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LA POLIS AL CENTRO DELLA POLITICA. Workshop con sindaci italiani
Partecipano: Matteo Biffoni, Sindaco di Prato; Luigi Brugnaro, Sindaco di Venezia; Andrea Gnassi, Sindaco di Rimini; Giorgio Gori, Sindaco di Bergamo; Dario Nardella, Sindaco di Firenze; Francesco Nelli, Sindaco di Cittareale; Matteo Ricci, Sindaco di Pesaro. Introduce Giorgio Giovannetti, Giornalista Parlamentare.
La polis al centro della politica. Workshop con sindaci italiani
GIORGIO GIOVANNETTI:
Buongiorno a tutti e inizia così il nostro incontro sulla polis al centro della politica; si è molto discusso sull’argomento a cui dedicare l’incontro di oggi, che nasce dall’intuizione e dalla proposta di Dario Nardella, sindaco di Firenze. Nessun dubbio sul punto di vista, il punto di partenza, che è quello locale, territoriale appunto della polis, che è la riconferma che è l’unica, una delle poche punti di certezza in un’epoca così difficile da classificare, dove si discute delle dimensioni della politica, delle istituzioni. Ieri pomeriggio, per chi ha avuto la fortuna di esserci, ad un interessantissimo convegno in qualche modo dedicato allo spirito di quello lapiriano in cui si è detto che il sindaco, citando La Pira appunto, è la persona che deve in qualche modo a “cambiare le lampadine”, ma allo stesso tempo deve pensare al problema della pace nel mondo. Con un sintesi diversa Nardella ha detto il sindaco non deve essere solo un buon amministratore di condominio, deve avere la capacità e la forza di poter guardare oltre, di andare avanti. E qui viene fuori il discorso della polis in un momento di crisi della politica è la dimensione cittadina che può essere un modo per fronte in modo diverso alcune delle tematiche di fondo, cioè don Giussani che scrisse molti anni fa: “è la comunità, è il municipio che per necessità, è il luogo dove per necessità, è dove una comunità cristiana autentica vive costantemente il rapporto con il resto degli altri uomini di cui condivide totalmente i bisogni e insieme ai quali sente i problemi”. Questa dunque la dimensione della polis, la dimensione comunale: l’Italia, lo sappiamo tutti, è un paese complesso, policentrico, articolato, anche morfologicamente è un paese molto lungo, è la nazione delle 100 città e degli 8047 comuni. Solo in Germania e in Europa, la struttura economica sociale, economica e culturale è simile alla nostra. Qualche numero, qualche dato può essere utile per capire l’ambito di cui poi andremo a discutere. In Francia il 18% della popolazione e il 30% del PIL si concentra attorno a Parigi. Nel Regno Unito, Londra presenta il 13% della popolazione e il 22% del PIL. E dati simili sono per Madrid e Barcellona, rispetto alla Spagna, e Amsterdam e Rotterdam per l’Olanda. In Italia Roma e Milano, messe insieme, valgono solo il 12% della popolazione e il 19% del PIL. Non basta, i nostri 8047 comuni sono realtà, identità e lo sappiamo tutti perché ognuno viene da un comune e conosce il proprio comune, e forse quello limitrofo e quello vicino, hanno realtà culturali specifiche, la maggior parte dei quali sono piccoli o medi. Solo 966 comuni italiani sugli 8000, cioè il 12% dei comuni italiani, hanno più di 500.000 abitanti. La maggior parte dei comuni italiani ha tra 30 e 100.000 abitanti quindi una realtà frammentata e diversificata. Questa struttura rende ancora più difficile affrontare le sfide della rivoluzione economica e della rivoluzione tecnologica, impone a ogni livello di governo. Ai problemi complicati è sciocco, lo sappiamo, rispondere con risposte semplici e immediate. C’è una questione di fondo però che sottende a tutte, ed è quella spesso dimenticata o a cui uno ci passa sopra ed è quella demografica. E su questa riflessione, alla fine abbiamo deciso di dedicare l’incontro di oggi: la dimensione demografica. Anche qui non servono tanti discorsi, bastano i numeri per capirci. Il tasso di fecondità dell’Italia è dell’1,35, il più basso d’Europa. Nella struttura della popolazione gli anziani sono il 22% e i minori solo il 16,5%; la generazione tra i 20 e i 34 anni pesa solo il 16,4% la percentuale più bassa d’Europa. In dati assoluti oggi in Italia ci sono 11 milioni di cittadini: Nel 1995 erano 15 milioni; considerando il saldo naturale, cioè il rapporto tra nati e morti in termini assoluti l’Italia perde ogni anno 140 mila cittadini che equivalgono ad una città più o meno come Bergamo o come Pescara, che sparisce ogni anno. A questi dati se ne aggiungo altri due: il primo è quello degli italiani che si traferiscono all’estero, nel 2015 dati ufficiali si sono ufficialmente traferite all’estero, non spostati, 102.000 cittadini, con un incremento del 200% rispetto a 4 anni fa. Il secondo dato è che a Roma, Milano e Torino, i giovani tra i 18 e i 34 anni che abitano con i genitori è pari al 92,6% della popolazione. Considerando stabili queste tendenze, e qui finisco con i numeri, nel 2030, dicono i demografi, tutti in maniera concorde, in Italia ci saranno 61 milioni e 600 mila abitanti, cioè l’1,5% in più di oggi, ma questo incremento è dato da una diminuzione degli italiani del 5.6%, mentre aumenteranno le presenze degli stranieri dell’81,1%. Insomma tra 10 anni l’Italia che abbiamo vissuto e che viviamo ancora oggi, l’immagine di quell’Italia non sarà più quella di oggi. Secondo il Censis, nell’ultimo rapporto, si parla di un paese senza futuro, ma è possibile quelle tendenze sono davvero quelle che ci aspettano come Italia? E allora la riflessione torna alle polis, alle città: Che cosa possono fare i comuni, le diverse amministrazioni locali per dare un passo diverso, per cambiare questa che sembra una tendenza oramai scritta, o quanto meno scritta nelle previsioni dei demografi. Ed è l’oggetto dell’incontro di oggi: sette esperienze diverse, sette comuni, (poi ve li presenterò) con consistenza storie, dislocazione territoriale diverse, sette esperienze diverse, sette storie diverse, dalle quali può uscire una proposta che può essere comune o delle proposte che possono diventare un modello per gli altri. Iniziamo da Firenze, Firenze non solo perché Dario Nardella ha dato questo la al meeting e a tutti noi per riflettere, Firenze, ve la presento, 380.000 abitanti, ottavo comune in Italia per popolazione, il primo nella Toscana. Età media dei residenti 46,5 anni, secondo le statistiche ufficiali gli stranieri sono 60.000 pari al 15,63% della popolazione residente. L’area metropolitana di Firenze, una delle più integrate di Italia, comprende Firenze, Prato, Pistoia, raccoglie circa un milione e mezzo di abitanti. Nella classifica che il Sole 24 ore stila ogni anno sulla qualità della vita delle città Firenze è al sesto posto. Sindaco Dario Nardella, 42 anni, docente universitario ma anche violinista, è un ex parlamentare del PD ed è in carica dal 2014. Sindaco Nardella, allora, un po’ su questa idea, soprattutto raccontiamo Firenze dal punto di vista demografico.
DARIO NARDELLA:
grazie, buongiorno a tutti, vorrei innanzitutto ringraziare gli organizzatori del Meeting e i colleghi sindaci che sono qui, che hanno accolto questa idea. Il ringraziamento nasce dal fatto che da qualche anno il Meeting di Rimini ha acceso i riflettori sulle città, sui sindaci: trovo che sia molto utile questo lavoro che non è occasionale e che si sviluppa sia con un orizzonte internazionale, ieri con Andrea Simoncini, qualcuno di voi avrà seguito il bel confronto con il sindaco di Tunisi, ma anche sul fronte nazionale, perché tutto sommato ritorna quel messaggio del mio predecessore il sindaco La Pira, che i regni passano, le città restano. In qualche modo le città sono dei laboratori di umanità e anche dei laboratori di progresso, di sperimentazione. Tutto sommato le città, se ci pensate, sono i luoghi dove i nodi vengono al pettine, i grandi nodi, i grandi problemi trovano la loro espressione, ma sono anche luoghi dove si trovano le soluzioni, dove le comunità, le amministrazioni sperimentano modelli che possono essere anche molto innovativi. Io rifletto spesso sulle grandi sfide che abbiamo noi, pensiamo al cambiamento climatico. Ecco non c’è nessun trattato, nessun convenzione internazionale che possa aver successo se non trova poi un’applicazione nel governo delle città, piccole o grandi che siano. Anzitutto quelle grandi, gli stili di vita, il sistema della mobilità, le fonti alternative energetiche. Pensiamo anche alle questioni sociali, il welfare, tutto ciò che è legato alla spesa per la sostenibilità: anche qui parliamo di anziani, di giovani, parliamo di politiche abitative, sono tutti argomenti che trovano una concretezza, trovano una soluzione nella vita delle grandi città. Pensiamo, tema attualissimo, all’immigrazione, alla questione delle convivenza; sono anche questi argomenti che anche questi si scaricano tutti sulla vita delle città. Eppure credo di dire una cosa sulla quale nessuno di voi possa essere in disaccordo, ma spesso i governi nazionali e anche i governi sovra nazionali non prestano la stessa attenzione alle città. Ieri ho fatto, mi sono posto una domanda: come è possibile che due anni fa sul tema del cambiamento climatico papa Francesco chiama 70 sindaci da tutto il mondo per discutere l’enciclica “Laudato sì”, non chiama ministri dell’ambiente, non chiama capi di stato di governo; l’anno scorso sul tema dei rifugiati ugualmente il papa chiama a discutere i sindaci in quanto rappresentanti delle comunità. Perché il presidente della commissione europea, il segretario generale delle nazioni unite, perché non fanno la stessa cosa? Perché non si riesce a comprendere quanto solo un accordo vero, un patto con le città, con le comunità locali, con i territori possa essere la strada giusta per dare soluzione alle grandi sfide? E ringrazio anche i sindaci e il nostro coordinatore perché, per il tentativo che abbiamo fatto di essere un po’ in sintonia con il titolo di questo Meeting, cioè l’eredità dei padri. Cosa facciamo dell’eredità dei padri? Qual è il compito che sentiamo su di noi? Quando parliamo di eredità, di padri, quindi di generazioni, viene prepotentemente al centro la questione della natalità, della demografia. Se penso alla mia città, penso ad una città in cui si vive bene, non posso dire diversamente. Si mangia anche bene, abbiamo un tasso di mortalità infantile che è un settimo di quello di New York ed è la metà di quello di Stoccolma, però abbiamo gli ultrasessansantacinquenni che sono il doppio degli under 14 ed è la città più anziana della regione, la Toscana, del paese l’Italia, più anziana del mondo insieme al Giappone. Non credo debba essere vissuto come un problema la questione degli anziani, ma non c’è dubbio che il risvolto di un gap, di un differenziale generazionale così grande è un risvolto impressionante dal punto di vista dei costi, e dal punto di vista anche di sostenibilità, come diceva anche il nostro coordinatore anche da un punto di vista di capacità di guardare e di costruire il futuro. Credo che sia questa la vera sfida di tutta l’Italia, anche il tema dell’immigrazione, lo accennava prima Giovannetti: ma come possiamo essere tranquilli, sereni, come possiamo tracciare una strada certa nell’affrontare la questione dell’immigrazione se non abbiamo noi innanzitutto una strategia chiara sulla natalità, e su come oggi giovani coppie possano trovare luoghi strumenti, condizioni ideali per poter costruire delle famiglie? Diventa tutto sballato, finiamo per affrontare da una prospettiva completamente scorretta o comunque limitata questioni che viviamo come un’emergenza addosso a noi come proprio ad esempio l’immigrazione. E chiaro che ogni sindaco comincia a porsi il problema per la propria città, e vado a chiudere. Noi abbiamo sperimentato e stiamo sperimentato i così detti condomini solidali, luoghi dove le politiche di social housing chiamano insieme giovani e anziani. Abbiamo realizzato il primo nido attaccato ad un centro anziani sperimentando delle cose straordinarie, cioè quanta tenerezza e quanto vitalità si crea nel dialogo tra un nonno e un nipotino. E quanta energia possono dare le nuove generazioni. Stiamo cercando di mettere in campo, non senza fatica, delle politiche abitative che favoriscano il ritorno di giovani coppie in una città come Firenze che anche in virtù del turismo ha un mercato immobiliare spesso proibitivo, e ovviamente facciamo grandi sforzi per mantenere ad esempio la gratuità di certi servizi come le scuole materne. Abbiamo rinunciato ad altre cose ma abbiamo detto no, per noi le scuole materne comunali devono essere gratuite, non si paga una tassa di iscrizione, non si paga una retta perché qui c’è una scelta e deve essere una scelta chiara. Tuttavia però c’è qualcosa di più ed è qualcosa che riguarda tutto il paese, per questo credo che solo se c’è un accordo, una sintonia tra gli amministratori delle varie città, piccole medie grandi e il paese su una direzione che vogliamo prendere, che deve portare a cambiare quel numero, 1,34 bambini per donna, significa che noi non abbiamo un futuro. E non è solo, è sicuramente anche un punto economico organizzativo normativo perché abbiamo ancora un sistema che non sostiene la donna come lavoratrice, come moglie, come madre, ma c’è probabilmente, qui faccio una domanda ai miei colleghi, a voi, c’è anche una questione culturale, sociale di un paese che ha smesso di sperare, che ha smesso di aver fiducia, che ha smesso di guardare proprio a quel tema dell’eredità. Se tu oggi ricevi un’eredità, il tuo primo obiettivo è come tu questa eredità la passi alle nuove generazioni e questa eredità la devi passare alle nuove generazioni, più bella più importante, più ricca. Ecco io credo alla fine che molte delle questioni, il welfare, la spesa sociale, l’immigrazione, le politiche urbanistiche, l’integrazione tra periferie e centri, il lavoro, siano legate al punto al cuore che è appunto il delta, il gap generazionale. Ultima cosa, se vogliamo vedere l’Italia non basta interrogare uno statistico tra vent’ anni, basta andare nei nostri nidi e nelle nostre scuole materne, dove già ci rendiamo conto di quanto sia reale la dimensione degli stranieri nelle nostre città. Per questo, però, dobbiamo aver chiaro che o governiamo questi processi o finiamo per subirli e quando li subiamo nascono gli estremismi, nasce l’odio, nasce l’indifferenza, nasce lo scontro, l’incomprensione. Non possiamo permetterlo perché un grande paese come il nostro deve essere capace di costruire un futuro e di coltivare l’orgoglio di un progetto di vita, come abbiamo detto noi, anche di politica generativa. Credo che sia questo, il cuore del nostro confronto, grazie.
