La scuola come ambito di accoglienza e inclusione

Stefano Bozzone, Docente di Enogastronomia Laboratorio di Cucina, Istituto Istruzione Superiore Gae Aulenti, Valdilana; Alessandra Landini, Dirigente Scolastico Istituto Comprensivo A. Manzoni, Reggio Emilia; Marilena Pelonero, Docente Istituto Comprensivo Martin Luther King, Caltanissetta; Roberta Vioglio, Docente Istituto Istruzione Superiore Gae Aulenti, Valdilana. Introduce Alberto Raffaelli, Preside Associazione Festival dell’Innovazione Scolastica.

“Mai come oggi c’è bisogno di scuola, di quella scuola che accompagna le persone a diventare cittadini. Quella scuola che accompagna le persone a scoprire sé stessi, quella scuola che accompagna soprattutto le persone a costruire comunità.  In realtà il mandato per la scuola di oggi è un mandato straordinario. (…) La scuola dev’essere la scuola degli affetti perché, in un’epoca in cui è facile rimanere soli, la scuola è il luogo in cui si impara a condividere.” (Dall’intervento del Ministro F. Bianchi al Festival dell’Innovazione Scolastica 4 settembre 2021).

Con il sostegno della Regione Emilia-Romagna.

LA SCUOLA COME AMBITO DI ACCOGLIENZA E INCLUSIONE

Alberto Raffaelli: Buongiorno, benvenuti a questo incontro. Questo è il primo di cinque appuntamenti che si svolgeranno ogni giorno a quest’ora, che nascono dall’esperienza del Festival dell’Innovazione Scolastica, un evento che è partito nella Scuola Valdobbiadene, una scuola professionale, e che è partito a seguito dell’esperienza del Covid, quando tutti abbiam sentito parlare molto di scuola, anzi non se ne è mai parlato così tanto come nei due anni del covid di scuola. Però per la gran maggioranza questi discorsi erano relativi a problemi organizzativi, ecc., e difficilmente si sentiva toccare il problema educativo in quanto tale che è la vera mission della scuola. E allora ci siam detti, con Luigi Ballerini, lo scrittore, con cui ci siamo incontrati, e abbiamo detto: “ ma, però esperienze vive nella scuola italiana ce ne sono molte, ci sono molti docenti, molti dirigenti che tentano esperienze innovative didattiche estremamente interessanti”, e da lì abbiamo detto invitiamoli qui. Il primo week end di settembre è diventato un appuntamento, a cui tra l’altro ha partecipato anche il Ministro sia l’anno scorso, sia fra un paio di settimane quando si svolgerà la seconda edizione. L’idea è quella appunto di non far parlare gli esperti, che normalmente dicono ai docenti, ai dirigenti come si dovrebbe fare, ma far parlare proprio chi ci ha provato, chi prova l’esperienza, chi ha tentato di sperimentare delle strade nuove. Ecco qui questa esperienza che si rinnova adesso ogni anno. Perché scuole che raccontano cosa è successo, cosa han tentato nelle proprie scuole. L’incontro di oggi è dedicato a uno dei temi che sarà toccato dal Festival dell’Innovazione Scolastica, che è il tema dell’accoglienza e dell’inclusione. Abbiamo tre scuole che vanno dall’Istituto Alberghiero di Mosso, Valdilana, con la professoressa e vicaria dirigente Roberta Vioglio, con l’insegnante di cucina Stefano Bozzone, poi abbiamo la dirigente scolastica Alessandra Landini dell’Istituto Comprensivo Manzoni di Reggio Emilia, e poi abbiamo Marilena Pelonero, di Scuola Martin Luther King di Caltanisetta.

Prima di dare la parola ai tre ospiti di oggi, volevo fare un’osservazione. Il tema dell’accoglienza e dell’inclusione non è relativo nel contesto attuale alle situazioni di disagio, per molto tempo si è parlato di accoglienza e inclusione relativo a situazioni di disabilità, di disagio familiare, di immigrazione, ecc. Qui certamente parleremo anche di questo, ma parleremo non solo di questo, perché il contesto attuale è segnato, e credo che tutti i docenti, quelli che lavorano nella scuola se ne sono accorti, non solo se ne sono accorti ma hanno dovuto provare sulla loro pelle quello che Giussani aveva definito il nichilismo, questa idea di non valere niente. Nella mia scuola personalmente è successo un fenomeno e ce ne siamo accorti in un collegio docenti che molti studenti per esempio non si alzavano dal letto, oppure rifiutavano di mangiare, oppure sono entrati in una situazione di mutismo selettivo per cui non parlavano. Cioè è successo che questa perdita del gusto del vivere è diventata tangibile in molti di questi ragazzi. Quindi il tema dell’inclusione e dell’accoglienza è un tema oggi che riguarda ogni allievo che varca la soglia della scuola, tutti gli allievi han bisogno di capire, di conoscere che non sono niente ma che valgono qualcosa, e allora il tema dell’accoglienza e dell’inclusione mi sembra un tema assolutamente drammatico e interessante. Bene, allora cominciamo a sentire le esperienze dei nostri ospiti. Roberta Vioglio.

