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LA POLITICA PER CHI, LA POLITICA PER CHE COSA. Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà
La politica per chi, la politica per che cosa. Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà
Partecipano: Marco Donati, Deputato al Parlamento Italiano, PD; Mattia Fantinati, Deputato al Parlamento Italiano, M5S; Antonio Palmieri, Deputato al Parlamento Italiano, FI-PDL; Guglielmo Vaccaro, Deputato al Parlamento Italiano, Gruppo Misto; Raffaello Vignali, Deputato al Parlamento Italiano, AP.
RAFFAELLO VIGNALI:
Buongiorno a tutti. Alla domanda che pone il titolo del Meeting, non può sfuggire nessuno evidentemente, ma soprattutto non può sfuggire la politica, o meglio, chi è impegnato nella politica. Oggi, la politica sembra essere messa sotto accusa, e, nello stesso tempo, sembra avere sempre meno leve che non in passato. Pensate Tsipras, che può gestire regole fatte da altri, ma non può fare le regole. Pensate al fenomeno dell’ISIS, che la Comunità Internazionale stessa fa fatica ad affrontare. Pensate al fenomeno dell’immigrazione, di fronte al quale gli Stati e la politica sembrano incapaci di avere una posizione strutturale di risposta. Pensate alla crisi, della quale non si riescono a trovare le risposte che riescano a porvi fine. Davanti a questo, la domanda legittima è: se la politica non può intervenire su queste cose, a cosa serve la politica? Da questo punto di vista, allora, la politica non può sfuggire alla domanda che pone questo Meeting. Perché la politica stessa, evidentemente, è una grande incompiuta. Anzi chi pensa di avere trovato la politica perfetta di solito fa disastri. Per questo abbiam voluto dare a questo incontro, ormai tradizionale, dell’Intergruppo qui al Meeting, un titolo che tratti delle ragioni profonde del fare politica: “La politica per chi, la politica per cosa?”. Sono domande spesso eluse da chi fa politica. È questo che crea la distanza che tante volte la gente avverte. Crea la distanza tra la politica e il popolo, di cui la politica si dovrebbe occupare. Ma quando chi fa politica non si pone ogni giorno queste domande, inevitabilmente diventa astratto, staccato dalla realtà. Non parte più dalla realtà, diventa cieco, diventa incapace di leggere i bisogni delle persone e delle comunità e si riduce a cavalcare le pulsioni istintive per conquistare un consenso effimero, che è la cosa che sembra più facile e pagare di più al momento. E diventa a volte anche violento, giustifica il proprio essere, unicamente essendo contro. Invece nel titolo, noi avevamo posto un punto che da sempre è alla base dell’Intergruppo per la sussidiarietà: la politica non è contro, è per qualcosa, è per un positivo. Non è contro qualcosa o contro qualcuno, perché compito della politica è costruire e non solo costruire, ma costruire insieme, non avere paura di chi la pensa diversamente. Nell’Intergruppo ci sono parlamentari e senatori che militano in tutti i partiti e in tutti i gruppi politici, lavorando insieme e avendo come senso il bene comune, sulla base del principio di sussidiarietà, che è quel principio per cui si parte dal positivo che c’è. Sussidiarietà significa in termini semplici, valorizzare il positivo che c’è, sostenere il positivo che c’è, perché la politica è vera, quando è esattamente servizio al positivo, al bene che c’è, innanzitutto. Per questo l’Intergruppo va avanti senza clamori da dodici anni. Mentre altri intergruppi sono nati e sono morti, l’Intergruppo sulla sussidiarietà continua a esserci. Torno alla domanda dell’inizio, del titolo. Noi davanti alle sfide che abbiamo davanti possiamo solo ripartire da questa domanda, ripartire dal basso, ripartire da quello che si muove nella società e nel mondo, e di cui abbiamo avuto tantissimi esempi proprio in questi giorni al Meeting. Come ha ricordato pochi giorni fa il Presidente Violante, se non esistono luoghi di relazioni umane, non c’è neanche comunità politica e verrebbe da dire anche viceversa. La politica, per chi la fa, e sono persone, è innanzitutto una questione da uomini e da donne, e parte dal guardarsi negli occhi e dal dirsi perché si fa quello che si fa, perché vale la pena impegnarsi, spendere un pezzo della propria vita per dedicarsi non al proprio interesse, ma al bene di tutti. Facciamo come al solito un breve giro, io l’ho fatta anche troppo lunga, gli interventi saranno brevi come sempre. Vi presento velocemente gli altri amici che sono al tavolo, nell’ordine in cui darò loro la parola: Antonio Palmieri, deputato di Forza Italia, Guglielmo Vaccaro, del gruppo misto, Marco Donati, del Partito Democratico e Mattia Fantinati, del movimento Cinque Stelle. La parola ad Antonio Palmieri.