GIORGIO GIOVANNETTI:
Grazie al sindaco Nardella per la presentazione dello scenario e il racconto di Firenze. Adesso facciamo un giro di tavolo molto rapido, avete cinque minuti a testa, per presentare ciascuno la vostra realtà, come dire, dal punto di vista demografico, e poi ci torneremo con un secondo giro per raccontare se avete avuto, se state realizzando o avete dei progetti per affrontare in maniera positiva questo problema. Inizierei con il sindaco di Pesaro, vi presento la città che serve per avere e anche per velocizzare i tempi: 95.000 abitanti, capoluogo con Urbino, seconda città delle Marche al 51 esimo posto per la popolazione in Italia, gli stranieri ufficiali sono 7500 pari al 7,8 della popolazione. L’età media della città di Pesaro è 44,9 anni, nella classifica de Il Sole 24 ore come qualità di vita è al 43 posto, il sindaco si chiama Matteo Ricci, 43 anni, PD, eletto nel 2014 e anche vicepresidente dell’ANCI, con delega alle riforme. A lei sindaco.
MATTEO RICCI:
Grazie, buongiorno a tutti e veramente grazie per questo invito e questo momento di confronto tra sindaci, ovviamente con gli interlocutori che sono qua con noi. Sicuramente fare il sindaco significa quotidianamente mettere insieme la realtà con la narrazione, ognuno di noi è stato eletto avendo in mente una visione di città che però quotidianamente deve verificare se quella visione corrisponde ai passi che la città sta facendo. E da un elemento di concretezza di governo che , a mio parere, è molto utile al nostro paese. Io ogni volta che parlo con esponenti di governo, parlamentari capisco subito se gli esponenti di fronte a me hanno fatto i sindaci o no, c’è un elemento di concretezza in più, la voglia di fare le cose, l’esigenza di tramutare un’idea una discussione in una soluzione di un problema. E questo è un grande patrimonio che il nostro paese ha, perché in Italia c’è una classe dirigente sui territori molto valida, nonostante la crisi della rappresentanza, della politica degli ultimi decenni ormai. E quindi queste occasioni sono occasioni a mio parere importanti di confronto per l’intero paese. La questione demografica: sicuramente Pesaro come il resto del paese vive un cambio culturale che è avvenuto negli ultimi anni, però io credo che il nodo culturale, poi nel secondo giro affronteremo il tema dei servizi, cioè ciò che noi possiamo fare, i nodi centrali siamo sostanzialmente due. Il primo tema è la paura: fin quando questo paese continuerà a essere impaurito i figli non si fanno. E’ certo una questione culturale per cui, come dire, i modelli familiari sono cambiati, ecc. ma l’elemento della paura è centrale e l’elemento della paura non ha a che fare con la realtà, perché ci sono state fasi della storia nella quale la realtà era molto molto peggiore rispetto a quella che viviamo oggi, ma nella quale era comunque la fiducia a prevalere sulla paura. Se noi andiamo a vedere, gli aumenti demografici del nostro paese non hanno a che fare spesso e volentieri con la situazione economica del nostro paese, hanno a che fare con il livello di fiducia che c’era in quel momento nel paese. Questo spesso sì. Certo incrociavano modelli culturali ma il tema della paura, l’elemento fondamentale da superare se noi vogliamo, come dire, riprendere una crescita demografica che negli ultimi anni è stata in costante calo compresa nella nostra città. Qui la responsabilità ce l’abbiamo tutti, ce l’ha la politica, ce l’hanno i mezzi di informazione: noi continuiamo a descrivere questo paese come un paese che non ce la farà mai, che messaggio di fiducia e di speranza diamo ai nostri figli e ai giovani del nostro territorio? Il che non vuol dire non vedere la realtà, ma vuol dire capire che quel problema si piò superare, che il domani potrà essere migliore dell’oggi e che questo paese non è così male come spesso lo descriviamo. Dal punto di vista economico, dal punto di vista sociale, dal punto di vista dei servizi, dal punto di vista della qualità della vita. Siccome noi negli ultimi anni abbiamo avuto anche una politica che spesso e volentieri ha rincorso la rabbia che è tanta quando c’è disoccupazione, ma rincorrere la rabbia, non produce speranza, produce paura. E soffiare sulla rabbia produce violenza, allora questo a mio parere, è l’elemento centrale che ha a che fare con le città, che ha a che fare con l’intero paese. La seconda questione, non giriamoci intorno è il lavoro, prima dei servizi c’è il lavoro. La dico così e chiudo, fare il sindaco oggi non è come farlo negli anni 90 o nei primi anni 2000: intanto perché i sindaci di allora avevano molti più soldi da spendere e quindi era molto più facile – con tutto il rispetto per chi ha fatto il sindaco prima di noi – ma perché noi tutti i giorni entriamo in comune non soltanto con l’obiettivo di gestire al meglio l’amministrazione, le risorse che attraverso la tassazione locale vengono pagata dai cittadini, i fondi nazionali ecc. ma noi tutti i giorni entriamo in comune con una mentalità nuova che è: che cosa può fare dal basso un sindaco oggi per creare un posto di lavoro? È una mentalità completamente nuova rispetto al passato: allora perché dico questo? Perché molte delle ansie molte delle difficoltà nell’immaginare il futuro ovviamente hanno a che fare con il lavoro. E lasciatemela dire così, poi parleremo del welfare, ma l’Italia non è un paese basato sull’assistenzialismo. l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, e vedo troppe teorie in giro esclusivamente assistenzialiste e poche teoria in giro invece legate al lavoro, alla produzione e di conseguenza alla necessità di far sentire parte di una comunità la cittadinanza attraverso il lavoro. Noi uno dei piccoli contributi che abbiamo dato e chiudo, è quello di sostenere la volontà di fare impresa, ci sono anche alcuni imprenditori qui del mio territorio. Prima della crisi a Pesaro c’era un’impresa ogni 7 abitanti, eravamo una delle realtà più artigiane d’ Italia. Questa voglia di fare impresa è rimasta e abbiamo deciso di accompagnarla con un’azione comunale che non cambia la vita di quelle famiglie, di quelle imprese, ma che è detassare per tre anni tutti coloro che ci provano. Coloro che aprono un’impresa a Pesaro per tre anni non pagano le tasse comunali, l’IMU, la TASI, il suolo pubblico, la tassa pubblicitaria, la TARI. E’ un piccolo contributo che si dà a chi ci prova, perché solo provandoci possiamo costruire un futuro migliore e di conseguenza restituire un po’ di fiducia ai nostri giovani.
GIORGIO GIOVANNETTI:
E ci spostiamo, realtà diversa, Cittareale, 476 abitanti, uno dei tanti piccoli comuni italiani al confine tra Lazio e Abruzzo; è sulla salaria a 10 km da Amatrice, per dire che è nel centro del cratere del terremoto. Gli stranieri presenti sono 9,8% della popolazione, sono soprattutto badanti, un dato importante: nel 1971 gli abitanti erano 1840, nel 91 erano 552, e 470 nel censimento del 2011, quindi un crollo netto della popolazione. Il sindaco è Francesco Nelli, 40 anni, espressione di una lista civica, ed è sindaco dal 2016. Prego.
FRANCESCO NELLI:
Sì, grazie, intanto sindaco dal 2016, 6 giugno e il 24 agosto è arrivato il terremoto, quindi direi sindaco fortunatissimo. Quindi a parte le battute, Cittareale è un piccolo comune situato a 1000 m sul livello del mare, è equidistante tra Rieti e Ascoli Piceno sulla SS Salaria. Per chi non lo sapesse è il paese natale di Tito Flavio Vespasiano, l’imperatore che poi ha costruito il Colosseo. È un comune che fondamentalmente vive di allevamento agricoltura e commercio della legna, si estende per 60 km quadrati, ha un 10% di immigrati, stranieri diciamo perfettamente integrati. E’ una realtà insomma che ha saputo integrare le persone venute da lontano anche negli anni attraverso un progetto SPRAR, quei progetti per la protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati politici che, tra l’altro, a Cittareale hanno costituito un birrificio, che poi era un birrificio artigianale che poi è cresciuto, e adesso è una realtà commerciale anche famosa e importante che nasce appunto da un progetto SPRAR. Infatti la birra si chiama alta quota perché tra l’altro la facevano a1600 m s.l.m. dove c’è la stazione sciistica di Selva Rotonda, che è un’altra delle risorse del nostro territorio. Lo spopolamento vero e proprio da noi, è iniziato, per tornare ai dati di Giorgio, nel 1920, da lì siamo passati dai 1800 abitanti che avevamo ai 470 dell’ultimo censimento. Chiaramente questo è stato dovuto soprattutto a motivi occupazionali, quindi da noi non c’era lavoro e le persone andavano via, fondamentalmente andavano su Rieti e soprattutto su Roma, che poi non essendo molto distante, perché è un’ora e quaranta di automobile, diventava la calamita che ha attratto i nostri residenti. Cittareale, come dicevano prima, è stata sempre terra di confine perché è situata in quella punta della provincia di Rieti che va verso le Marche, noi confiniamo a nord con l’Umbria, con Cascia e Norcia, per chiarire un po’ dove siamo, e a sud con l’Abruzzo, con il comune di Montereale. E’ un posto che a livello ambientale è meraviglioso, non perché sia il sindaco, ma è veramente bellissimo, e altrettanto come dire difficile la vita in quel territorio perché ciclicamente siamo abituati ad avere il terremoto; l’abbiamo provato nel 79, io ero molto piccolo quindi lo ricordo lontanamente, poi abbiamo provato purtroppo quest’ultimo anno, tra l’altro non posso non pensare ad Ischia, visto che stanotte le immagini mi hanno ricatapultato ad un anno fa e so quello che stanno provando quelle persone, quindi gli siamo vicini perché veramente è un momento difficile, chi l’ha provato sa cosa vuol dire vedere in un secondo la vita finire, l’attività, la casa. Noi a Cittareale abbiamo deciso fin da subito di rimboccarci le mani, di ripartire e siamo ripartiti dalla scuola grazie ad una collaborazione con la direzione comanda e controllo di palazzo Chigi e il MIUR e grazie soprattutto alle donazioni private siamo riusciti a ricostruire una scuola, quindi abbiamo costruito una scuola che è temporanea sulla carta ma in realtà è definitiva a tutti gli effetti. E questo è stato un motivo per il quale abbiamo contribuito a far rimanere le persone sul territorio perché chiaramente sapevano che i figli andavano in una struttura veramente antisismica, tra l’altro collaudata con la scossa del 30 ottobre perché era pronta dal 29. Noi il 30 ottobre abbiamo fatto il collaudo sul campo e la scuola ha tenuto bene. Da questo poi siamo partiti con la costruzione della mensa, il 24 partiamo con la ricostruzione dell’ambulatorio medico e della farmacia; erano tutte strutture dichiarate inagibili dopo il sisma. Su questo la solidarietà degli italiani in generale, della regione Toscana e dell’amico Dario è stata fondamentale perché ci sono stati vicini sia a livello operativo, tramite l’ANCI, mandando i tecnici della provincia, ci sono stati vicini e ci hanno dimostrato la loro amicizia che ha consentito di fare tutta una serie di percorsi e di scelte che sta consentendo a Cittareale di non spopolarsi ulteriormente dopo il terremoto. Io non rubo altro tempo perché poi nel secondo giro dico un po’ di ricette per migliorare. Grazie.
GIORGIO GIOVANNETTI:
Dal centro Italia ci spostiamo al Nord, Bergamo, 120.000 abitanti, quarto centro più popoloso della Lombardia, gli stranieri sono 19.000 pari al 16% della popolazione, l’area vasta di Bergamo conta 420.000 abitanti circa, l’età media è di 42,8. Nella classifica de Il sole occupa il 29esimo posto. Sindaco è Giorgio Gori, uomo di televisione, imprenditore, eletto sindaco nel 2014 da una coalizione di centro sinistra. A lei.
GIORGIO GORI:
Allora aggiungo qualche numero ringraziando ovviamente per questo invito e per l’occasione di riflessione comune. Qualche numero riguarda la città di Bergamo, nel 2016 ci sono stati 865 nati e 1352 morti. Quindi il saldo naturale è stato di 477 persone in meno. Il saldo demografico è invece infine positivo grazie al fatto che in città sono arrivate 4668 persone, immigrati, non tutti stranieri, vorrei dirvi, alcuni certamente sì, però è interessante che per la prima volta, la città ricomincia a crescere dopo anni, ricomincia a essere attrattiva anche nei confronti di quell’area vasta che tu citavi. Per molto tempo è successo che la città ha perso popolazione soprattutto i giovani e le giovani coppie sono andati a vivere fuori, invece in questi ultimi anni siamo riusciti a invertire la tendenza. Questo per dare la prima fotografia, però ce n’è una un po’ più profonda che mi permetto di condividere con voi che riguarda la composizione delle famiglie. Allora la famiglia così come noi la concepiamo, cioè nella famiglia ci sono padre, madre e figli, riguarda soltanto il 36% dei nuclei familiari. Il 64% è composto da una o da due persone. Sono dati allineati alle medie nazionali, per cui non sono particolarmente originali. Pensate, a Milano un nucleo familiare su due è fatto da una sola persona; a Stoccolma, ho letto, il 68% dei nuclei familiari è fatto da una sola persona. Le coppie si consolidano sempre più tardi, vanno verso i quarant’anni addirittura, ed è molto alto il tasso di separazione. Se abbiamo deciso che nel secondo intervento trattiamo le politiche, cioè gli aspetti di welfare, che cosa noi concretamente noi possiamo fare, e vi anticipo, vorrei parlarvi brevemente di lavoro per le donne, di autonomia per i giovani e di integrazione per gli immigrati, vorrei dire due cose che non sono strettamente legate al ruolo di un sindaco, forse perché sono anche consapevole che la politica ha un limite, certamente non può permettersi di condizionare le scelte individuali delle persone, le scelte di vita. Però in questo contesto mi sento anche di dire cosa penso, e penso che questi dati, questa fotografia ci raccontino un’Italia, non soltanto una Bergamo ma un’Italia particolarmente fragile, in deficit di speranza, è quella crisi di fiducia di cui parlava prima Ricci. E io credo che si debba ripartire da lì, dal riuscire a ricreare delle comunità in cui ci sia un clima, una condizione di coesione, di fiducia che faciliti la costruzione di nuclei familiari. È banale a dirsi, ma si fanno più figli dove ci sono più famiglie, dove le persone si uniscono in matrimonio, le famiglie sono più stabili e i legami sono più duraturi. Allora io credo che ci sia un doppio problema: il primo è un problema che sento anche mio, è un deficit di testimonianza da parte di chi ha una vita familiare, ha dei figli, io ne ho tre, e non è capace di comunicare e di raccontare questa cosa come una scelta straordinariamente positiva. Questa cosa, che è una fortuna che non a tutti tocca, e che quindi richiede il massimo rispetto nei confronti di chi fa altre scelte o non ha la possibilità di fare dei figli, è per noi che invece abbiamo questa fortuna una straordinaria fonte di felicità; questa cosa noi dobbiamo riuscire a raccontarla e non lo stiamo facendo. La seconda cosa è una questione forse più culturale, e riguarda il fatto che in Italia si debba avviare secondo me una riflessione serena, pacata, ma seria, sul tema della libertà. Perché noi abbiamo declinato la libertà in questi anni, in una progressiva emancipazione da vincoli di tipo materiale, normativo, culturale, Questo è stato un grande progresso per il nostro Paese, che però oggi fa sì che si cada in un equivoco, cioè che si consideri la libertà esclusivamente nella sua dimensione individuale. E in questa dimensione individuale è evidente che fare dei figli è una fatica, è una cosa che ti impedisce di fare quello che nella versione corrente di libertà è essere una persona libera: competere sul lavoro, viaggiare, andare con gli amici, fare tanti sport, eccetera. È un impedimento, ma noi dobbiamo pensare che non siamo soltanto persone sole, che non siamo solo individui, ma che siamo parte di una storia, siamo parte del destino di questo Paese. Il titolo del convegno del Meeting di quest’anno, di questo credo parli: l’eredità che noi abbiamo ricevuto e che ci spinge, che ci obbliga, ci impegna, è quella di dover restituire il nostro Paese migliore alle generazioni che verranno, ma ci devono essere queste generazioni perché ci sia un Paese da ereditare. E quindi credo che questa cosa noi dobbiamo riuscire anche aldilà dei nostri ruoli politici, come uomini, a testimoniare e cioè che ci vuole coraggio, probabilmente, bisogna riuscire ad andare aldilà degli impedimenti materiali, poi parleremo nel secondo giro di come la politica può cercare di facilitare queste cose, perché questo è il nostro compito di amministratori. Ma ci vuole coraggio per guardare al futuro e sentirsi responsabili del dare al nostro Paese per l’appunto un domani.