 

Roberta Vioglio: Bene, buongiorno a tutti. Come ha detto il dirigente Raffaelli, io sono Roberta Vioglio e rappresento un istituto di Biella. È un istituto molto ampio, io sono referente della sede staccata di Mosso Valdilana, la sede che accoglie l’Istituto Alberghiero. La sede che gestisco, è una sede che ha una realtà di nicchia, è una realtà di nicchia quella di Mosso, è un paese abbastanza piccolo ed è una sfida, credete, insegnare in un paese abbastanza piccolo perché bisogna dimostrare costantemente ai ragazzi, alle famiglie, anche alle scuole medie che si può fare bene, che si può lavorare anche se si è in pochi, anche se non siamo in una grande città, anche se competere con, in questo caso, noi con la città di Biella che offre il Movimento, diventa sempre un po’ una sfida. Quella che si respira a Mosso è una bella aria, un’aria in cui c’è energia, in cui c’è voglia di fare, in cui c’è un team di colleghi che spesso collaborano e cercano di cambiare un po’, di fare didattiche in modo diverso, ed è proprio in questa prospettiva che il mio collega, Stefano Bozzone, mi propone nel 2018 questo progetto, «Mani in Pasta». Era un modo diverso di fare didattica, si trattava di fare didattica inclusiva, sfruttando i laboratori. Noi siamo un Istituto Alberghiero quindi i nostri ragazzi hanno a disposizione dei laboratori di cucina e di sala in cui possono misurarsi costantemente e sperimentare le loro abilità. Per cui è partito proprio così questo progetto, cioè con il desiderio non solo di potenziare la didattica laboratoriale, quindi dare al laboratorio una forte valenza, ma in una prospettiva in cui il ragazzo che scendeva in laboratorio potesse confrontarsi con i suoi compagni. Per cui la didattica laboratoriale viene a servire, viene sfruttata per aiutare i ragazzi con un po’ più di difficoltà, in collaborazione con i compagni, che invece, magari hanno meno difficoltà manuali, meno difficoltà espressive, però possono collaborare, aiutare i compagni. «Mani in Pasta» è un progetto che ha proprio questo scopo, cioè quello di dare ai ragazzi la possibilità di lavorare insieme, di sentirsi utili, di sentirsi autonomi e di dare ognuno il proprio contributo al progetto ma anche ai compagni. Non si tratta, come diceva Alberto prima, di misurare una difficoltà o un problema. Tutti i ragazzi a scuola hanno perché competenze, chi magari in modo più spiccato, chi un po’ meno, ma il lavorare insieme, il confrontarsi, dà loro questa forte valenza di autostima, di esserci e di collaborare e quindi, ripeto, l’accrescere l’autostima, il sentirsi utili, fa in modo che i ragazzi possano davvero crescere e, secondo me, in questo periodo, diventare un po’ più coscienti perché loro capacità, perché loro competenze e del loro valore, perché forse è importante dare a tutti i ragazzi la consapevolezza del proprio valore. Lascio la parola al mio collega che vi racconterà un po’ la storia di questo progetto.

 

Stefano Bozzone: Buongiorno a tutti. Adesso io vado un po’ più nel pratico, nel senso che vado a spiegare quello che in realtà abbiamo fatto nei laboratori e con i nostri ragazzi. Come diceva la mia collega, il progetto «Mani in Pasta» nasce da un’idea nel 2018 e inizialmente prevedeva, e prevede tuttora, la produzione di articoli di pasticceria o di arte bianca, nello specifico produzione di biscotti e pasta fresca, ma tutta una serie di elaborati semplici che fossero alla portata di tutti quanti, in modo che tutti in qualche modo hanno potuto intervenire, chi più e chi meno, nello specifico perché proprie abilità e perché proprie competenze. Inizialmente, abbiamo iniziato con un formato di pasta fresca, una sorta di tagliatella che abbiamo chiamato «Legacci di Fra’ Dolcino» – Fra’ Dolcino ricordo che è un personaggio storico che è vissuto nelle nostre valli – fino ad arrivare forse ad un evento clou che abbiamo prodotto lo scorso anno, in occasione dell’anno dantesco, con i biscotti «Settecento», e quindi abbiamo prodotto una trilogia di biscotti appunto ricordando l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso di Dante. Se non altro, lo scorso anno, quindi nel 2021, sono arrivati due ragazzi, Gioele e Samed, due ragazzi chiamiamoli speciali perché sono speciali, e questi ragazzi da subito hanno instaurato una grandissima amicizia, ma nel contempo anche una sana rivalità. E allora si è pensato: «Perché non andare a stuzzicare questa rivalità e cercare di metterli più in gioco e di fare in modo che possano competere in modo sano tra di loro?». Ispirandoci al programma televisivo Masterchef, ovviamente non potendo fare una cosa di questo livello e di questa grandezza, abbiamo deciso di fare una cosa un po’ più semplice, l’abbiamo chiamato Masterpizza nel quale due squadre capitanate appunto dai due ragazzi speciali, con la collaborazione ovviamente dei loro compagni di classe normodotati, si sono sfidati in questa produzione di una pizza speciale, con tanto di Mystery Box quindi abbiamo scoperchiato questa scatola con dentro gli ingredienti necessari per fare la pizza, la loro divisa personalizzata, premiazione finale e via dicendo. Adesso tutte queste belle cose le potete vedere anche in un video riassuntivo.

