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LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: FRENO O SOSTEGNO ALLO SVILUPPO?
La pubblica amministrazione: freno o sostegno allo sviluppo?
26/08/2011 - ore 15.00_x000D_ In collaborazione con Invitalia. Partecipano: Gabriella Alemanno, Direttore dell'Agenzia del Territorio; Domenico Arcuri, Amministratore Delegato di Invitalia; Attilio Befera, Direttore della Agenzia delle Entrate; Renata Polverini, Presidente della Regione Lazio. Introduce Monica Poletto, Presidente della Compagnia delle Opere--Opere Sociali.
In collaborazione con Invitalia. Partecipano: Gabriella Alemanno, Direttore dell’Agenzia del Territorio; Domenico Arcuri, Amministratore Delegato di Invitalia; Attilio Befera, Direttore della Agenzia delle Entrate; Renata Polverini, Presidente della Regione Lazio. Introduce Monica Poletto, Presidente della Compagnia delle Opere–Opere Sociali.
MONICA POLETTO:
Buongiorno a tutti e benvenuti a questo incontro in cui affronteremo un tema un po’ particolare, cioè il tema del rapporto tra pubblica amministrazione e sviluppo. Lo affronteremo in un contesto in cui tutti noi siamo immersi, in cui la pubblica amministrazione spesso è intesa come uno scotto da pagare, un prima, non un soggetto che è insieme a noi, nella nostra intrapresa e nella nostra tensione a una costruzione sociale. A questi importanti relatori, dunque, chiediamo di raccontarci come vivono il loro ruolo collaborando allo sviluppo e al riconoscimento di ciò che c’è ed opera nel nostro Paese. Vi presento, alla mia destra, Gabriella Alemanno, Direttore dell’Agenzia del Territorio, Attilio Befera, Direttore della Agenzia delle Entrate, Domenico Arcuri, Amministratore Delegato di Invitalia che è l’Agenzia Nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa. Iniziamo a sviluppare il tema che ho posto dalla nostra agenzia preferita. Do la parola ad Attilio Befera, Direttore della Agenzia delle Entrate, grazie.
ATTILIO BEFERA:
Grazie. Vorrei innanzitutto dire che per me e per l’Agenzia è un onore essere stati invitati a questo Meeting, che è da tempo uno degli eventi culturali più importanti sia in Italia che a livello internazionale. Il problema su cui siamo chiamati a dibattere non è certo nuovo. Nei 150 anni di storia unitaria le critiche alla burocrazia e la richiesta di un apparato pubblico più sensibile ai bisogni degli italiani sono state una costante. Qui naturalmente io ho titolo a parlare solo per una particolare amministrazione, l’Agenzia delle Entrate, che ha, però, nel panorama delle nostre amministrazioni pubbliche, un rilievo speciale già solo per questa semplice ragione: l’Agenzia delle Entrate presidia tutte le funzioni e le attività cui è connesso il reperimento di gran parte delle risorse da cui dipende in funzionamento dello Stato e il finanziamento dei servizi indispensabili all’intera collettività. Stando al tema assegnato, cercherò di mostrare in che senso l’Agenzia delle Entrate dia un sostegno allo sviluppo del nostro Paese. Seguirò qui un consiglio prezioso di San Tommaso d’Aquino: distingue frequenter. Distinguerò, quindi, due aspetti: lo sviluppo ecomico-sociale e lo sviluppo civico. Cominciando dal primo – lo sviluppo ecomico-sociale – farò ancora un’altra distinzione. Sono tre i modi con cui l’Agenzia delle Entrate può sostenere e di fatto sostiene lo sviluppo del nostro Paese. Il primo è quello di porre grande attenzione ai costi di funzionamento delle proprie strutture: siamo infatti consapevoli che le risorse che noi risparmiamo per la gestione nostra, per la nostra gestione interna, sono risorse che possono essere destinate ad altri investimenti e a servizi pubblici, o anche servizi privati. Ma c’è anche un altro modo per sostenere questo sviluppo ed una modalità tipica, invece, della nostra organizzazione: l’ho accennata prima, dal lavoro della nostra Agenzia dipende l’acquisizione di gran parte delle risorse necessarie per far funzionare i servizi pubblici. E’ un lavoro, lo sappiamo bene, che nessuno dei destinatari individualmente gradisce. Se immaginassimo uno sciopero dei controllori del Fisco, potremmo immaginare delle proteste di piazza contro? Pagare un tributo non è piacevole, come non lo è neanche pagare un prezzo per acquistare qualcosa. Se parliamo però di piacere nel pagare un prezzo per acquistare qualcosa e pagare le tasse, le tasse escono di gran lunga sconfitte. Per due motivi: il rapporto fra il prezzo che paghiamo ed il bene privato che acquistiamo – da una penna a una casa – è in genere diretto e immediato, a differenza del rapporto che può esserci fra pagare un tributo e quanto ce ne viene in cambio. In secondo luogo, questo aspetto secondo me molto più importante, il bene privato che acquistiamo, solo noi abbiamo il diritto di godercelo, a differenza del bene pubblico. L’auto nuova acquistata dal concessionario, che magari c’è costata pure un pacco di quattrini, è nostra e solo nostra e questo è fonte di grande piacere. Chiediamoci però cosa potremmo mai farci della nostra bella auto se non vi fossero le strade su cui viaggiare, se non ne fosse curata la manutenzione, se non ci fossero i servizi di vigilanza, di controllo, di soccorso, senza i quali mettersi su strada assomiglierebbe ad una pericolosa avventura in una giungla selvaggia. Tutti questi beni speciali, senza i quali i beni privati che giustamente amiamo perderebbero gran parte del loro valore, sono beni pubblici. Non costituiscono fonte diretta di piacere perché non possono essere solo nostri, dato che nessuno avrebbe mai convenienza a pagarseli da solo. Almeno fino a quando non acquisiamo un più elevato grado di maturità e di consapevolezza – ed è appunto questo lo sviluppo civico – i beni beni pubblici non ci procurano il piacere di cui ci gratificano i beni privati per il fatto di essere solo nostri. Ma il punto è che non godremmo alla fine dei nostri tanto amati beni privati se non potessimo disporre di questi oscuramente preziosi beni pubblici, senza i quali (e non temo affatto di esagerare) la nostra vita finirebbe per essere esattamente quella che Thomas Hobbes raffigurava nello stato di natura: solitaria, misera, sgradevole, breve e brutale. Ebbene, tutti questi ben pubblici, ospedali, scuole, strade, pubblica sicurezza, hanno necessariamente un prezzo, che si paga, appunto, con le imposte. Se tutto ciò sfugge, la conseguenza inevitabile è che le tasse sono viste come un sacrificio privo di utilità e dunque evadere non sarebbe poi tanto grave, mentre i servizi pubblici vengono tacitamente considerati qualcosa che esiste per suo conto da sempre e che sarebbe strano che non esistesse. Chi soffre di questo strabismo forse non ha mai pensato che se il rubinetto del gettito dovesse improvvisamente chiudersi, questi servizi non potrebbero più essere resi. Dalla disponibilità, insomma, di beni pubblici dipende la fruizione stessa dei beni privati. Se questo è vero, meriterebbe allora un briciolo di riflessione critica uno slogan continuamente ripetuto ma che è di grande presa emotiva. Lo slogan è: fino a tale data lavoriamo solo per lo Stato e solo dopo quella data lavoriamo finalmente per noi stessi. Possiamo certo augurarci che il collegamento tra imposte e servizi pubblici possa essere percepito in futuro più nitidamente grazie al federalismo fiscale.
Parlando sempre di sostegno allo sviluppo economico sociale, c’è infine un terzo aspetto ugualmente in ombra riguardo al quale può essere fondamentale l’azione della agenzia. Mi riferisco all’aspetto della competitività delle imprese. Nel nostro Paese l’evasione fiscale costituisce sicuramente uno tra i principali fattori di ostacolo ad una concorrenza leale; specie in un periodo di congiuntura economica così difficile, contrastare l’evasione significa tutelare le imprese sane e contribuire in questo modo al superamento della crisi economica. Queste tre modalità di sostegno dello sviluppo economico sociale del nostro Paese sono strettamente intrecciate all’attività quotidiana dell’Agenzia.
Abbiamo cercato, fin dall’inizio, di fare nostra la parola d’ordine semplice ed efficace della grande riforma federale varata dal Governo americano negli anni ’90, lo slogan suonava così: “per un’amministrazione pubblica che lavori meglio e costi meno”. Ora è un fatto, e c’è lo ha riconosciuto autorevolmente anche la Corte dei Conti, che l’Agenzia delle Entrate si è rilevata un’organizzazione economica di quella che preesisteva, di quel Ministero che preesisteva. L’Agenzia è nata nel 2001 insieme alle altre tre Agenzie fiscali, l’Agenzia del Territorio, le Dogane e il Demanio. Il loro avviso ha segnato un vero e proprio punto di svolta: il riconoscimento definitivo che non bastava più garantire solo la legittimità formale dell’azione amministrativa, ma era piuttosto necessario assicurare efficienza ed efficacia di questa azione, in un campo essenziale qual è quello della gestione dei tributi. Il principio alla base dell’istituzione dell’Agenzia fiscale era ed è molto semplice: quello di una maggiore autonomia gestionale, in funzione di una maggiore efficienza operativa, valutata su obiettivi misurabili.