ANTONIO PALMIERI:
Io ringrazio Raffaello per avere insistito con me per tanti anni perché io partecipassi da questo lato del tavolo all’incontro dell’intergruppo. Ho capito finalmente, pochi istanti fa, perché l’ha fatto, perché come avete potuto sentire, lui ha insistito sul fatto che occorre ripartire dal basso. Essendo io il più basso di questa comitiva, ho capito il perché della sua insistenza ma, al di là di questo, io ho sempre detto di no – sembra che stia citando Renzi ieri, ma non lo sto citando – a partecipare a questo tipo di incontro, perché da tantissimi anni, da più di vent’anni con la MIA famiglia, che è qui in sala E che saluto, noi veniamo al Meeting per il Meeting, non per la politica. Per questa volta ho accettato di fare questo strappo alla regola e di portare la mia testimonianza. Siccome per un dato statistico, io sono il deputato più anziano in questo tavolo, perché sono al Parlamento dal 2001, e ho partecipato alla costituzione dell’Intergruppo, credo che la mia testimonianza debba consistere di due cose. Uno parla di sé e parla di ciò cui è attaccato, di ciò cui è affezionato, a cui fa riferimento, per essere e tentare di essere quello che è. Allora da questo punto di vista, siccome io sono qui perché temporaneamente deputato, temporaneamente perché in democrazia dovrebbe essere tutto temporaneo, allora su questo ruolo, su come può vivere un deputato oggi il proprio ruolo nella situazione che Raffaello ha descritto, io vorrei incentrare il mio intervento. E i punti sono due, ve li dico subito così per il resto dei sette minuti potete riposarvi in attesa dell’intervento degli altri amici. Il primo è una citazione di Roosevelt che, nel 1995, chiudeva la lettera ai miei elettori: “Fate ciò che potete, con ciò che avete, dove siete”. Il secondo punto è questo: la parola potere. Potere in italiano ha questa singolarità, che può essere due cose. Può essere un sostantivo e può essere un verbo. Laddove è usato come verbo, è un verbo di servizio, perché da solo non vive. Il verbo potere ha bisogno di sostenere un altro verbo, come voi tutti ben sapete. Può essere anche un sostantivo e quindi spesso il potere è l’obiettivo di chi fa politica. Io credo che la differenza stia in come intendi, in come intendo io la parola potere. Se la intendo come sostantivo o come verbo. Quindi da Roosevelt o dal potere. Io ho bisogno ancora di due premesse, perché la testimonianza è parlare di sé e di ciò a cui si è affezionati. Nella mia vita, ho sempre avuto domande su di me, sul destino, sul futuro della mia famiglia, dei miei amici, sulla nostra nazione. E tanti anni fa, ho capito una cosa fondamentale: non posso cambiare il mondo, non posso risolvere tutto. Posso però dare un contributo, e allora ho coniato questo piccolo slogan che dice: “Si fa quel che si può”. Si può fare poco, ma quel poco lo si deve fare tutto. Ve lo traduco con una citazione, per gli interisti in sala, di Helenio Herrera, che diceva: “Chi non dà tutto, non dà niente”. Questa è la bussola alla quale io mi attengo, essendo come noto, per chi mi conosce, un uomo molto, molto, molto ambizioso. Ho sempre avuto l’ambizione di fare, di vivere una vita da protagonista. Il titolo del Meeting di qualche anno fa era “O protagonisti o nessuno”. E la mia ambizione consisteva in tre cose: io volevo, per me, un’attività, un lavoro e non una occupazione, volevo una cosa nella quale io dessi e potessi mettere tutto me stesso, qualunque cosa essa fosse, ed è stato così in tutti i lavori che ho svolto nella mia vita, non semplicemente la mera opportunità di portare a casa uno stipendio; volevo fare qualcosa di utile che non fosse utile solo per me e la mia famiglia; e volevo un punto dove cercare di mettere a frutto i miei talenti. Io non volevo fare il deputato. Sono in politica da ventidue anni, a ottobre festeggio i ventidue anni in politica con Forza Italia. Ho potuto assistere, partecipare nel mio piccolo, alla nascita, allo sviluppo del nostro movimento. Io non volevo fare il parlamentare e restare a Milano, dove c’era la mia famiglia, dove c’è la mia famiglia. Per questo ho collezionato questo singolare record di essere “bitrombato”, bocciato due volte alle elezioni, nel ’95, perché presi poche preferenze, e nelle elezioni regionali del 2000, sempre in Lombardia, perché fui messo nel “listino”, nella parte sbagliata. Formigoni prese troppi voti, quindi prese sedici consiglieri invece che otto. Io ero nella parte sbagliata, e a quel punto fu chiaro, e vi dirò adesso perché, che non potevo sottrarmi a questo compito. C’è in sala il mio amico Alessandro, oggi è sant’Alessandro, e gli facciamo gli