 

Roberta Vioglio: Lo facciamo partire. (Proiezione video). Chiudo questo nostro intervento con una riflessione. Mi sono resa conto che è difficilissimo trasmettere in pochi minuti quello che è il lavoro di quattro anni ma la voglia di fare, l’energia che io respiro a Mosso e che mi rende orgogliosa di lavorare in questa scuola, è davvero tangibile. Fare scuola in modo innovativo, cercare di cambiare qualche cosa sicuramente si può. Tutti i nostri ragazzi sono una risorsa e il difficile, dal punto di vista degli insegnati, è comprendere davvero quale risorsa possono darci. Quindi, ripeto, «Mani in Pasta» è cominciato quattro anni fa, ci ha dato grandi soddisfazioni, abbiamo avuto perché ottime collaborazioni con il territorio, abbiamo portato il progetto a Valdobbiadene, al Festival dell’Innovazione Scolastica, e siamo qua oggi a parlarne, per cui la voglia di fare è tanta, l’energia e le risorse ci sono e quindi sono veramente soddisfatta e orgogliosa di poter portare avanti un’esperienza del genere. Io ti ringrazio, Alberto, per la possibilità che ci hai dato.

 

Alberto Raffaelli: Grazie a te Roberta. Mosso, per chi non conosce, ha una grande tradizione, anche nel settore dell’educazione, così come una grande tradizione ce l’ha Reggio Emilia e abbiamo qua la dirigente dell’Istituto Comprensivo Manzoni di Reggio Emilia. Per chi non conosce, Reggio Children è un leader mondiale, ma l’esperienza di Alessandra Landini è veramente interessante. Prego.

 

