Chi siamo
La ragione apre al mistero
Durante l’incontro a cui avrebbe dovuto partecipare Josef Zverina, scomparso il 18 agosto 1990, viene data lettura del testo dell’intervento da lui preparato per questa occasione. Moderatore: Emilia Smurro.
E. Smurro:
Molti di noi attendevano di incontrarlo, magari per la prima volta, oggi qui al Meeting, per ascoltare il suo intervento dal titolo “La ragione apre al mistero”. Josef Zverina è morto poco distante da Roma, nel mare di Nettuno, il 18 agosto, proprio i giorni in cui lo aspettavamo qui a Rimini, proprio nei giorni in cui, ora finalmente libero di muoversi, di girare, libero nella vita e nel corpo come sempre era stato nello spirito, si stava gustando questo ritorno a quell’Italia che conosceva, che aveva amato, proprio perché in Italia aveva studiato negli anni della giovinezza. Oggi non intendiamo commemorarlo. Oggi intendiamo riviverne la presenza, innanzi tutto attraverso i suoi amici, i suoi ragazzi che sono qui oggi, con i quali era venuto in Italia e che avrebbe dovuto rincontrare al Meeting. Vi chiederei subito di salutarli. Della sua vita perennemente vivace, perennemente nella gioia, come dice il titolo del suo ultimo libro, della sua vita perennemente nell’azione e nella letizia, della sua vita che non si è mai piegata a nulla e che ha sempre saputo gioire in tutte le circostanze, permeando di questo l’esperienza di coloro che lo hanno incontrato, parla chiaro la sua storia, che oggi brevemente ricordiamo. Nato in Moravia nel 1913, Josef Zverina aveva studiato, tra il ‘32 e il ‘38, Filosofia e Teologia al Laterano di Roma. Nel 1942-43 aveva fatto la sua prima esperienza di prigionia in un campo di concentramento nazista. Per qualche tempo assistente alla Facoltà Teologica dell’Università di Praga, nel ‘46 era stato inviato a Parigi a specializzarsi in Storia dell’Arte e Archeologia presso l’Università della Sorbona. Nel 1950, al suo rientro dal soggiorno in Francia, veniva arrestato e condannato a ventidue anni di carcere. Nelle celle del regime aveva incontrato Gustav Husak, il gerarca comunista che per un ventennio, fra gli inizi del Settanta e il dicembre dell’89, sarà il numero uno del partito e il Presidente della Repubblica Socialista Cecoslovacca. A Zverina, suo compagno di prigionia, Husak aveva profetizzato: “Non illuderti, prete, quando saremo fuori di qui, ti ci rimetterò io in galera”. Non era riuscito a mantenere la promessa, ma gli aveva comunque regalato una vita da reprobo, ai margini della società. Graziato poi nel ‘66, Zverina si era visto costretto, per sopravvivere, a lavorare come fuochista e magazziniere alla Galleria Nazionale. Solo tra il ‘69 e il ‘70 il governo gli aveva accordato il permesso di insegnare alla Facoltà Teologica di Litomerice. Nello stesso periodo ha collaborato alle più importanti riviste cattoliche del Paese. Agli inizi del ‘70 era diventato parroco in un piccolo paese alle porte di Praga, ma nel ‘75 il regime lo aveva definitivamente costretto a ritirarsi. Da allora praticamente viveva agli arresti domiciliari in una modesta casetta alla periferia di Praga, senza mai aver cessato di scrivere e di insegnare clandestinamente Teologia ai giovani preti. E’ stato, e credo che ben lo ricordiamo, tra i primi firmatari di Charta ‘77; dieci anni dopo sarà tra i primi fondatori di un periodico clandestino che, alla fine dell’89, diventerà il primo giornale cecoslovacco indipendente. Nell’88 