GIORGIO GIOVANNETTI:
Da Bergamo a Prato: 190 mila abitanti, seconda città della Toscana, terza dell’Italia centrale; gli stranieri ufficiali, e sottolineo ufficiali, poi sarà il sindaco a parlarne meglio, sono 36 000, pari al 18% della popolazione; l’età media dei pratesi è di 44 anni, nella classifica del Sole 24 Ore sulla qualità della vita nelle città è al 53esimo posto. Il sindaco è Matteo Biffoni, 43 anni, eletto nel 2014, extraparlamentare del PD.
MATTEO BIFFONI:
Buongiorno. Io ringrazio ovviamente il Meeting, ringrazio Dario per l’opportunità perché prima di me i miei colleghi hanno già detto in maniera brillante i motivi per cui ci ha spinto, ci hanno spinto, ha spinto il Meeting ad ospitare un evento del genere. Io ne approfitto, come ha fatto Giorgio prima di me, per dare un po’ di dati di una città ovviamente per me straordinaria – non pretendo sia opinione diffusa, ma almeno per me è straordinaria – e su cui secondo me è necessario fare una certa chiarezza. Si accennava prima 192 mila abitanti, oltre 36 mila stranieri, siamo credo la prima o la seconda per percentuale di residenti ufficiali, nati fuori dai nostri confini; siamo oltre 140 etnie, ormai fate voi un elenco lunghissimo di nazioni che non sono l’Italia, ecco, è probabile che ci sia un residente nella mia città che sia nato in uno di quei Paesi a cui voi state pensando in questo momento. Come diceva Giorgio, abbiamo l’indice, il rapporto tra gli 0-14 e gli over 65 più basso della Toscana, per ovvi motivi, voi vi immaginate; ne stiamo parlando stamattina di questo tema. E come diceva Giorgio, come succede a Bergamo, il saldo complessivo delle residenze aumenta; noi facciamo circa un miliardo di residenti in più, ma il saldo naturale tra nati e morti è meno 200, meno 212 per l’esattezza. La città attrae, attrae nuovi cittadini dai luoghi vicini e anche da altre parti del mondo; vi do una notizia: noi abbiamo una grande comunità cinese, molto numerosa, 19 mila residenti ufficiali, i non ufficiali ovviamente non essendo ufficiali non li sappiamo esattamente, le ipotesi parlano di altri 10-12 mila ulteriori abitanti, per capirci, a me questa cosa fa sempre un po’ impressione, è la terza comunità cinese d’Europa, in percentuale ovviamente, sui residenti: Londra, Parigi, Prato. Ciò ha il un suo effetto, se voi ci perdete per bene. E lo dico anche questo per capirci, da noi vengono da una città che si chiama Huenzu, da una zona della Cina e una volta parlando con un sindaco precedente ha detto: “sai, noi siamo una piccola città di 8 milioni di abitanti”. Vi rendete conto che i problemi come dire variano rispetto a quello che noi stiamo trattando stamattina. Però più richieste di cittadinanza, più matrimoni misti, è un altro dato che io volevo portare, è qualcosa su cui da questo punto di vista dobbiamo ragionare. Altri due passaggi: si citavano i dati de Il Sole 24 Ore: Prato ha perso dal 2005 al 205 il 6,5% della ricchezza pro capite. E’ la provincia più alta d’Italia, la perdita più secca; nonostante questo, rimaniamo esattamente in linea con la media nazionale, 20 mila euro a testa circa. Voi vi rendete conto, la paura che s’è presa una città in questa maniera, e perché – il dato che vi darò adesso è secondo me significativo – in questo momento dei 2502 nati l’anno scorso all’ospedale di Prato, il 50,6 sono da mamme nate in Italia, l’altro 50% è nato da mamme straniere. O meglio, non nate nel nostro Paese. Vi risparmio la discussione sullo ius soli, ve la risparmio da un sindaco che invece qualcosa su questo tema avrebbe da dire, e voi sapete almeno la mia opinione personale, su questo sono dei più favorevoli all’introduzione di un sistema per cui in una città come la mia faccio fatica a pensare ad un sistema che sia quello diverso, ma non è il tema dell’argomento di stamattina. L’età media delle mamme italiane è 34, di quelle del 50%; delle donne non nate invece nel nostro Paese invece è 29, anche questo è un dato significativo a mio modo di vedere perché più tardi fai figli, più diventa difficile farne altri, dare un futuro a queste persone. C’è un altro dato che mi piace dare a proposito dei servizi, dopo ne parleremo delle scelte, e quello forse più mi inorgoglisce: noi abbiamo la dispersione scolastica al 14% e la media nazionale è al 17, la media regionale al 16. Nonostante noi, e lo diremo successivamente, abbiamo arrivi soprattutto nella comunità cinese, anche durante l’anno e l’inclusione – chi lavora nella scuola sa cosa significa – anche durante l’anno scolastico di ragazzi in età scolare che arrivano da altri Paesi, che è molto complessa, noi abbiamo trovato un sistema per attuarla costantemente. È un aiuto, un sostegno? Sì, penso di sì. Meno dispersione scolastica c’è vuol dire più presenza nella scuola, un futuro migliore per queste generazioni, ma anche un sostegno e un appoggio per le famiglie, sanno che i ragazzi sono dentro la scuola. Velocissimo. Servizi del Comune, ovviamente ha personale multilingue, un’intermediazione culturale molto importante. Questi sono i macro dati fiorentini di questa città; aggiungo un’ultima riflessione prima di arrivare alle scelte. C’è una lunga diatriba, una lunga discussione sulla paternità della frase, attribuita in realtà a un writer milanese da tre soldi, “il futuro non è più quello di una volta”, l’avrete viste, letta da qualche parte. Ecco, anch’io, io ho un bambino di tre anni e uno di quindici mesi, a loro proviamo ad affidare un percorso migliore, una città migliore; chiediamo a tutti, lo facciamo da sindaci, io lo voglio ribadire: non è una roba per cui vogliamo fare un cartello o una specie di sindacato, lo chiediamo al Meeting, lo chiediamo a tutti coloro che hanno a cuore una comunità. Ecco, io non mi vorrei rassegnare al futuro che non è più quello di una volta, proprio perché se vogliamo, se stiamo ragionando di quello che noi proviamo ad offrire ai genitori, alla genitorialità, complessivamente intesa, ci sono le mamme, ci sono i babbi, è un sistema di sostegno, di accompagnamento ai figli, è perché non vogliamo rassegnarci al futuro che non è più quello di una volta. Lo diceva bene Dario, io lo voglio riprendere: questa è la sfida che abbiamo di fronte come sistema Paese, tutti quanti devono fare la loro parte, ovviamente noi siamo quelli più esposti, perché vengono da noi le mamme e i babbi, i papà, insomma come li chiamate voi delle nostre città, vengono da noi a chiederci una mano, a chiederci una mano per la scuola, a chiederci una mano per la casa, a chiederci una mano per i servizi, a chiederci una mano soprattutto per la certezza del loro lavoro e del loro futuro, che è anche quello dei loro figli. Grazie.
GIORGIO GIOVANNETTI:
Altro salto: Venezia, 260 mila residenti, prima città del Veneto, undicesimo comune d’Italia per popolazione, età media 47,6 anni, stranieri sono 370 mila circa, pari al 12% della popolazione, nella classifica de Il Sole 24 Ore per vivibilità Venezia è al trentanovesimo posto, l’area urbana attorno a Venezia raccoglie 360mila abitanti, c’è un dato significativo di Venezia che è quello dei turisti, che sono tantissimi, si è calcolato, secondo le statistiche, le ultime statistiche sono 400 turisti per abitante, di cui 300 sono solo mordi e fuggi. Il sindaco è Luigi Brugnaro, 56 anni, architetto e imprenditore, anche uomo di sport, eletto sindaco con una coalizione di centrodestra nel giugno del 2015. A lei la parola.
LUIGI BRUGNARO:
Intanto ringrazio il Meeting per questa discussione e Dario Nardella per aver voluto questa discussione. La discussione è discussione se ci sono anche altre idee. Mi sembra che c’è un filo comune: prima di tutto è la mia presenza, io ho ritenuto di venire anche se è evidente che sono in netta minoranza dal punto di vista di segnale politico. Però non ho intenzione, non posso perdere secondi, devo andare su cose secche .Voglio ringraziare loro, perché sono molto d’accordo con quello che ha detto sia Ricci sia il sindaco di Bergamo, Gori, sull’idea della fiducia. Attenzione che in questo senso io mi sento proprio filogovernativo; io sono italiano, sono Venezia ma siamo anche Italia. E dobbiamo immaginare che insieme dobbiamo costruire un futuro; anch’io credo che stia passando l’idea di un Paese senza un futuro, ed è un’idea sbagliata. Solo che il problema che forse ci differenzia in qualche caso è che io mi ribello a questa idea: cioè abbiamo litigato una volta, in maniera per carità pubblica, con l’attuale Ministro della Giustizia Orlandi in cui lui diceva che l’immigrazione era una questione ineluttabile, io gli ho detto che ineluttabile un…, nel senso che io invece mi oppongo a questa cosa. Io credo che un conto è l’integrazione di chi c’è – e su questo siamo tutti d’accordo che va effettivamente trovata la strada, ovviamente non parliamo dei profughi e dei rifugiati, del giro politico eccetera, è evidente, ma parliamo anche di tutta una serie di persone che hanno fatto come abbiamo fatto noi in passato, proprio i Veneti, quando siamo emigrati in giro per il mondo e abbiamo fatto le nostre gavette, siamo entrati con assoluta dignità e orgoglio. Diverso è per persone che con pieno diritto cercano di migliorare la loro condizione lavorativa ma che evidentemente non riusciranno a stare tutti in questo Paese, il problema dell’integrazione – l’abbiamo detto prima, se non vogliamo sviluppare motivi di oltranzismo, di razzismo, di sentimenti che purtroppo nell’uomo esistono, in tutti noi, dobbiamo saper miscelare e in qualche modo condividere dei percorsi per quello che noi terreni, noi poveri umani, riusciamo a realizzare. Un conto sono i grandi progetti, le grandi strade che ci vengono indicate, che sono assolutamente da rispettare evidentemente, però un conto è quello che noi riusciamo a fare. Io non riesco a immaginare che non cominciamo a presidiare i confini. E noi dobbiamo presidiare i confini, non possiamo sempre scaricare sugli altri le nostre colpe con un blocco navale umanitario, dove noi salviamo le persone in mare, ma poi non possiamo consentire che tutti possano venire. Anche in Zambia ti chiedono il passaporto per entrare. Il discorso della natalità ci dovrebbe mettere in grande evidenza i temi che ci sono. Io sono diventato sindaco e ho ritirato dei libretti gender dalle scuole, perché qualcuno intelligente per prender voti, perché è una comunità che in qualche modo dà soddisfazione elettorale( perché di questo si parlava quando c’è stata la polemica con Elton John, che qualcuno ha pensato fosse contro la comunità gay) non c’entra nulla la comunità gay, c’era una scelta prepotente di inserire i libretti a bambini dell’infanzia senza il permesso dei genitori. Io ho detto: se i genitori tutti insieme votano che vogliono quel tipo di confusione, a tre anni, attenzione, non sto parlando di una scelta ragionata e nel tempo e libera, ci mancherebbe altro, ma sono temi di cui non si può non discutere, non parlare, so che tante volte danno fastidio ma non possiamo pensare soltanto che il problema che gli Italiani non fanno figli sia soltanto un problema economico. Sicuramente lo è, il prossimo giro adesso me lo tengo anch’io, certamente il tema della sostenibilità di una famiglia c’è e io concordo totalmente con Gori quando dice che bisognerà contare quanto bello è avere dei figli, io ne ho cinque, e ognuno farà i conti con la sua coscienza, con il suo modo di vivere. Però parliamoci chiaro, tirar su figli è una responsabilità che si scarica addosso solo su di te; allora è vero che è une gioia ed è vero che chi non l’ha provata, sarebbe bello che la provasse, però se uno pensa che fa figli solo se può comprarsi la casa con il mutuo è uno sbaglio enorme e questo discorso ai giovani va fatto. Mio papà e mia mamma hanno vissuto su una casa in affitto per trent’anni, abbiamo sempre pagato l’affitto, trentamila lire a quel tempo, una casa a libero mercato, noi non abbiamo mai avuto la fortuna, mio papà forse, non si è fatto la tessere eccetera eccetera, grande contestatore ma non ha mai avuto la tessera, noi non abbiamo mai avuto la casa comunale, l’ERP, che noi a Venezia abbiamo smesso di voler insistere. Faremo le social housing, uno si paga la casa, eccome se la paga, e se è una casa pubblica la tratti bene, meglio ancora che se fosse tua. Noi ci pitturavamo i muri, non abbiamo mai fatto polemica. Alla fine, mio papà con la liquidazione è riuscito a comprarsi la casa, un appartamento su una zona tranquillissima. Voglio dire, io sono convintissimo che noi dobbiamo fare una politica per i giovani, credo che dobbiamo trovare un accordo generazionale. Il tema è che gli anziani rischieranno di non avere i servizi che pretenderanno un domani perché i giovani si sentono traditi della generazione di prima. Il compito delle comunità locali è di sperimentare, ha ragione Dario. Io mi domando, ma se noi sperimentiamo, abbiamo fatto una proposta di legge sul decoro di dire, dateci il potere di dieci giorni di celle di detenzione, a chi rapina costantemente; ne ho arrestata una tredici volte, e continuerò ad arrestarla. Ieri ne abbiamo arrestate due, processo per direttissima. La Procura ha chiesto l’arresto, furbescamente l’avvocato della zingara, di etnia rom, incinta, perché adesso le mettono in galera anche se sono incinta e se chiedono di andare in ospedale le porto su e giù, sono professioniste; c’è un racket dietro, di una durezza incredibile, l’avvocato furbo si è fatto dare il recapito a Milano di un domicilio, il giudice, per legge, ha dovuto assegnare questa giovane agli arresti domiciliari a Milano. Adesso, oggi parlavamo con la mia polizia qui, chiederemo a Milano di fare i controlli a casa sua e se scappa è evasione. Dobbiamo trovare delle soluzioni operative perché la gente non è che ha paura così, il problema è che l’Italia deve, dobbiamo trovare una classe di gente che c’è, sono qui, perché conosco la gente, qui c’è tutta gente che si dà da fare, però dobbiamo avere il coraggio di dire anche le cose che non sono tanto carine, perché vanno fatte e al governo centrale quando un sindaco chiede un comitatone da due anni glielo devono dare, perché allora ha senso che noi sperimentiamo, se no sperimentiamo con le caramelle.