auguri di buon onomastico, il mio testimone di nozze, e io sono il suo testimone di nozze, con il quale, e con altri amici, nel 1989, nella nostra parrocchia, fondammo un centro culturale che si chiamava e si chiama “Il cortile” e aveva come obiettivo quello di studiare la Dottrina sociale della Chiesa. Fu quello un primo punto che mi convinse a dire di sì, quando arrivò una prima chiamata. Io nel 1993 lavoravo in una azienda televisiva, che non era Rai3, neanche Rai2, neanche Rai1, e il capo del personale di allora mi chiamò e mi disse: “Vuoi andare a parlare con Gianni Pilo?” – che allora era il Direttore generale del marketing delle nostre reti televisive – e così Pilo mi raccontò il progetto, dell’allora Forza Italia (ottobre 1993), di fondare duemila club che dovevano sostenere Mario Segni, candidato premier. In forza di quel cammino che io avevo fatto con i miei amici nella nostra parrocchia, dissi di sì. E come vi ho detto, con quell’intenzione poi di restare, dissi di sì dopo; dissi di sì a non tornare in azienda, a restare a occuparmi delle nostre campagne elettorali nazionali, delle nostra comunicazione e, dal 1995, della nostra presenza sul web. Dissi di sì quando il 16 aprile del 2000, che è il compleanno di papa Benedetto, ma anche il compleanno di mia moglie, Formigoni stravinse le elezioni. Fu chiaro che non potevo sottrarmi a questo destino di chiamata a Roma e pochi giorni dopo, in un incontro di lavoro ad Arcore, il Presidente mi disse: “Non ci sono storie, tu devi venire con me a Roma”. E così fu. Quindi, e termino questa seconda e penultima parte, il mio lavoro politico è andato in queste tre direzioni: la comunicazione politica; l’innovazione digitale, da quando sono in Parlamento; l’attività di deputato in Commissione Cultura, e adesso, che tanti amici ci hanno lasciato, se ne sono andati, comunque hanno fatto scelte differenti, mi tocca anche fare la loro parte sui temi che riguardano i terzi settori, i temi etici. Insomma la sostanza è una sola: io ritengo che non ci sia un modo diverso di fare il parlamentare se non quello che diceva Roosevelt, in un creativo. Viviamo in un’era nella quale, a qualsiasi livello, chi governa schiaccia le assemblee. Il Governo domina sul Parlamento, così come la Giunta regionale e il Presidente regionale dominano sul Consiglio regionale e così per i Comuni. Quindi il nostro ruolo, specie di chi è in maggioranza, è spesso un ruolo molto complicato, perché si riduce sostanzialmente ad assecondare quello che viene fatto dal Governo o, nel caso dell’opposizione, a contrastarlo più o meno con ragionevolezza. Anche da questo punto di vista la questione, secondo me, è sempre la stessa: usare il ruolo in un modo creativo. L’Intergruppo per la sussidiarietà è un punto di creatività, un luogo nel quale persone che hanno provenienze diverse si ritrovano insieme per fare due tipi di lavoro: un lavoro di tipo culturale (per esempio, il 29 settembre, alla Camera, abbiamo organizzato un convegno sulla “crescita felice” e su questo tema ci confronteremo) e un lavoro politico. Ci sono leggi che hanno il nostro marchio. Ne cito un paio: la legge per il 5×1000 ha avuto origine dall’Intergruppo, così come la legge cosiddetta “contro esodo” – il cui padre assoluto è il mio amico Guglielmo Vaccaro, che minacciò persino di incatenarsi, di dimettersi da parlamentare, perché mancavano i decreti attuativi – che è stata recentemente rifinanziata. Ora, da questo punto di vista l’Intergruppo, che non è e non può essere una forza politica perché è evidente che ciascuno di noi lavora e risponde alla comunità politica della quale fa parte, ha un ruolo creativo. E’ un luogo dove tu puoi essere creativo e dove i rapporti diventano amicizia. Mi avvio veramente alla conclusione. Il punto che vi ho detto, citando Roosevelt, “fate ciò che potete con ciò che avete e dove siete”, è la conclusione a cui voglio arrivare con il mio intervento. Le condizioni date non contano; le condizioni di partenza ostili o meno non contano, conta il fatto che tu ti metta nella posizione che il titolo del Meeting di quest’anno richiama. Questo è il mio augurio: che tutti possiamo tornare a casa con ancora voglia di ricominciare a fare bene il bene, perché è l’unica cosa che ciascun potrà fare. Poi certo quando Vignali sarà Presidente del Consiglio e verrà qui al Meeting nell’altra sala, quella accanto, gli chiederemo tutti più cose e l’Intergruppo per la sussidiarietà sarà la squadra del suo Governo. In attesa di questo futuro lieto evento, tutti dobbiamo fare quello che possiamo dove siamo. Io vi ringrazio per l’attenzione. Grazie.
RAFFAELLO VIGNALI:
Guglielmo.