Alla luce dell’esperienza credo che siamo sicuramente sulla buona strada e che sia stata una buona riforma. Con la nuova logica dell’efficienza e del risultato, è stato molto profondo il cambiamento della Agenzia delle Entrate che è stato realizzato in questi 10 anni, pensiamo solo ai risultati dell’attività di recupero. Quando è nata l’Agenzia nel 2011, l’attività recuperava 3.7 miliardi di euro, nel 2010 sono stati recuperati 10 miliardi e mezzo da attività di controllo e ben 7 miliardi da eliminazione di compensazioni fraudolente, abbiamo cioè portato a casa, nel 2010, 17 miliardi. Ma al di là del recupero diretto dell’evasione fiscale, comunque necessario, il nostro sforzo è principalmente rivolto ad ottenere il massimo adempimento spontaneo degli obblighi fiscali. In questa prospettiva la volontà di dar vita ad un sistema orientato al contribuente è stato il nostro leit Motiv sin dalla nascita dell’Agenzia. Siamo stati la prima amministrazione al mondo a gestire tutte le dichiarazioni dei redditi in modalità telematica. Oggi i nostri servizi on line sono il nostro punto di forza. Nel 2010 abbiamo gestito telematicamente 43 milioni di dichiarazioni ed abbiamo erogato 6 milioni di servizi in rete. I cittadini possono registrare on line i contratti, possono pagare le imposte, possono verificare la loro posizione consultando il cassetto fiscale, possono richiedere un parere, tutto on line. Molto resta da fare e molto è stato però anche fatto. Tutto questo anche con un approccio nuovo, favorito anche dal vasto ricambio generazionale, che credo non abbia confronti con altre amministrazioni pubbliche. In questi ultimi 10 anni a fronte di 12 mila impiegati cessati dal servizio, abbiamo assunto poco più di 8 mila giovani laureati, le cui capacità abbiamo avuto cura di sperimentare preventivamente mediante percorsi di tirocinio o formazione lavoro, e con l’assistenza di tutor dedicati. In un momento in cui si parla di giovani senza avvenire, noi stiamo dando a questi giovani che stiamo assumendo e che abbiamo assunto, una solida prospettiva professionale al servizio della collettività.
Sempre per ragioni di maggiore efficienza abbiamo appena concluso una riorganizzazione delle strutture periferiche. L’attività di controllo prima frammentata fra 400 uffici, oggi è gestita in poco più di 300 direzioni provinciali. Sono strutture moderne anche dal punto di vista logistico. Niente di più lontano dai vecchi uffici delle Imposte Dirette, del Registro, dell’Iva con le loro pile immense di scartoffie accatastate dappertutto, che hanno probabilmente contribuito a consolidare nell’immaginario collettivo la convinzione che un ufficio pubblico potesse essere solo polveroso e fatiscente. I risultati ottenuti assumono poi un risultato anche maggiore se si tiene conto del fatto su cui ho posto prima l’accento e cioè la maggior economicità di funzionamento dell’Agenzia rispetto all’organizzazione precedente.
Mi avvio ora alla conclusione soffermandomi sull’altra questione a cui ho fatto richiamo all’inizio, il ruolo dell’Agenzia delle Entrate per lo sviluppo civico del Paese. Mi è capitato spesso di dire che la principale difficoltà cui va incontro in Italia una seria azione di recupero dell’evasione è di natura culturale. So bene naturalmente che l’opinione pressoché unanime, quale attestano i sondaggi, è che l’evasione sarebbe uno dei peggiori mali che ci affliggono, se devo però giudicare dal tenore delle polemiche e dei dibattiti ricorrenti, temo che l’evasione contro cui a ondate si leva lo sdegno sia per lo più solo l’evasione altrui. La difficoltà di comprendere che la cura del proprio interesse non esclude affatto ma anzi esige la cura dell’interesse collettivo, che ha come suo momento cruciale l’adempimento degli obblighi fiscali, rappresenta la distanza culturale che ci separa dai grandi Paesi con cui ci confrontiamo. Questo deficit di intelligenza sociale ha origini lontane. Ricordiamo tutti l’elogio del “particulare” che Guicciardini ha tessuto, riconoscendo che è il tratto tipico del carattere degli italiani. Anche qui bisogna tuttavia distinguere, evitando facili generalizzazioni, che condannando ugualmente, tutti finiscono per assolvere chi ha più interesse a confondere tra loro travi e pagliuzze. Occorre opporsi all’evasione fiscale non solo per necessità finanziarie contingenti, ma anzitutto per un principio civile di uguaglianza di fronte alla legge, principio infranto per il semplice fatto che se sono tanti ad evadere, sono però moltissimi che non lo fanno e ciò nonostante quelli non paghino le imposte o le paghino assai meno di quanto dovrebbero, fruiscono degli stessi servizi pubblici e talora assai più di quelli che al finanziamento di questi servizi contribuiscono invece fino all’ultimo euro di quanto devono. Fruire a sbaffo un bene comune caricandone sugli altri il costo è l’essenza di quella forma di opportunismo che gli economisti chiamano free riding. Su questo versante cosa può fare l’Agenzia?
L’azione di deterrenza, sempre più affinata e selettiva grazie alle moderne tecniche di analisi e incrocio dei dati disponibili, è irrinunciabile per qualsiasi amministrazione fiscale che voglia fare seriamente il proprio lavoro. Si sa che in America, per fare solo un esempio, l’istituzione più temuta non e l’FBI ma l’IRS, l’ente federale delle imposte. Tale azione rischia però di essere deformata da un grave errore di prospettiva, se più o meno inconsapevolmente muovesse dall’assunto che nella loro generalità tutti i contribuenti sarebbero in quanto tali evasori incalliti, persone che insomma laddove ne abbiano la minima possibilità non abbiano alcun ritegno a violare le norme fiscali, e nei casi in poi a cui venisse data loro ragione avrebbero ben poco di cui lamentarsi, perché chissà quante volte avrebbero commesso infrazioni senza mai essere scoperti. Atteggiamenti del genere rischiano di alimentare un clima di acredine, sfiducia nei confronti dell’Agenzia, che è esattamente il clima in cui possono prosperare i veri evasori incalliti.
Confortato da evidenze di senso comune, da importanti studi e ricerche, vado perciò insistendo, da diverso tempo, sulla necessità di portare avanti l’attività di dissuasione con comportamenti ispirati a equilibrio e ragionevolezza. Comportamenti di questo tipo accrescono la fiducia nella correttezza dell’operato dell’Agenzia e favoriscono l’adempimento spontaneo sul quale è basato il nostro comportamento fiscale. Nel medio e lungo periodo ciò assicura risultati non effimeri, è soprattutto il rapporto di fiducia che si riesce ad instaurare con il contribuente che assicura questi risultati. Saper coniugare da un lato la necessaria determinazione nella deterrenza e dall’altro la capacità di ispirare rispetto e fiducia richiede doti di discernimento e una combinazione non facile di qualità diverse. Una combinazione che sicuramente non è più difficile di quello che la fede esige dai buoni cristiani, candidi come colombe, astuti come serpenti. Per rendere tuttavia un po’ più facili le cose, c’è un metodo quasi infallibile che indichiamo ai nostri funzionari, affinché capiscano, anzi sentano immediatamente ciò che ogni volta è giusto fare. Chiediamo loro di mettersi al posto del contribuente che hanno di fronte e di applicare una sorta di versione amministrativa della “golden rule”, la regola aurea che ci è stata impressa in mente da bambini traendola dai Vangeli; essa non dice come vorreste o vi piacerebbe che i funzionari del fisco si comportassero con voi quando voi stessi siete contribuenti, parliamo infatti di imposte, e a poco senso parlare in questo ambito di piacere, la regola suona piuttosto così: come riterreste giusto che i funzionari del fisco si comportassero con voi quando siete voi i contribuenti? Riterreste giusto che vi ascoltino con attenzione, e considerino seriamente il vostro punto di vista? O riterreste giusto che chi vi sta di fronte vi tratti male, facendosi forte del suo potere e si dimostri sordo ai vostri argomenti? Lungo e complicato può essere il percorso che collega l’imposta che pago a ciò che l’autorità pubblica fa con quello che pago e questo può suggerire alla cattiva coscienza mille giustificazioni e scappatoie per non pagare o pagare meno, e magari assai meno di quanto è dovuto. Ai nostri funzionari raccomandiamo questo semplice concetto, il primo servizio pubblico che il contribuente ricollega al tributo, che è tenuto a pagare, è proprio l’autorevolezza e la competenza del funzionario che ha di fronte. E’ in questo che pensiamo e lavoriamo, ed è così che intendiamo promuovere nel nostro Paese la coscienza civica. Per svolgere questo compito disponiamo di una risorsa fondamentale, la qualità professionale e la dedizione del nostro personale.