GIORGIO GIOVANNETTI:
Grazie. E concludiamo giocando in casa, Rimini, 150 mila abitanti, capitale della Romagna, le va bene sindaco? Stranieri 18 500, pari al 12% della popolazione, età media 44,5 anni, al 33esimo posto nella classifica de Il Sole 24 Ore come qualità della vita. Il sindaco, Andrea Gnassi, 48 anni, sindaco dal 2011, espressione di una maggioranza di centrosinistra. A lei.
ANDREA GNASSI:
Sì, buongiorno a tutti. Conoscete la città, conoscete questa storia bella del Meeting che celebra trentotto anni e penso anche che non sia un caso che il Meeting sia nato in questa terra che è sempre stata una terra di incontri, a proposito di libertà, di libertà che hanno consentito gli incontri. È una storia strana, adesso io non voglio fare la promocommercializzazione della città, però… Questa è la città dove arriva la via Flaminia, parte la via Emilia, la via Popilia, forse anche questo transito di persone ha consentito appunto quelle relazioni che poi hanno favorito anche la vocazione internazionale della città. Il fatto di essere in un quartiere fieristico tra i più importanti del Paese, che affianca ad esempio queste storie clamorose, e le chiamo così come quelle del Meeting, che in questi tempi così difficili hanno il coraggio di ripetersi; avete sentito anche il linguaggio, il nostro alfabeto dei sindaci, è difficile ovviamente con le differenziazioni che ci sono, sottolineature, però difficilmente sentirete dei sindaci non parlare quasi la stessa lingua. Perché è vero che su di noi, o comunque il portone sempre aperto, o quello al quale bussare da parte dei cittadini in Italia è quello dei sindaci. Per storia, perché la polis è nata attorno al cardo e decumano delle città romane, alla storia delle comunità italiane e noi viviamo dei tempi così fragili che non hanno consentito al nostro Paese di avere anche il coraggio di dare una dimensione, adesso io non voglio fare, poi nella seconda parte entreremo nel dettaglio, però una dimensione istituzionale adeguata al Paese per capire, per permettere a coloro che fanno i sindaci di rispondere ai problemi. Noi non siamo la Francia, dove pur criticandolo, ognuno può avere un’opinione, però a fronte di uno Stato centrale forte ci sono le autonomie dei municipi oppure le Germania, dove a fronte di uno Stato centrale altrettanto forte, forse ancora più forte, però ci sono i Lander, le regioni che hanno un’autonomia organizzativa, fiscale, di investimento. In Italia c’è una sovrapposizione di piani, di norma, di legislazione; quando noi dobbiamo affrontare uno dei mille problemi, che siano di sicurezza – ne parlava adesso Brugnaro – o che siano di urbanistica, sulla sicurezza penso che noi potremmo ragionare ad esempio di legare aldilà dell’etnia di chi commette il reato la sanzione amministrativa a quella penale, perché se no ogni giorno rincorriamo qualcuno che commette reiteratamente dei reati e poi non succede niente perché il giorno dopo per le vicende che diceva Brugnaro… Allora, questo è un problema come è un problema ad esempio l’urbanistica, dare un volto alle città e per un sindaco la dimensione problematica di non avere dei riferimenti istituzionali, in che paese faccio il sindaco io? Pensate che sull’urbanistica ci sono decine e decine di soggetti che legiferano, dalla pianificazione comunale, alle province, alle regioni; poi, noi abbiamo uno strumento, introduco questo tema perché ne sono stati detti tanti, quando tentiamo di fare presto per sviluppare un progetto di sviluppo aziendale, quindi lavoro, e quindi uno dei temi del Meeting, convochiamo una conferenza dei servizi che sarebbe l’organo che semplifica, alla quale partecipano una trentina di persone ognuna dei quali è l’autorità, il demanio marittimo, il demanio fluviale, e ognuno dei quali deve legiferare. Pensate in quanto tempo io riesco a dare risposta ad un piano di sviluppo aziendale; uno dei punti che in questa premessa mi premeva sottolineare è che se sulle città, sulle polis si scaricano i temi, i problemi, il cambiamento d’epoca e quindi l’aumento della tecnologia, che produce più lavoro ma meno lavoratori, i flussi migratori, la sicurezza dovuta alle guerre, se sulla polis, sulla città si scaricano tutti questi temi, il primo tema, io non voglio aprire il post referendum costituzionale, la discussione che ci sarà oggi pomeriggio tra le regioni, però il primo tema per permettere ai sindaci che hanno la responsabilità di tutti questi problemi, da garantire un po’ di lavoro per dare sviluppo alle imprese, alla sicurezza, è quello di tentare di costruire un patto con il livello centrale del Paese o una riforma istituzionale, che garantisca autonomia organizzativa, autonomia fiscale e autonomia di investimento ai sindaci a fronte della responsabilità che hanno. Perché se no, il condominio solidale di Dario, a Firenze, o quello che faccio io a Rimini o il pacchetto impresa no-tax di Pesaro che facciamo anche qua, sono tentativi di arginare un mare impetuoso lavorando col secchiello per svuotare un po’ d’acqua che ti entra in casa. Allora questo tema di un riconoscimento fattuale, in questa architettura istituzionale, in questo Paese, a mollo nel Mediterraneo, straordinario che è l’Italia, che riconosca dal punto di vista istituzionale le responsabilità che noi abbiamo e ci possa permettere quell’autonomia per rispondere ai problemi, è il primo punto su cui poi nella seconda parte vedremo anche la nostra parte, perché poi te la devi giocare, e il Meeting qui, e finisco, ti solletica, ti solletica perché io non mi rassegno ad un’Italia fragile, insicura, che come dire di fronte ai problemi l’Italia del lamento che chiede assistenza. Dopo c’è anche la parte che devi mettere te. Io penso che noi possiamo rappresentare una parte di quell’Italia, di quelle città che di fronte a questo mare magnum aspetta sì di avere autonomia organizzativa e fiscale, ma non sta con le mani in mano. Perché un pensiero, ce lo insegna il Meeting, trova le risorse, un progetto trova una direzione di marcia, un lamento chiede assistenza. Cavalcare la paura crea divisioni. Noi chiediamo autonomia organizzativa, fiscale, di investimento, a fronte però anche di quello che ci possiamo mettere noi.
GIORGIO GIOVANNETTI:
Grazie, e iniziamo dunque il secondo giro. Il lungo monologo di Goethe che contiene la frase del Meeting, lo slogan del Meeting, “Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”, si apre con una invocazione; ed è bello rileggerselo, è stata un’occasione anche per me per rileggersi l’opera di Goethe, e l’invocazione è: come non perdere le speranze? Come, Dario Nardella, un’amministrazione locale può rimettere speranze e far sì che questo paese non sia senza futuro, come dice il Censis?
DARIO NARDELLA:
Io cercherò di parlare un pochino meno perché ho preso un minuto in più all’inizio. Mi ricollego a quello che ha detto Giorgio, cominciamo a dire che da sindaci e padri con delle mogli straordinarie siamo riusciti a fare un po’ di figli, perché tu ne hai tre, Luigi ne ha tre, io tre, insomma abbiamo una buona media, Matteo anche due, ma a parte le battute, credo che si debba anche raccontare la vita…
GIORGIO GIOVANNETTI:
Un dato significativo è che tutti i Presidenti del Consiglio dei Paesi maggiori non hanno figli.
DARIO NARDELLA:
Eh, sì, l’ho letta questa cosa. Siamo sopra la media ma è il nostro contenuto personale. Mi piace questa idea di non nascondere il valore e la bellezza della famiglia e dei legami familiari, mi piace molto. E nonostante che la società si apra a modelli sociali, familiari, credo che il primo compito del capo di una comunità sia quello di custodire e tutelare i legami familiari, i legami personali. E tutti i dati ci fanno vedere che le famiglie nascono e crescono nelle comunità e nei contesti sociali dove appunto c’è più fiducia nelle relazioni interpersonali prima di tutto. Questo è l’obbiettivo sul quale stiamo cercando di lavorare nella mia città in un contesto, cari amici, molto difficile. L’anno scorso a Firenze, il numero di separazioni e dei divorzi, per la prima volta nella storia, ha superato il numero dei matrimoni. C’è quindi anche una visione dei legami familiari che è una visione molto legata all’individualismo. Ed è giusto andare al cuore del problema, e cioè anche interrogarci sulla nostra società che è sempre più materialista, individualista, appunto il concetto di libertà viene declinato e interpretato come libertà da responsabilità, non è questo il messaggio del Meeting, non è questo il messaggio di un comune e di chi è chiamato a guidarla. Il messaggio di una comunità è esattamente il contrario: la mia libertà è piena e ricca e straordinaria perché anche legata ad una responsabilità verso le generazioni che verranno, verso la mia comunità. E quindi tutto quello che noi facciamo è un po’ legato a questo punto. Anzitutto, responsabilità verso le generazioni; abbiamo a Firenze un problema di solitudine dei nostri anziani, abbiamo 15 mila persone oltre gli 80 anni ma soprattutto abbiamo 32 mila anziani soli, magari lasciati soli dai nostri figli. È una minoranza di casi, ma parlando con alcuni di loro ho toccato con mano questa realtà che è drammatica, e allora abbiamo lanciato un progetto che ad esempio si chiama “Soli mai”: con i volontari di associazioni, di cooperative, a cominciare anche dalle istituzioni di Montedomini, andiamo a trovarli a casa loro, andiamo a dare un conforto perché la solitudine è il primo male di quella costruzione di relazioni interpersonali umane di una comunità. Sui giovani, Brugnaro ha parlato del social housing; sono d’accordo, la nuova frontiera che ci fa superare anche il concetto di assistenzialismo è il social housing, io ti do qualcosa ma anche tu mettici del tuo: è quel patto sociale che dobbiamo recuperare. Abbiamo le città piene di caserme, di vecchie fabbriche, di immobili abbandonati, dismessi. Abbiamo cominciato a Firenze una grande caserma a trasformarla in un progetto, appunto, di social hausing che si apra prima di tutto alle giovani coppie. Dobbiamo dare strumenti, non assistenzialismo. Come diceva anche quel proverbio cinese: non dare un pesce a chi ha bisogno, insegnagli a pescare. Le giovani coppie oggi devono avere strumenti per poter anche coltivare quel senso di fiducia verso il futuro. Dunque le giovani generazioni, abbiamo messo in campo per esempio un progetto di collaborazione tra università o scuola superiore e mondo del lavoro. In Italia siamo ancora troppo indietro rispetto agli altri paesi europei nel rapporto tra mondo della formazione e mondo del lavoro. È stato già fatto negli ultimi anni, devo dire molto attraverso il sistema dell’inserimento lavorativo nelle scuole con il sistema duale, ereditato da altri paesi europei. Dobbiamo continuare su questa strada. La formazione non può essere solo basata su un modello di formazione teorica, dobbiamo anche riuscire a riportare i nostri giovani ad imparare dei mestieri. Abbiamo un grande patrimonio, ad esempio le nostre città sull’artigianato. E dobbiamo riprendere a raccontare ai nostri giovani quanto sia, anche bello e da un punto di vista economico, gratificante tornare a fare l’artigiano. In passato abbiamo costruito modelli di formazione universitaria troppo schiacciati sulle professioni. A Firenze abbiamo quattromilacinquecento avvocati. Non ce n’è bisogno, anche se siamo molto litigiosi. Ma c’è magari una domanda su altri fronti: la moda, l’artigianato legato alla moda. Ho conosciuto un grande sarto fiorentino che mi ha detto “io avevo tre ragazzi, un italiano, un filippino e un albanese, sembra una barzelletta. L’italiano è scappato via subito dopo un mese, l’albanese è resistito un anno, è rimasto solo il filippino. Gli do duemilacinquecento euro al mese”. E questo non perché i nostri ragazzi giovani sono fannulloni ma perché anche noi non abbiamo evidentemente un sistema capace di raccontare, di restituire loro fiducia verso certi mestieri. Ultimo aspetto, l’ultimo davvero. Visto che l’ha toccato Luigi Brugnaro, lo tocco anche io: il tema della sicurezza. Smettiamola di dire che la sicurezza è di destra o di sinistra. La sicurezza è un diritto dei nostri cittadini e soprattutto prima di tutto delle persone più deboli. Avere una città, una comunità più sicura vuol dire anche avere una città e una comunità più libera. E non c’è dubbio che se vogliamo costruire quel clima di fiducia, anche interpersonale, non solo dentro le famiglie ma anche dentro i condomini, dentro i quartieri. Nel rapporto tra insegnante e studente, nel rapporto tra cittadino e vigile urbano dobbiamo investire sulla sicurezza. E qui però ci vogliono delle regole chiare. Tra l’altro qui in sala c’è Davide Ermini, membro della commissione di giustizia, abbiamo parlato tante volte con Davide. Abbiamo un problema gigantesco di effettività delle pene e in certi casi non abbiamo neanche le pene. È stato fatto un gran lavoro con il decreto sicurezza di Minniti, bene, non pensiamo di scaricare tutto ai sindaci perché noi possiamo fare provvedimenti di allontanamento dell’accattonaggio molesto, del parcheggiatore abusivo, dopo di che scatta il daspo del questore. Se violi il daspo hai una ammenda economica. È chiaro che così il sistema non funziona quindi lavoriamo anche sul fronte della sicurezza delle nostre città perché così abbiamo comunità più libere e comunità capaci di avere più fiducia verso il futuro.