GUGLIELMO VACCARO:
Grazie. Io inizio facendo giustizia di una omissione irresponsabile di Antonio tra le varie cose belle e importanti che ha prodotto l’Intergruppo. Mi riferisco allo Statuto per le imprese in gran parte realizzato Raffaello Vignali. E’ una legge delicatissima, non impegna il bilancio dello Stato, ma disciplina le relazioni che avevano una forte necessità di essere inquadrate così come poi il Parlamento ha fatto grazie all’intuizione di Raffaello. Risolto questo problema diplomatico, racconto invece qualcosa di più personale, perché il titolo ci richiama a questo. Non so se chi ha scelto il tema lo ha fatto in maniera consapevole, ma circolava nelle università italiane un librettino, tra fine degli anni ’80 inizi anni ’90, che anche a me è capitato tra le mani (credo fosse uscito in allegato al Sabato), il cui titolo era: La Politica per chi, per cosa? Conteneva una serie di riflessioni che tanti di noi, all’epoca impegnati nelle università italiane, avevamo fatto sul senso della politica. A differenza di Antonio, quando ho concluso la mia esperienza universitaria, mi sono detto: “Io ho voglia di fare il deputato”. Avevo voglia di arrivare in Parlamento per testimoniare il mio desiderio di impegno e le cose che avevo già imparato facendo politica a livello giovanile. Dopo una lunga parentesi di circa quindici anni, ho risposto di sì a una richiesta di impegno elettorale alla vigilia di una consultazione, quella regionale del 2005, nella mia regione, la Campania, accettando di partecipare a quella corsa elettorale con un rischio pari al 90%. La mia risposta a quelli che mi sconsigliavano di accettare una candidatura in zona cesarini, era: “Perché no? Se la politica la fai, è anche per correre una campagna elettorale, incontrare persone, raccontare la tua visione dell’amministrazione, del mondo”. Io il ricatto dell’esito non lo subisco. Quindi se va, va; se non va, non va. Andò bene, e subito dopo sono entrato in Parlamento. Oggi, sono qui come rappresentante del gruppo misto, l’anno scorso ero seduto al tavolo di un’altra sala come rappresentante del Partito Democratico e ho anche detto a Raffaello: “Ma sai, adesso sono nel gruppo misto, forse non è il caso mettere il Meeting di fronte a questa novità; potrebbe creare qualche perplessità”. Lui che è, insomma, il fratello maggiore di questa esperienza, mi ha detto: “Non esiste proprio. Ci sei stato; vieni. Tornerai ad esserci ogni qual volta potrà avere senso e sia utile”. Devo dire che ho simpatia per questo movimento perché le persone che vi partecipano hanno una libertà di sguardo con la quale giudicano tutto quello che sta accadendo. L’Intergruppo per la sussidiarietà è capace di tutto questo: di tenere insieme l’arco costituzionale, di farci togliere, di tanto in tanto, la maglietta di club di appartenenza e di farci diventare tutti protagonisti di una partita della nazionale, quella dei parlamentari, che su alcune questioni, i talenti, il movimento, lo statuto per le imprese, il 5×1000, giocano per il Paese. Non siamo necessariamente chiamati a litigare solo perché lui è stato eletto in uno schieramento o in un altro. Se stiamo facendo qualcosa di buono, possiamo anche parlare all’unisono e questo vale in tutti i sensi. Se Fantinati dice una cosa sensata, io devo avere la forza, la responsabilità di applaudire e spiegarlo a chi mi ha votato. Questo l’Intergruppo per la sussidiarietà riesce in qualche modo a sdoganarlo con una pratica che è quella di un lavoro che di anno in anno si presenta al Meeting come momento di verifica e in Parlamento con dei seminari. Questa mattina presto, leggendo le cronache dell’incontro di ieri, ho apprezzato, come corrispondenti a me, le affermazioni di Giorgio Vittadini: “In fondo noi non siamo più di centro destra, non possiamo definirci di centro sinistra e rispetto a questa dirigenza attuale del Paese abbiamo una distanza critica”. Ecco, anch’io ho una posizione di distanza critica. Ci sono troppe questioni aperte che non sempre vengono valutate con la capacità di correzione reciproca che noi mettiamo quando siamo insieme nelle nostre riunioni. Ci sono troppe cose che non vanno ed è decisamente vero quello che ha raccontato Antonio: “In fondo non è necessario essere ad un livello alto per fare bene. Si può essere ovunque”. Tant’è che io, alla conclusione di questa legislatura, ho deciso di non ripropormi e non lo ho ancora detto, quindi potrò ricordare, quando sarò più anziano, di averlo accennato qui al Meeting per la prima volta. Penso ci possano essere altre condizioni di impegno nella difficoltà del momento, in una municipalità, in un consiglio comunale, per poter servire ad un livello più vicino la comunità. Ovviamente però, dovendo pensare in piccolo al servizio, ho scelto un grande comune, Roma, che mi sembra un luogo dove ci sia particolarmente bisogno di dare una mano, con un sindaco che, se rimanesse in America anziché tornare, probabilmente aiuterebbe Roma a vivere meglio il suo giubileo. Io credo che ci sia in questa storia dell’Intergruppo quello che il Paese vuole. Il coraggio che hanno avuto Letta, Lupi, Bersani, Alfano, negli anni passati, quella capacità di dialogo che hanno messo nel Paese, oggi è matura. Credo sia patrimonio condiviso del Parlamento e dell’immaginario politico nazionale. Credo che Raffaello, Antonio e i colleghi che si stanno avvicinando, possano dare una mano e aiutare a far diventare questa storia sempre più grande e sempre più robusta, nel momento in cui la bellezza di pensiero e di sguardo del sistema partitico italiano è carico di contraddizioni. C’è tanto da fare, ma soprattutto c’è tanto da inventare. Credo che il panorama politico italiano, nel tempo che verrà, cambierà radicalmente risolvendo queste contraddizioni. Se lo farà, lo farà tutto grazie al lavoro che stanno facendo questi ragazzi del Movimento 5 stelle, perché la loro forza e la loro libertà di sguardo stanno mettendo in discussione, in maniera robusta, radicale ed ineluttabile, la nostra relazione con la democrazia. Grazie e buon lavoro.