Prima di concludere permettetemi un altro paio di considerazioni. Vi ho appena detto che la missione della Agenzia delle Entrate ha come ultima frontiera lo sviluppo della coscienza civica. Si può però qui intravedere una seria difficoltà. Lo sviluppo civico esigerebbe di per sé l’affermazione di una mentalità portata a valutare fatti e uomini in una prospettiva generale ed astratta. Le imposte che paghiamo servono a finanziare i servizi di una intera collettività e non solo riferibili, per loro natura, a singoli destinatari. In questo c’è una differenza fondamentale, ad esempio, rispetto al fenomeno del donare. La differenza non è data che solo dal fatto che pagare le imposte è un obbligo mentre donare è un fatto volontario. C’è una differenza forse più profonda ed è questa: il dono è rivolto, in generale, a persone fisiche in carne ed ossa di cui possiamo avere ben chiaro lo stato di bisogno. Le imposte sono invece dovute allo Stato, una realtà che negli altri grandi Paesi a noi vicini è la cifra ultima del bene comune, che a noi italiani, per la nostra complicata storia, appare generalmente come un’entità astratta, non riscalda il cuore, non illumina la mente. Il detto “non abbiamo il senso dello stato” ricorre continuamente nei nostri discorsi tra il costernato e l’ammiccante, e questo ci viene rimproverato come uno dei segni più tangibili della nostra immaturità come nazione. Guardando la storia però del vostro Movimento, che esprime in ultimo un’attenzione forte alle persone in carne ed ossa, un’attenzione che è del resto profondamente radicata nella storia degli italiani, mi chiedo se il miracolo italiano, che di tanto in tanto viene invocato, non possa essere alla fine proprio quello di supplire ad un imperfetto sviluppo civico con un più alto sviluppo personale, capace di vedere che dall’adempimento di obblighi apparentemente solo generali ed astratti possa dipendere la vita, il benessere, la soddisfazione dei bisogni o l’alleviamento delle sofferenze di tante singole persone.
Provo a stringere i nodi del mio ragionamento. In qualunque Paese il fisco funziona pienamente solo se è sostenuto nella sua azione da salde convinzioni culturali ben radicate nella società. La riflessione che vi propongo è che in un Paese come l’Italia, cultura potrebbe significare questo: riuscire a legare il senso dello sviluppo civico della modernità a quello dello sviluppo personale, caratteristico della grande tradizione che nel corso dei secoli ha unito, in una storia assolutamente unica, quell’insieme variegato di popolazioni e territori conosciuto in tutto il mondo come Italia.
Ma cosa intendo esattamente qui per sviluppo personale? E’ qualcosa che credo si ricolleghi al tema affascinante che ha quest’anno il vostro Meeting. Ed è qualcosa legato al senso profondo espresso, se non sbaglio, nell’ultima grande parabola del Vangelo di Matteo, che tra parentesi faceva il nostro ingrato mestiere prima di seguire quel misterioso uomo comparso all’improvviso nella sua vita; mi ha sempre colpito il fatto che le azioni descritte in quella parabola come riprovevoli, siano tutte non azioni, esattamente al contrario di quelle descritte invece come meritevoli: sfamare e dissetare gente sfinita, prestare assistenza ai malati, dare ospitalità agli stranieri e così via. Esiste la possibilità di una vita sprecata, che alla fine è una non vita, una serie di azioni piccole e grandi che non sono state compiute e che avrebbero potuto cambiare in meglio il destino di tante altre persone, attraverso concatenazioni di cui per lo più non ci rendiamo conto e che magari non riusciamo neppure ad immaginare, ma che esistono. Saper leggere la filigrana dell’esistenza in questo modo, agire di riflesso è l’essenza di ciò che chiamerei sviluppo personale ed è questa capacità che può considerevolmente ricondurre i tratti di generalità ed astrattezza tipici dell’obbligo fiscale alla concretezza dei bisogni di tante singole persone. Non so se lo straordinario potere di immaginazione, la capacità di visione, che credo sia uno dei doni più preziosi della fede cristiana, potrebbe mai servire a rappresentare il mondo come sarebbe se ognuno facesse ciò che deve fare, perfino nel pagare le imposte. Quello che nessuna amministrazione finanziaria, nessuna Agenzia delle Entrate potrà mai fare, potrebbero realizzarlo persone come voi, dotate di questo speciale potere. Gli psicologi sociali hanno coniato il concetto del benefico contagio sociale ad opera di piccoli gruppi altamente motivati, c’è un’espressione molto più semplice, molto più bella che voi ben conoscete, “il sale della terra”, se il vostro potere funzionasse, il nostro lavoro sarebbe sicuramente più facile, ma cosa ben più importante la nostra vita sarebbe sicuramente una vita migliore. Grazie per l’attenzione.
MONICA POLETTO:
Grazie, grazie mille. Saluto Renata Poverini Presidente della Regione Lazio. Rimaniamo sulle agenzie fiscali, adesso do la parola a Gabriella Alemanno, Direttore dell’Agenzia del Territorio.
GABRIELLA ALEMANNO:
Buon pomeriggio a tutti, ringrazio la dott.ssa Poletto per l’invito, ma sono particolarmente felice ed onorata di essere qui davanti a una parte di questo magnifico popolo del Meeting, che sono dieci anni che per vari motivi frequento e quindi oggi il fatto di essere qui, di discutere un tema di così alto profilo, mi onora particolarmente. Veniamo al tema. La domanda che ci è stata posta è quella di affrontare, di discutere se la Pubblica Amministrazione costituisce un fattore di crescita e di sviluppo per il nostro Paese o se ne costituisce un freno. La risposta ce l’ho già, perché ho una storia professionale che si è sviluppata tutta all’interno della Pubblica Amministrazione e quindi la risposta che io posso dare è che è sicuramente un fattore di crescita e di sviluppo, anzi aggiungerei, in alcuni casi è un fattore di eccellenza. Ma capisco perfettamente che questa mia asserzione la devo in qualche modo dimostrare, perché si confronta con un immaginario collettivo dove vive invece una percezione negativa della Pubblica Amministrazione, che più che altro è espressione di logiche demagogiche più che di reali esperienze. Quando si parla di Pubblica Amministrazione la si associa allo spreco della spesa pubblica, a inefficienza di burocrazia esasperata e via di seguito. Bisogna anche ammetterlo, ci sono alcune negatività che sono presenti ma questi giudizi sono più che altro, secondo me, se ci si riflette un attimo, su una serie di informazioni non adeguate e una serie di preconcetti. È come un po’ il tema della percezione, cioè tra quello che è e che viene percepito. Poniamo un esempio di questi giorni: il caldo; noi adesso sentiamo molto caldo, ma perché c’è un fattore umidità che ce lo fa sentire di più. Se magari ci trovassimo in un Paese africano dove, pur con lo stesso caldo o forse superiore, l’umidità è inferiore, percepiremmo un minore caldo. Faccio questa metafora, questa parafrasi, per immaginare di fare un percorso con voi che ci porti a vedere che in realtà la Pubblica Amministrazione è una realtà al servizio di tutti noi, al servizio della collettività e dove ci sono una serie di realtà e di eccellenze che devono migliorare e sviluppare il sistema Paese. Do alla Pubblica Amministrazione quattro valenze particolari che bisogna vedere insieme, fare un percorso insieme di rivisitazione: quello della gestione del personale, quello dell’informatizzazione, quello della comunicazione e dell’etica. Voglio affrontare un discorso di carattere generale per poi soffermarmi su alcune problematiche dell’Agenzia del Territorio, visto che oggi mi viene offerta anche questa grande opportunità di rappresentare una serie di attività che noi svolgiamo e sono anche molto felice; saluto una rappresentanza di dirigenti e funzionari della mia Agenzia che sono qui presenti a Rimini. Ritengo che la vera risorsa della Pubblica Amministrazione sia proprio il suo personale, rappresentato da uomini e donne che più o meno consapevolmente hanno scelto di lavorare nella Pubblica Amministrazione e ai quali viene affidata una grande responsabilità derivante dal fatto di operare al servizio della collettività e dei cittadini. Più che mai nello svolgimento delle proprie mansioni tutti i dipendenti della Pubblica Amministrazione si distinguono per dedizione, attaccamento alle istituzioni e spirito di servizio, e non è poco, ve lo posso assicurare, specialmente di questi tempi. Ovviamente possiamo avere tanti esempi di inefficienza, parlare di fannulloni, possiamo parlare di tanti aspetti; ma l’inefficienza o le persone che per qualche motivo possono essere etichettate come fannulloni non credo che esistano solo in una Pubblica Amministrazione, le possiamo trovare in qualunque altro settore. Il problema è che nella Pubblica Amministrazione abbiamo leve diverse per poter incidere su questi malfunzionamenti. Inoltre c’è da dire questo: fermo restando che chi lavora nella Pubblica Amministrazione di questi tempi possiede un lavoro stabile, quindi può essere considerato sicuramente una fortuna, dobbiamo comunque essere consapevoli tutti quanti delle difficoltà che i dipendenti pubblici devono superare anche in termini di divario tra impegno profuso e le retribuzioni offerte dal pubblico impiego, comunque sempre inferiori a quelle di mercato. Malgrado tutto questo, i dipendenti pubblici quotidianamente affrontano le loro responsabilità in modo completamente avulso dalla leva economica. Tra l’altro oggi un manager pubblico incontra nella gestione del personale una serie di difficoltà e di responsabilità che sono ben diverse da quelle che avvengono nel settore privato. Vediamo l’aspetto dell’informatizzazione: oggi possiamo dire che tutta la Pubblica Amministrazione è assolutamente informatizzata. Non so se questo è ben chiaro, ma c’è stato sostanzialmente tutto un piano di e-government, l’esempio è quello del 2012, che ha portato e ha migliorato là dove c’era l’informatizzazione in molti rami della Pubblica Amministrazione e costituisce un piano importante di sviluppo in termini di investimenti e di opportunità per il settore privato, per gli interventi non legislativi, i cambiamenti procedurali e anche la rimozione delle barriere. Oggi noi possiamo dire che l’information communication technology per l’Amministrazione Pubblica è assolutamente adeguata e importante. Credo che quasi tutte le pubbliche amministrazioni siano in grado di dare servizi on-line, di dare anche una informazione ai cittadini attraverso i propri siti e io credo che tutto questo processo di informatizzazione si sia realizzato per lo sviluppo della cosiddetta società della conoscenza, favorendo quindi l’aumento delle conoscenze informatiche dei cittadini. L’incremento dei servizi digitali e lo sviluppo della società della conoscenza sono le due fasce dello stesso traguardo: fornire funzioni semplici e moderne a una società in grado di usarle. Altro aspetto che io ritengo importante e sul quale bisogna lavorare e fare delle riflessioni è quello della comunicazione; sono assolutamente convinta che solo una conoscenza diffusa e capillare delle attività di competenza di una pubblica amministrazione possa incidere positivamente sullo sviluppo di una comunità più aggiornata e consapevole, in grado di estrarre il valore da ciò che conosce. Questo è un tema che ci dovrebbe fare ragionare, perché ormai nell’immaginario collettivo e anche, devo dire, molti interventi da parte del Governo, tendono a fare dei tagli sul fronte della comunicazione, perché vengono considerati dei costi che pregiudicano in un certo senso il bilancio dello stato e non vengono considerati invece degli investimenti. Invece la comunicazione è importante, perché permette attraverso i meccanismi che le pubbliche amministrazioni possono utilizzare di fare conoscere i servizi, le attività, tutti gli aspetti che una pubblica amministrazione gestisce. Molto spesso quello che nel percepito viene considerata una amministrazione che non funziona, è solo perché non è conosciuta per i servizi che essa può dare; basterebbe quindi andare sul sito o avere un minimo di informazione in più per capire che in realtà il rapporto tra Pubblica Amministrazione e cittadini, che viene considerato super-burocratizzato, è un rapporto invece assolutamente semplificato. Quindi solo attraverso la conoscenza si può combattere ogni pregiudizio e ogni preconcetto di un’amministrazione che non funziona. Per quello che mi riguarda, noi come Agenzia del Territorio abbiamo qui uno stand e posso dire che anche l’esperienza di questi giorni ha dato un risultato assolutamente positivo, perché abbiamo avuto centinaia di cittadini che probabilmente di norma non si avvicinano al nostro sito; forse non sanno neanche che attraverso il nostro sito potrebbero avere delle visure catastali, che appunto hanno chiesto al nostro personale, che presidia questo stand, una serie di informazione sui nostri asset istituzionali. Quindi per la Pubblica Amministrazione la comunicazione ha assunto la qualità fondamentale, il concetto di valore in termini di risorse umane e di capitale sociale, inteso come ricchezza di beni essenziali, capace di offrire garanzie di funzionamento efficace e di svolgere il ruolo di primo promotore dell’ente pubblico.