riceve la Laurea ad honoris causa dall’Università di Tubinga e nell’89 il Premio annuale della Fondazione Charta ‘77 di Stoccolma. Ha accolto la cosiddetta Rivoluzione di Velluto, l’ultima Rivoluzione praghese, con la gioia di chi quasi da mezzo secolo attendeva la fine della barbarie. Ma non ha mai mitizzato neppure questo avvenimento, anche quando nel dicembre dell’89, durante l’imponente manifestazione popolare svoltasi a Praga, su invito di Havel aveva parlato davanti ad una folla di oltre mezzo milione di persone. Josef Zverina è una grande figura di teologo, sicuramente una delle personalità più ricche e più profonde della Chiesa dell’Est. In Italia di lui sono stati pubblicati Esperienza della Chiesa e Il coraggio di essere Chiesa. attesa ora la pubblicazione della sua Dogmatica, mentre è già uscito, proprio in questi giorni, il suo La gioia di essere Chiesa. Grazie ai primi di noi che, sospinti dall’impeto del riconoscimento e della missione, lo hanno conosciuto durante i primi viaggi all’Est, Josef Zverina è diventato ben presto un amico per tanti, un punto di riferimento. Di lui il Cardinale Tomasek ha detto che era il grande apostolo della Chiesa Boema e anche per noi, per la nostra esperienza, è diventato un significativo esempio di certezza nella fede, un punto di riferimento nel giudizio. La sua “Lettera ai Cristiani d’Occidente” del ‘70 è stato uno dei testi base su cui ha vissuto e su cui si è approfondita la nostra esperienza e la nostra consapevolezza culturale. Di questa sintonia, di questo profondo riconoscimento è segno quanto Zverina aveva detto: “Il Movimento di cui è stato padre, Comunione e Liberazione, (diceva parlando di don Giussani) ha permesso che noi tenessimo duro negli anni impossibili. Che sarebbe accaduto di noi se non avessero fatto conoscere in Occidente la nostra esperienza? CL dimostra che non è Occidente od Oriente la condizione perché il Cristianesimo resista e rifiorisca, ma il miracolo. Cristo come esperienza di vita nuova. So che la mia lettera ai cristiani di Occidente è stata raccolta da lui e dai suoi figli. Hanno cercato poi di calunniare CL con me in ogni modo. Mi ha amareggiato che ci abbiano provato cattolici italiani. Ma questa amicizia durerà”. Questa amicizia con tutti noi, che questi giorni avrebbero dovuto e potuto ulteriormente consolidare, vive oggi comunque. Vive oggi forse ancor più intensa e ancora più vera attraverso la presenza tra noi di quelli che hanno avuto il dono e la grazia di poterlo incontrare e vive qui, oggi, tra noi attraverso la testimonianza che di lui comunque continua a restarci. Daremo, infatti, innanzi tutto lettura della sua “Lettera ai Cristiani di Occidente”.
Lettore:
Fratelli, voi avete la presunzione di portare utilità al Regno di Dio assumendo quanto più possibile il saeculum, la sua vita, le sue parole, il suo modo di pensare. Ma riflettete, vi prego, cosa significa accettare questa parola. Forse significa che vi siete lentamente perduti in essa? Purtroppo sembra che facciate proprio così. E’ ormai difficile che vi ritroviamo e vi distinguiamo in questo strano mondo. Probabilmente vi riconosciamo ancora perché in questo processo andate per le lunghe, per il fatto che vi assimilate al mondo adagio o in fretta, ma sempre in ritardo. Vi ringraziamo di molto, anzi quasi di tutto, ma in qualcosa dobbiamo differenziarci da voi. Abbiamo molti motivi per ammirarvi, per questo possiamo, dobbiamo