Alessandra Landini: Grazie, grazie Alberto, grazie di questo invito e della vostra attenzione. Allora, ho portato con me qualche fotografia, qualche slide per cominciare a parlarvi di questa esperienza straordinaria che è nata un po’ nel momento dell’emergenza quando l’amministrazione comunale di Reggio Emilia ha deciso di dare una mano sotto l’input appunto del Ministero della Pubblica Istruzione a quelle scuole che per motivi di spazio e di strutture scolastiche non riuscivano a garantire il distanziamento. E partendo da questo patto di comunità, stretto con varie scuole per vari ambienti, noi, come vi mostrerò in queste immagini, siamo stati interrogati sul luogo in cui volevamo andare e ci hanno offerto un paio di spazi, e noi abbiamo detto no, noi vogliamo andare al museo come Istituto Comprensivo ma soprattutto, l’idea è stata questa, abbiamo detto: «Lo vogliamo abitare, il museo, però ci andiamo tutti, non ci va solo quella classe che non ci sta. Ci vogliamo andare tutti». E così è partita un’avventura meravigliosa, dove noi abbiamo potuto ruotare tutte le classi dell’Istituto Comprensivo per una settimana al museo. E i bambini erano entusiasti, i docenti, alcuni un po’ titubanti all’inizio, perché comunque cambiare a volte costa. Le avventure a volte per alcune menti più resistive sono un po’ più difficili ma devo dire che poi il Collegio Docenti è stato entusiasta dell’esperienza e i bambini appunto ci hanno ringraziato, cioè ci fermavano e ci dicevano: «Grazie per questa possibilità, possiamo uscire possiamo andare in un ambiente così bello». L’ipotesi qual è stata? L’ipotesi è stata quella di andarci tutti e di vivere insieme un’esperienza per i bambini, che permettesse loro di potenziare tutte le loro caratteristiche e la loro voglia di apprendere, e per gli adulti, la possibilità di vivere un’esperienza professionalizzante, ibridandosi con altre expertise, cioè con gli esperti del museo, con gli educatori di Officina Educativa. Ci vuole dell’intenzione in queste cose, come ha detto prima la collega, ci vuole dell’intenzione, cioè bisogna avere una visione. Ed è molto importante l’idea anche di fare perché cose corali perché i nostri Collegi Docenti hanno bisogno di vivere, così come le nostre scuole, nel territorio, col territorio, collaborando con le altre agenzie educative e fare tutti insieme questo lavoro importante di ricerca perché quello appunto come vi mostrerò che è capitato, è stato proprio quello di metterci in un’ottica di ricerca con i docenti e con i bambini. E come vedrete in queste immagini che vi descrivo brevemente, nella settimana al museo i bambini hanno sperimentato quello che nella scuola in quel periodo, tutti fermi, bloccati nei banchi, con la distanza boccale di un metro, con tutti i sistemi di sicurezza che giustamente avevamo dovuto regolamentare, che anche là abbiamo mantenuto, organizzando tutte le misure di sicurezza necessarie, i bambini qua hanno potuto fare una sorta di vagabondaggio inizialmente nel museo, quindi una sorta di flȃnerie, hanno girato, hanno sperimentato, hanno fatto quello che a scuola, a volte, non si può fare. Si sono dotati di strumenti quali il taccuino dello scienziato, di mappe, di lenti, di tablet, di videocamere, di smartphone e hanno imparato per il gusto di essere condotti dalla loro voglia di apprendere. Perché i nostri ragazzi, in qualsiasi ordine scolastico, sono perché macchine da apprendimento. Qual è la cosa più brutta che possiamo fare a questi ragazzi, che sono tutti nella loro speciale normalità, voglio dire da quelli con una diversa abilità, a quelli col disturbo specifico di apprendimento, a chi magari ha un background migratorio e a chi invece ha una situazione di, tra virgolette, una speciale normalità? La cosa più bella che possiamo fare per questi ragazzi è non togliere loro la motivazione per l’apprendimento. Come vedete in queste immagini, la caratteristica di questa settimana al museo è stata dare loro dinamica, contesti diversi, spazi differenti, setting formativi vari. Collaborando con gli esperti del museo, i docenti hanno potuto apprezzare l’importanza dei luoghi e degli spazi, gustare la capacità che ha un approccio ludico e che parte dai loro interessi di potere costruire dei percorsi interdisciplinari dove il bambino non è frammentato tra le diverse discipline ma il bambino è portatore perché sue preconoscenze e interseca e attraversa il mondo che è un tutt’uno, che è un insieme di stimoli straordinari per i suoi saperi e per le sue competenze. Poi hanno potuto fare quello che a scuola in quel periodo non si poteva fare, cioè hanno potuto lavorare in gruppo, abbiamo usato tutte le strategie necessarie, hanno fatto tantissimi esperimenti, gli elementi gruppali, cioè il modo di organizzarsi è stato studiato approfonditamente. È stata un’esperienza, credo unica in Europa e siamo stati studiati da INDIRE, dall’Università di Modena e Reggio Emilia. Ma perché è importante farsi studiare ? Perché queste esperienza devono essere il seme, io credo, per un discorso che parta nella scuola dal basso. Mi fermerei un attimo su questa slide per finire di raccontarvi che cosa ha significato per i ragazzi essere immersi nel museo. Essere immersi nel museo significa non andare al museo una tantum per quel laboratorio di due ore coi propri docenti e poi se il docente è in gamba magari continua, dà continuità al lavoro. Essere immersi nel museo vuol dire stare lì tutto il tempo scuola, vuol dire vivere come cittadino responsabile e consapevole tutto ciò che nel museo è raccolto. I Musei Civici di Reggio Emilia, che qui voglio ringraziare per la loro straordinaria competenza ed esperienza nella didattica museale, ci hanno permesso di essere cittadini di quel museo. Sono partiti dicendo ai bambini il primo giorno, ogni classe ha sentito dire: «Ecco, tutto quello che c’è qua dentro, è vostro». Quale modo più produttivo, più fruttuoso di affabulare la cittadinanza? Quale modo più produttivo per far sentire che un reperto non è una cosa morta in una teca ma è una parte della tua identità culturale e personale? E che questa identità va studiata. E allora abbiamo pensato dopo questa esperienza che ha coinvolto in tutto più di 850 studenti e 140 docenti, più, ripeto sempre, tutti gli assistenti amministrativi, lo staff del dirigente, i collaboratori scolastici, allora abbiam pensato che questa cosa la volevamo portare a scuola e cosa abbiamo fatto quest’anno? Quest’anno abbiamo fatto altre due linee, abbiamo creato due linee di ricerca. Una, abbiamo avuto la possibilità dall’amministrazione comunale e ancora dai Musei Civici di lasciarci due classi tutto l’anno al museo, e quindi abbiamo visto tutto l’anno che cosa produceva questa cosa nei bambini e la stiamo un po’ studiando. Era bello vedere i bambini guardare dalla finestra la piazza di Reggio Emilia che cambiava durante le stagioni, che cambiava per le manifestazioni politiche e culturali, che cambiava nei giorni di mercato, guardare la multiculturalità e la bellezza dalla finestra, immaginarsi il cardo e decumano da lì, guardare com’era prima in epoca romana e poi vederla lì adesso. È qualcosa di concreto e di pregnante. Poi l’altra cosa che abbiamo fatto, l’esperienza che stiamo continuando a fare, di portare il museo a scuola. E quindi con l’aiuto dei Musei Civici, l’anno scorso e quest’altr’anno anche sarà così, avremo il delivery museum a scuola, cioè costruiamo un museo dentro la scuola e i bambini proseguono, lo vedete nelle prossime slide, immersi nella bellezza e studiando in tempi e spazi più dilatati e più stimolanti. Come vedete stare al museo tutto l’anno, vi dico due parole sulle due classi che sono rimaste là sempre vuol dire diventare i padroni del museo, anzi a un certo punto li hanno dovuto tener fermi i ragazzi perché c’erano già stati una settimana e sapevano dove c’era tutto. «Eh, ma qua c’era il capodoglio, ma qua c’era l’orso, ma dove l’avete messa la stella marina che era dentro la teca, quindi veramente avevano memorizzato la mappa del museo. (Scusate, sono emozionata.) Al museo abbiamo fatto i concerti, abbiamo raccontato le storie durante Reggionarra, ci abbiamo fatto le assemblee coi genitori che però si sono trasformate in cacce al tesoro dove loro erano i ciceroni dei genitori. E poi ci hanno portato i loro amici, i compagni del quartiere, cioè sono diventati veramente i padroni della città, diciamo, i cittadini di Reggio Emilia. Poi però quando torni dopo un’ esperienza del genere, vedete questa mappa digitale della loro classe normale, il mondo è diverso e quindi gli strumenti che hai usato al museo per leggere i reperti, te li porti a scuola, sia tu che i docenti, che non è male, e allora tutto diventa un po’ più interattivo, un po’ tutto collegato, diventa speciale anche la scuola un po’ di più. Il delivery è bellissimo perché metti in opera gli strumenti dello scienziato che hai imparato al museo e allora impari ad osservare, a disegnare dal vero, a creare collegamenti concettuali, interdisciplinari, tra quegli oggetti che sono dentro le teche. E andando avanti poi sei in grado di apprezzare ancora di più quegli strumenti organizzativi di categorizzazione, di studio che hai appreso insieme ai tuoi docenti. Tutto è più motivante, è più bello, è più coinvolgente e credo che la cosa più importante che ha lasciato questa esperienza e che vogliamo continuare con il nostro nuovo curricolo verticale ad indirizzo museale, comunque, che studia il patrimonio culturale come strumento per la conoscenza. Quello che abbiamo imparato è che non servono solo i libri per apprendere, ma che abbiamo tutti noi un territorio meraviglioso pieno di associazionismo, cooperative, strutture date dalle nostre amministrazioni, e che possono essere il lancio, il volano per una istruzione più motivante, consapevole e ricca di spirito critico. Ne abbiamo bisogno perché la realtà cambia, è mutevole e i nostri ragazzi hanno bisogno di essere inclusi riconoscendo le differenze come valore. Grazie infinite.