Altro asset importante per migliorare la percezione della pubblica amministrazione, diciamo, nei cittadini, e sul quale io personalmente credo molto: il tema dell’etica. Verso di noi, in particolare, che operiamo in questo mondo, quello della pubblica amministrazione, oggi più che mai l’intera società esprime fortemente, a 360°, l’istanza di orientamenti etici che possano concretizzarsi nel rispetto delle regole, della trasparenza del nostro operato, della responsabilità verso i cittadini. La funzione pubblica deve essere depositaria della fiducia dei cittadini. Essi devono poter contare sull’impiego dei dipendenti e operare per l’interesse generale, dimostrando imparzialità e amministrando quotidianamente le risorse pubbliche in modo appropriato. Un’equa e affidabile pubblica amministrazione ispira fiducia e crea un clima favorevole alle imprese, contribuendo quindi al buon funzionamento dei mercati e alla crescita economica. L’etica nella pubblica amministrazione è necessaria al rafforzamento della fiducia del pubblico e rappresenta la chiave di volta del buon governo. Ovviamente si tratta di coniugare, nel migliore dei modi, l’efficienza e la legalità, garantendo quello sviluppo sostenibile che ormai costituisce il parametro di riferimento per ogni politica destinata a società in condizioni avanzate di benessere e di complessità come quella italiana. E quando parliamo di sviluppo sostenibile, non parliamo ovviamente di sviluppo solo ambientale o territoriale, parliamo di uno sviluppo rapportato ad un concetto più ampio di qualità della vita. Da ciò l’assunto che anche le regole dell’etica pubblica concorrono positivamente e prioritariamente a determinare la qualità della vita con ricadute e costi sulla competitività del Paese. Vorrei ricordare una frase del giudice Paolo Borsellino: “L’uomo rispetta le regole, non perché esse siano scritte da qualche parte, ma perché sente dentro di sé il dovere di rispettarle”. Quindi il rispetto delle regole, siano esse giuridiche, religiose, culturali o sociali sono qualcosa di codificato all’interno dell’individuo e fanno parte della sua soggettività e sensibilità. Per questo motivo io ho condiviso pienamente e ovviamente con tutta la classe dirigente della mia agenzia un codice etico, che mostra appunto come l’agenzia abbia in un certo senso una bussola di riferimento, per orientare quotidianamente i propri comportamenti all’interno delle proprie strutture. Fatto questo ragionamento, che, dal mio punto di vista, vuole portare a dimostrare in maniera assolutamente sintetica, perché il tempo a disposizione è sempre molto tiranno, perché io considero la pubblica amministrazione un fattore di sviluppo per il nostro Paese, vorrei anche dimostrare con degli esempi concreti quello che fa l’Agenzia del Territorio più specificatamente. E lo voglio fare, appunto, con degli esempi concreti. Allora per chi non lo sapesse, l’Agenzia del Territorio, così come l’Agenzia delle Entrate è una delle quattro agenzie fiscali istituita nel 2001 sulla base di una riforma del Ministero delle Finanze, che appunto istituì quattro agenzie fiscali. Gli asset di riferimento sono legati alla gestione del catasto, della pubblicità immobiliare, dell’osservatorio del mercato immobiliare e dell’organo cartografico dello Stato. Quindi io credo che l’Agenzia si presenti come un’importante realtà nell’ambito della pubblica amministrazione, che in pochi anni è riuscita a colmare il gap tecnologico che la separava dalle omologhe istituzioni europee. Oggi essa qualifica i punti di contatto con l’utenza in una completa e articolata offerta di servizi, grazie ad una profonda attività di ingegnerizzazione dei processi e all’uso delle tecnologie più avanzate. Offerta di servizi che viene erogata principalmente attraverso il canale telematico, pur non trascurando quello tradizionale del front-office, presso i nostri uffici territoriali e quelli del circuito delle poste italiane. Ecco, non so se lo sapete, ma mi auguro di sì, però vi invito sia ad andare sul nostro sito, sia andare al nostro stand, praticamente noi abbiamo degli uffici virtuali, attraverso i quali possiamo erogare una serie di servizi ai cittadini e ai professionisti, e penso che la cosa più importante sia la telematizzazione che noi abbiamo offerto alle categorie professionali, in modo particolare ingegneri, geometri, notai, che praticamente dal loro studio professionale possono praticamente inviare qualunque tipo di pratica connessa alle loro specifiche attività. Ma un tema che in qualche modo si ricollega a quello che diceva l’amico Attilio Befera, è quello della fiscalità. Anche noi abbiamo un aspetto di rilievo, di fiscalità, di attività, diciamo, ad alta valenza fiscale, connessa più che altro al comparto immobiliare. E fra questi vorrei citare e ricordare l’attività, che abbiamo svolto ed è in itinere proprio in questo momento, di emersione dei cosiddetti immobili mai dichiarati in catasto, ma più conosciuti, diciamo al grande pubblico, come immobili fantasma. Praticamente, che cosa è successo? Che attraverso una sovrapposizione di foto aeree digitali con le nostre mappe catastali, noi abbiamo identificato 2milioni e 200 mila particelle di terreno sulle quali esistevano dei manufatti non registrati sulle nostre mappe catastali e che ci hanno permesso di iniziare un’indagine sulla conoscenza di queste particelle, appunto, che registravano la presenza di qualcosa che non esisteva nelle mappe catastali. Questa attività ha avuto una serie di interventi normativi, ha permesso la mappatura di tutto il territorio italiano, ha permesso di vedere che il tema, diciamo, non dico dell’abusivismo edilizio, perché questo non è solo il tema dell’abusivismo edilizio, è anche il tema della, diciamo, non attenzione o della volontà di evadere un po’ italiana che si ingegnerizza in certi casi e che praticamente fa in modo di costruire un palazzo, di avere delle utenze, di mettere dei nomi sui campanelli, ma questi palazzi sono dei palazzi fantasma, perché non sono accatastati, solo per il fatto che non sono intonacati, e quindi non avendo l’intonaco finale, diciamo, esterno, non possono essere praticamente accatastati e quindi noi abbiamo questo tipo di realtà, perché quando si parla di immobili mai dichiarati in catasto, si parla necessariamente di abusivismo edilizio. Non è necessariamente abusivismo edilizio. L’abusivismo edilizio è un problema dei comuni, è un problema di, diciamo, tentativo, da parte del cittadino, di evadere anche sotto l’aspetto della casa, il bene casa, dove uno vive, per non avere praticamente la possibilità in questo modo di evitare l’accatastamento di un immobile, che quindi non dà rendita catastale, quindi non fa pagare i tributi di riferimento. Tornando alle attività che vi dicevo, praticamente noi abbiamo, attraverso il legislatore, noi abbiamo avuto, abbiamo dato la possibilità ai contribuenti, entro il 30 aprile di questo anno, di fare un cosiddetto adempimento spontaneo, che ha portato a dei risultati assolutamente sorprendenti. Io credo che coloro i quali, diciamo gli addetti ai lavori, non pensavano di arrivare ad un risultato di questo tipo. Abbiamo portato ad un accatastamento di 560 mila unità immobiliari, con un incremento di rendita pari a 415 milioni di euro, rendita catastale che è la base imponibile per i tributi di riferimento. Dal 2 maggio, praticamente c’è un’attività da parte degli uffici, che anche io ringrazio pubblicamente per quello che stanno facendo, nonché degli ordini professionali che ci danno un supporto su queste attività, per praticamente andare a fare un sopralluogo su questo, diciamo, manufatto, su queste realtà che noi abbaiamo identificato sul territorio, per attribuire una rendita catastale, una rendita catastale presunta. Ecco, siccome mi dicono che forse ho assolutamente sforato i termini, voglio dire solo una cosa e concludo. La pubblica amministrazione è fatta di diverse realtà, ma io sono molto convinta che al di là di tutto siano importanti gli uomini e le donne che la interpretano, perché sono gli uomini e le donne che interpretano la pubblica amministrazione che effettivamente possono poi dare quel valore aggiunto che il cittadino contribuente si aspetta. E vorrei chiudere con una frase di Hegel: “Niente di importante può essere fatto al mondo senza il contributo della passione”. Ed è proprio principalmente grazie alla passione profusa quotidianamente da tutti gli appartenenti all’Agenzia del Territorio, in particolare, alla pubblica amministrazione in generale, che noi oggi possiamo considerare la pubblica amministrazione una leva importante per lo sviluppo del nostro Paese. Grazie.