GIORGIO GIOVANNETTI:
Torniamo a Pesaro. Sindaco Ricci, il suo programma di governo dice, sono andato a rileggere, “pensare alla grande e superare la sindrome del rospo smeraldino. Cioè, il cercare di andare oltre le regole burocratiche e attuare qualcosa. Che cosa state facendo, che cosa pensa di fare con questo spirito, sindaco?
MATTEO RICCI:
Intanto sto cercando di spiegare ai miei concittadini che essere di provincia in questo momento storico è una grande virtù perché significa stare con i piedi per terra e camminare forte. Ma essere provinciali in questo momento è una grande palla al piede, perché significa volare bassi, invece bisogna volare alti. E questo per una realtà come Pesaro, che è una realtà di provincia, che ha vissuto momenti di grande benessere, di lavoro diffuso ecc., con la crisi che ha avuto, nel nostro caso in particolar modo legata al mobile, è una necessità ed è un cambio di mentalità. Questo cambio di mentalità riguarda anche la vita della città. La prima azione di sicurezza che io ho fatto a Pesaro è stata quella di rendere la città più vivace, perché c’era una mentalità nella nostra città per cui una città morta era più sicura. Invece no. Una città morta è più insicura. Laddove non c’è gente, laddove la città è spenta, c’è degrado, c’è insicurezza reale e percepita e ovviamente questa è una realtà legata alla mia città perché noi siamo a pochi chilometri da Riccione, da Rimini dove ci siamo venuti a divertire per tanti anni quindi non avevamo un bisogno di uno sviluppo turistico, di uno sviluppo altro perché avevamo il lavoro e invece stiamo cercando in questi anni di ristrutturare gradualmente la nostra economia. Per far crescere un pezzo di economia locale dove magari tanti giovani possono trovare, come per fortuna stanno trovando, qualche opportunità di lavoro, ma anche per esempio per far rimanere un po’ nella nostra città i nostri giovani. L’altro investimento che abbiamo fatto è stato quello della bicipolitana. Abbiamo ragionato al futuro della nostra città pensando “qual è la scelta infrastrutturale in una città di neanche centomila abitanti, quasi tutta pianeggiante?” E noi avevamo già una grande voglia e una grande tendenza ad andare in bicicletta e noi abbiamo costruito la nostra metropolitana in bicicletta. Stiamo arrivando a 90 km, siamo la prima città in Italia per la bicicletta e questa infrastruttura non solo ha migliorato la qualità della vita dal punto di vista ambientale, dal punto di vista della salute, ma mettere per una mamma il proprio figlioletto con il caschetto in sicurezza nella ciclabile per mandarlo a scuola, al campo sportivo, dall’amichetto a giocare, in parrocchia, quanto vale? Secondo noi vale moltissimo in termini di qualità della vita e in termini di garanzie di tranquillità di una famiglia che sceglie di far vivere i propri figlia qua. Devo dire che io, Dario e Matteo siamo stati candidati tutti e tre nel 2014, ci hanno un po’ fregato, anche Giorgio però loro due facevano i parlamentari, io invece il tema era se dovevo andare a fare il parlamentare o rimanere a fare l’amministratore locale. Devo dire che una delle motivazioni che mi hanno spinto a candidarmi sindaco è quello di, ho pensato “c’è un posto migliore diverso da Pesaro per far cresce i propri figli?” ci ho ragionato a lungo, sicuramente ci sarà, ovviamente, però di certo non era Roma o non era un’altra realtà. Allora questo tema è importante e quella bicipolitana oggi, soprattutto d’estate, è un luogo nel quale tanti ragazzi vanno al mare, a divertirsi , ad ascoltare musica, a fare festa in bicicletta. E uno dei dati dei quali io sono più orgoglioso è che è diminuito drasticamente il numero degli incidenti mortali per strada. A Pesaro ogni domenica mattina era il bollettino di guerra delle persone che morivano, io ho perso anche degli amici, che morivano nella strada tra Pesaro e Rimini. Allora tenerli qua, visto che Rimini non ne ha bisogno, c’è una gran confusione già abbondante, tenerli maggiormente nella nostra città, significa aver migliorato la sicurezza di quei ragazzi ma significa anche far dormire con più tranquillità i genitori che non devono vivere con l’ansia ogni notte finché questi ragazzi non sono tornati a casa rischiando la mattina dopo di leggere il giornale e trovarci il proprio figlio. Come vedete ogni realtà poi deve calibrare il suo senso di sicurezza, di coesione sulle proprie caratteristiche, dopo di che io sono molto orgoglioso, qui c’è la mia assessora alla crescita, io non ho l’assessore alla scuola, ho l’assessore alla crescita perché ho pensato che questo termine, crescita, venga troppo legato esclusivamente alla crescita economica, mentre la crescita dell’individuo e quindi l’assessore che si occupa di nidi, di scuola materna eccetera, da noi si chiama assessore alla crescita. Abbiamo investito molto per ridurre molto le tariffe dei nidi, soprattutto nella fascia intermedia che era quella che più di altri faticava a mandare i propri figli ai nidi, abbiamo aumentato notevolmente tutta l’offerta degli asili estivi, tutta l’offerta educativa legata ai bambini immigrati e ai genitori dei bambini immigrati per imparare la lingua e di conseguenza essere fortemente coesi, sono molto orgoglioso di questa storia perché è una delle storie più interessanti che abbiamo. Infine, lo dico come provocazione, io penso che noi nelle nostre città dobbiamo avere un po’ più nella testa il diritto alla ricerca della felicità che la crescita che i criteri con i quali abbiamo letto fino a questo momento la crescita della nostra città. Come avete visto in tutto il mio primo intervento ho parlato di lavoro, senza lavoro; senza crescita economica non c’è né redistribuzione di ricchezza e non c’è coesione. Dopodiché quando uno va a fare il sindaco si rende conto che gli elementi contro la solitudine sono i luoghi della coesione. E una città che investe fortemente nei luoghi di incontro, nei luoghi contro la solitudine, che siano i centri di aggregazione degli anziani, che siano i centri di aggregazione per i piccoli, che sia una piazza rifatta, che sia un luogo che era degradato dove ci porti musica e vivacità, contribuisce complessivamente al benessere di quella comunità io so bene che il diritto alla ricerca della felicità, che come sapete è sancito nella dichiarazione degli Stati Uniti d’America, nella dichiarazione d’indipendenza, è una dichiarazione molto intima, molto personale, molto individuale, legata alla salute, legata agli affetti, legata alla spiritualità. Ma io credo che un buon amministratore oggi debba domandarsi se c’è una sfera pubblica della città. E la sfera pubblica della felicità è il buon governo e la creazione di luoghi d’incontro. Quando una città ha luoghi d’incontro, le persone si sentono meno sole, sicuramente contribuisce al diritto individuale, alla ricerca della felicità degli individui. Grazie, buon lavoro a tutti voi.
GIORGIO GIOVANNETTI:
Ora torna la parola a Francesco Nelli, sindaco di Cittareale che ovviamente racconta la sua esperienza di una città come ci ha raccontato prima, come ci ha detto prima che ha subito il terremoto, che è una dimensione fisica e di popolazione molto piccola. Un simbolo degli oltre quattromilacinquecento comuni italiani, quindi è importante anche da questo punto di vista.
FRANCESCO NELLI:
Diciamo che a Cittareale intanto, i problemi sono quelli dei piccoli comuni di tutta Italia ai quali si sono sommati i problemi del terremoto e ancora prima, perché poi bisogna essere sinceri, a livello economico Cittareale era terremotato anche prima del 24 agosto nel senso che, come diceva il collega, l’occupazione da noi non c’era, quindi poi il problema di fondo era quello. Terremoto: i problemi del terremoto sono il dolore, la morte, ma dobbiamo trasformarli in una opportunità. Se il terremoto noi non lo trasformiamo in un’opportunità, non abbiamo capito nulla perché intanto bisogna fare una precisazione: i morti non li fa il terremoto, i morti li fa la qualità di come sono state costruite le abitazioni: Quindi se noi iniziamo con la ricostruzione a costruire in maniera realmente antisismica, mettiamo in sicurezza un patrimonio edilizio, magari con l’adeguamento sismico di quello che da noi è rimasto in piedi. Visto che ormai c’è questa opportunità, magari oltre all’adeguamento strutturale anche quello tecnologico, ecologico delle strutture, quindi questa potrebbe essere per il nostro territorio una grandissima opportunità. E quando dico il nostro territorio, tutto il territorio di quei piccoli comuni che sono stati colpiti dal terremoto del centro Italia dell’ultimo anno. Problemi sociali ovviamente noi a Cittareale non abbiamo problemi di sicurezza perché il numero degli abitanti è tale di quelle realtà in cui ci si conosce tutti e si sa a che ora si esce, a che ora si entra .Quindi è un problema sicuramente che non abbiamo. Problema lavorativo e poi abbiamo il problema di tutte quelle famiglie che vivono, che fanno figli e che ci sono un po’ ovunque. Anche io sto quasi sopra la media perché un figlio l’ho fatto a venti mesi e se Dio vuole fra quindici giorni divento papà per la seconda volta, quindi anche io giro la boa dei due. Il primo è un maschio e la seconda, se Dio vuole, sarà una femminuccia. Su questo so quindi benissimo quanta fatica nel creare una famiglia, nel portarla avanti superando tutti gli adempienti materiali: “A chi lascio mio figlio oggi che mia moglie va a fare banalmente l’ecografia e io vado in comune a fare il sindaco?”. Su questo poi vanno fatti tutta una serie di ragionamenti che se noi li facciamo diamo alle persone delle opportunità anche concrete per superare questo impedimento, io sono convinto che gli rendiamo la vita più semplice. È chiaro che si può fare qualunque legge ma se di fondo non c’è una coscienza sana, anche quello dura meno quindi il problema è creare una coscienza sana nelle persone. Il problema è ancora fondamentale. E poi creare in quei territori come il nostro una serie di infrastrutture. Io ero bambino e si parlava del raddoppio della Salaria, spero insomma che questa arrivi presto perché è una strada che collega due mari che sarebbe importante anche come alternativa alla Roma-L’ Aquila anche per tutto un territorio come il nostro. Ancora più importante di questa potrebbe esserci la ferrovia, quella che collega Roma ad Ascoli però la notizia di ieri è che il ministro del rione ha parlato e credo insomma che anche questo potrebbe generare un meccanismo economico, un volano che fa ricrescere quel territorio. Collegandolo allo sviluppo delle tecnologie digitali, lo raccontavo prima a qualcuno, ho un’età del territorio comunale che non è coperto dal segnale di telefonia mobile. Questo era già grave prima del terremoto, adesso è gravissimo perché non hanno neanche il segnale di telefonia fissa perché non possono stare in casa perché sono inagibili quindi se qualcuno si sente male deve cercare di spostarsi, andare dove il cellulare prende e poter fare le telefonate. Quindi noi dobbiamo colmare questo gap e rilanciare su la banda ultra larga, rilanciare sul wifi libero, rilanciare con questo nuove tecnologie sulla telesanità perché è chiaro che non si può pensare di avere presidi sanitari per quattrocento abitanti, però si può pensare di avere nelle zone più grandi dei presidi di telesanità che con le nuove tecnologie è possibile utilizzare. Quindi il tema è questo, sommato poi al tema del lavoro perché chi viene ad investire in un territorio dove addirittura non c’è il 4G al cellulare o addirittura non prende il telefonino? È chiaro che poi non vengono, non investono, meno posti di lavoro meno occupazione e diminuisce il calo demografico, quindi non solo mancanza delle nascite ma anche persone, spopolamento. È chiaro che la montagna non va abbandonata, va curata perché quando abbandoniamo poi ci troviamo con disastri naturali, con alluvioni .Per non abbandonarla bisogna incentivare le persone a rimanere lì, cioè bisogna, secondo me, creare le condizioni per far sì che una persona che vuole vivere in montagna parta allo stesso livello di una persona che vuole vivere in città. Noi possiamo pensare magari a un incentivo, in una politica stabile per il riscaldamento. Vivere in montagna, chiaramente la zona climatica F che è quella più fredda, è completamente diverso di vivere in un posto con la zona climatica A che è quella più calda. Quindi chiaramente un incentivo va dato alle persone che decidono di vivere in montagna, perché vivere in montagna è più difficile, vivere tutto l’anno intendo, di chi vive in altri posti. Io dicevo prima, l’inverno da noi arriviamo a -18/ -19 gradi quindi anche il riscaldamento assume poi un’importanza straordinaria. Io non voglio sottrarre tempo agli altri. Voglio ringraziare chi ha organizzato questo incontro e voglio ringraziare il Meeting per il lavoro che ha fatto in questi anni e che continua a fare. Grazie di cuore.
GIORGIO GIOVANNETTI:
E torniamo a Bergamo, “la città della buona vita”, si legge nel suo programma, Gori.