 

Alberto Raffaelli: Grazie Alessandra. Io ho conosciuto Alessandra un giorno che ero in visita appunto alle scuole di Reggio Emilia, vi assicuro, sono arrivato al museo, dove c’erano i bambini della scuola primaria, vi assicuro, sapete quell’esperienza per cui dici mi piacerebbe tornare a scuola, essere piccolo e fare questa scuola, erano davanti a una balena mi ricordo…

 

Alessandra Landini: …era un capodoglio. Te lo dico con simpatia perché l’ho visto dire proprio a un docente che è passato e sono tornati dentro e lui ha detto: «Ehi bambini, c’è la balena!» E loro gli hanno detto: «No, veramente è un capodoglio!» Erano molto precisi nelle loro descrizioni. Se posso aggiungere solo un’ultimissima cosa. Vorrei dire che quest’esperienza è stata estremamente inclusiva per tutti i bambini, anche per quelli con disabilità di grado severo, è stata estremamente inclusiva per i bambini che non conoscevano le tradizioni e la cultura del nostro territorio, quindi per tutti i bambini di background migratorio, così come lo è stato per quei bambini che durante la pandemia anche quelli più ad alto funzionamento, anche i bambini gifted facevano fatica ad andare a scuola perché avevano paura, perché i nostri bambini a volte hanno un po’ di ansia, un po’ di preoccupazioni. Al museo tutto si è sciolto perché essere di fronte alla bellezza aiuta a stare bene.

 

Alberto Raffaelli: Grazie. Adesso tocca a te, Marilena, l’esperienza della scuola di Caltanissetta Martin Luther King, prego.

 