MONICA POLETTO:
Grazie. Grazie a Gabriella Alemanno, anche perché le abbiamo chiesto una restrizione dovuta al fatto che abbiamo altri relatori e grazie, perché sarebbe stato interessante probabilmente poter continuare. Mi scuso e continuiamo, continueremo un’altra volta. Grazie. Domenico Arcuri, Amministratore Delegato di Invitalia. Prego.
DOMENICO ARCURI:
Grazie. Grazie dell’invito. Io userò un taglio dell’intervento nel quale all’inizio cercherò di fare qualche considerazione generale e poi dirò quale è il contributo di Invitalia, o come tutti meglio la conoscono, Sviluppo Italia, come si chiamava fino a un po’ di tempo fa, al sostegno allo sviluppo e non al freno. Partirei dalla appropriatezza del titolo del convegno, il quale di questi tempi sembra paradossale. Noi viviamo una stagione in cui siamo inondati di pensatori più o meno liberi che ci raccontano quello che non va e siamo alla ricerca di qualcuno, altrettanto più o meno libero, che ci possa spiegare come si deve fare ad andare meglio. E quindi se noi facessimo un referendum sul titolo del convegno vincerebbe, con percentuali che una volta si definivano bulgare, chi sostiene che la Pubblica Amministrazione sia un freno e non che sia, o possa essere, un sostegno allo sviluppo. Le esperienze che avete ascoltato prima di me non sono in questo senso; hanno provato a spiegare, ognuna per sé, che non è proprio così: se Befera dice, “io quest’anno ho recuperato 17 miliardi” e sei anni fa recuperava 300 milioni, è complicato dire che l’Agenzia delle Entrate sia un freno allo sviluppo, ma tant’è. Però segnaliamo, secondo me, sempre con maggiore forza e ogni volta che possiamo, che viviamo una stagione pericolosa nella quale tutti dicono tutto e tutti purtroppo hanno spazio per dire anche un po’ più di tutto. Tutti distruggono, il che è da sempre il mestiere più facile della Terra, tutti criticano, il che, non avendo responsabilità nel costruire, è quasi più facile che distruggere. Nessuno però prova a dire: “bene, noi vorremmo fare in quest’ altro modo, quest’ altro modo è questo”. All’inizio della settimana mi hanno invitato in tutto un altro contesto, in una città dove vanno in villeggiatura i ricchi cittadini di questo Paese e del Veneto, che non dico qual è, e ho sentito il presidente di una importante associazione industriali del Veneto fare un comizio contro la Pubblica Amministrazione. Alla fine di questo comizio ho riflettuto tre minuti prima di rispondere e ho pensato seriamente che non avevo niente da dirgli, perché lui non aveva detto null’altro che, per dirla con il linguaggio di oggi, la Pubblica Amministrazione facciamo prima a chiuderla e poi ci sarà qualcuno che ci pensa. Io non sono sicuro che sia stata inventata ancora un’altra forma per occuparsi della collettività che sia diversa dallo Stato; sono molto desideroso di conoscerla, se qualcuno fa si che essa ci sia, io non me ne sono accorto, sono qui ad ascoltarlo. Anche oggi sulle pagine di un importante giornale italiano, per esempio l’onorevole Veltroni, di cui da un po’ di tempo sentivamo la mancanza, ci ha regalato una serie di illuminazioni intorno all’Italia che egli vorrebbe. Io le ho lette con attenzione e di nuovo non ho trovato riflessioni meritevoli di essere riportate qui. Invece io, da queste brevi considerazioni, partirei dal memorabile intervento che qui ha tenuto, inaugurando il Meeting, il Presidente della Repubblica, che ha parlato di una cosa che mi ha colpito molto, del fatto che noi abbiamo perso l’orgoglio di desiderare. Il Presidente Napolitano ha detto “noi dobbiamo recuperare l’orgoglio del desiderio, dobbiamo ricominciare a desiderare” o, come io forse più volgarmente posso dire, dobbiamo ricominciare a sognare collettivamente. Se penso ad una cosa che in questa stagione manca, penso che nel nostro Paese non ci siano più sogni collettivi, penso che noi siamo inondati da sogni individuali, e i sogni individuali, per loro definizione, hanno a che fare con il benessere, con il successo, con il consumo, con il reddito, ma non hanno mai a che fare con gli altri. Noi che stiamo da questa parte, qualcuno, ad esempio noi quattro, per scelta, qualcun altro, e non noi quattro, perché gli è capitato, siamo costretti ad occuparci degli altri e se possiamo indurre gli altri, cioè i nostri cittadini, a realizzare qualche desiderio o a sognare qualche sogno, secondo me facciamo molto meglio il nostro mestiere che raccontando, come potrei fare io oggi, cosa che pure farò per dovere d’ufficio, che cos’era Sviluppo Italia nel 2007 quando sono arrivato e cos’è Invitalia nel 2011 quando io sto parlando. Io credo che lo Stato non debba fare un passo avanti come sembrerebbe dalle cose che io ho finora detto; io credo che lo Stato debba fare, e quindi la Pubblica Amministrazione debba fare, nello stesso tempo un passo indietro e un passo avanti. Ho visto prima di venire qua la mostra sui 150 anni della sussidiarietà e tra le tante cose che mi hanno colpito ce n’è una curiosa, c’è un manifesto con due dichiarazioni di due costituenti: il primo, che si chiamava Turchini, chiedeva il mantenimento delle Province, il secondo, più famoso, che si chiamava Piccioni, che poi è stato Ministro degli Esteri eccetera, chiedeva l’abolizione delle Province. Sono passati sessant’anni e su questo non abbiamo fatto né un passo indietro né un passo avanti. Mi sembra che nella manovra facciamo mezzo passo, un quarto di passo, un sesto di passo. Credo che noi dobbiamo fare un passo indietro perché lo Stato è non solo spesso, come prima, meglio di quanto potrei farei io, è stato detto, relativamente efficiente, relativamente efficace. Io penso che uno Stato moderno debba essere anzitutto utile e non debba essere mai inutile o, peggio, non debba essere meno che mai dannoso. Se si riesce a costruire uno Stato utile, questo significa che lo Stato non può far tutto. Una delle conclusioni a cui chi ha studiato più di noi è arrivato nell’osservare lo sviluppo delle democrazie occidentali è questa: lo Stato, a cui sono stati abituati le generazioni che ci hanno preceduto, che faceva molto, quasi tutto, non può più farcela. Lo Stato deve fare un po’ di meno, ma deve fare quel po’ di meno che fa in modo utile per i cittadini. Quando sono arrivato in Sviluppo Italia, che sapete essere quel ch’è rimasto della famigerata, ma forse un po’ troppo poco analizzata, Cassa per il Mezzogiorno, c’era un importante imprenditore turistico inglese che voleva fare due resort, uno in Sassonia e uno in Sicilia. Io venivo da un mondo diverso da quello della Pubblica Amministrazione e sono nato nel sud, nel profondo sud del nostro Paese, dove la diffidenza è una regola di vita che ti insegnano al terzo giorno in cui sei venuto al mondo; ho pensato subito, anche perché non è che in giro vedessi cose particolarmente diverse, che l’imprenditore volesse i soldi del Governo italiano per fare l’investimento in Germania e per far finta di farlo in Sicilia. Dopo un po’ mi sono accorto che lui in Sassonia in cinque anni ne aveva aperti due di resort e in Sicilia non riusciva a finire i lavori per il primo. Mi sono messo a studiare, ho superato la diffidenza e non solo, e ho scoperto che la ragione fondamentale per la quale non si riusciva a finire questa roba era che costui aveva ricevuto 36 denuncie. L’80% di queste denunce, denunce dalle pubbliche amministrazioni locali, era frutto del fatto che una buca del campo da golf che aveva progettato era troppo vicino al bagnasciuga. E mi ricordo una memorabile conferenza dei servizi, alla quale chiesi di partecipare, in cui provai a dire: “ma scusate, il bagnasciuga di per sé non è un’entità dinamica? Dipende dalle maree, dipende dalla luna, ci sono giorni in cui è più vicino e giorni in cui è più lontano, come si fa a dire che una buca è troppo vicina o troppo lontana a una cosa che si muove? Ci saranno giorni in cui sarà troppo vicina e notti in cui sarà troppo lontana e vi sembra questa una ragione meritevole per interrompere un investimento che, ad oggi, dà lavoro a 800 persone in un luogo dove proprio tanto lavoro non c’è?”