RAFFAELLO VIGNALI:
Grazie Guglielmo. Tra l’altro, grazie a Guglielmo, quest’anno abbiamo fatto un’iniziativa molto bella: un viaggio nell’Italia che riparte, per andare a vedere le realtà che nonostante la crisi si impegnano per creare il bene per il proprio territorio, un viaggio che proseguirà anche nei prossimi mesi.
MARCO DONATI:
Ringrazio per questo invito così importante. Anche io quando ho avuto l’occasione di chiedermi se volevo partecipare a questo incontro, ho riflettuto un paio di giorni. Perché comunque inizio una esperienza parlamentare nel 2013, un’esperienza parlamentare breve, in cui i parlamentari di solito, nei primi due anni, si girano un po’ attorno perché è una macchina comunque complessa. Oggi poi la Camera è un po’ una centrifuga, nel senso che il potere legislativo è forse nel momento di maggior debolezza, anche se è quello che è sottoposto alle maggiori sollecitazioni, alle maggiori critiche. Però io credo che ci saranno nei prossimi anni stagioni diverse. Quando mi hanno chiesto di partecipare, ci ho pensato un giorno, poi ho accettato molto volentieri. Gli anni passati, l’iniziativa dell’Intergruppo qui al Meeting era quasi un rendiconto dell’azione svolta dai parlamentari che ne fanno parte. Quest’anno, invece, il titolo dell’incontro fa riferimento ad una sfera più personale, al perché, in qualche modo, si fa politica. Ebbene, il mio impegno nasce come testimonianza, dopo anni di volontariato e di associazionismo sportivo. Questo mi ha mosso all’impegno politico. Negli anni Novanta ho seguito con grande attenzione la rivoluzione del panorama politico italiano. Però ho avuto un ruolo, tra il 2011 e il 2013, particolarmente significativo per me. Ho svolto il ruolo di assessore al Bilancio nel Comune della mia città, il cui capoluogo è Arezzo. Sono stati anni particolarmente difficili; mi hanno lasciato un segno rispetto a tanti argomenti. Sono stati gli anni della crisi finanziaria, la crisi dei debiti sovrani. Il nostro Paese ne è stato attraversato così come gli altri Paesi d’Europa. In qualche modo si sono messe in pratica manovre pesanti, che hanno avuto ripercussioni sui cittadini, sui corpi intermedi, sulla società civile, su tutto il panorama. Da amministratore, ho vissuto questa stagione in maniera particolare. Erano gli anni dei vincoli sui bilanci dei Comuni, del taglio dei trasferimenti, del cosiddetto “patto di stabilità”, che è un meccanismo infernale, che contrappone gli impegni di spesa corrente, misurati per competenza, e la cassa in conto capitale. Ad un certo punto, soprattutto i Comuni che avevano un bilancio un po’ strutturato e che si sono ritrovati nella difficoltà a vedersi ridotte le risorse, ad avere vincoli importanti sul proprio bilancio, hanno dovuto fare una serie di scelte. Hanno esternalizzato, non hanno più fatto assunzioni. In alcuni casi il “patto di stabilità” ha fatto sì che si sospendessero i pagamenti verso le aziende che avevano lavorato per le amministrazioni. Insomma, la società civile, le imprese, i corpi sociali, il terzo settore, in quel momento hanno fatto, come tutti i cittadini, da stampella allo stato. È stato un passaggio molto delicato che mi ha fatto vedere la sussidiarietà da un altro punto di vista. Quando quindi ho interrotto, dopo due anni, precocemente il ruolo di assessore, perché era iniziata una stagione particolare nella mia formazione politica, dentro al Partito Democratico, quella che fa capo all’attuale Presidente del Consiglio, è diventato quasi un passaggio naturale candidarmi prima alle primarie e poi essere eletto al Parlamento, grazie a quella consultazione interna al Partito Democratico. Devo dire che la mia adesione all’Intergruppo, oltre che chiaramente alla sfera personale, è stata influenzata anche dalla volontà di restituire tutto quello che in quegli anni è stato sottratto alla società civile. È il momento di restituire. Secondo me ieri, in parte, il Presidente del Consiglio lo ha detto: ci sono dei provvedimenti che vanno in questa direzione. È arrivato il momento che lo Stato torni a svolgere un ruolo differente, perché in qualche momento aveva abdicato. Quindi credo che l’azione dell’Intergruppo sulla sussidiarietà svolga un ruolo fondamentale, perché riesce a tenere insieme soggetti contrapposti, non solo di partiti ma anche di schieramenti differenti, con un obiettivo, quello del bene comune, della sussidiarietà. E’ vero anche che in qualche modo la sussidiarietà