttivo, positivo, come creatore di valore, non come c’è un crescita, devo mungere una vacca – lo sentii dire da un sindacalista un po’ di anni fa – trarre il più possibile dall’impresa e ridarlo. Capite che questa una cosa che vuol dire sempre qualcosa in negativo. Invece un Walfare in cui è creazione di valore, creazione di positività che per dirla con un’altra teoria che è stata un po’, diciamo, disertata negli ultima anni, ma è una teoria importante che ha fatto altri premi nobel prima di quelli della finanza, pensate Becket, pensate Heckman, il capitale umano, questo Walfare investe in capitale umano, migliora la vita, infatti la teoria del capitale umano parla di investimento nell’educazione, questo si sa, ma anche meno (non è chiara la funzione del meno: è in positivo o negativo?) investimento in salute, cioè se io faccio star bene la persona questo è un valore aggiunto che nella produzione è non solo quantità ma qualità. Come avviene? Quattro principi: “pluralismo dell’offerta e dei soggetti del Walfare sussidiari”, ci sono aspetti che sono vicini quasi ai mercati ma qui stiamo andando al di là perché dice: “è importante che ci sia una concorrenza virtuosa”. Ne abbiamo parlato ieri col presidente Monti, nelle università, nelle opere di assistenza, nella sanità, per esempio che ci sia una pluralità di offerte nella sanità, nell’assistenza, vuol dire che c’è una competizione a migliorare. Ora quello che è ritenuto una competizione entro certi limiti, non che ha come scopo la massimizzazione dell’utilità individuale dell’impresa ma la massimizzazione del bene comune. Chi fa meglio sanità? Chi fa meglio assistenza? Chi fa meglio educazione? Chi fa meglio formazione? E qui capite che serve tutto, magari l’investitore privato in sanità migliorerà in tecnologie, quello pubblico assicurerà l’uguaglianza di trattamento, il non profit avrà un’attenzione a tutti degli aspetti umani, ma è un competizione che migliora, quindi “pluralismo dell’offerta”, in cui – quello che è un po’ scontato nel tema dei mercati – la creazione del soggetto è fondamentale. Perché se tu fai uno schema in cui non prevedi la costruzione di questo soggetto, non metti a tema i motivi ideali per cui questo soggetto cresce, è evidente che tu dai per scontato la cosa più importante. Perché non è che queste realtà, le realtà storiche del nostro Paese o anche oggi del mondo nord-americano – pensate che molte università sono non profit, la meglio clinic di Rochester in Minnesota con 25 mila dipendenti è una non profit non cattolica nata nel 1890 e uno dei più grandi ospedali del mondo – nascono per uno spirito ideale, quindi non si può dare per scontato questo. Quindi, primo: questa pluralità di soggetti che competono; secondo: una libertà di scelta dell’utente, la possibilità che l’utente scelga tra questi soggetti segnalando il meglio. Faccio un esempio sull’educazione che facevo ieri: ma perché le università italiane non devono scegliere come negli Stati Uniti o in Inghilterra, tale per cui le tasse sono altissime e le borse ancora più alte? Che differenza c’è sul fatto che tutto è dato per scontato, che tutto è basso, tasse basse e alte? Ma che l’utente sceglie! Che lo studente va nell’università che va meglio e l’altra dovrà ridimensionarsi perché l’altra vuol dire che non può competere a quel livello, dovrà essere più piccola, ed è giusto che uno vada nel posto dove impara meglio, dove è trattato meglio. Terza questione: una solidarietà, cioè l’idea che questo non avviene semplicemente, come dire, con una competizione, ma tendendo conto di questi soggetti, infatti uno sicuramente dei soggetti di quel Welfare è la famiglia, le reti famigliari, le reti sociali, che non è che hanno come scopo immediato l’utilità, ma hanno proprio lo scopo di dare dei servizi. È stato detto più volte, l’ha detto qui Campiglio negli anni scorsi come la famiglia in Italia si un fattore di risparmio – perché abbiamo il debito pubblico come risparmio – di investimento in capitale umano, di ammortizzatore sociale verso gli anziani, di collaborazione a costruzioni di reti, pensate i NIDI e ALT (?), pensate a tutte le realtà sociali a cui noi collaboriamo e che sono legate a questo meeting, pensate al banco alimentare, di cui Corrado Passera è uno dei più grandi sostenitori – e anzi lo ringraziamo anche qui pubblicamente perché ci ha creduto anche quando ci credeva pochissima gente –, pensate ai due milioni e mezzo di persone assistite con questo schema che mette insieme realtà profit, non profit e altro; è un sistema in cui quelle due parole, sussidiarietà e solidarietà, vanno insieme. Ultimo aspetto è il metodo di frazionamento perché è evidente che a questo modo ciò che è raccolto in tasse non è detto che diventi spesa pubblica ma diventa, per esempio, il caso preso dall’Inghilterra dalla regione Lombardia delle doti: io do una dote a uno studente che sceglie l’ente di formazione migliore; pensate che questo è proprio uno strumento biparte, nasce dal mondo bleiriano, l’abbiamo sentito più volte anche qui al meeting e può diventare un fattore di concorrenzialità, perché con questo gruzzolo uno può scegliere l’asilo nido, può scegliere la scuola, l’università … è una dote che do alla persona, che sostituisce quello che gli darei in spesa pubblica, quindi rende flessibile il sistema, lo rende attuabile. Ma soprattutto – e vado a concludere – questo tema di tassazioni e altro, mette il luce “io come gioco questa leva invece di usare la spesa pubblica in quanto tale?”; la gioco nella misura in cui trovo delle realtà che facendo Walfare creano occupazione, creano investimento, perché, l’abbiamo detto prima, questo Walfare investe in capitale umano ma crea anche occupazione. Perché non pensiamo a una cosa non scontata, le imprese competitive devono risparmiare manodopera: non possiamo pensare di accumulare lì tutta questa manodopera. Ma allora dove va a lavorare? Pensate che certe realtà di assistenza possono essere un grande fattore occupazione, vi do un esempio per tutti de-organizzato: le badanti; le badanti sono un enorme fattore di occupazione perché ognuno, anche famiglie medie sono così (non conclude) e già questo sistema della dote esiste nei nostri comuni perché il comune da alla famiglia l’accompagnamento e uno si sceglie la badante. Pensate quanta occupazione si può creare qui nella misura in cui questo è un fattore di miglioramento della vita, quindi è un tema crescita-occupazione, è un tema in cui non divido più il Walfare dall’occupazione; o pensate ancora al cosiddetto terzo Walfare, quello finanziato dai privati, in cui si recuperano i soldi delle fondazioni o si soldi di aziende che investono, riprendendo il vecchio tema Olivetti, per migliorare la vita delle loro persone. Noi recuperiamo reddito, recuperiamo risorse che non sono più solo risorse statali. Voi capite che da questo punto di vista è interessante vedere come questo tema del Walfare apre alla crescita, perché nonostante tutto quello che ho detto, se non c’è crescita, questo cambiamento inevitabile che sentiamo diventa impossibile. Allora diventa fondamentale coniugare Walfare e occupazione, questo è come il quadro in cui ci troviamo, un quadro dove un Walfare nuovo può recuperare risorse ma un quadro dove un Walfare nuovo è collegato alla crescita. Anche perché capite, concludo, chi può assistere un anziano, un malato, chi può assistere una persona che ha bisogno, chi può intervenire dove c’è povertà? Uno che crea reddito, che investe, che occupa, uno che è dentro un sistema di crescita, un giovane che può prendersi le risorse. La povertà non aiuterà mai la povertà. Ci vuole una capacità, una crescita, un investimento, una possibilità che si faccia carico delle fasce deboli della popolazioni; lo Stato interviene con certi fatti-vita (?). Un ultimo esempio interessantissimo che è la riforma universitaria che è passata prima per Blair e confermata poi da Cameron in Gran Bretagna. Non è solo una borsa a fondo perduto ma è un finanziamento di banche a chi studia. E si dice “e se poi uno rimane povero?”; ecco, lo Stato interviene sussidiariamente laddove la persona nel ciclo vitale non riesca a restituire alla banca. Ma voi capite che abbiamo fatto risparmiare allo Stato: primo perché chi pagava può pagare, secondo perché per chi investe, se poi non ce la, fa si re-interviene, ma voi capite che questo lega profondamente Walfare e crescita. Perciò sentiamo dal nostro caro Ministro quello che sta facendo adesso perché penso che sia legato a quello che ho detto.