Fin quando la pubblica amministrazione si occuperà delle distanze delle buche dai bagnasciuga o meglio spenderà le sue energie per evitare che qualcuno costruisca e per far sì che qualcun altro distrugga, la pubblica amministrazione deve largamente fare un passo indietro. Deve invece fare un passo avanti in tante cose, che hanno a che fare con la vita di tutti noi, alcune le avrete sentite; l’onorevole Polverini poi ve ne dirà delle altre. Io ho letto questa estate un bel libro, La strada dritta, un romanzo che racconta abbastanza verosimilmente la storia della costruzione dell’Autostrada del Sole. L’Autostrada del Sole fu costruita in sette anni e mezzo e consegnata tre mesi prima della data prevista dalla scadenza, era lunga 755 km, era la più grande autostrada, in quel momento, costruita nel mondo e fu fatta dallo Stato o meglio da un’azienda pubblica. Attraverso quella opera un pezzo del nostro prodotto interno lordo si sviluppò. Il dibattito se si fece l’autostrada perché così la FIAT vendeva più macchine o se la FIAT vendette più macchine perché si fece l’autostrada, scusatemi è come dire oggi che va tutto male anziché chiederci come si fa a far sì che qualcosa vada meglio. Mi verrebbe da fare una battuta a proposito della FIAT ma non la faccio, forse la faccio dopo. In ogni caso il prodotto interno lordo cambiò grazie a quella e ad altre opere che fece la pubblica amministrazione nella sua dimensione più allargata, che fecero inneggiare al miracolo. Oggi che dobbiamo fare una manovra in 4 giorni, ci sembra incredibile ma in quegli anni la Lira prendeva l’oscar come la moneta più qualitativa del mondo. Gli ingegneri dei Paesi oggi largamente più avanzati di noi venivano a studiare come si progettavano le grandi opere d’Italia. Se ci fosse oggi uno Stato utile e se oggi fosse possibile realizzare uno dei sogni di cui abbiamo parlato all’inizio, lo Stato utile dovrebbe fare quelle cose.
Io ho una casa in Maremma e vado spesso in Maremma da Roma e leggo da trent’anni, da un tempo immemorabile, che bisogna costruire l’autostrada. Io sarei molto contento se si allargasse lo svincolo di Montalto di Castro, voi non sapete molto probabilmente che cos’è. Montalto di Castro è un paesino sull’Aurelia dove c’è uno svincolo, allargare il quale credo che sia un impegno che implichi un mese di lavoro e qualche milione di euro, ridurrebbe di 30 minuti la percorrenza su quel tratto di strada per due o tre giorni della settimana; penso che uno Stato utile, anziché sognare l’autostrada, tanto per far sì che gli ambientalisti abbiano qualche argomento con cui passare il tempo, dovrebbe migliorare lo svincolo di Montalto di Castro.
Adesso parlo di Sviluppo Italia, altrimenti la moderatrice si arrabbia, dico solo una cosa prima; la pubblica amministrazione in Italia produce il 22% del PIL, dà lavoro a 3,5 milioni di italiani, che sono il 14% dell’occupazione del Paese. Sfaterei una leggenda: non è più invasiva e dimensionalmente più grande delle pubbliche amministrazione degli altri Paesi simili al nostro, anzi in questi ultimi 10 anni si è ridotta per dimensione e per funzioni.
Quindi questa storia che sia costosa e invasiva almeno verifichiamola, accertandoci di quali sono i fatti. Certo in questi 20 anni è andata un po’ indietro, pensiamo alla famigerata stagione delle privatizzazioni delle aziende pubbliche, sulla quale molto ci sarebbe da discutere, ma è successa troppo poco tempo fa per poterlo fare e a volte è andata anche più avanti. Nel 2007 Sviluppo Italia – che è quel che è rimasto della Cassa per il Mezzogiorno, e che gestiva e gestisce per conto del Governo tutte le agevolazioni che il Governo dà ai cittadini che vogliono creare nuove iniziative di micro impiego, lavoro autonomo, piccole imprese fino alle grandi imprese che vogliono stipulare con il Governo un contratto, come si chiamava prima, “di programma” e come si chiama oggi “di sviluppo” – nel 2007 Sviluppo Italia, i numeri non sono inventati, aveva 216 società controllate e partecipate, aveva 17 società regionali, una Sviluppo Italia in ogni Regione – non ce l’aveva in Trentino e in Val d’Aosta perché l’autonomia delle Regioni faceva sì che non gliel’avevano fatta fare, non ce l’aveva nel Lazio perché la Regione Lazio aveva costituito una sua società regionale come la Presidente Polverini sa – aveva altre 15 società controllate che si occupavano di tutto. Mi ricordo che quando arrivai c’era una società che mi dissero faceva autostrade del mare e io mi chiesi a lungo cosa fossero le autostrade del mare e poi capii che era perché c’era un consiglio di amministrazione, un presidente, un amministratore delegato, un collegio sindacale, un organismo di vigilanza e qualche dipendente e aveva 33 società controllate dalle 15 controllate. Il totale di questo bel pacchetto fatto in soli 4 anni era di 300 società, Fatto, tanto per la storia, fra il 2001 e il 2005, tra il 2006 e il 2007 non accadde niente e poi nel 2007 il Parlamento votò una legge di riordino e nominò un nuovo management. Nel 2007 c’erano 492 consiglieri di amministrazione senza deleghe, che in soli gettoni di presenza costavano ai contribuenti 6 milioni di euro l’anno, non quelli che gestivano le società, gli altri che gli facevano compagnia. Fatto 100 il volume complessivo del fatturato del gruppo, che era di molte centinaia di milioni di euro, la percentuale di costi esterni, come gli studiosi di economia ci hanno insegnato si chiamano “i danari che escono dalla struttura della società”, se io facessi il magistrato li chiamerei in un altro modo, ammontavano al 55% del fatturato. Cioè fatto 100 il fatturato, 55 euro ogni 100 venivano dati all’esterno. Non per merito mio che sono la persona meno meritevole di questa esperienza ma per merito di tutte le persone che mi hanno aiutato a farlo, noi oggi abbiamo semplicemente 5 società, le altre sono state fatte fallire, liquidate, vendute o semplicemente chiuse; facciamo solo poche cose che poi vi dirò. Fatto 100 il volume del fatturato del gruppo, i costi esterni sono 8, fatti 492 consiglieri di amministrazione abbiamo fatto una norma interna semplicissima: nei CdA delle controllate ci vanno i dirigenti della capogruppo che non percepiscono lo stipendio.
Ho finito, mi taccio e concludo dicendo una cosa che ho letto stamattina, una frase del prof. De Cecco, economista un po’ strano: “ci sono Paesi sommersi e Paesi salvati dall’euro; sommersi sono quelli senza Stato, perché in questi tempi di globalizzazione e integrazione internazionale solo chi ha lo Stato riesce a sopravvivere”. Io sono d’accordo.
Grazie
MONICA POLETTO:
Grazie mille. Presidente Polverini
RENATA POLVERINI:
Io ringrazio tutti naturalmente, mi scuso per il ritardo che ho portato ma non è dovuto a futili motivi. Ieri sera non sono potuta partire perché, come ormai tutti sanno, abbiamo questa questione che ci preoccupa del Gemelli, che sto seguendo personalmente, quindi ogni sera riunisco l’unità di coordinamento che sta dando le risposte più appropriate; stamattina ho partecipato ad un incontro politico presso il Popolo della Libertà, perché la manovra ci preoccupa e non poco e quindi tanti discorsi che oggi abbiamo fatto rischiano di vanificarsi da soli nel momento in cui è previsto un taglio così importante ad una parte dello Stato, perché vorrei ricordare che Regioni ed Enti locali sono una parte dello Stato, non sono una cosa diversa, che rischia di mettere veramente in discussione i bisogni primari dei cittadini, a cominciare dai servizi, dal trasporto pubblico locale e quindi mi sembrava giusto e doveroso, venendo io da una Regione che sta cercando faticosamente di uscire da grandi difficoltà, di garantire le presenza e ho fatto bene, perché abbiamo avuto un impegno da parte del segretario del partito, Angelino Alfano, a chiedere nel tavolo di discussione di coalizione di governo una riduzione drastica dei tagli ai quali oggi, rispetto alla manovra, sono sottoposte le Regioni e gli Enti locali e mi fa piacere avere ascoltato che proprio da qui stamattina Maroni auspicava la stessa cosa. Quindi possiamo immaginare che una risposta in questo senso la avremo, anche perché vorrei ricordare che in un anno abbiamo già subito due manovre importanti, troppo importanti e una terza, in particolare per le Regioni, rischia veramente di mettere in discussione servizi primari che siamo invece chiamati ad erogare. Quindi una riunione costruttiva che ha dato un esito importante, abbiamo anche dato quelle che secondo noi sono le possibili soluzioni, dal punto di vista economico-finanziario, perché proprio per rispondere a quello che diceva prima chi mi ha preceduto, questo è un Paese dove tutti dicono che quella cosa non va fatta, però nessuno ti dice mai “io farei in un altro modo”. Quindi ci siamo allenati in una discussione che in questi giorni facciamo tutti i giorni e abbiamo detto che secondo noi non c’è altra possibilità che rispondere con un aumento dell’IVA, peraltro aumento che stiamo aspettando da tanto tempo, ed abbiamo anche chiesto di trovare il coraggio non per fare una riforma delle pensioni per mandare chi è vicino alla pensione in pensione più tardi, ma di fare una riforma delle pensioni che per la prima volta si occupi veramente dei giovani, di coloro ai quali questo Paese ancora non è stato in grado di dire se, quando e come andranno in pensione.