sta attraversando provvedimenti recenti che il Parlamento ha approvato, come la riforma del terzo settore che ieri il Presidente ha rilanciato. Su questo credo che si debba lavorare. Il mio impegno oggi si concentra sulla reazione a quei due anni per me faticosi, di giovane assessore al bilancio, che si è trovato a fare delle scelte, a gestire le risorse dei cittadini, risorse che negli anni il bilancio dello Stato aveva gestito con maggiore leggerezza. Quindi è stata una esperienza significativa che ha condizionato quelli che sono stati i primi due anni in Parlamento. Nella mia formazione, i principi della dottrina sociale della Chiesa, in particolare la sussidiarietà, sono stati importanti. Credo che oggi, invece, sia necessario andare in una direzione differente: oramai il bene comune si raggiunge con due pilastri, da una parte lo Stato, e dall’altra, orizzontalmente, la società civile e tutti i corpi intermedi. Da questo punto di vista c’è una forza biunivoca che li deve mettere assieme. La mia azione da parlamentare sarà rivolta, ovviamente, oltre al consueto lavoro nella Commissione Attività Produttive, anche nel cercare di rafforzare un’azione del Governo in questa direzione che, secondo me, è particolarmente importante. Viviamo momenti particolarmente difficili. Raffaello nella sua introduzione diceva che oggi siamo particolarmente condizionati da decisioni che vengono prese altrove. È un momento quindi di particolare importanza, ma è anche la fase in cui la politica italiana deve riappropriarsi del proprio ruolo: sta alla politica italiana in questo momento appropriarsi di una credibilità e tornare a svolgere un ruolo differente, che consenta di non avere più imposizioni ma l’autorevolezza per poter prendere decisioni sul proprio futuro. Il lavoro in questo senso dell’Intergruppo è fondamentale, perché bisogna fare politica per e non contro, e questo è un sentimento che ci deve muovere, perché quello che sta accadendo alle nostre frontiere, ma anche nel nostro Paese, ci induce ad una riflessione troppo importante. Si sta aprendo una stagione nuova e credo che, da questo punto di vista, l’impegno personale e quello che la mia formazione precedente mi ha insegnato, mi consentano di avere la responsabilità necessaria in una fase così complicata. Per fortuna in questo percorso non si è soli. Ci sono amici, compagni di viaggio, con cui potersi confrontare, anche quando si hanno visioni differenti. Due episodi sono stati particolarmente significativi. L’emozione più grande è stata quando sono stato eletto Consigliere comunale, forse la stessa sensazione l’ho provata quando abbiamo eletto il Presidente della Repubblica. Ecco, l’agire politico inteso come voglia di restituire a un soggetto, alla comunità ciò che la crisi le ha tolto. È chiaro che serve anche costruire uno Stato più autorevole, che sia un interlocutore affidabile. In questo senso è chiaro che dobbiamo agire per migliorare i tempi del nostro Paese, perché i tempi della burocrazia si devono allineare anche con i tempi della vita delle persone. Per troppo tempo queste due cose sono state due rette parallele, non si sono di fatto incrociate. In questo senso il Parlamento recentemente ha varato provvedimenti significativi, quello sulla riforma legge delega e sulla Pubblica Amministrazione. Tutto è migliorabile, però è chiaro che in questi due anni, sia l’esperienza del Presidente Letta che quella del Presidente Renzi, sono state attraversate da un principio di fondo che ci può portare verso una strada diversa. Vorrei finire con una frase del professor Coletti, dell’Università di Bologna, un sociologo, che proprio rispetto alla sussidiarietà mi diceva: “Non solo non segnala più una contrapposizione, ma non indica più né una gerarchia di posizioni né una specifica differenza di funzioni, al punto che sarebbe difficile stabilire con chiarezza quale dei due soggetti sia sussidiario all’altro”. Quindi lo Stato è nello stesso piano quasi dei soggetti, dei corpi intermedi; lo Stato deve sostenere quello che, per errori della classe dirigente e anche per una netta contrapposizione che spesso non ha portato vantaggi, si è tradotto in mancate scelte. È il momento delle scelte ed è il momento dell’impegno. Grazie!
RAFFAELLO VIGNALI:
Grazie Marco. Il problema è che per far politica bisogna guardare l’altro all’altezza degli occhi. Questa è la questione, perché la politica è un’attività umana. Mattia vuole andare al podio.