MODERATORE:
Ministro Passera. A esaminare il suo curriculum si rimane inevitabilmente stupiti perché lei tra tutti i protagonisti del nostro Paese ha un decisa caratteristica: ha visto la sua vita professionale svolgersi in modo alternativo tra il mondo pubblico e il mondo privato e in tutti i casi sempre con un orizzonte di bene comune, la banca per il Paese, le poste per il Paese – per dire due casi –, ora la sua militanza all’interno di questo governo. Un uomo di successo, è innegabile che lei lo sia. Io credo che non possa non sentire vicine e in qualche modo affascinanti le parole di Giorgio Vittadini, soprattutto laddove diceva “tutto dipende dal punto di partenza” e cioè anche nel Walfare da quell’idea di positivo che è nell’uomo, da quell’antropologia positiva che è all’origine del modo con cui si guarda all’uomo. Diceva Giorgio “e quei desideri socializzanti che sono alla base di ogni dinamica e di ogni progresso”; ecco, nella sua esperienza, attuale come in quella passata, che cosa vuol dire partire da questa positività, e quali azioni, quale dinamica, quali motivazioni, quale prassi questa cosa comporta? E volendo andare in una direzione ancor più diretta del tema di oggi: lei in queste ultime settimane, soprattutto nell’ultima settimana ha speso molte energie per il caso dell’IVA che per chi l’ha vissuto dai giornali ripropone drammaticamente l’alternativa tra due cose giuste: pensare al bene dell’ambiente, alla tutela della salute, e pensare alla occupazione, alla tutela dei posti di lavoro. In analogia, nei casi del Walfare e dello sviluppo si ripropone la stessa dicotomia. Ora, lei in particolare per la carica che in questo momento ha e in particolare per il suo governo, che tipo di prospettiva volete offrire al nostro Paese? Realmente queste due cose giuste sembrano essere una in esclusione dell’altra? Realmente se vogliamo continuare a godere della risposta positiva del Walfare a cui siamo abituati dobbiamo cedere il passo ad altri Paesi che devono svilupparsi più rapidamente del nostro o al contrario per inseguire lo sviluppo dobbiamo rinunciare a qualche cosa? Ecco grazie per quello che potrà dirci.
CORRADO PASSERA:
Se negli ultimi dieci anni, mi avessero detto che un giorno, sarei dovuto venire a rendervi conto in questa nuova inaspettata veste, probabilmente sarei stato un po’ meno pretenzioso nei confronti della politica. Quante volte ci siamo trovati a dire: la politica dovrebbe fare questo, dobbiamo pretendere questo o quest’altro…La vita è stata creativa anche in quest’occasione, per cui adesso non posso più dire “devono”, ma “dobbiamo, possiamo, vogliamo” fare le cose che da tanti anni ci siamo raccontati che abbiamo messo insieme, perché poi molte delle cose di cui Giorgio prima parlava e di cui vorrei cercare di parlare anch’io, partono da questa visione positiva, antropologica dell’uomo e della sua centralità, che da sempre qui dentro non solo si respira, ma si deve realizzare nelle opere. Parliamo di welfare, parliamo di come lo sviluppo e il welfare devono convivere, anzi la tesi è che se non c’è una non c’è l’altro e viceversa.
Cominciamo a dirci quello che era implicito nelle parole di Giorgio Vittadini che il welfare è una scelta di civiltà, è una scelta della nostra civiltà, il welfare, organizzato, se ci pensate bene è solo dell’Europa, è una cosa di cui noi possiamo andare giustamente orgogliosi,è una scelta di civiltà che parte dalla voglia, dalla necessità, dal dovere di riconoscere dignità alla vita umana. Il welfare è poi un’infrastruttura di coesione sociale e quando si parla di coesione sociale, bisogna, e qui non è strano, ma in tanti altri campi, in tante altre sedi sembrerebbe strano dire la coesione sociale è uno degli elementi portanti anche della fiducia della crescita, non c’è sviluppo senza coesione e viceversa, come dicevo prima, non è un dato acquisito. Da molte parti, il welfare, la coesione sociale è considerato una specie di zavorra, una specie di costo da portarsi dietro. Noi vediamo, e la storia anche recente lo dimostra che se si vuole crescere in maniera sostenuta, cioè in modo tale da creare posti di lavoro, e sostenibile, cioè non in maniera drogate, non in maniera saltuaria, ecco, coesione e competitività vanno insieme. Il welfare italiano è un welfare forte e un Welfare, dove ci sono tanti esempi virtuosi, molti di questi esempi sono rappresentati in questa sala, è una forza del nostro Paese. Però, come giustamente è stato detto dal nostro moderatore, nulla va considerato come acquisito ma nulla, nulla. La storia in tanti campi ci dice che conquiste di civiltà, come anche la democrazia, in certi casi vengono messi a rischio, se non si sa tenere insieme la società. E allora dobbiamo dirci chiaramente quali sono i rischi (che) nei quali occorre il welfare per poter affrontarli uno dopo l’altro e poi trovare quel collegamento virtuoso tra welfare coesione e crescita di cui questo Governo si è fatto fortemente responsabile e sul quale sta lavorando. Il nostro welfare ha dei rischi derivanti dalle tante inefficienze che ci sono ancora dentro, dai tanti sprechi, dalle tante anche frodi che ci sono e questo, lasciatemi dire, è un’area di problemi relativamente facili. Ci sono, cioè viene rabbia quando in certi casi si vedono degli investimenti sprecati prendete, per esempio, talune tessere sanitarie molto ben funzionanti, che però vengono reinventate in ogni Regione, tante volte non si parlano tra di loro.