Io credo che uno Stato, un Paese che si vuole chiamare tale, ha il dovere, in un momento di crisi come questo, di prendere il “toro per le corna” ed alcune riforme, tra le quali questa, vanno assolutamente fatte. Non, come qualcuno dice, per “fare cassa”, ma perché con la stessa azione riformatrice da un lato si dà una risposta in termini vicini per quello che l’Europa ci chiede e anche per quell’auspicio che il Capo dello Stato ha ripetuto qui bene come fa sempre durante il suo mandato, ma anche perché saremmo in grado di dare una risposta ai giovani.
Qualche settimana fa si parlava con semplicità del famoso TFR. Qui ci sono autorevoli esponenti della pubblica amministrazione, l’altra parte rispetto alla mia, che sanno perfettamente che quando si parla di TFR è uno scherzo quando facciamo queste discussioni nelle quali abbiamo le aperture dei giornali e dei telegiornali, quando invece parliamo nel privato, sappiamo bene che rischiamo di mettere in difficoltà tante piccole e medie imprese, comprese quelle che operano in settori della sussidiarietà, tema che sta molto a cuore a questa platea, ma soprattutto rischiamo di mettere in difficoltà quella piccola, ulteriore gamba, che abbiamo messo di previdenza complementare nella riforma che facemmo proprio con il Ministro Maroni, che garantirà a quei giovani più fortunati, che comunque un lavoro ce l’hanno, almeno di poter avere un diritto alla pensione.
Queste sono le cose che abbiamo detto oltre la lotta all’evasione. Guardate io mi sono anche spesa oltre e lo dico da sindacalista che ha sempre combattuto e contrastato gli evasori, ho detto: “se questo è un momento in cui servono risorse e servono riforme, facciamo un armistizio, facciamo anche un ultimo condono ma da quel momento in poi “lotta senza quartiere” agli evasori. Noi dobbiamo capire che in questo momento il Paese è in difficoltà, dobbiamo trovare risorse immediate che l’Europa ci chiede e attraverso queste azioni dobbiamo dare un futuro e una prospettiva al nostro Paese, compreso quella della evasione fiscale sulla quale devo dire che l’Agenzia ha mostrato i muscoli negli ultimi tempi e ha fatto bene! Questo poi è sempre lo stesso discorso, quando l’Agenzia è tenera tutti ci lamentiamo perché non colpisce gli evasori, quando poi l’Agenzia si comporta come uno Stato democratico e civile e quindi colpisce chi le tasse non le paga, ci lamentiamo del contrario.
Dicevo anche che io sono l’altra metà della pubblica amministrazione rispetto a questo. Questo è un distinguo che va fatto, perché molto spesso si finisce per pensare che la parte politica e quella burocratica-amministrativa siano la stessa cosa. Non è così. Quando la pubblica amministrazione diventa sostegno allo sviluppo e non freno? Quando, per esempio, le due parti, politica e burocratica-amministrativa, lavorano in sinergia, quando le due parti non si contrappongono, quando la macchina burocratica capisce che nel momento in cui cambia la guida del Governo, o di un Ente locale o di una Regione, le indicazioni politiche sono altre e bisogna lavorare per metterle in campo. Molto spesso questo non accade. Io, per esempio, nella mia Regione, ho dovuto assumermi la responsabilità, nei primi 15 giorni di giunta, di ridurre le Direzioni Generali, intanto per risparmiare un po’, ma anche perché con quella riduzione ho potuto riorganizzare la macchina amministrativa della Regione Lazio e questo mi ha consentito di smuovere un po’ quello che negli anni aveva formato delle incrostazioni che non erano più in grado di rispondere a chi, da quel momento, era per scelta elettorale alla guida della Regione.
Vi faccio un esempio banale, Arcuri ha fatto esempi molto più importanti come l’Autostrada del Sole, io arrivo in Regione il 12 aprile e mi accorgo intanto che c’erano due fontane a fianco del portone principale dell’ingresso della Regione Lazio spente, non funzionavano, abbandonate da anni. Salgo, vedo che c’erano delle fioriere e dei mancorrenti neri, mi sembrava strano perché non era vernice, scopro immediatamente dopo che questi mancorrenti erano di ottone e le fioriere di rame. Chiedo semplicemente di vedere il capitolato delle pulizie che prevedeva chiaramente che questo venisse curato ma che evidentemente qualcuno si dimenticava quotidianamente di farlo. Allora attivo la macchina amministrativa, ci metto un po’ per far comprendere che se pagavamo forse era il caso anche che pulissero, perché credo che la pubblica amministrazione si vede anche da questo, dall’impatto che ha con la struttura, se è così trascurata significa che chi c’è dentro non ha quella passione che deve avere per quell’incarico istituzionale che svolge in termini di democrazia. Dopodiché dico: se quelle sono fontane, se sono rotte e non le vogliamo riattivare, trasformiamole in altro, perché arrivare e vedere queste fontane brutte e secche? Sapete quando sono riuscita a vedere la prima acqua uscire da queste fontane? Perché naturalmente non si trovavano più gli interruttori, il percorso dell’acqua, il percorso della luce, erano talmente tanti anni che nessuno le curava più che non c’era una memoria umana che ricordasse questi percorsi. Beh l’ho visti prima di andare, una settimana, quest’anno ancora di meno, in vacanza lo scorso anno, credo verso il 10 di agosto. Quando un funzionario – che mi aveva convinto che non potevo cambiare la targa della presidenza perché c’era una procedura lunghissima e quindi io me l’ero comprata da sola e l’avevo cambiata perché era talmente brutta che mi vergognavo ad averla lì davanti – tutti i giorni mi spiegava che non era possibile, io tutti i giorni gli dicevo che se non era in grado lui me ne sarei occupata io personalmente. Con tutto questo abbiamo fatto un tira e molla e dopo quattro mesi abbiamo adesso delle bellissime fontane.
Faccio degli esempi che appaiono banali, ma che la dicono lunga su quello che è il rapporto anche della politica e non solo con la macchina amministrativa, che invece ha delle potenzialità enormi e che soprattutto è veramente il luogo dove cercare le risposte che le persone si aspettano da noi. Anche su questo io credo che bisogna recuperare, perché altrimenti, avrebbero ragione i francesi quando dicono che il bene pubblico è di tutti e invece da noi è di nessuno e siccome è di nessuno possiamo farne o non farne quello che vogliamo. E’ evidente che l’altra metà della pubblica amministrazione deve decidere di interpretare il suo ruolo e il modo migliore per fare politica di un amministratore è quello di interpretare bene il ruolo che gli elettori gli hanno assegnato. Non c’è miglior politica per un sindaco che fare bene il sindaco, non c’è miglior politica per un presidente di Regione che fare il presidente di Regione. Io sto cercando di fare quello, anche perché pensavo che uno dei problemi più importanti che avevo era quello di attaccare l’acqua alle fontane, sto scherzando naturalmente, dopo di che mi accorgo di avere una Regione piena di problemi. Stamattina c’era anche Formigoni all’incontro con il PdL e lui aveva lo stesso mio problema sul patto di stabilità, perché la manovra pone una questione enorme al patto di stabilità, ma visto da una visuale diversa: per Formigoni il problema è che, lo ha detto lui, ha 5 miliardi in cassa e non li può spendere, per me che ho 25 miliardi di debito significa che un peggioramento del patto di stabilità, che inciderebbe sul Lazio di 300 milioni, mi impedirebbe di lasciare anche la quota di patto regionalizzato che quest’anno, attraverso uno strumento di ingegneria finanziaria che ci siamo inventati e che poi è diventato norma nazionale, mi ha consentito di dare come unico elemento di sviluppo al territorio e alle mie imprese.
25 miliardi di debito, che fare? Di quello che stiamo facendo io vado orgogliosa, perché in un anno con due manovre, o meglio una manovra finanziaria e due manovre di assestamento, abbiamo già abbattuto il debito di due miliardi, in un anno. E sono molto orgogliosa del fatto che, leggendo la relazione della Corte dei Conti, c’è scritto che per la prima volta l’Italia, dopo non si sa quanti anni, abbatte finalmente il proprio debito sanitario ed aggiunge “e lo fa quasi esclusivamente in seguito all’azione messa in campo dalla Regione Lazio”.