Marilena Pelonero: Buongiorno, sono Marilena Pelonero. Come diceva Alberto, vengo da Caltanissetta. La mia città si trova al centro della Sicilia e qui sono presenti varie realtà che hanno veramente molto bisogno di essere accolte. Abbiamo comunità di bambini diversamente abili, bambini soli tolti dal tribunale, anziani in molte case di riposo, e soprattutto minori stranieri non accompagnati che trovano nella nostra terra un barlume di speranza. Inoltre in quest’ultimo periodo sono arrivate tante mamme e bambini dall’Ucraina che hanno cominciato a frequentare la nostra scuola. Perché dico questo e ho presentato il contesto? In quanto la nostra istituzione scolastica di fronte a questa realtà che ci circonda, non poteva rimanere indifferente e perché ha sempre avuto la mission dell’accoglienza e dell’inclusione. E soprattutto quella di formare le nuove generazioni al rispetto per ogni persona, preziosa perché è importante lo sguardo verso ognuno che ci sta accanto. Allora è stato molto interessante circa dieci anni fa vedere nascere un progetto che si chiama appunto «Scuola e Persona». Come dice lo stesso titolo il nocciolo, il centro di questo progetto è valorizzare ogni persona che ci sta accanto in quanto preziosa, a prescindere dal contesto culturale, sociale, economico o di provenienza. E soprattutto formare alla cultura del volontariato e del rispetto perché nostre generazioni. Varie sono state le attività che abbiamo svolte, ma sono state soprattutto centrali e importanti per noi docenti, in quanto sono state un’occasione di crescita umana e professionale. È stata un’opportunità veramente preziosa, riscoprire il fatto che donare il proprio tempo, arricchisce ognuno di noi. Ma non lo è stato soltanto durante il periodo di presenza, ma anche in pandemia, è stato bello vedere coinvolgere questi ragazzi. La nostra scuola ha sempre avuto la cultura dell’accoglienza e molti anni fa abbiamo accolto, come vedrete nelle immagini, dei bambini provenienti da varie culture. Questa è una foto rappresentativa dopo la ricreazione, questi due ragazzi entrano e io ho fatto questa foto che dice proprio tutto, parla da sola direi. Sin dai primi giorni di scuola, quando i nostri ragazzi sono arrivati, quando c’era una maggiore affluenza di ragazzi minori non accompagnati, provenienti da vari paesi, i nostri alunni più grandi che avevano partecipato al progetto «Scuola e Persona», in particolar modo «Il Cibo che Unisce», cos’hanno voluto fare? Accogliere i loro compagni. Prima della normale accoglienza dei ragazzi di primo anno, loro stessi, i ragazzi italiani hanno fatto la proposta di organizzare dei cartelloni. Come vedete queste due immagini, nella prima ci sono perché parole chiave nelle varie lingue. Hanno ricercato vari significati, «Benvenuto, come stai?», li hanno scritti in questi cartelloni per far sentire i ragazzi a casa. Lì vedete invece dei ragazzi che lavorano con le mani, con le sagome, lì ci sono le funzioni comunicative e hanno imparato subito dopo a dire almeno «Ciao, come stai?» Nella slide successiva, invece, vi accorgerete come entriamo a scuola. Certo, inizialmente, non è stato facile perché, da genitore un po’ lo capisco, i genitori erano titubanti perché avevamo sentito dire molte cose brutte sui ragazzi stranieri cose che realmente anche erano accadute. Cos’è che è cambiato ? Lo sguardo lieto dei figli, cioè quando i loro figli sono tornati a casa, hanno raccontato la bellezza di accogliere, quello che ci hanno guadagnato, allora i genitori hanno cominciato a dire: «Forse per noi, può essere un momento di arricchimento personale» Guardate lì i due ragazzi come aiutano i compagni a studiare, e questo è stato importante dal punto di vista didattico, reciprocamente, perché i ragazzi stranieri hanno imparato da quelli italiani e quelli italiani dai ragazzi stranieri. E abbiamo avuto ottimi risultati perché questi ragazzi si sono diplomati nel triennio con ottimi risultati, adesso lavorano, sono tutti impiegati a tempo indeterminato, sono voluti bene. Ma hanno anche imparato perché grandi competenze. Nella slide successiva ci accorgeremo che attraverso il cibo è nato un vero e proprio scambio di cultura. Cosa voglio dire? Che questa amicizia va anche al di fuori della scuola. Ci siamo incontrati a cucinare insieme, le torte che vedete lì nascono da un concorso in cui abbiamo chiesto ai ragazzi: «Dite che cosa è per voi la solidarietà?» Ecco cosa è uscito fuori. Perché torte meravigliose con le motivazioni. Ognuno di loro ha realizzato una torta e ha detto: «Perché l’ho fatta così? Cos’è per me l’inclusione? Cos’è per me l’accoglienza?» Nel percorso accanto, invece, con i ragazzi italiani abbiamo fatto le cassate siciliane, le arancine, ma anche le torte e i cibi del Pakistan, per aver appunto un’identità arricchita. Vi accorgerete subito dopo che è nata come si dice attraverso la mostra «Nuove Generazioni», un’identità arricchita. Infatti ci siamo recati in Calabria insieme a Gianni Mereghetti ed altri amici, la mia collega Loredana e Yussuf, uno dei protagonisti, a raccontare a circa quattrocento ragazzi a Lamezia Terme cosa vuol dire accogliere. Ma non l’abbiamo fatto con le parole, l’abbiamo fatto attraverso questa mostra meravigliosa in cui i ragazzi raccontavano cos’è per loro. Ma soprattutto attraverso le parole di Yussuf. Qui vi accorgete invece di quello di cui vi parlavo prima, l’ amicizia oltre le mura scolastiche. È come se la nostra scuola si fosse aperta al territorio. I genitori, i ragazzi e gli alunni hanno fatto partite multietniche ma non solo, vedrete dopo scambiano perché amicizie, saltano, giocano insieme. Ecco questo è un momento veramente bello. Facciamo festa insieme. Cosa vuol dire? Noi docenti, i nostri alunni, ma anche spesso i genitori, usciamo dal nostro territorio e facciamo festa perché spesso quello che manca a questi ragazzi è essere guardati e voluti bene. Questo sguardo d’amore e compagnia al di fuori della scuola cambia lo sguardo. C’è la Pasqua insieme al centro d’accoglienza, la festa di Carnevale. Come diceva il nostro collega Alberto è un arricchimento