È la dimostrazione che c’è dello spazio per andare a recuperare risorse senza togliere il servizio ai cittadini. Poi dobbiamo fare attenzione che il nostro welfare non venga spiazzato da dei mutamenti di scenario profondi, pensiamo all’aumento dell’età media, all’invecchiamento della popolazione, che è un’altra conquista, ma può mettere a rischio pesantemente il sistema previdenziale ed è la ragione per cui siamo intervenuti in maniera decisa, ma lo stesso può valere per le nuove tecnologie, che da una parte aumentano nei costi, ma dall’altra parte offrono un’enormità di possibilità di cure prima inimmaginabili. Vale per il tema delle nuove povertà, vale per il tema dell’immigrazione, quindi, il welfare non è un qualcosa di acquisito, è un qualcosa che deve continuamente adeguarsi a ciò che la società, nel suo insieme, necessita. C’è il tema della, di un po’ di un’impostazione generale che può mettere a rischio il nostro welfare, che è quello di guardare di più a coloro che sono dentro al mondo del lavoro,se ci pensate è molto più orientato a chi un lavoro ce l’ha già rispetto a chi è fuori e soffre dell’essere fuori e non ha strumenti che invece chi “insider” hanno già, soprattutto giovani e donne. C’è un problema di fondo di un welfare che è molto orientato ai problemi dell’invecchiamento e molto meno, troppo poco, ai temi della natalità, della famiglia, ai temi dell’inclusione sociale, ai temi dell’occupabilità…”imploiability” inglese che in Italia chiamiamo giustamente occupabilità. Quindi c’è da ri-vararlo anche in termini di orientamento e poi c’è la scelta di fondo, quella scelta di fondo, profonda, di cui ci ha parlato Giorgio Vittadini, perché al di là dell’aggiustare i singoli pezzi, singoli dettagli bisogna capire se per un mondo che si sta sviluppando, come si sta sviluppando il modello di fondo è quello giusto, ed è chiaro, come dice Giorgio, un modello centralista non è quello giusto, non lo potrà mai più essere, sia per mancanza di risorse, ma anche per la sua naturale incapacità, o non stimolo o non incentivo a trovare innovazione o efficienza. Ma non funziona, l’ha detto giustamente anche il modello neoliberista, anche quel sotto modello un po’ definito dei quasi mercati, perché è basato su una assunto antropologico sbagliato, è basato sull’assunto antropologico che la società è mossa solo da stimoli utilitaristici, che sappiamo non essere fortunatamente vero, si basa su una visione di società,dove la società è l’insieme di individui tra loro separati e quasi in lotta tra di loro e sappiamo, fortunatamente, che non è vero: Per cui ne viene fuori la necessità di muoversi decisamente verso il cosiddetto Welfare sussidiario, come giustamente l’ha definito Giorgio per superare i limiti di entrambi gli altri modelli. Cosa vuol dire Welfare sussidiario? Vuol dire Welfare, dove esiste un’effettiva,un effettivo pluralismo di offerta è questo cosa porta dietro? Che le famiglie, che il non-profit non sono soltanto ancillari all’ente pubblico, non sono soltanto dei riempitivi per dove non arriva il pubblico, ma sono allo stesso livello di dignità e di possibilità di competere in termini di offerta di servizi. Seconda caratteristica: ci deve essere un’effettiva possibilità di scelta, che vuol dire informazione, che vuol dire accompagnamento, vuol dire cultura della valutazione e possibilità di confrontare chi fornisce servizi sulla base di dati disponibili confrontabili e garantiti. E naturalmente si porta dietro il welfare sussidiario, l’aspetto della solidarietà, cioè l’aspetto della visione corretta, lasciatemi dire corretta, dell’antropologia della società, di una società fatta di comunità, di una società, come dice Papa Benedetto, dove la creatura umana si realizza nelle relazioni interpersonali. Quindi vedete che tutto si tiene in questa visione, però dobbiamo aver presente che c’è molta strada da fare per passare dall’attuale a questa visione. E’ chiaro che anche nell’ultima visione, nella visione di prospettiva, questa del welfare sussidiario il ruolo dello Stato c’è ed è importante, non foss’altro per perequare regioni del paese che possono avere una capacità di autoregolazione molto diversa e allora li, giustamente, come diceva anche lui, lo Stato deve intervenire. E poi c’è il tema sul quale giustamente Giorgio Vittadini ci richiama il tema della sostenibilità, le risorse che la società nel suo insieme, l’economia nel suo insieme possono mettere nel welfare, che sono risorse necessariamente in crescita per i bisogni che crescono e per il livello di civiltà che vogliamo creare nelle nostre società, che è pure in crescita.
La società sussidiaria crea di per sé meccanismi, perché, se ci pensate, insieme al welfare sussidiario la società sussidiaria, la comunità sussidiaria crea anche dei meccanismi che prima non c’erano. Tutto il mondo del call sharing che nel suo libro lui ben spiega, la mutualità, il crowd funding, cioè la possibilità di intervenire in tanti piccoli a fare grandi progetti, a tutto il tema della donazione, delle donazioni e al tema pure questo è stato accennato delle welfare aziendale, che è un’area crescente e dove anche per esperienza diretta, si possono metterà a disposizione dei propri collaboratori, con costi molto inferiore a quello dell’aumento di stipendio, che indirettamente poi potrebbe finanziarli, risorse e servizi molto importanti. Però, naturalmente, al di là di questi modi nuovi, importanti per finanziare il nuovo welfare che vogliamo costruire, ci deve essere una società, un’economia che crea risorse, una società, un’economia che è capace di crescere in maniera sostenuta e sostenibile e questo ci porta dentro a piedi pari sui temi su cui ci stiamo giocando il futuro e su cui ci stiamo tanto tutti impegnando: tema del debito pubblico, il tema della capacità dell’economia italiana di crescere. Su entrambi questi temi dobbiamo parlarci molto chiaramente. Non dobbiamo nasconderci i problemi, dobbiamo prenderci ciascuno la propria responsabilità, sia per quanto è successo in passato, sia per quello che vogliamo fare per il futuro, perché la situazione, e cercherò di dimostrarlo, ma molto brevemente, in realtà è ancora un po’ peggio di quello che uno potrebbe potrebbe immaginarsi e l’eredità di questi vent’anni di seconda Repubblica è sicuramente, da questo punto di vista, molto, molto deludente.
Parliamo di debito pubblico.