Allora io penso che la buona amministrazione, lo stato che in qualche modo è presente, anche attraverso livelli istituzionali diversi, se vuole le cose le fa, se vuole ha gli strumenti per rendere la macchina burocratico-amministrativa una macchina che vede i problemi, li affronta, crea delle risposte e trova delle soluzioni. Quindi, rispetto ad un atto che tu metti in campo, c’è la vita delle persone. Cioè quando noi mettiamo in campo il piano di rientro ci occupiamo della salute dei cittadini, perché togliamo ospedali nei quali nessuno vuole più andare, che si chiamano ospedali ma che in realtà ormai sono delle case di cura o degli ospizi. Chiaramente interveniamo in quella che è l’economia e quindi il bilancio dello stato, non soltanto il bilancio della Regione Lazio, e cerchiamo di dare appunto una risposta che vada a premiare anche il territorio. Perché per noi, ad esempio, mettere in campo il piano di rientro ha significato eliminare, in un solo anno, la super addizionale alla quale invece il Lazio era stato sottoposto per il debito sanitario, e quindi abbiamo creato le condizioni per dire ai nostri imprenditori: guardate che nel Lazio potete rimanere, perché sono riuscita ad abbattervi questa aliquota. Poi è chiaro, e concludo perché stiamo facendo troppo tardi, che noi dobbiamo ridisegnare un modello. Oggi noi abbiamo discusso anche delle province. Allora, c’è una discussione tra regioni e province che concordano sul fatto che serve, tra le regioni e i comuni, un livello territoriale intermedio che assuma una forma, che può essere la provincia o un’altra, ma che in qualche modo risponda alle nuove esigenze, anche rispetto al fatto che gli enti inutili, li abbiamo tutti. Perché non pensare ad un ente territoriale intermedio al quale le regioni affidano dei compiti, chiudendo, come sto facendo anche io, tutte quelle società delle quali poi ti accorgi, che oltre al consiglio di amministrazione non c’è più niente? Una volta che hai esaurito il contatto con i componenti del CdA, ti accorgi che non c’è nulla di produttivo, comunque di utile a quello che è il ruolo e la funzione della Regione.
E allora, perché fare queste forzature? Perché noi ci troviamo ormai a tanti, troppi anni dalla nostra Costituzione che era perfetta ma che evidentemente ha bisogno dei correttivi proprio in quello che è l’assetto istituzionale dello Stato. Allora abbiamo chiesto: discutiamo. C’è un tavolo, per altro, perché questo Governo sembra che metta in campo le cose e non ci creda, mette in campo il tavolo per la riforma delle autonomie e poi le propone con decreto. Abbiamo detto, cerchiamo di ragionare perché ormai tanto tempo è passato: è possibile che ci sia la necessità di fare dei correttivi ed è possibile che dalle idee che noi possiamo formulare – che poi richiedono sicuramente passaggi parlamentari molto importanti, alcuni dei quali anche costituzionali – possa venir fuori una forma di Stato che sia in grado oggi di dare risposte diverse a quelli che sono bisogni ed esigenze diverse. Questo è il punto. Io la pubblica amministrazione l’ho vissuta in una lunga fase della mia vita come sindacalista e quindi non ho mai avuto il dubbio che ci fosse e ci sono tanti pubblici dipendenti che credono in quello che fanno ed ho combattuto tanto perché credo che anche l’autorevolezza del dirigente della pubblica amministrazione vada recuperata, perché è evidente che recuperare ruolo, autorevolezza è importante per chi si sente un servitore dello Stato. Oggi la vivo da un’altra posizione, e mi convinco ancora di più che se tu accompagni la tua sfida con tutte le persone che ti sono affianco – io dico sempre in Regione abbiamo tutti un ruolo, sia quello che la mattina appunto si preoccupa di accendere le fontane, sia il presidente che ha il dovere politico di decidere e di scegliere -tutti quanti insieme ci riconosceremo in un progetto comune.
Questo lo dico per il ruolo che faccio ma lo penso più in generale per il nostro Paese. Forse è il momento in cui ciascuno si cominci a preoccupare delle cose che conosce, cominci a dare consigli su materie delle quali è padrone. Io scherzo sempre e dico, quando vado in giro per la mia Regione e non solo, che credo di essere la donna più consigliata del Lazio, perché ovunque entro c’è qualcuno che mi vuole dare un consiglio, alcuni dei quali anche interessanti, altri oggettivamente che lasciano il tempo che trovano.
Però molto spesso, più si sale di interlocutore, più chi ti vuole dare un consiglio molto spesso non ha nemmeno idea di quale è la struttura che tu in questo momento stai cercando di guidare, e questo chiaramente penalizza tutto il sistema Paese. Va benissimo, noi siamo qui, prendiamo critiche, prendiamo tutto quello che viene, però io credo anche che su alcune questioni sia il momento di dare una risposta seria, definitiva, anche per recuperare la credibilità da parte dei nostri cittadini, perché io credo che – ho detto prima che il migliore sindaco, cioè la miglior politica per un sindaco è fare il sindaco e per il presidente di Regione è fare il presidente di Regione – per recuperare credibilità per tutta la politica, si abbia soltanto un’arma: quella di rimettersi sui problemi, quella di rimettersi a persone che capiscono dei problemi e che cercano insieme di dare delle soluzioni e delle risposte che arrivino veramente alle persone. Quindi io direi, per concludere, che la pubblica amministrazione, se fino a qualche tempo, almeno nel Lazio, poteva rappresentare un problema, oggi cerca di dare delle risposte. Concludo con due esempi per far capire come può rispondere la Regione, per esempio in un momento di difficoltà, per far comprendere che sta sui problemi. Noi, dicevo prima, abbiamo inventato il Patto Regionalizzato, che oggi è norma nazionale, lo possono usare tutte le regioni. Se voi guardate i dati del Lazio del 2010, soltanto il Lazio l’ha utilizzato, perché era uno strumento nostro. 120 milioni che altrimenti sarebbero ritornati al Ministero e che invece abbiamo dato sotto forma di investimenti al territorio. Non perché siamo stati più bravi degli altri, ma perché la grande difficoltà dell’affrontare una Regione piena di problemi e così indebitata ci ha portato a mettere intorno ad un tavolo persone che, al di là dell’appartenere o meno alla macchina burocratica, fossero in grado di crearci uno strumento che noi potessimo utilizzare, non qualcosa di campato in aria, qualche idea che magari passa in una riunione piuttosto che in un’altra. L’abbiamo messo in campo, oggi siamo orgogliosi che sia diventato strumento nazionale. Ieri mattina sentivo in televisione un sottosegretario che si lamentava del fatto che una persona non era riuscita a collegarsi con l’Inps. Devo anche dire che ho chiamato il presidente dell’Inps e glielo ho detto, perché mi è sembrato un po’ troppo insistente insomma, per carità magari quell’impiegato per due mesi non ha risposto, però mi sembra un po’ troppo, perché le piccole imprese, soprattutto quelle dell’edilizia, hanno bisogno del Durc per lavorare e siccome non vengono pagate, non possono pagare i contributi previdenziali e non possono avere appalti, perché l’Inps, in assenza del contributo previdenziale, non può rilasciare il Durc. Noi abbiamo sottoscritto un accordo con l’Inps, con il presidente Mastrapasqua, perché certifichiamo i crediti di queste imprese che oggi nel Lazio, anche se non vengono pagate e non possono pagare il contributo previdenziale, avranno il Durc. Queste sono risposte concrete. Anche qui, di fronte alle difficoltà, ci siamo messi seduti e abbiamo cercato di immaginare un sistema e allora quando poi i livelli istituzionali si parlano, si confrontano sulle questioni concrete e lavorano in armonia, le risposte si riescono a trovare. Abbiamo messo in campo tanti fondi di rotazione, sempre per il problema che dicevo prima: non abbiamo soldi, come paghiamo le nostre imprese? E devo dire che anche lì, una delle cose più importanti che ci sono accadute, è che siamo riusciti a non farci declassare il rating, e questo per le imprese costa molto, per il costo del denaro questo ha un peso importante. Ecco, anche su questo, sulla base della credibilità che a livello istituzionale si recupera, siamo riusciti a mettere in campo dei fondi di rotazione non soltanto con la Cassa depositi e prestiti, ma anche con le altre Banche, che hanno deciso di investire nella Regione Lazio. Ecco allora questi sono tre piccoli esempi che volevo fare, per dire, ripeto, che ci possiamo allontanare da questo incontro, per lo meno per quello che mi riguarda, con la coscienza a posto, perché tutto quello che possiamo fare stiamo cercando di farlo, tutte le risposte, anche inventandoci cose innovative, mai immaginate; abbiamo provato e ci siamo riusciti a realizzarle. Quindi credo che per quello che mi riguarda, il Lazio ancora non è a 100, perché è soltanto un anno che stiamo là, ma sta tornando a diventare un sostegno per lo sviluppo del nostro Paese. Grazie.
MONICA POLETTO:
Grazie, abbiamo visto che è pubblico ciò che caratterizza la comunità e il suo bene, ci è stato ricordato che pubblico è ciò che è di tutti, non ciò che non è di nessuno e la pubblica amministrazione è uno strumento che la società civile ha deciso di darsi per concorrere alla positività della vita comune e concorre a questo bene se è se stessa, cioè sussidiaria, cioè efficiente. Ringrazio per questo i nostri ospiti per averci reso testimonianza di questo impegno nel lungo cammino per rendere la Pubblica Amministrazione ciò che deve essere. Grazie. Grazie a tutti, è stato molto interessante.
(Trascrizione non rivista dai relatori)