indirizzarvi questo ammonimento. “E non vogliate conformarvi a questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente affinché possiate distinguere quale è la volontà di Dio, ciò che è bene, ciò che gli è gradito, che è perfetto” (Rom. 12,2). Non conformatevi! Me suskematizete! Come è ben mostrata in questa parola la radice verbale e perenne: schema. Per dirlo in breve, è vacuo ogni schema, ogni modello esteriore. Dobbiamo volere di più, l’apostolo ci impone: “Cambiare il proprio modo di pensare in una forma nuova Metamorfustze te anakainosi to nous!” Come è espressiva e plastica la lingua greca di Paolo. Di contro a skema o morfè, forma permanente, sta metamorfè, cambiamento della creatura. Non si cambia secondo un qualsiasi modello che è comunque sempre fuori moda, ma è una piena novità con tutta la sua ricchezza (anakainosis) Non cambia il vocabolario, ma il significato. Quindi non contestazione, desacralizzazione, secolarizzazione, perché questo è sempre poco di fronte all’anakainosis cristiana. Riflettete su queste parole e vi abbandonerà la vostra ingenua ammirazione per la rivoluzione, il maoismo, la violenza (di cui comunque non siete capaci). Il vostro entusiasmo critico e profetico ha già dato buoni frutti e noi in questo non vi possiamo indiscriminatamente condannare. Solo ci accorgiamo e ve lo diciamo sinceramente, che teniamo in maggior stima il calmo e discriminante interrogativo di Paolo: “Esaminate voi spessi per vedere se siete nella fede, fate la prova di voi medesimi. O non conoscete forse neppure che è in voi Gesù Cristo?” Non possiamo imitare il mondo proprio perché dobbiamo giudicarlo, non con orgoglio e superiorità, ma con amore così come il Padre ha amato il mondo (Gv. 3,16) e per questo su di esso ha pronunciato il Suo giudizio. Non fronein (pensare) e in conclusione uperfronein (arzigogolare), ma sofronein (pensare con saggezza) (cfr. Rm. 12,3). Essere saggi così che possiamo discernere quali sono i segni della volontà e del tempo di Dio. Non ciò che è parola d’ordine del momento ma ciò che è buono, onesto, perfetto. Scriviamo come gente non saggia a voi saggi, come deboli a voi forti, come miseri a voi ancor più miseri. E questo è stolto perché certamente fra voi vi sono uomini e donne eccellenti. Ma proprio perché vi è qualcuno occorre scrivere stoltamente, come ha insegnato l’apostolo Paolo quando ha ripreso le parole di Cristo, che il Padre ha nascosto la saggezza a coloro che molto sanno di questo (Lc. 10,21).
E. Smurro:
Padre Zverina aveva già steso la comunicazione da tenere oggi qui al Meeting, è un brano contenuto nel suo ultimo testo La gioia di essere Chiesa. La comunicazione porta come titolo “La ragione apre al mistero”. Adesso la ascoltiamo.
Lettore:
La ragione apre al mistero. Devo innanzi tutto chiarire il senso di ciascuna delle tre parole che compongono il titolo: la ragione, l’aprire, il mistero. Comincio con la ragione. La parola “ragione” è ricca di significati, ma a noi interessa soprattutto la sua semantica biblica e quella teologica. Il termine greco nous è uno dei più amati da san Paolo, che lo usa quattordici volte nel senso di capacità di intendere, di giudicare, di persuasività e di mentalità. Nel suo significato più profondo si avvicina alla sofìa, la sapienza. E in quello più profondo al logos. Importanti per noi sono anche le varie forme del verbo corrispondente: noein, agnoein, gignoskein, epigignoskein, cioè