Uno potrebbe dire: “ma insomma più o meno all’inizio degli anni ‘90, eravamo intorno al 120 %, siamo adesso più o meno intorno al 120%, in fondo non è andata male”. E no, se la guardiamo così ci perdiamo la vera interpretazione di quello che è successo nel nostro paese, perché il debito pubblico era sceso a 100 % del PIL e, quindi, stava avviandosi nella direzione giusta, e poi è risalito a 120,ma poi ci siamo mangiati, ci siamo divorati una serie di risorse che ben utilizzate, ci avrebbero messo, oggi saremmo tra i paesi virtuosi e con lo spread a 0 (zero). Ci siamo giocati il dividendo dell’euro, in 15 anni di tassi inferiori a quelli programmati inizialmente, quasi 500 miliardi noi questi 500 miliardi ce li siamo mangiati tutti. Se li avessimo utilizzati saremmo a 80 % il debito sul PIL; ci siamo mangiati i proventi delle privatizzazioni, della vendita delle frequenze, delle cessioni di immobili. Pensate se oggi avessimo a disposizione quei 200 miliardi o per ridurre le tasse o per ridurre il debito, o una combinazione di queste e di interventi sullo sviluppo e sulla povertà. Ma in più, per rimanere intorno al 120, abbiamo sacrificato quasi tutti gli investimenti in conto capitale, cioè lo Stato ha smesso di costruire futuro, per far finta di mantenere, non per far finta, per mantenere i conti ad un certo livello, cioè è chiaro che è più facile tagliare gli investimenti, è più facile rallentare le infrastrutture che toccare le spese correnti, soprattutto quelle primarie, però questo vuol dire non costruire futuro e quindi, allora questa apparente stabilità del debito pubblico nasconde trend pericolosissimi. Noi siamo il paese che in questi vent’anni ha fatto crescere di più, in termini di peso, la spesa corrente, primaria,dove c’è dentro un sacco di inutilità, rispetto a qualsiasi altro paese europeo e di questo tutti dobbiamo farcene responsabilità e tutti dobbiamo lavorare per evitarlo e per evitarlo per il futuro e per correggerlo, perché, se è rimasto pari il debito, ma mangiandosi questi 500, 200, i 100 degli investimenti vuol dire che bisognava, bisogna rompere degli andamenti molto pericolosi. Se poi ci aggiungiamo quello di cui anche Mario Monti ieri ha parlato giustamente con la giusta enfasi, l’evasione fiscale, e proviamo a immaginare il recupero anche soltanto di una parte di questa negli ultimi vent’anni, proviamo un attimo a fare il calcolo: 100, anche solo 100 miliardi di recupero,moltiplicato 20, quanto fa? 2000, e 2000 che cos’è? È il nostro debito pubblico. E’ chiaro che non si possono fare questi accostamenti così forti, però pensate che paese potremmo essere e che paese dovremo essere anche solo recuperando, ragionevolmente, una parte di questa evasione, per poter naturalmente far pagare meno ai tanti cittadini e imprese oneste, ma nello stesso tempo per rimetterci definitivamente in ordine. Questo da una parte crea indignazione, dall’altra parte ci dice che c’è uno spazio a nostra disposizione importante se sapremo sfruttarlo. Da tutto questo che cosa ne è successo? perché, se fosse soltanto un fatto di debito pubblico, pazienza, ma il fatto è che queste scelte implicite ci hanno creato, prima di tutto, una delle economie che cresce meno al mondo. Negli ultimi dieci anni, l’abbiamo già detto in altre occasioni, soltanto a crescere in linea con la media dei paesi europei, non con la Cina e con l’India, ci avrebbe dato cumulativamente 700 miliardi in più, che vuol dire 300 miliardi in più nelle casse dello Stato o per ridurre debito o per ridurre tasse o per fare progetti di sviluppo e di lotta alla povertà. Ci troviamo con un livello di disagio occupazionale alto, come mai, perché guai a guardare soltanto i disoccupati, dobbiamo guardare gli inoccupati, dobbiamo guardare i cassaintegrati, dobbiamo guardare ai sottooccupati. Allora la politica, ma la classe dirigente nel suo insieme, si ritrova la dimensione della responsabilità, perché quando si arriva a parlare di numeri, di sei, sette milione di persone con un forte disagio legato al lavoro, beh, insomma allora cominciamo, ci rendiamo conto di quanto è grande il compito che tutti insieme dobbiamo affrontare. In tutto questo periodo, a causa delle cose che dicevo prima, il tasso di risparmio si è più che dimezzato e una nostra tradizionale forza è andata riducendosi. Abbiamo uno dei livelli di tassazione più alti al mondo, naturalmente per chi paga le tasse e questa è un’altra zavorra che dobbiamo correggere, ma, naturalmente, tenendo conto di quello che è successo.
Tutto questo stava portando al Commissariamento del nostro paese, alla fine del nostro paese dal punto di vista della sua libertà, sovranità, indipendenza. Questo è stato evitato questo è stato evitato, grazie soprattutto al lavoro orchestrato e impostato e alla credibilità personale di Mario Monti, però dobbiamo sapere che ci siamo arrivati molto vicini. Tutto questo ha portato stress sulle risorse da dare al welfare e quindi ci ricolleghiamo alla situazione e a quello e come abbiamo cercato di reagire. Molto brevemente, perché non è quello il tema, però è chiaro che la prima reazione del nuovo Governo è stato salviamo l’indipendenza dell’Italia, evitiamo il fallimento e quindi forti, drastiche azioni strutturali, giuste e condivise, perché di fatto quello che ha cambiato l’umore del mondo intorno all’Italia è stata la dimostrazione di unità che il nostro paese ha dimostrato, in quel momento. Di fronte a sacrifici fortissimi, a riforme strutturali che molti altri paesi avevano tentato senza riuscirci di introdurre, Governo, Parlamento, parti sociali e una grandissima parte dell’opinione pubblica, uniti hanno supportato questo lavoro che Monti presentava al paese e che ha permesso di modificare in tempi imprevistamente lenti la credibilità del nostro paese. Quindi, questo merito, però dobbiamo sapere che va a tutti, perché è stata la dimostrazione di unità, oltre che l’oggetto delle decisioni e delle delibere parlamentari a cambiare l’immagine e l’opinione intorno al nostro paese. Naturalmente quello era solo l’inizio, contemporaneamente alle riforme strutturali per gestire l’emergenza è stata immediatamente, ma fin dalle prime azioni, fin dal Salva Italia, è stato immediatamente messo in moto un grande lavoro che noi chiamiamo “Agenda per la crescita sostenibile”, fatto di interventi che coprono tutte o le principali leve della crescita, perché come sappiamo la crescita ha tanti motori, ma basta che uno vada lento che rallenta tutti gli altri e quindi, decreto dopo decreto, mese dopo mese, sono state avviate azioni sulle liberalizzazioni, sulle semplificazioni, è stato fatto un grande sforzo sulle infrastrutture, sia dal punto vista normativo, che di apertura di cantieri, c’è stato fatto il lavoro sulle riforme delle regole del lavoro, è stato fatto un grande lavoro sull’internazionalizzazione, un inizio di lavoro sulle innovazioni, un inizio di riforma tributaria per premiare le aziende che crescono e che raggiungono la dimensione critica per poter crescere all’estero e per poter innovare. Si è subito parlato di credito coi 20 miliardi nel fondo centrale di garanzia, si è subito affrontato il tema difficilissimo del debito accumulato della pubblica amministrazione, che si somma allo scaduto del privato tra le grandi aziende e le piccole aziende. Si è affrontato il tema del diritto fallimentare e qua mi fermo anche se potrei continuare e anche se molte altre cose sono in progetto per i prossimi mesi, perché il messaggio che vi volevo mandare è che da subito la gestione dell’emergenza, quindi la messa in sicurezza del nostro paese doveva accompagnarsi ad un forte intervento sulle ragioni strutturali spesso difficili da capire, anche da comunicare sul tema crescita, sul tema sviluppo.
Terza attività con tempi molto diversi, il recupero delle risorse per fare tutto il resto e quindi la spending review, e quindi la lotta all’evasione e quindi la valorizzazione degli attivi pubblici. Questi progetti sono tutti da subito partiti, hanno tempistiche diverse, porteranno risorse a questo e al futuro Governo per poter finanziare quella visione di Paese che cresce di cui vi parlavo prima.