GIORGIO GORI:
Abbiamo lavorato per questo, poi vedremo i risultati. Volevo tornare sulle politiche come dicevo prima. In questi anni ni Italia si è cercato di dare risposta al tema demografico di cui stiamo parlando oggi essenzialmente attraverso degli aiuti economici perché poi è bello, come ho cercato di fare prima, dire che la famiglia è una gioia ma la famiglia ha anche un costo quindi effettivamente, riconosciamolo, delle cose sono state fatte. Oggi, per esempio , abbiamo il bonus bebè nazionale, in molte regioni c’è quello regionale, il voucher baby sitter e il buono asilo nido, in Lombardia i nidi per chi guadagna meno di ventimila euro sono gratis, il bonus famiglia, il bonus mamma- domani. Il comune di Bergamo ha aggiunto l’assegno di maternità, l’assegno del terzo figlio, la family card per le famiglie numerose. Sono state fatte delle cose che però, se i dati sono quelli che abbiamo condiviso all’inizio, evidentemente non sono sufficienti. Allora andando in modo un po’ schematico come vi anticipavo, io vedo tre temi: il primo è quello del restituire, del ridare autonomia ai giovani. I giovani oggi fanno tutto tardi, finiscono tardi di studiare, trovano tardi un lavoro, se lo trovano, e molto spesso, è un lavoro precario, quindi guadagnano tardi autonomia economica, escono tardi dalla famiglia, rimandano moltissimo alla scelta di costruire una propria famiglia e di fare dei figli. Quindi noi dobbiamo lì fare delle cose che lascino il segno. Evidentemente la prima cosa è lavorare sull’occupazione e quindi io credo che vada riconosciuto ciò che il governo ha fatto attraverso il jobs act e vada spinta la scelta che è stata anticipata in queste settimane di rendere più facile l’accesso al lavoro per i giovani attraverso la decontribuzione. Dopodiché c’è un tema di povertà giovanile. C’è un tema di investimento complessivo della nostra società. Leggevo che un giovane di trent’anni, nel 1977 aveva un reddito del 3% superiore alla media nazionale, oggi un giovane di trent’anni ha uno stipendio che è del 12% inferiore alla media nazionale. E ci sono un sacco di giovani poveri. Dal 2007 al 2015 i giovani al di sotto di trentaquattro anni che si sono trovati in una condizione di povertà assoluta sono andati dall’1,9 all’8,3%. E allora il reddito di inclusione, che è una grande scelta che il nostro Paese ha fatto e che finalmente oggi apre anche in Italia alla possibilità di dare assistenza a chi sta in una condizione di povertà, va assolutamente steso perché oggi la copertura economica arriva ai bisogni di un milione e mezzo di persone sui quattro milioni e sei che ne hanno necessità e quindi è una misura ancora purtroppo molto selettiva e che – per capirci- lascia fuori per l’appunto la maggior parte dei giovani che stanno in una condizione di povertà. Sempre sui giovani il tema della casa, che io credo che abbia molto a che fare con l’autonomia di chi è giovane. A Bergamo abbiamo fatto un lavoro sulla casa in affitto, è un tema culturale come veniva accennato ma è anche un tema materiale per cui il comune ha disposto una serie di sconti attraverso un accordo territoriale con l’organizzazione dei proprietari degli inquilini che incentivano la messa sul mercato di case a canone convenzionato accessibile anche a stipendi bassi quindi agli stipendi dei giovani. Secondo tema: il lavoro delle donne. Si fanno pochi figli laddove poche donne lavorano. Esattamente il contrario di quello che succedeva quarant’anni fa quando se ne facevano di più dove c’erano più donne dedite ai lavori domestici. Quindi in Italia che è un Paese con bassa occupazione femminile, si fanno pochi figli anche per questa ragione. E questo perché ci sono carichi familiari distribuiti in un modo non equilibrato tra uomini e donne, vale per il tema dei bambini, e quindi politiche di conciliazione, asili nido, ne abbiamo parlato, ma vorrei mettere proprio l’accento anche sul tema della cura delle persone anziane che nelle famiglie è in larga misura sulle spalle delle donne. In Lombardia ci sono cinquecento mila anziani non autosufficienti, sono il 5% della popolazione. Di questi sessanta mila stanno in un SRA, centocinquantamila hanno la badante e tutti gli altri sono in carico alle famiglie che magari prendono l’assegno di accompagnamento ma lo usano per integrare il budget familiare e poi una persona, la donna quasi sempre, si deve occupare di quell’anziano. Allora noi dobbiamo uscire da una logica di servizio a domanda individuale che non funziona perché un anziano, una badante non può essere e dobbiamo entrare in una dimensione invece di servizi a fruizione condivisa e questo può essere sia nella dimensione piccola di quartiere, a Bergamo abbiamo cominciato a sperimentare, sia secondo me su larga scala. Se ci pensate quello che stanno facendo le grandi piattaforme della sharing economy che fanno aggregazioni di domanda e di offerta, le fanno incontrare, il tema che le congiunge è la reputazione e in questo modo ottengono una risposta molto più efficace ed efficiente. Il terzo punto riguarda l’immigrazione, vado proprio quasi per slogan. Non entro nel merito della questione di quanti ne possono o ne debbano entrare, del regolamento delle ONG che non ci riguarda. Noi sindaci abbiamo a che fare con quelli che arrivano e con quelli che arrivano io credo che si debba cambiare andando nella direzione assolutamente dell’integrazione perché un Paese che perde centoquaranta mila abitanti all’anno non può permettersi di considerare l’immigrazione come un tema di emergenza e di accoglienza ma deve trovare il modo perché le persone che vogliono integrarsi, che rispettano le regole, che vogliono lavorare, possano integrarsi nel nostro Paese. Quindi io credo che si debba fare un grande piano nazionale per l’integrazione dei migranti dal momento in cui arrivano sul territorio italiano, dal momento in cui arrivano nei territori di accoglienza fondato sulla formazione e sul lavoro. Perché lì può diventare davvero uno snodo di sviluppo per il nostro Paese. Giovani, donne, immigrati, come capite il tema comune è il lavoro e quindi io credo che noi questo dobbiamo fare: impegnarci per creare più posti di lavoro, fare un grande investimento di aiuto a chi crea lavoro. E quindi, per concludere, la cosa di cui, tra i tanti numeri che abbiamo dato oggi e di cui sonno fiero, contento, è che negli ultimi dodici mesi a Bergamo si sono creati 2138 nuovi posti di lavoro, sono quasi il 4% di nuova occupazione e credo che questo sia il nostro contributo.
GIORGIO GIOVANNETTI:
È un dato, un numero di speranza con cui concludiamo. Prato, della crisi economica di Prato se n’è parlato nel primo giro. Fra l’altro un’annotazione di tipo economico: abbiamo qui due sindaci che rappresentano due delle zone dei famosi distretti industriali che riuscirono a rivoluzionare l’economia degli anni 70 con una crisi pesantissima e Prato fu il paradigma, il modello di quel cambiamento dei distretti industriali. Dopodiché è arrivata la crisi, ce ne ha parlato pria il sindaco, una crisi molto pesante, do solo un dato e quindi la possibilità a Biffoni poi di partire da questo, che una creazione del comune di Prato, l’emporio della solidarietà, dà assistenza a 1738 famiglie e di questo il 52% sono famiglie italiane.
MATTEO BIFFONI:
Esatto. Si parte da questo. Ovvio, una città ricchissima negli anni 70/80, reazioni infinita di posti di lavoro, pochissime casi popolari, proposte, prima dal sindaco di Venezia perché non c’era più bisogno, tutta grande ricchezza. Il tasso di scolarità più basso della Toscana perché si usciva dalle superiori, soprattutto da alcuni istituti tecnici e si andava a lavorare guadagnando delle cifre impressionanti. Poi è arrivata la crisi e vi dico una cosa al volo così, può interessare o no ma i cinesi di Prato, vi raccontavo prima, non c’entrano niente. È il mondo, la globalizzazione, chiamiamola in questo modo, che ha colpito i distretti. Il professor Becattini ce lo ha insegnato anche nell’ultimo straordinario libro che ci ha scritto prima di lasciarci. E quindi ovviamente c’è stato la contrazione di una città che è cresciuta nel corso degli anni in maniera trasversale. Se io fossi stato un sindaco degli anni 90 avrei raccontato una città che nel giro di trent’anni aveva quadruplicato i propri residenti, non c’erano problemi demografici perché è una città che cresceva in maniera stratosferica e che faceva fatica, adesso ne paghiamo dal punto di vista certe volte urbanistico delle scelte di una città che come un ragazzo ha uno sviluppo incredibile nel giro di pochi mesi, lo stesso ha fatto questa città che era cresciuta in maniera incredibile. Poi è arrivata la contrazione di questi ultimi anni è sostanzialmente nell’analisi di chi prima di me è intervenuto. La difficoltà innanzitutto che poi si scarica anche sui numeri dei ragazzi che nascono nelle nostre città di un futuro certo, di garanzie per quelli che sono i percorsi di vita e ovviamente che si legano in maniera indissolubile al mondo del lavoro della generazione, diciamo, che in questo momento deve fare più figli. Vi davo il dato precedente. La media complessiva delle mamme che partoriscono, l’età media complessiva delle mamme che partoriscono all’ospedale di Prato è 32, ovviamente, perché “il babbo conta sempre poco”, non abbiamo quella dei babbi ma temo, ho il sospetto che sia un po’ più alta. Allora riparto dalla considerazione che faceva Giorgio: se si riparte così tardi a fare il primo figlio, se si parte a un’età che è relativamente avanzata, considerando poi che questo si riverbera anche sulle necessità e sugli impegni che hai verso i tuoi di genitori perché cresce l’età e se non c’è un sistema di accompagnamento importante, la fatica la fai in maniera ulteriore perché devi essere anche punto di riferimento per le generazioni precedenti, è ovvio e qui c’è un tema su cui la politica deve necessariamente riflettere perché, qui si è fatto tutto l’elenco, bonus bebè, neonati è ovvio, le famiglie, primo punto di riferimento di un sindaco, l’assegno di maternità, quello dello Stato, aggiungi quello del comune entro sei mesi, sostegno annuale alle famiglie da tre figli in su, abbiamo deciso di fare questo. Abbiamo ovviamente tarato i contributi sulle famiglie che hanno più figli contemporaneamente nelle scuole, un piccolo gesto, il pacco dono per i nuovi nati con i biberon e tutte queste cose e l’appoggio a una fondazione (noi abbiamo una fondazione insieme alla ASL che accompagna i genitori in difficoltà). La genitorialità è una cosa seria, complicata, difficile, talvolta ci si improvvisa, altre volte si ha bisogno di un accompagnamento per chi è più fragile o ha necessità, noi proviamo a dargli anche questo strumento. Abbiamo messo in campo quello che io vi dicevo una realtà, almeno la mia ma penso sia abbastanza diffuso, lo strumento più potente che noi abbiamo è quello della scuola. Io sono particolarmente orgoglioso di essere il primo sindaco dopo venti, venticinque anni a Prato ad inaugurare un nuovo nido, che non c’era, non quelli che noi avevamo che negli anni precedenti venivano chiusi. Ma noi inauguriamo uno nuovo, proviamo a dare la risposta più ampia e più potente alla necessità di chi ha la fortuna di avere un lavoro e può avere come punto di riferimento la scuola, poi le tariffe nido ridotte. Fatemi dire però, qui io ho l’assessore personale in sala con me, noi abbiamo fatto una battaglia per portare l’apertura dei nidi fino alla fine di luglio ma è stata una battaglia, non è stato semplice e lineare, anche su questo bisognerà che con le nostre organizzazioni si provi a parlare. Abbiamo assunto sessanta maestre facendo delle scelte, non necessariamente il turn over in alcuni settori poi ci ha aiutato, è vero forse ha contratto le spese, forse c’erano alcuni casi in cui si era andati oltre ma in alcuni casi ne avevamo bisogno e, se vogliamo aiutare le famiglie, aiutare i genitori ad avere figli dobbiamo dare questo strumento ma se non abbiamo maestre poi nelle nostre scuole, poi questo strumento rimane monco, rimane affaticato. E poi diamo i contributi, anche su questo penso che Dario mi possa capire. Abbiamo mantenuto con uno sforzo impressionante il bonus per i ragazzi, per le famiglie che non ce la fanno e che vogliono mandare i loro figli nella nostra scuola di musica. Non tutte le famiglie riescono a comprare uno strumento costoso. L’abbiamo mantenuto, è uno sforzo sempre più complesso e nonostante tutto non è detto, con i numeri che abbiamo, che sia una soluzione. E allora certi sostegni agli anziani, condomini solidali e stiamo provando dappertutto, l’aiuto alle associazioni. Noi abbiamo fatto anche un’ulteriore cose, io ve la racconto perché ne sono contento. Nessuno sorrida perché ora vi spiego il perché. Come comune noi abbiamo messo a disposizione delle famiglie in fascia grigia, abbiamo definita così, 80 euro, cifra simbolica così almeno chiariamo subito la situazione. Ci siamo resi conto che avevamo cento famiglie, abbiamo una specie di sperimentazione. Delle famiglie che erano troppo ricche per essere povere e quindi per accedere al sistema di tutela che le normative prevedono, ma nello stesso tempo altrettanto fragili che si rivolgevano ai servizi sociali perché si rompeva la macchina, perché c’era da fare quelle piccole situazioni di vita quotidiana ma che ti servono ad andare avanti senza dover incappare in fatiche ulteriori in maniera successiva. Quelle fasce grigie noi le abbiamo aiutate con questo contributo che arrivava fino a trecentoventi euro per nucleo familiare. Al mese per un anno. Ottanta euro a soggetto, anche persone sole, non necessariamente famiglie, però quella fascia lì in difficoltà, erano cento le famiglie che abbiamo preso di riferimento. Abbiamo visto che questo ha dato una risposta ma anche questo, per quanto possa essere uno strumento, richiede risorse che toglie da altre parti perché poi la coperta è questa ed è sempre più faticoso. Ovviamente abbiamo provato, abbiamo chiesto in cambio politiche attive, chiediamo a tutti quelli che vengono aiutati, i servizi sociali per chi non ha lavoro. Ovviamente abbiamo provato, abbiamo chiesto in cambio politiche attive. Chiediamo a tutti quelli che vengono in Italia, dei servizi sociali, di accompagnarci, per chi non ha il lavoro ovviamente, a percorsi formativi entro i centri per l’impiego. Insomma si è provato a mettere in campo tutta questa roba, come ho fatto io e come fanno i miei colleghi ognuno con le sue sensibilità, le sue idee, ma questo proviamo a fare. Per i numeri che abbiamo, non basta. La grande sfida, torno da dove siamo partiti, da dove sono partiti tutti: è continuare nel lavoro impressionante, difficile, complesso, di creazione di posto di lavoro. Come Comune mettiamo la fibra in tutta la città. Con Dario abbiamo fatto l’azienda unica dei rifiuti per vedere se ci fanno risparmiare. Io ho levato la cosa della tassa sui tavolini, per capirci, per le nove per chi apre ristoranti, bar, queste robe. Però su questo davvero voglio tornare alla sfida complessiva del paese , la reazione di possibilità di lavoro e di opportunità, soprattutto, fatemelo dire, per le nuove generazioni, se vogliamo dare risposta alla domanda che stamane qui ci stiamo facendo. Questo è una sfida che riguarda tutti, riguarda i sindaci, riguarda il parlamento, riguarda i consiglieri regionali, riguarda comunione e liberazione, riguarda il Meeting di Rimini, tutti quelli che hanno a cuore questa comunità, questo sistema-paese. Questo è lo sforzo più importante. Ridare questa centralità e fare questa fatica per cercare di arrivare in fondo, di dare quella autonomia a queste generazioni a cui chiediamo di fare figli, a cui proviamo a dare l’opportunità di fare figli, è la sfida che noi abbiamo davanti questi anni ognuno con il suo pezzettino. Chiudo, un’ultimissima cosa a cui tengo molto, è un argomento antico. Io ringrazio il parlamento per la normativa anti-dimissioni in bianco e su questo provo a rilanciare i diritti di maternità e di paternità anche per i non dipendenti. Facciamo un ragionamento perché è l’altra grande sfida di armonizzazione della gestione dei figli e di genitori o di tutte le cariche che babbi e mamme hanno da affrontare. Su questo, è un ulteriore tassello che in questo paese secondo me deve essere ulteriormente affrontato. Grazie.