conoscere, riconoscere, cominciare a conoscere, imparare a conoscere. Dal nostro punto di vista merita attenzione anche l’aggettivo logikòs, benché il Nuovo Testamento lo usi soltanto due volte, una in Rm. 12,1: logikè latreia, nel senso di culto ragionevole, giusto, interiore, che cambia il modo di pensare e di conoscere la volontà di Dio; la seconda in 1 Pt. 2,2 dove si dice ai cristiani: “come bambini appena nati bramate il latte spirituale (to logikon adolon) non adulterato dalla parola, affinché per suo mezzo cresciate a salvezza, se pure avete gustato che il Signore è buono (xrestos, da cui forse xristos)” Queste brevissime considerazioni possono già indicarci quale sia il nesso tra ragione e mistero cristiano. Siamo dunque in grado di continuare per intraprendere analoghe considerazioni sul secondo termine: l’aprire. Aprire la finestra significa permettere alla luce di farci vedere gli oggetti in una stanza. Aprire la porta significa a sua volta invitare qualcuno ad entrare, per condividere la nostra intimità, accogliere la presenza, rendere possibile il confronto e il dialogo. Aprire non significa creare o produrre un oggetto, ma accettare l’altro come dono, come segno di carità. Chi entra da invitato diventa una persona reale, un essere aperto alla condivisione. Nasce così la comunicazione e la comunione. Le parole raggiungono il loro vero scopo, la verità trova un nuovo spazio, la carità si apre alla gioia. Ecco perché si dice che Dio ha “le mani aperte”, ecco perché si chiede all’uomo di avere “il cuore aperto”. Così la ragione si apre, funziona come mente, diviene saggezza, logos. L’ultimo passo verso il mistero è già visibile. “La vera ragione è una finestra che si spalanca verso il vasto mondo”, ha scritto don Giussani. Il mistero non è né un problema da risolvere né un’enigma insolubile. Più che una parola, mistero è tutta la realtà. La parola non è capace di interpretarlo, si avvicina ad esso senza poterlo raggiungere mai, senza poterlo definire mai, senza potere mai esaudirne il contenuto. Tanta è la pienezza della verità nascosta nel mistero, che essa può solo essere rivelata. Perciò il mistero si apre a sua volta alla ragione. Senza la ragione, il mistero non avrebbe alcuna ragione, né in sé né per noi. Il mistero contiene in sé realtà ineffabili. La radice greca di mystérion è myo, che vuol dire essere chiuso. Il mistero cristiano differisce per molti aspetti dal mistero o dai misteri religiosi naturali dell’antichità, soprattutto greca. Vorrei sottolinearlo con estrema forza. Per noi si tratta, infatti, del mistero di Dio, e del mistero di Cristo! Nel Nuovo Testamento si riconoscono due tradizioni importanti per la nostra fede: una è la tradizione del giudaismo apocalittico, che si articola entro i termini nascosto rivelato. Il suo contenuto cristiano consiste in tre aspetti assai importanti per noi, che siamo i testimoni e gli eredi di questo mistero:
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- Primo aspetto: la salvezza, nascosta dall’eternità ma adesso rivelata a tutti gli uomini (cfr. Mc. 4,11; Col. 1,26 ss; Rm. 16,25 ss).
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- Questa rivelazione ha carattere escatologico e tocca vivamente noi (Cfr. Eb. 1,1; Ap. 15,1).
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- In Tim. 3,13-16 mystérion significa dottrina della Chiesa, cioè il mistero di Cristo in quanto confidato a noi.