Torniamo al tema welfare, perché tutto questo è per creare quella crescita che, unitamente a coesione sociale, dà le risorse per la crescita. Quello che è certo, ma questo vale un po’ in tutto il mondo, anche se non tutti i paesi vorranno riconoscerlo, è che una delle lezioni delle crisi che ci siamo inanellate una dopo l’altra in questi anni, dovranno essere affrontate riconoscendo che crescita, sviluppo, coesione sociale, welfare devono andare insieme. Non c’è più l’economia che va per la sua strada e la società che va per la sua strada e guai a quelle comunità che pensano che l’economia faccia e poi con le briciole o con i resti o anche soltanto con la redistribuzione, si possa pensare alla società. L’agenda dello sviluppo dovrà essere fatta, sarà fatta in paesi come il nostro, avendo ben presente che lo sviluppo viene dalle due cose. Noi dobbiamo pensare alla crescita sempre avendo presente anche questo secondo aspetto e sulla crescita valgono tutte le azioni di cui vi ho parlato prima. Però vorrei insieme a voi, perché ne abbiamo parlato tante volte anche negli anni scorsi, ma adesso è diventato una necessità impellente, parlare del problema principale che insieme dobbiamo risolvere e dove il pubblico può fare qualcosa, però, e soprattutto la società civile e, soprattutto, l’insieme e la collaborazione tra le parti sociali che possono portare i risultati. Il nostro problema principale di competitività e quindi di crescita si chiama produttività e su questo aspetto noi abbiamo accumulato un ritardo che può essere molto più grave ancora dello spread sull’indebitamento. Noi in termini di produttività del lavoro siamo passati da meno 5 a meno 12 punti percentuali rispetto alla media europea, in termini di costo del lavoro per unità prodotta -sono tecnicismi, ma poi per i tanti imprenditori che ci sono in questa sala, sappiamo che sono vere verità che cambiano la possibilità di stare sul mercato- in termini di questo costo del lavoro per unità prodotto, abbiamo, eravamo in vantaggio vent’anni fa, rispetto all’Europa, siamo sotto di 8 punti. Allora vedete che, oltre allo spread di cui parliamo, leggiamo ogni giorno sui giornali ce ne troviamo un altro di ben 10 punti, almeno da recuperare, che se non recuperiamo non basterà neanche andare a recuperare quello che dobbiamo comunque andare a recuperare in termini finanziari.
È chiaro che la produttività viene da tante cose, viene da tutte le cose che ho detto prima, viene dagli investimenti, viene dei prodotti viene dai processi produttivi, ma viene anche da un aspetto, da una componente che è nelle mani delle parti sociali, che è proprio la produttività del lavoro, l’organizzazione interna del lavoro, chi sta in azienda, le imprese ed i sindacati, sanno che c’è un grande spazio per andare a recuperare, da questo punto di vista, in termini di volume di prestazioni, in termini di effettivi orari, in termini di flessibilità nell’uso degli impianti, in termini di modelli contrattuali, in termini di quelle mille piccole leve, che se, con coraggio, le parti sociali avessero –e io son sicuro avranno- il coraggio di affrontare, ci permetterebbero di recuperare, mentre si recupera lo spread finanziario, quell’ enorme spread che si è creato in termini di produttività da andare a restituire e a distribuire tra lavoro e tra imprese, con imprese che potranno crescere, ma anche con redditi, – non dimentichiamoci quanto bassi sono molti dei redditi da lavoro dipendente in Italia – sul mondo del lavoro. Dobbiamo capire, e lo Stato, il pubblico, il Governo farà tutta la sua parte, perché si può incoraggiare questo percorso con interventi fiscali, però bisogna capire, e lo dovremmo capire dalle prossime stagioni contrattuali, se ci sarà la voglia, e ci deve essere questa voglia nel nostro paese, di fare quell’esercizio magari doloroso, ma secondo me neanche poi tanto, che la Germania ha fatto dieci anni fa e attraverso il quale si è salvata, perché dieci anni fa era lei un paese a rischio e si è rilanciata nel modo in cui si è rilanciato. E questo per quanto riguarda la produttività nel mondo privato.
Poi c’è quel grandissimo tema che non possiamo più rimandare della produttività, del funzionamento del mondo pubblico, di tutto ciò che è servizi pubblici, di tutto ciò che oggi è nella parte pubblica dell’economia. Qui è chiaro che bisogna lavorare, sia a livello di singole procedure, l’abbiamo visto in questi mesi lavorando sulle infrastrutture e facendo recuperare anni ai tempi di autorizzazione, però dobbiamo avere in mente, come anche Scholz ha detto in un’intervista al Corriere, una revisione, un ridisegno generale della nostra macchina della pubblica amministrazione. Si può, perché in altre occasioni, insieme, abbiamo parlato di cosa è stata quella per me fondamentale esperienza alle poste, dico fondamentale perché mi ha dimostrato concretamente che il pubblico, la pubblica amministrazione ha un enorme spazio di miglioramento: il fatto di essere passati da uno dei posti più bassa della classifica a uno dei posti più alti della classifica europea, attraverso che cosa? Investimenti, attraverso innovazione, attraverso formazione, attraverso meritocrazia con sana concertazione e con il contributo di 200 mila persone, è stata la dimostrazione per me, ma credo possa essere una metafora, per tutti coloro che credono nel nostro paese, di quanto spazio c’è di recupero. Quello può essere un caso, non credo che sia un caso, perché è un caso più che emblematico e se guardiamo al lavoro che ha fatto Moretti in ferrovie troviamo risultati ed esiti molto paragonabili, ma noi dobbiamo avere il coraggio di andare oltre, perché dobbiamo proprio porci il tema se possiamo permetterci, se vogliamo ancora, se vogliamo ancora tollerare quella matassa che abbiamo intorno a noi e che rende così difficile la vita degli individui, la vita delle imprese, rende così lungo qualsiasi scelta di investimento, rende così defatigante qualsiasi procedura per mettere in moto una infrastruttura. Si può, si può cambiare, ma bisogna avere un grande supporto popolare, un grande supporto politico, perché le resistenze sono fortissime, sono tantissimi quelli che vivono su questo gomitolo, su questa ragnatela che abbiamo intorno, ma si può e si deve passare per delle cose che per le persone normali, per noi, sembrano ovvie, ma che ovvie e facili da cambiare, non saranno. Noi dobbiamo ridurre il numero dei livelli istituzionali, che non sono soltanto comuni, province, regioni, ce ne sono, lo sapete, migliaia di altre entità intermedie, politiche o parapolitiche che esistono solo per giustificare loro stesse e sono allungamenti indebiti di ogni procedura. Abbiamo dato di fatto, il diritto di veto, senza responsabilità delle conseguenze a chiunque e abbiamo creato un numero infinito di occasioni di corruzione e la corruzione è uno dei problemi che come Governo, sapete, e credo che ne abbia citato anche Mario in questi giorni, siamo più impegnati. Ma non basta ridurre questo, perché poi va ridotto, va corretto alla base uno dei meccanismi più malefici del nostro processo decisionale, che è quello dei concerti decisionali, cioè una decisione deve essere presa solo quando un numero spesso lunghissimo di enti sono d’accordo su qualcosa. Questo, vissuto da questa parte del tavolo, è una cosa che non può funzionare; ogni decisione deve avere un suo padrone, un suo responsabile, ci deve essere un tempo entro il quale render conto e se il tempo non viene rispettato deve essere chiaro chi deve intervenire, qual è il meccanismo automatico di supplenza per far arrivare a quella decisione. Questo servirebbe a tutti, meno a coloro che difendono questo groviglio e questa rete. Dobbiamo andare poi, procedura per procedura, alleggerire, informatizzarle e poi riuscire in un compito forse il più difficile di tutti, che è quello di avere più fiducia nella gente, ma dare garanzie che chi non rispetta le regole poi la sanzione l’abbia e la abbia fino in fondo, e questo patto deve succedere. Se accettiamo questa impostazione possiamo rimettere mano al federalismo che è un concetto forte, positivo, necessario, indispensabile in un paese come l’Italia di così clamorose differenze. Dobbiamo mettere in condizione ciascuna entità, e prima di tutto i comuni che sono e possono essere i veri alleati di questa rivoluzione, dobbiamo mettere in condizione queste entità di avere chiarezza sulle loro responsabilità, ma altrettanta chiarezza sulle risorse e sui meccanismi per poter raccogliere queste risorse. Poi, certo, lo Stato deve avere anche in questo caso un ruolo perequativo di solidarietà, ma deve essere chiaro dove e come si realizza la responsabilità e come i cittadini possono andare a controllare l’operato dei loro amministratori. Un solo accenno al decreto legge sulla crescita che è diventato legge qualche giorno fa: c’è dentro una piccola nota, un piccolo articolo che probabilmente è passato perché non se ne sono accorti, ma che noi dobbiamo sapere che c’è, è un articolo che dice che nessuna pubblica amministrazione, nessun ente pubblico può pagare somme a qualsiasi titolo, senza dire sul suo sito, senza mettere sul suo sito quanto, a chi e perché. Pensate quanta porcheria ci eliminiamo soltanto con questo aspetto.