GIORGIO GIOVANNETTI:
Brugnaro a lei. Venezia.
LUIGI BRUGNARO:
Allora intanto il tema dell’eredità che dovremo lasciare ai nostri figli ce lo stiamo mangiando, ce lo mangiamo con il debito pubblico, per cui la realtà è che noi dobbiamo fare tutte ste buone politiche che ho sentito adesso. Gli ottanta euro , già…C’è, è da capire: tu se vieni eletto hai il diritto di fare quello che vuoi, tu comandi, tu governi e io ti do una mano sicuro, l’importante è che mi devi dire dove tiri fuori quei soldi. Se tu li tiri fuori dall’efficienza dello stato, allora mi sta bene, c’è, magari io avrei un’altra soluzione, non mi piace… però capisco e va bene. Io ho trovato, io sono un sindaco, correggo, ho cinque figli, gli altri due grandi non li hai visti perché sono a casa a badare alla casa. Sono un imprenditore, mi sono candidato a Venezia perché c’era una situazione disastrata. Io ho chiesto, anzi, di fare un accordo ancora più ampio perché credo che anche per il paese ci sia bisogno di un accordo più ampio. Faccio il sindaco gratis, lo faccio con grande passione finché ce ne sarà bisogno poi torno a casa mia. Non ho nessun tipo di ambizione politica di nessun genere, così chiudiamo qualsiasi discorso di altro genere. Io non sono qua per farmi campagna; cioè parlo per me, perché a Venezia, in Veneto, è bene che si sappia ‘sta roba, Ecco. Se parlo dico soltanto che a Venezia, e parlo della mia città, si era veramente toccato il limite. Vent’anni di politiche scellerate. Ho trovato un debito; abbiamo fatto un bilancio consolidato, non sapevamo neanche cos’era, mettendo insieme le municipalizzate e anche il comune intero: ottocento milioni di euro di debito. Ottocento milioni! Se tu lo dici a una signora per strada e dici “ottanta”, lei si spaventa lo stesso, “otto”, lo stesso, ma questi erano ottocento e il debito è come il peso, non dorme mai, cioè, ergo, vive sempre. Io i primi sei mesi di attività ho calato il debito di trenta milioni di euro a sette e settanta Nessuno mi voterà per questo. Però per spiegare la politica della famiglia e per i figli per i genitori per i ragazzi dobbiamo fare la politica del buon padre di famiglia. Non dirla, farla. Cioè vuol dire che se tu vuoi fare le tue manovre, quelle che siano le tue ideone, le fai efficientando la macchina, mi dici dove trovi le risorse. Questo discorso deve valere per tutti, attenzione, non deve valere per questo o per quello, deve valere per tutti. Si deve partire dal bilancio; si chiama bilancio perché si bilancia. Parliamo di integrazione. A Venezia abbiamo il ghetto degli ebrei, abbiamo in particolar modo quest’anno ricordato il cinquecentenario. Cinquecento anni una storia difficilissima, cruenta. A Venezia erano stati una parte isolati in questo ghetto, la parola ghetto nasce proprio da questo, da un’altra parte protetti perché qualcuno voleva addirittura ammazzarli. Poi, e racconto questa storia perché mi ha colpito tantissimo e credo proprio che sia la venezianità che voglio raccontare, cioè l incrocio di culture, quella vera però, non quella beota che uno dice “siamo integranti” e integriamo con le bandierine! Chi integri così? Questi a Venezia per cinquecento anni hanno, no perché noi pensiamo che gli altri tanto vengono qua, tanto sono buoni, no non funziona così, questi sono organizzati sono organizzati militarmente. Noi diciamo sparpagliamoli. Si ma cosa sparpagli. .Comunque racconto sta storia degli ebrei a Venezia perché è importante come esempio di integrazione che a me piace. Questi hanno voluto farsi integrare, sono diventati loro più veneziani di me, c’è, loro hanno costruito la città pensate che i veneziani gli aprivano il ghetto la mattina e poi li facevano andare dentro la sera, li chiudevano dentro la sera. Per dire di che razza stiamo parlando del millecinquecento, su! consideriamo anche questo fatto però: l’integrazione la grande esperienza quello che abbiamo il grande valore occidentale è la libertà e l’idea che io possa girare con la kippah il giorno che è della memoria senza che nessuno mi debba aggredire. Noi abbiamo chiusi una moschea io ho chiuso una moschea per essere sinceri perché sti qua l’avevano aperta ma tanti anni fa e andava avanti su un magazzino alle sei del mattino e tutti quanti, si svegliavano tutti , tutti protestavano scrivevano non si sa a chi Io ho fatto un ordinanza con ?? loro volevano stendersi in Piazza Ferretto. Mi hanno detto che non si può neanche a stendersi in Piazza Ferretto si può allora siamo arrivati ad una trattativa adesso si compreranno un immobile magari non sotto le case della gente che abita. Mi hanno anche già detto dove ho detto vabbè là non c’è problema, vi mettete a posto tutto coi soldi vostri. Si chiama sussidiarietà. Vuoi la tua liberta? Te la paghi . Cioè noi qui non riusciremo a difendere nessuna eredità se non capiamo che abbiamo una eredità che la stiamo mangiando tutta l’eredità. Ci stanno comprando le migliori brand aziendali, le migliori aziende gli stranieri in generali quando noi cerchiamo di fare altrettanto ci ridono in faccia diciamo così. Questa cosa del sentimento nazionale io sono qua per dire che appoggio queste persone in prima linea perché da cittadino, io non mi sento ancora imprenditore io mi sento più confindustria che non sindaco, però vi dico bisogna gestire la nazione, le città le regioni con la logica del buon padre di famiglia allora i giovani quelli più bravi che stanno andando via. Valeria Solesin che noi abbiamo purtroppo ricordato tristemente come una vittima del Bataclan come voi sapete era una ragazza che aveva trovato lavoro alla sorbona. Cioè la memoria di questa ragazza in due parti una ricordiamo dei terroristi disgraziati e vigliacchi che in Italia devono essere battuti quanto meno pensiamo a casa nostra e continueremo noi adesso a Venezia alziamo le difese ancora di più. In piazza Ferretto noi avevamo già le misure antiterrorismo quando è successo il Bataclan ci hanno chiesto: sindaco aumenterai le misure? Si cosa vuol dire? Ti ricordi, ho detto a un giornalista, se tu corri in piazza san Marco e gridi “Allahu Akbar” fai quattro passi e ti abbattiamo cioè lui ti abbattiamo, abbiamo i cecchini ti abbattiamo abbiamo aumentato le difese, e come hai fatto addirittura ad aumentarle, c’è cosa vuol dire? Tu vai in piazza San Marco corri e gridi “Allahu Akbar” noi ti abbattiamo dopo tre passi, abbiamo aumentato le difese adesso le aumenteremo ancora perché dobbiamo dare la sensazione alla città, alla cittadinanza che noi ci siamo che vogliamo reagire io sono qua perché penso che queste siano le persone migliori dell’Italia veramente ma lo dico sinceramente. Credo che in certi casi certe ricette siano deboli che siano deboli. Il rispetto che noi pretendiamo dagli altri dobbiamo dimostrarcelo e riguadagnarcelo i giovani stanno andando via perché non credono più al paese noi dobbiamo rilanciare i posti di lavoro. Io son d’accordo con Ricci totalmente ha ragione lui il mio grande cruccio sarà rilanciare porto Marghera. Porto Marghera è un posto, un luogo di grandissima strategia per l’Italia è perché la politica della famiglia non puoi solo raccontare che ho fatto i bandi speciali per le famiglie numerose il bando per gli ultra sessantacinquenni con la domotica per facilitare l’autonomia alle badanti. Ma sono cose che devono essere inquadrate in contesti più generali. Oggi i nonni pensano che se il loro figlio e io lo continuo a dire, lo sento proprio se il proprio va all’ estero non torna più, non torna più a casa perché li lo pagano di più. Al nostro giovane ci costa tantissimo educarlo formarlo e non parliamo poi degli effetti tu vedrai tuo figlio e tanti dicono vai all’estero fai un esperienza stare attenti perché se qui non recuperiamo la attrazione degli investimenti come stava dicendo Ricci prima costi quel che costi a Marghera io devo cambiar le regole per le bonifiche lo sto facendo con il governo il sindaco non può cambiare da solo le regole ma se io cambio le rendo più economicamente sostenibili io riesco ad attirare delle grandi imprese. Dicevo il porto di Marghera. Scusatemi questo, ma è per spiegare l’importanza per l’Italia intera di rilanciare le industrie, le fabbriche ha ragione lui invece un comune di 400 persone che ti dice che serve il cellulare. Guarda è un particolare che ha perfettamente ragione. Noi dobbiamo rendere collegato il nostro mondo il nostro paese. Cioè nello stesso momento che mettiamo le frontiere le sbarre ci ragioniamo tu entri col passaporto e chiedi il permesso altroché se avremo bisogno dell’integrazione , sono d’accordo nel piano dell’integrazione degli stranieri che sono in Italia regolari poi vediamo come scriverlo perché scriviamo lo ius soli come abbiamo scritto non va bene. Lo ius soli io sono d accordo nel fare lo ius soli ma non così non così io sto firmando le cittadinanze che me fa ‘a’mancà a’ man perché io sono obbligato a farlo. Attenzione domando a voi è giusto che uno diventa cittadino italiano e nella legge di oggi e credo anche con lo ius soli e non fa neanche un giuramento sulla costituzione, cioè io credo che deve essere obbligato. Oggi uno diventa per diritto, divino, stai qua un po’ di tempo e diventi italiano. Seconda questione, non cedono la cittadinanza tu devi rinunciare alla tua, sei egiziano? Mi scrivi mi fai un diritto internazionale che tu rinunci alla cittadinanza egiziana perché quando ti sposi con un’italiana un domani hai un figlio ti prendi il figlio vai in Egitto e lì ti ricordi che sei egiziano butti via il passaporto italiano e tuo figlio lì c’ha un’altra legge; terza cosa: possiamo verificare se hai fatto tutto? Se sai l’italiano per esempio. Un esame possiamo farlo? Per sapere, per capire cosa dicono: Se loro sanno che quando diciamo “abbandonare, buttarsi per terra” questi lo capiscono, nei luoghi di lavoro. Allora io dico, ma perché? E come la storia del gender. Ho finito. Abbiamo detto, ma scusate cosa centra questo con i diritti delle comunità omosessuali? C’è un problema grande come una casa sulle adozioni e sul futuro della natalità difficilissimo. Non è che io ho la ricetta in tasca ma dico scusa?
Ritardiamo, facciamo una legge condivisa, lo ius soli non può diventare una battaglia di partito è sbagliata questa cosa qua. Nell’interesse di quei giovani , quei ragazzi che poi è giusto che diventino italiani. Guardate che la giustizia se c’è deve essere per tutti e deve essere condivisa tra tutti, grazie.
GIORGIO GIOVANNETTI:
Allora sindaco Gnassi a lei.