reciproco perché lì ci sono ragazzi diversamente abili, i ragazzi stranieri che si arricchiscono reciprocamente. Quindi non è solo gli stranieri che guadagnano ma anche soprattutto noi che stiamo con loro. Ecco questo è molto significativo il fatto che questi ragazzi per un gesto di gratitudine nei confronti di quello che hanno ricevuto, hanno voluto far loro pure un momento di solidarietà, vi accorgerete che hanno partecipato insieme ai genitori alla colletta alimentare invece accanto c’è un momento di raccolta di materiale scolastico per la Caritas che ogni anno ci chiede di sostenere i ragazzi. Quando tu chiedi a loro perché, ti diranno siamo stati amati, guardati, abbiamo imparato la lingua grazie al vostro amore e noi vogliamo fare la stessa cosa. Di fronte a questo sguardo ricevuto e donato, non è stato difficile per i nostri ragazzi accogliere i bambini ucraini. Vi accorgerete che questo è un momento di arrivo perché nostre mamme e bambini nella nostra scuola e accanto in giardino abbiamo preso i tavoli rotondi e abbiamo cominciato semplicemente a disegnare, perché abbiamo guardato queste bambine che ancora non parlavano ma la mediatrice culturale ci ha detto: «Guarda, ama l’arte». Allora i miei ragazzi hanno proposto “Portiamoli fuori a disegnare”. Vedrete le bandiere, i cuori con l’Ucraina e tutto ciò che poteva farli insomma sentire a casa. È stata una loro iniziativa. “Prof. facciamo questo così i ragazzi sono felici». Se andiamo avanti, questa è una cosa molto bella che ancora mi commuove. È il momento della Festa della Mamma, i ragazzi hanno voluto preparare dei lavori personalizzati. Cosa intendo dire? Vedete questo cesto, si metteva sul cuore, sul petto della mamma. Ognuno di questi conteneva un nome perché loro hanno detto che era importante essere chiamati per nome come la loro mamma. Quindi insieme alla mediatrice culturale abbiamo preparato questi cesti e ognuno ha scritto in italiano e in ucraino un pensiero per la mamma. Ecco tutti i doni. L’altro cesto contiene perché caramelle, perché parole in italiano e in ucraino, perché noi abbiamo voluto poi consegnare, se vedrete subito dopo, abbiamo voluto consegnare personalmente alla comunità. Anche lì ci siamo mossi tutti, genitori e figli e siamo andati verso questa comunità. E cos’è accaduto lì? Non abbiamo semplicemente preso il regalo e consegnato ma anche lì uno sguardo, una compagnia, un’amicizia, perché il problema nella vita non è dare un pacco ma rispondere al loro bisogno che poi è anche il nostro bisogno di felicità, di essere guardati e amati. Infatti di questo ci hanno ringraziato le mamme. Vedete accanto ci sono io con gli alunni che giochiamo a calcio, giochiamo al gioco del fazzoletto ed è stato un pomeriggio di compagnia meraviglioso e loro, queste mamme sono state veramente grate nei nostri confronti perché ci hanno voluto dire: «Avete fatto la differenza. Non ci avete consegnato un pacco per una semplice carità ma ci avete guardato e voluto bene». E qui vi accorgete che c’è lo sport che unisce e attività creative. Perché? Perché siamo partiti dal volere sviluppare i talenti che ognuno dei ragazzi ha. Questa ragazza per esempio, amava danzare, era molto timida ma sviluppando le cosiddette non-cognitive skills ha cominciato a venir fuori, a farsi voler bene. E anche il disegno, la creatività, questo percorso ci ha insegnato che a vivere questa attività di service learning tanto auspicata diciamo dall’educazione civica ma anche col nascere perché non-cognitive skills che sono proprio raccomandate, come ci ha detto anche il professor Vittadini, e soprattutto in noi docenti è stata una sfida quotidiana perché questa sfida ci ha spinto a dire ogni mattina: «Com’è bello andare a scuola! Cosa posso fare io per rispondere a questa sfida e non stare seduta nella mia poltrona?» Una cosa molto importante che da una parte ha risvegliato il desiderio da parte dei ragazzi di imparare tutte le discipline, come diceva lui non in modo frammentario, quindi vedere, approfondire la cultura dell’altro paese dal punto di vista didattico, ma dall’altra, nella maggior parte dei colleghi rispondere alle domande che non fossero soltanto didattiche ma anche umane, il perché di molte cose, quindi rimettersi quotidianamente in gioco. Io volevo lasciarvi con le parole, vediamo se la slide le fa vedere, dopo. Volevo dire questa cosa sul Festival dell’Innovazione Scolastica, ringraziare la mia dirigente e i miei colleghi ma soprattutto i miei amici del Festival dell’Innovazione Scolastica, perché una novità emerge, il fatto di mettere al centro, come ha detto il professor Vittadini, dell’innovazione l’educazione, non parlare soltanto perché cose negative o tecnologiche, ma dire che ci sono tante belle esperienze in Italia. Vi assicuro che noi abbiamo avuto una ricchezza grandissima perché da come è stato curato questo Festival, dalla cena fino alla nostra accoglienza ci siamo voluti, visti veramente bene, amati e accolti. E questo abbiamo desiderato, non è stato un fare semplice innovazione ma abbracciare, accogliere e mettere in evidenza quanto di bello in Italia c’è, che però spesso viene nascosto. Questo è stata la grande bravura del Festival. Chiudo con un’immagine che per me è veramente commovente. Le istituzioni scolastiche si sono accorte di noi e abbiamo avuto tanti premi tra cui questa udienza privata che abbiamo vinto in premio per il Dono Dei. Vi lascio con le parole che il Santo Padre in quel giorno ci ha detto: «Donare fa sentire felici noi stessi e gli altri. Si tratta di un’esperienza educativa che fa crescere umanamente e spiritualmente aprendo la mente e il cuore agli ampi spazi della fraternità e della condivisione. Così si costruisce la civiltà dell’Amore.» Io volevo dire che durante questa udienza è venuto anche vedete il ragazzo protagonista della mostra Nuove Generazioni. È musulmano ma è voluto venire perché si è sentito guardato, amato e voluto bene. Il Papa li ha fatti parlare, ha incontrato ognuno di noi e ci ha raccomandato di non togliere mai lo sguardo di amore nei confronti di coloro che abbiamo accanto.