Vengo a chiudere, perché le cose importanti erano queste e temo già di avere sforato coi tempi. Noi dobbiamo trovare più risorse per il welfare, dobbiamo trovare più risorse per ridurre la fiscalità ai cittadini e alle imprese oneste, dobbiamo porci tutti insieme un compito, un impegno di costruzione di futuro, a cui di fatto si è rinunciato da troppi anni. È una responsabilità condivisa, non è responsabilità solo della politica costruire il futuro o fare politica, è responsabilità di tutta la classe dirigente, è responsabilità di tutti noi. La sussidiarietà è una parola chiave in questa visione di paese, non soltanto per la gestione del welfare, ma per il disegno, il funzionamento dell’intera società. In questa ottica, il terzo settore, in tutte le sue variegatissime manifestazioni, può avere e deve avere un ruolo ancora molto più ampio di quello che ha avuto, che ha avuto fino adesso. Il terzo settore è un settore, come dicevo, con grandissimi meriti e con grandissimi esempi virtuosi, ma c’è ancora moltissimo da fare, sia da parte dello stesso settore, in termini di rafforzamento, in termini di efficientamento, in termini di non sprechi di risorse, ma può molto fare e deve molto fare il pubblico, in termini di incentivi all’efficienza, in termini di certificazione di credito, di snellimento degli adempimenti burocratici, in termini di garantire continuità e pianificazione di lungo termine, molto spesso il mondo del terzo settore è gestito in una maniera talmente a breve termine, che non può, a sua volta rafforzarsi, per poter dare il meglio di sé e questo il pubblico deve sentirselo come sua responsabilità. L’Europa, a sua volta metterà molte risorse a disposizione e in questo caso, rispetto ad altri casi in cui non siamo stati bravi nell’usare le risorse europee, dobbiamo essere capaci di farlo. Il terzo settore è una parte del made in Italy particolarmente forte, è un vantaggio competitivo del nostro Paese, ma lo è già oggi, figuriamoci se riusciamo ad usarlo fino in fondo e non soltanto sulle cose marginali, perché il ruolo del mondo largo del terzo settore fino arrivare alle fondazioni, fino ad arrivare, come diceva prima Giorgio Vittadini a quelle stupende realizzazioni del non-profit che sono certe entità di ricerca e di cura in giro per il mondo, ma pensiamo all’ istruzione, pensiamo ai beni culturali, pensiamo ai beni ambientali, ha un grande ruolo da svolgere, non solo dipendente, ma a pari grado proprio in un’ottica di sussidiarietà con chi oggi lo fa. Noi abbiamo una storia forte, di autorganizzazione sociale. Voi ne siete una manifestazione fortissima. Noi anche in questo modo, concretamente, dobbiamo superare una fase della storia, che non è stata granché dal punto di vista della classe dirigente un po’ di tutto il mondo. Si è voluto andare in una direzione di economicismo estremo che forse grazie a questo estremismo ha dimostrato tutti i suoi limiti, dobbiamo dimostrare concretamente che attraverso sviluppo e coesione si può fare vera crescita, occupazione e forse nessuno meglio del Presidente Napolitano l’ha detto, Gestire in modo più razionale ed efficiente i conti pubblici, riformare il funzionamento della P.A e aumentare la capacità produttiva delle nostre imprese. Sono queste le grandi sfide, dopo aver parlato del mondo del terzo settore, che la classe dirigente che dovrà governare il paese nei prossimi anni, dovrà affrontare fin da subito. È un compito bello che abbiamo a disposizione. Il nostro paese ha tante forze e ha dimostrato anche durante la crisi di saper tenersi, è un paese che non ha seguito le bolle finanziarie, che a parte lo stato ha tenuto l’indebitamento sotto controllo e comunque uno dei primi paesi manifatturieri del mondo, cresce e le imprese italiane riescono a crescere anche in questi momenti drammaticamente difficili in termini di esportazioni, tiene alla famiglia, ci sono comunità, quindi c’è tutta una base sulla quale costruire che tanti paesi non possono neanche immaginarsi. La globalizzazione per noi può essere un’opportunità a patto che facciamo tutte quelle cose, che l’esercizio corale, che grazie al governo Monti sia iniziato, possa continuare anche successivamente. Sappiate che la responsabilità che già sentivo nei vostri confronti nelle vite precedenti, in questa vita per me è anche molto aumentata. Grazie a tutti.
MODERATORE :
Questo lungo e caloroso applauso è il miglior commento alle parole del ministro Passera. C’era in Italia fino a qualche anno fa un vecchio adagio che più o meno diceva così, che la prova che Dio esiste sarebbe stata data solamente se due aziende potevano essere risanate, una erano le Poste e la seconda erano le Ferrovie dello Stato. Al tavolo abbiamo oggi i due protagonisti di questo miracolo, di questo salvataggio. L’ing. Moretti si è trovato cinque anni fa a prendere un’azienda che aveva circa due miliardi di debiti e con il bilancio di quest’anno è stata riportata in attivo di qualche centinaio di milioni. Non è stata una passeggiata ed è per noi molto importante sentire la sua esperienza attraverso questo lungo viaggio a commento del tema che gli abbiamo proposto.