ANDREA GNASSI:
No, intanto spero che adesso dirò a qualche romagnolo che va in Piazza San Marco di non urlare “Romagna mia” perché non si sa mai. Anche perché metà dell’intervento era in Veneto quindi ho fatto fatica a capirlo, no scherzo. No credo che abbiamo fatto un bel dibattito e voglio essere un po’ provocatorio. Il titolo del meeting è straordinario no? Titolo “quello che tu eredi dai dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”. Allora per noi sindaci sarebbe anche facile dire che siamo sindaci e qui non c’è una sottolineatura in negativo con chi ci ha preceduto, c’è una fotografia dell’Italia. Noi veniamo ad essere sindaci dopo che c’è stata una generazione di figli e non di eredi. Perché se guardiamo questo paese e lo vediamo consumato dal punto di vista del consumo del territorio in dissesto idrogeologico in dissesto istituzionale, finanziario, beh insomma fare i sindaci oggi ti chiedi ma quelli di prima venti trent’ anni erano consapevoli di dover essere eredi o erano solo figli? perché guardate i figli possono anche solo consumare o dissipare, gli eredi devono guadagnarsi l’eredità e provare a trasmetterla. Allora qui oggi noi abbiamo parlato di tanti tentativi di tenere su come si dice alla London School of Economics “la baracca” politiche sociali o non faccio l’elenco di quello che facciamo il nostro comune spende circa quaranta milioni alla anno sul welfare dalla disabilita ai trasporti a tentativi di costruire soggetti come dire nel territorio ci vivo , sono gruppo io qui ci vivo e di questo posto mi occupo anche, Brugnaro, con gli immigrati che vorrei rassicurarti come dire costituiscono anche una parte fondante del lavoro che le nostre comunità esprimono una contribuzione economica perché da questo punto di vista io sono molto d accordo con quello che è stato detto prima da Dario da Giorgio ma anche con te, bisogna essere rigorosi. La sicurezza non è un tema colorato politicamente, Di destra di sinistra… La sicurezza è che ad esempio anche rispetto a coloro che vengono e che commettono reati io vorrei legare la sanzione amministrativa se fai l’abusivismo commerciale anche di una sanzione penale perché sennò come dire ti faccio la multa e il giorno dopo sei libero, Dopodiché la applico a tutti. Allora dentro questo dibattito noi abbiamo parlato di tante cose che stiamo tentando di fare e prima nel primo giro si diceva noi vorremmo come sindaci un patto in questo paese: responsabilità e autonomia. Dammi l’autonomia organizzativa, fiscale e di investimento. Io contribuisco al pareggio di bilancio cioè non sforo i bilanci e questa è una responsabilità che dobbiamo chiedere anche ai nostri colleghi sindaci perché è facile assumersi la responsabilità di non risanare il bilancio comunale in virtù del fatto che hai problemi, ma risanare il bilancio affrontare i problemi è un’altra modalità con cui si può e attraverso la quale si può e si vuole fare il sindaco. E allora vengo a due considerazioni: se chiediamo responsabilità e autonomia però tu come dire quella autonomia devi poterla esprimere e allora qui entra in gioco la tua visione la tua capacita. Noi siamo sindaci in frontiera dove la sfida alla fine della giostra è se decidi di subire il cambiamento alzando le paure rincorrendo i problemi oppure interpreti il cambiamento e interpretare il cambiamento significa a volte fare scelte coraggiose perché tutte quelle politiche di welfare di sostegno alle famiglie, noi abbiamo un centro per le famiglie che abbiamo tenacemente sosteniamo oltre duemila famiglie vengono aiutate tutti i giorni sulla genitorialità è nel cuore del centro storico. Abbiamo provato a fare residence dei babbi separati perché uno può inciampare nella vita, non sa dove andare, abbiamo trovato padri soli che dormivano in macchina e magari attraverso un luogo ricostruisci anche una relazione sociale che ti permette di ricostruire la famiglia, quindi ci sono tante cose. Il punto è però il tentativo di interpretare il cambiamento e il tentativo di interpretare il cambiamento significa scelte coraggiose siccome come dire abbiamo non ereditato però stiamo facendo i conti con qualche problema che ci vinee dal passato dalle nostre parti negli ultimi anni sono qui anche dei consiglieri comunali abbiamo tentato e deciso di cambiare il modello di sviluppo che avevamo alle spalle che ha dato sicuramente sicurezza e benessere diffuso negli ultimi settant’anni ma che oggi riproduceva i limiti di consumo dei territori, dissesto idrogeologico quindicimila case sfitte e richieste di abitazioni, speculazione immobiliare, la abbiamo chiamata con nome e cognome. La rendita immobiliare che è appartenuta non ad un partito, ma a un modo di pensare italiano che ha consumato il paese più bello del mondo ha persino creato ed è stata legata la crisi del credito che finanziava la rendita immobiliare. Dire stop al cemento è occuparsi nella nostra città ecco la nostra esperienza, di una strategia, ecco l’erede. L’erede non pensa all’applauso, pensa al futuro, non pensa al consenso breve. In Italia non si fa pianificazione strategica. Noi abbiamo ragionato nella nostra città come una famiglia che ha pensato ai nipoti non solo ai figli ha pensato di poter trasmettere qualcosa, allora quando abbiamo detto stop al consumo del territorio beh abbiamo fatto delle varianti retroattive ai piani regolatori, varianti retroattive alle pianificazioni dei piani regolatori, non solo consumo zero di qui non avanti ma siamo andati indietro. Abbiamo colpito, ci siamo esposti, siamo ancora in tribunale e quando abbiamo detto quella cosa li abbiamo colpito una modalità italiana di fare sviluppo, che era finita, quella della rendita immobiliare e abbiamo pensato ai nipoti pensando al mare. Noi non abbiamo centocinquantamila abitanti facciamo .. La provincia di rimini fa circa 25milioni di presenze turistiche che il comune di Rimini fa quindici milioni escluso gli escursionisti, city user abbiamo bisogno di strutturare dei sistemi, di riciclo e sui rifiuti tarati sul milione di abitanti. Abbiamo deciso di stoppare il consumo del territorio e mettere mano al sistema idrico fognario. Siamo l’Italia si fa della retorica il turismo e il nostro petrolio. Lo diciamo da talmente tanto tempo che non dovremmo parlare più di petrolio, ma di energia rinnovabile ma siamo ancora fermi li, sei a mollo nel mediterraneo. Il nostro paese su 18 regioni ha 15 regioni in infrazione europea per gli scarichi a mare. Nel 2019-2020 con 200milioni di investimento sul sistema idrico fognario le fogne guardo domani non guardo al consenso breve non faccio il sopra prima faccio il sotto. Rimini sarà la città in Italia che nel 2019-2020 non avrà scarichi reflui a mare allora la riconversione del sopra, del waterfront, del nostro lungo mare, con la palestra con le palestre a cielo aperto più grandi del mediterraneo viene dopo che hai messo a posto il sotto e toglieremo l’asfalto toglieremo le macchine. In un rapporto, ecco qui la libertà, in un rapporto con il protagonismo sociale imprenditoriale che gioca sulla capacità di scommettere sul futuro sulla autonomia e il pensiero dell’imprenditoria noi non abbiamo calato dall’alto abbiamo fatto la pianificazione strategica vuol dire che non decide un sindaco il piano regolatore, non decide un assessore all’urbanistica. È una pluralità di soggetti che sono chiamati a discutere attorno ad un tavolo. Se necessario rifare le fogne, rifare il lungomare non con la speculazione immobiliare, ti rifaccio in pezzo di lungomare, ottocento metri in cambio mi dai 600appartamenti e un centro commerciale e la firma l’archistar, oppure guardando dove siamo nati, il primo stabilimento privilegiato dei bagni marittimi, l’idroterapia, l’olioterapia , le funzioni benefiche del sole e del mare, fai le palestre a cielo aperto più grandi del mediterraneo in un rapporto col privato. Ecco allora la libertà, e ho finito, il coraggio di vedere lungo, lo diceva Matteo. La pianificazione strategica si misura sul lungo periodo, ti rassicuro Brugnaro, fare quelle sfide fondanti, io se fossi andato a votare dopo i primi due anni mi avrebbero impalato sul pennone più alto della città perché quando fai questa roba qui metti le fondamenta di una famiglia, e famiglia è comunità, comunità è città beh non hai il consenso subito. Oggi i cantieri stanno venendo fuori, insieme alle fogne, abbiamo deciso di scommettere sui motori culturali, sulla città romana, la città del rinascimento di Piero della Francesca, di Fellini quando verrete quest’altr’anno al meeting vedrete un quadrante urbano completamente pedonalizzato dove il ricostruito teatro Galli distrutti da uno dei 386 bombardamenti qui passava la linea gotica inaugurato da Giuseppe Verdi si alzerà sarà in augurato dialogherà con la rocca di Sigismondo Pandolfo Malatesta, Piero della Francesca dove dentro ci sarà il museo internazionale Fellini. Noi stimiamo intorno ai 5000 posti di lavoro in più, questo è un motivo per non far mandare i figlio, i nipoti a cercar lavoro con la valigia. Ci hanno accompagnato in questo percorso persone giovani ragazzi che hanno deciso di stare con voi dicendo giù la valigia, hanno fatto un manifesto giù la valigia, ce la giochiamo qua la partita. Allora la radicalità dei problemi: flussi migratori il terrorismo, la sicurezza, c’era un bellissimo dibattito in questi giorni sul corriere della sera Stefano Boeri e altri architetti, noi siamo chiamati a far fronte c’è in quest’ora i tornelli, le barriere chiudiamo il lungo mare, cementi. Allora cancelli o cervelli su quel lungo mare la riqualificazione di un luogo che connette il tuo giacimento privilegiato, un castello in lungo mare con la periferia ha fatto si che la pianificazione strategica consentirà ad esempio agli abitanti di Rimini di non avere un giardino sul mare per i viaggiatori turisti, bellissima periferia abbandonata ma delle ciclabili che collegheranno i quartiere a monte della statale sedici adriatica che taglia il sotto e il sopra della città perché quella pianificazione ci ha consentito di programmare la ciclabilità su 10-15 ani perché noi non potremmo, lo fanno a Berlino il 75 per cento dei residenti di Berlino si muove in bicicletta. Puoi pensare di fare quello che vuoi metropolitane, tramvie ma a un certo punto io che posso muovermi nella città e penso all’anziano che non può farlo o al figlio che deve essere protetto posso muovere in un modo alternativo all’auto, devo essere come dire incentivato a usare un meccanismo di mobilità sostenibile che rende come dire non solo la città più dolce più sicura ma anche più fruibile perché la libero ad esempio dal lungo mare intasati dalle auto il coraggio delle scelte e io penso che c’è una generazione di sindaci che oggi ha nella testa davvero la coscienza di dover, non di poter scegliere tra essere figli ed eredi, di dover essere eredi perché quello che noi con cura con cuore, con anche come dire con la paura che ti porti a casa la sera e con il fatto che sei consapevole che non hai risposto al bisogno di tutto, beh quella eredità oggi noi la sentiamo nella consapevolezza delle scelte, nel coraggio delle scelte che mettiamo in campo, infine e ho finito intanto mi auguro che vi godiate la città uscite andate a vedere tornate potete prenotare per il capodanno, lo spot …. Infine l’ultimo punto: un idea complessiva di città prova e trova le coordinate per far rimanere i giovani nella loro città, lavoro, lavoro, lavoro. Noi stimiamo appunto che la riconversione del modello di sviluppo possa trattenere qua, produrre non solo più lavoro ma fasce di giovani intere e c’è un concetto che lega questa idea di città anche ad una idea con cui stai nella società ce lo ricordava Baumann, lo avete ricordato nel meeting in questi giorni quando Baumann diceva che la felicità comincia a casa, comincia in contatto con le persone, non sta solo su internet, non è su internet, perché quando sei a casa, quando sei in contatto con le persone, quando sei al lavoro con un tuo collega, o a casa discuti litighi cresci se invece qualcuno ha l’idea di assisterti magari con un assegno si è parlato di assegni e cittadinanza per farti stare a casa e andare su internet a costruirti la tua solitudine quella è una idea di società che non ci appartiene allora il nostro mantra è il lavoro, un’idea di società che possa cambiare le città per produrre lavoro e al posto della segno di cittadinanza l’opportunità di lavoro e in parte noi questa responsabilità come sindaci, nonostante non abbiamo mezzi molta responsabilità e poca autonomia beh noi quella opportunità possiamo metterla in campo se ci giochiamo la partita, con un pensiero trova le risorse e le risorse costruiscono un progetto
GIORGIO GIOVANNETTI:
Grazie, rapidissime le conclusione visto tempi e nonostante i cinque minuti imposti non sempre rispettati. L’incontro di oggi ha confermato due cose: uno complesso policentrico articolato è cosi il nostro paese, questa è l’Italia, l’avete sentito nella differenziazione delle storie e delle realtà. L’altra cosa sono lavoro sicurezza fiducia necessità di cambiare le mentalità, questa è l’altra, le parole chiave del incontro di oggi. Però se e qui prendo lo spunto dall’ intervento del sindaco di Prato, interpretare il cambiamento cioè la necessità di interpretare il cambiamento di diventare soggetti, di diventare protagonisti del futuro affidato alle regioni, alle comunità alle polis è l’oggetto del nostro incontro, e allora è venuta fuori l’idea di non lasciare isolato questo dibattito di non lasciarlo come un momento importante in un meeting che rimane nella storia ma andare oltre e Dario Nardella ha pensato di tirare fuori un documento che portasse l’opinione dei sindaci fuori dal meeting e fosse la testimonianza di questo dibattito e del fermento e dei ruoli delle comunità locali nel gestire il cambiamento, quindi se Nardella lo sintetizza in due minuti due
DARIO NARDELLA:
Ci metto venti secondi, mah, più che documento direi una lettera ci siamo detti questo, oltre alle tante cose che abbiamo detto in questa ricchezza di punti di vista che avete anche potuto osservare lasciamo qualcosa di scritto e anche di concreto. Da sindaci qualcosa abbiamo imparato e cioè che la concretezza è una bella dimensione della politica e la politica dei fatti non è affatto qualcosa di meno nobile della grande politica delle idee o della filosofia e allora abbiamo scritto due pagine con alcune proposte molto concrete che partono da un dato: una città non può abbracciare un paese , ma un paese può abbracciare tutte le città e può trovare quel minimo comune denominatore che avrete sentito tra tutti noi pur con le diverse sfumatura, pur con le diverse accentuazioni su alcuni concetti. La città e la sfida demografica per una politica generativa: impegnare il paese su nascite, welfare e anziani. Come sindaci lanciamo alle istituzioni nazionali al parlamento al governo una sfida riconoscendo anche le cose buone fatte ma anche le tante da fare, proprio su questo concetto riprendendo il titolo del meeting cioè “quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”. Partiamo dai dati che avete sentito e cioè che questo paese se non cambia rotta decisamente e velocemente perdendo ogni anno una città virtuale di centoquarantamila abitanti con una politica sul immigrazione che ha bisogno di una prospettiva più di lungo periodo. Non ha futuro e allora proponiamo la promozione di una corretta campagna comunicativa, scevra da approcci ideologici per informare su tutti i servizi e mezzi di sostegno alle famiglie, la creazione di un sistema di welfare che offra diritti di maternità e paternità a tutti i lavoratori anche non dipendenti, lo abbiamo detto prima, L’attivazione di politiche per l autonomia dei giovani e la loro crescita, a partire da misure che favoriscano l’inserimento la stabilità di occupazione, lavoro questo è il tema che tutti abbiamo richiamato, il miglioramento della conciliazione tra la vita familiare professionale, un organizzazione del lavoro più funzionale attenta alle nuove esigenze di genitori con l’obiettivo di agevolare anche la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, elemento decisivo per una ripresa della natalità, l’ampiamento della platea interessate dal reddito di inclusione cominciando proprio dai giovani, la riduzione della spesa delle famiglie per l iscrizione e la frequenza nelle scuole , scuole delle infanzia, grazie ai migliori investimenti pubblici e privati perché la sussidiarietà sulla scuola è un punto fondamentale ,maggiori incentivi fiscali ed economici per i neogenitori che rafforzino le iniziative degli ultimi governi, la trasformazione in tute le medie e grandi città di vecchi mobili pubblici in social housing, ne abbiamo parlato, l’attivazione di asili, condomini, servizio di domicilio condiviso per una vera convivenza generazionale, che sull’esempio di alcune realtà nei nostri paesi porti a far dialogare le diverse esperienze tra la popolazione anziana e la vivacità dei giovani, un maggiore investimento in collaborazione con l associazionismo il privato sociale nei servizi di assistenza agli anziani non autosufficienti il cui carico di cura oggi è in larga misura sulle spalle delle famiglie e in particolare delle donne e il varo di un piano nazionale per l inserimento sociale degli immigrati basato sulla formazione e sul lavoro che faccia tesoro di esperienze positive locali accompagnato dall’impegno di accoglienza che tenga conto però dell’effettiva esigenza di un sistema produttivo e della capacità effettiva di accogliere non in modo aperto indiscriminato. Insieme al governo e agli studiosi della società civile noi pensiamo che dal meeting di Rimini possa essere lanciata questa sfida. Abbiamo parlato di pianificare come un buon padre di famiglia. Un sindaco on può pensare di tagliare tutti i nastri delle opere dei progetti che imposta perché non sarebbe un buon sindaco e dunque dobbiamo sfidare il paese su questo sguardo lungo. Oggi il livello di natalità in Italia è di 1,34 figli per donna, vogliamo e dobbiamo arrivare a due figli per donna per garantire quel ricambio generazionale e per garantire appunto quella capacità di raccogliere l’eredità e lasciarla ai nostri figli. Io ringrazio di cuore tutto il meeting e speriamo che da qui possa partire un bel messaggio.
GIORGIO GIOVANNETTI:
Molte grazie a tutti voi, agli ospiti che sono stati per oltre due ore ad ascoltare questo convegno.