MATTIA FANTINATI:
Vi ringrazio davvero per l’invito di oggi. Non sono qui per prendere applausi o per cercare consensi. Politica per chi, politica per cosa? Per il Movimento 5 stelle la politica è partecipazione e coinvolgimento dal basso. Ed è fatta proprio per essere la cassa di risonanza dei più deboli e non delle prepotenti lobby. Non è un caso che il Movimento 5 stelle sia nato il 4 ottobre, il giorno di San Francesco e non è un caso la marcia di qualche mese fa ad Assisi e Perugia per promuovere il reddito di cittadinanza, uno stipendio minimo per 10 milioni di italiani che vivono ancora al di sotto della soglia di povertà. Non è un sussidio, non è una forma di assistenzialismo ma è uno strumento per creare occupazione, per restituire la dignità a chi il lavoro è stato tolto oppure a chi l’ha perso. Allo stesso modo abbiamo creato un fondo di 10 milioni di euro, tagliando i nostri stipendi, per aiutare le aziende in difficoltà e prossimamente lo faremo anche per aiutare le famiglie in difficoltà. Gli italiani non vogliono i finanziamenti ai partiti, quei soldi basta non prenderli, senza aspettare le leggi, senza aspettare lungaggini burocratiche. Noi non abbiamo percepito 42 milioni di euro di rimborsi elettorali. Tanti in campagna elettorale avevano detto che noi, appena arrivati in Parlamento, non lo avremmo fatto, invece l’abbiamo fatto. Noi siamo coerenti. Lo siamo perché ci crediamo. Ci riusciamo senza scendere a patti con corrotti, senza stringere alleanze anomale, senza intascarci soldi extra. Fare politica dal basso significa fare la politica al servizio del cittadino, anche a costo di perdere i consensi o andare contro i grandi interessi di pochi. Nei Comuni dove governiamo, i sindaci fanno scegliere dove destinare parte delle risorse pubbliche ai cittadini e non agli elettori e, permettetemi, la differenza è sostanziale. La nostra politica è realizzabile solo da chi è veramente libero, libero da interessi, voti, voglia di potere e di finanziamenti ed è per questo che il Movimento 5 stelle non crede ai politici che passano allegramente da posti come banche, enti, fondazioni, casse e quant’altro. I partiti tradizionali non potranno mai fare gli interessi dei cittadini, perché saranno sempre prigionieri di sistemi di consensi e di potere da cui non sanno o non vogliono slegarsi. Nessuno di noi è un politico di professione e nessuno di noi resterà in politica tanto a lungo da diventarlo. Io da ingegnere ho lasciato il lavoro per mettermi al servizio dei cittadini. Molti di voi sono entrati in politica per migliorare il proprio lavoro. Essere del Movimento 5 stelle significa essere coerente, trasparente, libero ed onesto. Onestà e verità, al di là di scelte scomode e compromessi con il potere. È proprio oggi, io sono qui, onestamente, per denunciare come Comunione e Liberazione, la più potente delle lobby italiane, abbia trasformato l’esperienza spirituale e morale in un paravento di interessi personali, finalizzati sempre e comunque a denaro e potere. Non ho ancora finito, mi avete chiesto di venire, sono qua per dire la verità. La politica deve essere laica, perché deve fare il bene comune. Non esiste una politica cristiana, ma esiste un cristiano che fa politica. Il Movimento 5 stelle si indigna. Il Movimento 5 stelle si indigna che si possano strumentalizzare in questo modo tanta brava gente e credenti cattolici. Negli anni avete generato un potere politico capace di influenzare sanità, scuole private cattoliche, università, appalti, sempre dalla parte dei potenti, sempre dalla parte di chi comanda e sempre in nome di Dio. Ed è il Vangelo di Luca che dice che non potete servire Dio e il denaro. Avete applaudito per anni il prescritto per associazione mafiosa, pace all’anima sua, Giulio Andreotti, non credo perché andasse in chiesa ogni mattina, ma perché egli rappresentava una visione politica assolutamente in linea con la vostra: l’inciucio a tutti i costi, sempre e comunque, pur di allargare la propria cerchia di amici o di alleati che un giorno gli sarebbero potuti tornare utili. Dopo il Giulio nazionale avete osannato il suo rampollo Silvio, anche lui condannato per frode fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita, per non parlare del suo entourage e della vita, non proprio secondo i valori cattolici, che faceva a palazzo Grazioli e nelle sue ville in Sardegna. Sulla scia di Berlusconi avete steso tappeti rossi per il “Celeste”, non credo per il colore delle giacche, Formigoni. Finito sotto processo per corruzione e per tangenti multimilionarie sulla sanità lombarda, pagate a suon di vacanze da lobbisti senza scrupoli, si ritrova ora indagato con l’accusa di aver distribuito appalti a destra e a manca agli amici della casta, che forse si potrebbe più giustamente chiamare cosca. Caduto in disgrazia Formigoni, vi siete girati verso il Governo dell’inciucio, prima Letta poi Renzi, uguali perché sostenuti dalla stessa maggioranza, la vostra vera vittoria elettorale con due Ministri, il Ministro Mauro, Ministro della guerra e il Ministro Lupi, quello della cementificazione. Dal primo la spinta degli armamenti a Finmeccanica era garantita e Finmeccanica è uno dei vostri sponsor, lo ringrazio. Dal secondo avete la certezza dello sblocco degli appalti per gli associati di Compagnia delle Opere, il vostro braccio armato, composto da 35.000 aziende e professionisti, per un giro d’affari di 70 miliardi di euro. Ora, che avete perso anche questi due Ministri, Matteo Renzi, accortosi che i boyscout sono troppo giovani per votare e che non ha più il consenso che aveva l’anno scorso, viene qui a ricevere la vostra benedizione, baciando pantofole ed anelli di presidenti imbonitori e venditori di speranze, quelle