MAURO MORETTI :
Capite che per me è un po’ difficile, dopo l’introduzione di Vittadini e l’importante e, devo dire di grande livello, intervento di Corrado Passera. Io mi limiterò a dire qualcosa. Non erano due miliardi di debiti ma erano due miliardi di perdite all’anno, i debiti erano molti di più per sfortuna nostra, e se volete era un po’ quello che succede oggi nello Stato: l’impresa fortemente indebitata che perdeva ogni anno un’infinità di soldi, produceva poco e soprattutto produceva cose di scarsa qualità, quindi non erano di grande interesse per i cittadini. Devo dire che questa cosa mi ha insegnato molto, l’ha detto en passant Corrado, io lo voglio riprendere con due parole perché voglio rientrare invece nei problemi della speranza dell’ultima parte che ha detto Corrado Passera che poi si sposa con quello che ha detto ieri Monti nell’uscita dalla crisi. Credo che le cose fondamentali siano un luogo dove ci siano delle regole del gioco e se non sono rispettate, l’ha detto bene, ci devono essere sanzioni chiare. Due: che chi ha merito, onestà e coraggio, unisco queste tre cose, sia protetto e promosso. Chi è disonesto, furbo e a volte pusillanime deve essere espulso, e ci deve essere qualcuno che è in grado di poter organizzare queste cose. Vorrei venire proprio da questo approccio ai temi proposti, Welfare da una lato, crescita dall’altro. Welfare, cultura europea. Io sono d’accordo con quel che dice Vittadini però non voglio naturalmente fare operazioni furbe di critica. Vorrei dire che il Welfare europeo si inserisce in un sistema di culture e di regole che i paesi europei hanno e che l’Italia ha disperso, proprio per quello che diceva ieri Monti. Io sono stato colpito ieri per le due cose fondamentali che hanno fatto applaudire tutti noi: il riferimento ai furbi quando parlava dello Stato con tutto quello che abbiamo capito nella sua intenzione da un lato, e l’altro quando abbiamo fatto il grande applauso a proposito degli statisti, quelli veri, parlando di De Gasperi, quelli che avevano coraggio essendo certi di quella cosa perché erano onesti e capaci e quindi potevano collegarsi in un rapporto con l’infinito non guardando invece alle povere cose del momento o addirittura del passato, legate solamente a star dietro alle corporazioni, adesso si dice stakeholders, a tutti gli stakes e a tutti gli holders.e frantuma la nostra azione quotidiana della politica ci produce ad un sistema che, avendo a che fare con un popolo vecchio, ricco, un paese indebitato e bloccato anche nella produzione, per cui la qualità della azione di ciascuno e la produttività del lavoro, dell’impresa, degli Stati sono gli elementi che poi ricreano le condizioni per la produttività, ricordandoci che siamo in una competizione mondiale in cui chi è senza regole, chi non guarda l’infinito, chi non è in grado di potere decidere l’espulsione dei furbi è destinato a soccombere. Non siamo più un paese chiuso in cui tutto avviene al suo interno e la redistribuzione è un qualcosa che attiene ai nostri problemi domestici. In questi giorni di vacanza mi sto rileggendo un libro che consiglio, se non altro per fare il paragone, “Viaggio in Italia” di Giulio Piovene. Andate a vedere quello che diceva incontrando i Marzotto, i Valletta, i Mattei e così via. Peraltro persone eccellenti che ricordano il problema del Welfare così come allora (veniva detto da Vittadini); l’esperienza di Marzotto, piuttosto che l’esperienza di Olivetti e così via. Però la loro dimensione era ancor quella, completamente diversa, non c’era il problema del debito pubblico che abbiamo oggi e soprattutto non c’era la competizione mondiale che presuppone una competizione fra Stati, tra sistemi, non più solo fra individui e imprese. Io credo che questo dobbiamo fare Allora qui intervengono fortissimamente i problemi della accumulazione di ricchezza. Liberiamo tutto quello che frena l’accumulazione di ricchezza, sia nella fase di promozione attiva, sia nella operazione di sostegno attraverso il Welfare, così come diceva Vittadini, nella creazione delle condizioni affinché l’uomo si senta soddisfatto nel partecipare ad una azione di creazione di ricchezza, sapendo poi che da quella viene fuori la redistribuzione che crea le condizioni per la coesione sociale e la virtuosità della azione dello Stato. Qui come facciamo? Per passare dall’uno all’altro c’è di mezzo quello che ieri Monti ha fortemente sottolineato, i furbi, ma chiamiamoli giustamente, i ladri. Qui non lo so se vogliamo pigliare il decalogo cattolico di Papa Pio che mi pare lo classifichi al settimo comandamento o quello dell’Esodo della Bibbia che lo faceva l’ottavo comandamento, ma si chiamano ladri. Il problema del dover risolvere questa questione in Italia è il grande gap che ci distingue alla Germania, insieme all’altro problema della qualità della spesa in Welfare, non tanto e solo della quantità. Qui c’è Attilio Beffera: come facciamo ad assistere Attilio Beffera? Io so che quando ha fatto delle cose i media si sono quasi scaricati contro chi faceva un’azione contro gli evasori, e non a vantaggio di. Parliamo spesso di giustizia, ma noi abbiamo, se questo è il male dell’Italia, una giustizia che sta lavorando contro l’evasione fiscale o contro tutte le altre frodi equivalenti all’evasione fiscale? Penso agli inquinamenti, penso al saccheggio del territorio, a tutto quello che è contro la morale,la natura, l’ambiente. C’è una sezione delle preture o dei tribunali che si occupa dell’evasione fiscale, delle frodi? Io credo di no. Si spendono soldi per intercettare rispetto al problema dell’evasione fiscale? Non so quanti possano essere, credo che dovremmo in qualche modo valutare un particolare intervento e un investimento in questo caso, perché a quel punto passiamo da quella che è semplicemente una indicazione di problema a una vera battaglia e una lotta che ha degli strumenti, ha degli uomini, ha delle armate che riescono ad agire contro gli evasori, contro i frodatori e cosi via. Il secondo punto che vorrei toccare è semplice ed è: Welfare, statalismo- nella concezione europea che poi tutti quanti devono rivedere, chi prima chi dopo, con l’importante cosa, che ancora ieri Monti diceva,quando parlava dell’Europa come un’organizzazione al di sopra che anticipa i problemi che ogni stato membro deve poi riuscire a risolvere: credo che il problema del tagliare tutte quelle che sono le barriere strutturali alle quali si faceva riferimento, e che limitano la possibilità di potere avere efficacia sia nella spesa che d’altra parte libera iniziativa nell’impresa, siano i due fattori che dobbiamo guardare. Ebbene io sono convinto che lo statalismo così come oggi si è realizzato sia il portato di una situazione di distruzione di ricchezze drammatica -le cose che diceva prima Corrado Passera sull’insieme delle persone che vivono questa questione e che in qualche modo proteggono questa situazione che deve essere combattuta. Sono convinto che occorra andare verso un decentramento e sono convinto d’altra parte che si debbano trovare delle soluzioni e sperimentare, tra quelli del terzo settore, compresa la sussidiarietà, ma anche parzialmente quelli che sono le sperimentazioni di tipo anglosassone legate al “quasi mercato”, diciamo cosi, in cui muta completamente il ruolo dello stato da cui arriva l’amministrazione. Non più