 

Alberto Raffaelli: Grazie Marilena. Mi hai fatto venire in mente che la parola amore che tu usi è un’espressione laica. La usava l’anno scorso il ministro Patrizio Bianchi quando è venuto appunto in visita al Festival. Diceva che c’è bisogno di una scuola dell’affetto, e mi sembra un’osservazione interessante. Una battuta telegrafica a testa. Roberta e Stefano, prego.

 

Roberta Vioglio: È difficile come vi ho detto trovare una battuta. Quando si parla di progetti e quando si parla di innovazione nella scuola mi viene in mente la prima cosa che tutti cerchiamo è qualche risorsa, quando uno ha in mente un progetto la prima cosa che si pensa è: devo trovare le risorse, devo trovare dei fondi, devo trovare il modo per portarlo avanti. Forse la prima cosa da cui partire sono gli insegnanti, l’energia degli insegnanti è a disposizione di tutte le scuola e quindi io direi che la prima cosa da fare, quando si parla di progetti, di inclusione, di volontà di fare è partire da quello che tutte le scuole hanno, l’energia che ogni insegnate ha dentro di noi.

 

Alberto Raffaelli: Grazie, grazie Roberta. Marilena, una battuta per chiudere.

 

Marilena Pelonero: Si, volevo dire che anche lei ha parlato di progetti. Io penso che in qualunque progetto non bisogna fermarsi soltanto nel fare. La parola chiave deve essere sempre guardare, amare e stare di fronte ai volti che ci vengono dati e soprattutto aprirsi nei confronti di chi abbiamo nei nostri territori e cooperare insieme ai colleghi. Quando infatti ho fatto formazione ai miei colleghi ho detto questa cosa importante: non dimentichiamoci mai colleghi di camminare insieme, di costruire un apprendimento che faccia crescere ognuno di noi soprattutto come persone perché se io faccio qualcosa per l’altro lo faccio perché fa camminare essenzialmente me come docente, come persona.

 

Alberto Raffaelli: Grazie. Voglio farvi notare perché è facile parlare anche di innovazione ma tutti e tre gli interventi di oggi ma anche di quelli dei prossimi giorni hanno una caratteristica comune: le due colonne su cui si fonda l’innovazione. Oggi cosa vuol dire innovazione nella scuola? Sostanzialmente io credo due cose. Primo: collegialità, cioè i docenti devono mettersi a lavorare insieme. Non è lo sforzo del singolo insegnante solo in testa alla corsa ma quello di lavorare insieme, il collegio dei docenti è la vera risorsa della scuola. La seconda è quella che viene definita coprogettazione, cioè lavorare insieme con i soggetti del territorio, questo mi pare è il fattore comune. Però io volevo chiedere ad Alessandra un’osservazione che mi ha colpito tantissimo. Noi viviamo in un mondo dove i ragazzi, io credo, uno dei pericoli più grandi è che vivono una vita frammentata, a scatole. In famiglia ci sono le regole della famiglia, a scuola le regole della scuola, nello sport le regole dello sport. Ma loro sono frammentati, per questo il progetto anche, per esempio, che stai vivendo tu come le altre, ma quella del museo mi sembra estremamente educativa per aiutare i ragazzi ad uscire da questa frammentazione della vita. Prego, cosa ne dici ?

 

Alessandra Landini: Credo che tu abbia ragione. Credo che la frammentarietà sia una cosa da combattere tutti insieme. La frammentarietà dei docenti che devono sentirsi coesi e deve partire la loro voce dal basso, proprio per chiedere a gran voce una scuola che si occupi di loro in maniera non frammentaria ma in maniera sistemica, ma soprattutto ci occupiamo dei piccoli, cioè dei nostri ragazzi, separati a volte tra tanti saperi apparentemente divisi tra discipline differenti, tra tanti ambienti che poi faticano a trovare il loro posto nel mondo. Io credo che, avere una visione olistica di questi ragazzi, vederli come persone, rivolgerci a loro, dando risposta al loro bisogno di unitarietà, cioè l’essere umano proprio che deve trovare all’interno dei sistemi formativi, sia quelli formali scolastici ma anche quelli appunto dell’extra-scuola, della famiglia, deve trovare una risposta a questo suo bisogno di unitarietà e di accettazione di quello che lui è, per le sue differenze. È per questo che secondo me, includere non riguarda solo alcune categorie ma riguarda tutti noi e per includere è necessario questo sguardo, cioè uno sguardo che ti permette di vedere nell’altro differenze, caratteristiche, valorizzandole e cercando però di vederle all’interno della persona, quindi valorizzando la persone come valore aggiunto del mondo della scuola ma anche del nostro paese. E concludo dicendo che includere significa per forza, in questo momento, occuparci di sostenibilità ambientale, perché la frammentarietà, cioè il vederci separati dal mondo e dagli altri paesi ci impedisce di avere una visione sistemica dei problemi e poi occuparci di pace, perché l’educazione alla cittadinanza nelle istituzioni scolastiche non può essere occuparci della Costituzione e poi un altro insegnante si occupa della sostenibilità ambientale, poi un altro fa la lezione… No, bisogna avere dei progetti corali, come diceva prima Alberto, dei progetti che ci permettano di studiare insieme ai ragazzi che cosa significa pace tra le culture, dialogo interreligioso e amore per l’uomo. Grazie.

 

Alberto Raffaelli: Grazie. Bene, concludo solo con due avvisi. Il primo weekend di settembre si svolgerà la seconda edizione del Festival. Chi volesse arrivare, noi giochiamo anche un po’ sporco perché chiaramente Valdobbiadene non vuol dire solo scuola ma vuol dire anche belle colline, vuol dire Prosecco, vuol dire tante cose interessanti. E ricordo a tutti che il Meeting è un evento assolutamente straordinario, credo che ce ne si accorge girando per la fiera in questi giorni, e ha bisogno di essere sostenuto e quindi il vostro contributo e il contributo dell’uno è far vivere questa esperienza. Grazie.

Data

21 Agosto 2022

Ora

13:00

Edizione

2022

Luogo

Sala Open Fiber A2
Categoria
Incontri