che ormai sono state disattese tanto da portare il 51% degli italiani a non fidarsi più della politica. Ma questi nomi non sono altro che la punta dell’iceberg, esiste anche un sottobosco di persone di Comunione e Liberazione che di cattolico non hanno nulla, tanto meno di senso civico. Non sorprende più come tra voi si possa trovare don Mauro Inzoli, detto don Mercedes, per il suo stile di vita non proprio francescano e una passione per i minorenni, oppure come il vostro nome possa finire legato agli scandali di mafia capitale, tramite la cooperativa bianca la Cascina. Siete l’immagine di una chiesa privata, che ogni anno, forte del suo bacino di voti, si trova qui a parlare di valori cristiani e dell’amicizia ma ne esce rinnovata negli affari e lo dimostrano anche i vostri sponsor che rimangono sempre gli stessi ogni anno: big privati, Regioni, partecipate dello Stato, grossi concessionari e le imprese della galassia di Compagnia delle Opere. Ne cito alcuni: Finmeccanica, l’azienda dell’ex-Presidente Orsi vicino a C.L., arrestato; Intesa San Paolo, una delle banche più aiutate dal decreto IMU Banca Italia, una banca che ama la guerra investendo milioni in armi; ENI che costruisce da anni, sulla corruzione internazionale, la politica estera di tutti i Governi che si sono succeduti, di destra di sinistra e di centro; Nestlé, una multinazionale che ha causato disastri, drammi sociali in tutto il mondo, dall’infrazione legata alla commercializzazione del latte materno al cibo contaminato venduto in Venezuela, all’uso non dichiarato di prodotti transgenici, fino alle denunce per schiavitù e mano d’opera minorile; Lottomatica, che, in un Paese dove la malattia del gioco d’azzardo è considerata una delle patologie emergenti a causa della crisi, ringrazia per i condoni fiscali dati da questo Governo. Per noi, Signori, la politica è un’altra cosa, un politico deve essere onesto e deve aver il coraggio di dire la verità, il coraggio di dire sì, il coraggio di dire no, indipendentemente da quali siano i propri tornaconti personali. Ho iniziato a fare politica perché ho capito che fino a quando ci sono sistemi come il vostro, i nostri veri talenti guadagneranno il decimo di una velina o un centesimo di un calciatore, se non si ammanicheranno con le persone giuste. Io, Signori, non ci sto. Sono venuto qui, in un terreno scomodo per me, a dirvele le cose e a farvi qualche domanda. Cosa è Comunione e Liberazione, cosa rappresenta per la politica italiana, perché ogni anno Ministri, Presidente del Consiglio sentono la necessita di chiedere la benedizione, venendo in pellegrinaggio a Rimini, come i re facevano con i Papi? Quando la chiesa caccerà i mercanti dal tempio? Movimento 5 stelle non ha bisogno di benedizioni ma solo di risposte. Grazie.
RAFFAELLO VIGNALI:
Vedi, Mattia, la prova che C.L., non è quello che dici tu, leggendo il tuo intervento, è proprio nel fatto che il Meeting non ha paura di invitare chiunque, chiunque diverso da sé, anche chi è contro. Se tu fossi stato qui con noi, con la gente in questi giorni, avresti visto e ascoltato persone che vengono da tutte le parti del mondo, persone di religioni diverse, un moderatore che quando un relatore ha detto che l’Islam è tutto uguale gli ha detto “non è vero perché io ho degli amici”. Avresti visto persone di culture diverse, di culture politiche diverse. Cito solo un episodio che mi è capitato qualche anno fa, quando prima di fare il parlamentare andai ad invitare il direttore di El Mundo a venire a fare un dibattito al Meeting sul giornalismo in tempi di guerra, lui e il direttore di Al-Jazira. Quando gli dissi cosa è il Meeting e che ero di C.L., “ah C.L. – mi dice – movimento integralista reazionario di estrema destra”. Poi andammo a cena parlammo di tutto, del più e del meno. Alla fine gli dissi “ma vieni o no?” E lui: “Guarda, C.L., movimento reazionario integralista di estrema destra cattolico che invita il direttore di El Mundo, sono due fatti che insieme non stanno perché sono contradditori. Però il secondo, cioè che invita il diretto di El Mundo è un fatto e che sia un movimento integralista di estrema destra è un’opinione, quindi vengo al Meeting. Allora, io veramente ti invito, da amico, a fare un giro, adesso, nei padiglioni del Meeting, a vedere le mostre, a guardare i volontari, magari chiedergli da dove vengono, cosa fanno. Troverai disoccupati che sono qui in tenda a fare i volontari, 2000 volontari senza i quali il Meeting non ci sarebbe e non sono stipendiati con stipendi d’oro. Così potrai giudicare, come cerchiamo di fare noi e come ci hanno educati, a partire dalla realtà e non dalle opinioni. Così potrai verificare se le opinioni del tuo Movimento, visto che ce le hai riportate, corrispondono alla realtà che vedi. Volevo dire anche due cose sul tema del Meeting, perché questo resta il punto. La politica per che cosa? Si può fare politica soltanto se si amano le persone, se si ha a cuore veramente il bene delle persone e quindi il bene comune. Ed è per questo, Mattia, che invece di pensare di avere la patente di purezza, sapendo che siamo limitati, qua non c’è paura a dialogare, non c’è paura ad ascoltare l’altro, perché magari l’altro ha da dire una cosa che tu non avevi tenuto presente, che è più utile al bene di tutti. Chi ha a cuore il bene comune non ha paura di dialogare. E’ chi pensa di aver la verità in tasca da imporre agli altri che ha paura di dialogare. Le prossime iniziative che abbiamo in mente le potete vedere sul sito www.italiariparte.com. Chiudo ricordando che è stato annunciato oggi il titolo del prossimo Meeting: “Tu sei un bene per me”. Se iniziamo a guardarci così, probabilmente cambia l’umanità, cambia la società, cambia anche la politica.