esecutore e produttore di servizi, ma grande capacità nel potere programmare, pianificare e controllare e soprattutto poi, dovendo comunque essere colui che fa contratti di servizio e dovendo mettere a disposizione i soldi, grande capacità nel selezionare coloro che dovranno diventare i gestori, che potrà essere sia un terzo settore no profit, ma anche una società di profit che abbia le caratteristiche per farlo. E qui allora c’è il grande problema richiamato anche da Passera rispetto a quello che diceva Napolitano: come si fa a cambiare una macchina pubblica che, da gestore irresponsabile deve trovare la forza di avere la cultura di essere programmatore coerente (e qui c’è il terzo problema però, che deve essere espresso) con una politica espressa nella logica dell’Infinito,e cioè con delle cose che guardino al futuro, che guardino alla solidarietà, che guardino ai deboli nel futuro. Ma che tagliano i ponti con la situazione passata e con la posizione finite. Cosa voglio dire in questo? Da un lato se continuiamo a selezionare dentro la pubblica amministrazione cosi come stiamo facendo non potremo mai arrivare a una situazione in cui lo stato ha il potere di programmare e controllare la qualità dei servizi in particolare prodotti da terzi, si rischia l’anarchia, si rischia la lotta delle lobby. Un’altra volta la logica delle corporazioni, quelle che dobbiamo combattere e distruggere. Qui una grande metamorfosi, e qui viene fuori il problema della legittimità democratica, che fa distinzione fra chi è eletto e chi è nominato. E la legittimità democratica è quella che oggi deve essere affrontata compresa dal punto di vista delle questioni della giustizia, affinchè sia chiaro che colui che va a presentarsi al popolo attraverso un programma viene eletto e ha quindi una sua legittimità a decidere anche nella scelta degli strumenti e egli uomini, che invece saranno nominati, e che siano coerenti con la politica che vogliono fare. Altrimenti non riusciremo a risolvere la vicenda della pubblica amministrazione e di come trasformare queste cose. L’ho fatto io nelle ferrovie, l’ha fatto Corrado a suo tempo nelle poste, perche siamo delle imprese, e come diceva Mattei non di stato, nel senso di imprese statali, ma dello stato, ma imprese libere di agire come imprese, per cui possiamo scegliere, magari mettendo coraggio, perché senza coraggio non si fa niente, e scontando che in certe posizioni, quando si fa, ci sono tranquillamente 4 o 5 processi, gestioni di vicende penali e amministrative (ma questo fa parte delle vicende italiane). Ora ritorno al problema della legittimazione democratica perché questo è il punto saliente: come facciamo la selezione nella legittimazione democratica in Italia? Finora l’abbiam fatto nel passato e nel finito, alla mercè delle corporazioni. Come uscire in avanti? Noi dobbiamo dispiegare un grande disegni strategico: il nostro paese è quello in cui, aldilà della grande operazione che è stata fatta in questo momento e sta facendo il Governo Monti, il ministro Passera in particolare alla parte di crescita, ma noi non abbiamo mai avuto politiche che guardino al 2030, 2050, come fa qualsiasi Germania, Francia o Gran Bretagna, se volete, anche gli Stati Uniti. Non abbiamo un orizzonte strategico nel quale collocare poi l’azione programmatica al 2017, o al 2020, quello che sarà lo spazio delle elezioni. Sui quali chiedere ai politici di potere esprimere in maniera chiara qual è il loro indirizzo politico strategico e sui quali misurare ogni reale azione concreta, attuativa che deve essere fatta. Lasciando a loro il compito reale e libero di potere svolgere questa partita. Il problema del riuscire a far si che la politica riacquisti un ruolo forte e importante, decisivo nel nostro paese, primario rispetto a qualsiasi altro potere è la questione del nostro paese. E lo si riacquista nuovamente soltanto se la politica sarà in grado di legare programmi e prgetti che si ispirino all’infinito, e cioè facendo leva su quelli che sono gli interessi generali del nostro paese, di ogni persona che ci sta dentro e che poi si incarneranno nell’aspetto di investimento sull’uomo, sia come produttore di ricchezza, sia come uomo che deve essere tenuto contento e soddisfatto nella sua azione di protagonista in questa cosa. Dobbiamo semplicemente fare quello che fanno gli altri paesi e sui quali gli altri paesi vengono a pigliare la legittimità democratica. Quando Schroder ha fatto quelle scelte le ha fatte dichiarandole in maniera chiara: la Germania ha fatto due volte la grossa coalizione per tirarsi fuori da questa partita. Noi dobbiamo parlare di queste cose: se pensiamo di spezzettare il Welfare dalla capacità di crescita e dalla capacità politica, credo stiamo sbagliando. Concludo perché l’ho fatta troppo lunga e forse anche un po’ astratta: vorrei semplicemente però dire questa cosa: questo è un nodo fondamentale, che vale per un’impresa, vale per un’organizzazione, vale per lo stato che vuole essere produttivo e competitivo, come ha detto Corrado Passera, in questa competizione mondiale che non risparmia nessuno. Sapendo nella logica della previsione all’Infinito contrastare il miope tornaconto di qualsiasi impresa ferroviaria che ogni anno deve chiudere il quadro del bilancio con un profitto. E più alto è, ancora che ne se dica, i suoi mali ne sono pagati, nonostante la crisi finanziaria. Allora il problema che dobbiamo risolvere è, prima, regole: regole chiare. Il fatto che in Italia si facciano regole chiare vuole dire che se si arriva a dire che uno fa evasione fiscale deve essere mandato in galera. Come fanno negli stati uniti! Vorrei chiedere a voi: se venisse messo sul web l’immagine, la foto degli evasori fiscali come fanno in Gran Bretagna, la stampa, la pubblica opinione e tutti quelli che hanno interessi in questo paese, sarebbero a vantaggio di quella cosa oppure tutti quanti si preoccuperebbero dei diritti dei “poveri evasori” che non devono essere messi alla gogna? Ma qui sta il discrimine! Questo se volete è il discrimine che abbiamo, in un mondo come questo, che ci trasportiamo dal ‘500, tra riforme e controriforme! E questa è la separazione che c’è oggi e che ritorna tra i paesi del sud e del nord dell’Europa, è questa la diversa concezione dello stato e dello stato sociale. Regole chiare in cui venga promosso, protetto, chi è onesto e bravo chi è coraggioso, che debbano essere valorizzate attraverso una chiara individuazione quelle che sono le sanzioni per chi è ladro, per chi è furbo, per chi non è in grado di contribuire al benessere comune e collettivo.
MODERATORE:
E’ ora di buttare giù la pasta e dobbiamo chiudere il nostro incontro ringraziando calorosamente i nostri relatori e affidando reciprocamente una frase che prendiamo come reciproco saluto. È una frase che mi ricordano spesso i miei figli e che so che è vicina al popolo del Meeting, è una sociologa americana che si chiama Margaret Harcher, e se quello che ci prendiamo a cuore di più è il bene comune, come questa mattina i nostri relatori ci hanno mostrato e con la passione che ci hanno dimostrato e con la competenza e la storia che ci hanno riproposto, penso che quello che siamo oggi e saremo domani sarà un’immagine, una fotografia, una realtà nella quale tutti ci potremmo ben riconoscere. Grazie.
Trascrizione non rivista dai relatori