L’altra tradizione esprime invece il mistero cristiano nei termini dell’opposizione morte-vita. Si tratta della morte e risurrezione di Cristo e anche della nostra morte e risurrezione mistica nel Battesimo. (Cfr. Gv. 11,24 ss; Rin. 6,5; Pt. 1,3; 13,21; Ap. 10,7; 20,5 ss). Nel suo senso cristiano mistero significa anche l’imperscrutabile sapienza di Dio. (v. 1 Cor. 2,7; Rin. 11,33). A differenza però dei misteri delle religioni naturali, il mistero cristiano deve essere annunciato e predicato, prima dagli apostoli, poi dai profeti e (1 Cor. 13,2; 15,51; 2 Cor. 1,19; Ef. 1,8) infine da tutti i “santi”, cioè da tutti noi (Col. 1,26). Ecco quale è la nostra vocazione e la nostra missione: essere i servitori del mistero di Cristo. C’è infine un altro mistero, che non è quello di Cristo, ma dell’Anticristo: il mysterium iniquitatis, l’opera nascosta del Demonio (cfr. Ts. 2,7; 1 Gv. 2,18; 2,22; 4,3). Il maligno opera contro la verità come padre della menzogna (cfr. Gv. 8,22; Ap. 2,27; 22,15).Questo mistero sembra non avere un posto a questo vostro Meeting, poiché contraddice la ragione ed esclude l’ammirazione. E’ però una realtà e ad essa vi invito ad opporvi “cui resistite fortes in fide” (1 Pt. 5,8 ss) in nome di Einstein, con la forza della verità; in nome di Becket, con la forza del martirio. La relazione tra la religione e il mistero è stata magistralmente trattata da don Giussani soprattutto nei suoi libri Il senso religioso e All’origine della pretesa cristiana e poi su Il Nuovo Aeropago nei numeri 30 (estate ’89) Il paradosso della conoscenza e 31 (autunno ’89) L’abolizione del soggetto. Suggerisco anche un piccolo gioiello di J.B. Lotz Allein die Liebemack sebend (Solo l’amore fa vedere) e un articolo di G. Bachl Der Glaube sucht das Denken (La fede cerca il pensiero). Ho citato solo alcuni scritti recenti, ma la letteratura su quest’argomento è vastissima. Ciò che oggi è importante per noi consiste nel prestare attenzione a due opposte correnti, una che vuol far valere il mistero contro il razionalismo che pervade tutto, dall’illuminismo, al positivismo fino al marxismo. All’opposto vanno diventando attuali varie forme di razionalismo come il misticismo orientale ed occidentale, la nuova gnosi dai molti colori. Il mistero cristiano non sta in mezzo ma sopra tutte queste forme, pur riconoscendone e accettandone criticamente alcuni aspetti. Nella fede cristiana noi abbiamo tesori imparagonabili, assolutamente inesauribili. Termino dedicando una brevissima riflessione all’esperienza della mia patria boema, che Il Nuovo Areopago ha definito giustamente (come tutto il mondo del resto) “Il miracolo dell’89”. Sì, davvero è miracolo, piuttosto che rivoluzione. Un miracolo non tanto politico quanto spirituale, morale e intellettuale. Mistero della storia, cui è stato dato il motto “la verità e l’amore vinceranno”. La verità contro il potere della menzogna l’amore contro l’ideologia e la prassi dell’odio e della violenza. Un mistero preparato nella sofferenza, con una fede a volte eroica, con invincibile speranza. Anche voi, amici italiani, ci avete aiutati. Permettete che io finisca il mio dire ringraziandovi e offrendovi questa nostra testimonianza e questo nostro contributo alla costruzione di un nuovo mondo, in una Chiesa e in un’Europa rinnovata dal mistero cristiano. Luglio 1990.
E. Smurro:
E vorrei concludere leggendovi due brevi e recenti citazioni di Josef Zverina che mi pare siano la sintesi della sua testimonianza, della sua persona, della gioia e della fede nella quale ha vissuto. Le citazioni sono tratte da un suo commento alla Lettera ai Cristiani di Occidente, che abbiamo ascoltato prima: `Agli inizi degli anni Settanta pareva che in Occidente i Cristiani sparissero nel mondo, si adeguassero ai loro schemi. Ci chiedevano di dialogare con il Comunismo, di assorbirne il buono. No, non è così: Cristo è forma della vita, Signore dell’Universo. E’ tutto, oppure non è niente”. E ancora: “Con tutta la forza della fede e del mio temperamento, credo, professo e proclamo Cristo come compimento. Non il fatto della croce, certamente grande, ma il potere della Resurrezione è quello che vince tutte le miserie del mondo e dà la Grazia di creare un uomo nuovo, una società nuova e di preparare la via a quello che verrà”. Questo credo che sia ciò su cui a noi è domandato di puntare lo sguardo, proprio perché abbiamo avuto il dono di incontrare un’esperienza della fede dove Cristo è il centro e il compimento. A noi resta il compito e la responsabilità di continuare la testimonianza di chi ci ha preceduto, continuando a costruire una società dove questo sia visibile per tutti. Grazie.