LA PACE E LA CONVIVENZA DOVE SEMBRA IMPOSSIBILE

Partecipano: Ghadir Hani, Esponente del Movimento Women Wage Peace; Alisa Eshet Moses, Esponente del Movimento Women Wage Peace; S. Ecc. Mons. Pero Sudar, Vescovo Ausiliare di Sarajevo (Bosnia Erzegovina), Fondatore delle Scuole per l’Europa. Introduce Roberto Fontolan, Direttore del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione.

La pace e la convivenza dove sembra impossibile

ROBERTO FONTOLAN:
Abbiamo qualche problema organizzativo con le traduzioni, come vedremo subito. Non possono stare lontane neanche intorno ad un tavolo, hanno già protestato per questa distanza le due nostre ospiti di oggi, la signora Alisa Eshet, israeliana, e la signora Ghadir Hani, palestinese; ne approfitto e le accogliamo con un grande applauso. E allora vi invito anche ad accogliere con grande calore il vescovo ausiliario di Sarajevo, una città che abbiamo tutti nel cuore da molti anni, monsignor Pero Sudar. Dicevo che questo, questo azzurro è il braccialetto di Women Wage Peace, un gadget che va a ruba, quindi procuratevelo rapidamente prima che diventi oggetto di mercato. Ed è il simbolo di questa realtà, di questo movimento, di questa associazione che le nostre due ospiti di oggi ci presenteranno tra poco. Noi ci eravamo incontrati non con loro, ma con altre persone di questo movimento, a Gerusalemme, alcuni mesi fa e ne è nata subito una grande simpatia. E quindi, da qui, questa la nostra insistenza, il desiderio di averle con noi in questo Meeting. Se viviamo in un mondo dove ci sono tanti muri, in contesti dove tutto è difficile, dove tutto è teso, dove tutto è nervosamente intessuto di difficoltà, come possiamo vivere in questi contesti? Molte cose ce le ha dette e raccontate ieri monsignor Pizzaballa, siamo condannati a sopravvivere in queste situazioni o possiamo anche lavorare per la vita? Possiamo solo aspettare che tutto passi o abbiamo, scopriamo un compito possibile, che cerchi di attraversare questi muri, che cerchi un protagonismo della vita nuovo e che apra dei percorsi nuovi. Ed è questo il senso di questa occasione che ci porta due storie, due mondi difficili, molto complessi, come quello di Israele, Palestina e quello della Bosnia. Chiederei, voi sapete, io sono un moderatore molto sobrio, dico poche cose, perché oggi le storie che sentiremo saranno molto interessanti, molto importanti. L’incontro è un po’ articolato in diversi momenti: appena Alisa sarà pronta…

ALISA ESHET MOSES:
Sorry, no parlo italiano, scusa.

ROBERTO FONTOLAN:
Allora noi a loro abbiamo chiesto di raccontarci questa esperienza, l’esperienza di Women Wage Peace, che è una realtà molto interessante, molto importante in Israele e che come sentirete riesce a superare dei muri che noi penseremmo non varcabili. Allora benvenuta ancora Alisa, e prego di cominciare il suo intervento.

ALISA ESHET MOSES:
Grazie. Grazie mille. Prima di tutto desidero ringraziare Emilia Guarnieri per averci invitato a questo evento. Siamo veramente onorati di essere qui presenti. Grazie mille. Adesso vi racconterò del nostro movimento. Scusate sono un po’ nervosa, scusatemi quindi se andrò un po’ piano ma sono un po’ nervosetta. Il nostro obbiettivo è la pace, quindi dobbiamo essere molto pazienti. Quindi chi è il nostro movimento, Women Wage Peace? Siamo un movimento di donne, un movimento di donne con più di 20 mila donne in Israele, siamo un movimento israeliano, con tutta una serie di donne, diverse categorie di donne, cristiane, ebree, dal centro, dall’est e dall’ovest di Israele. Siamo tutte insieme, insieme cerchiamo di creare una nuova lingua e un nuovo linguaggio di pace. Il nostro obbiettivo è riunire insieme donne, donne e anche uomini, perché nel nostro movimento c’è l’80% di donne, ma anche il 20% di uomini. L’unico cambiamento, l’unica cosa diversa è che sono le donne a gestire, a comandare, gli uomini stanno dietro; ma siamo comunque tutti insieme. Quindi cerchiamo di trovare un nuovo linguaggio, sappiamo che ci sono problemi tra le due parti, ma l’unica soluzione per noi è sedersi insieme, parlare dei problemi e risolverli senza violenza. Senza armi. Siamo tutti esseri umani, tutti noi pensiamo e dobbiamo risolvere le cose in maniera intelligente, non possiamo essere d’accordo su tutto questo è chiaro, ma abbiamo bisogno di un nuovo linguaggio di pace, non più terrorismo. Basta col terrorismo, basta con la lotta. Dobbiamo parlare insieme. Uno dei nostri obbiettivi quindi – adesso ci sono 20-30 mila donne nel movimento, come dicevo – il nostro obbiettivo è arrivare a qualche milione di persone nel movimento per fare lobby, per fare pressioni, per dire “vogliamo la pace, e voi politici dovete farlo perché noi siamo il nostro elettorato”, e quindi possiamo convincerli a sedere al tavolo a negoziare. Siamo un movimento che si chiama Women Wage Peace e le donne sono un elemento fondamentale. Nei negoziati spesso le donne non vengono coinvolte ma noi insistiamo che le donne israeliane e palestinesi possano sedere al tavolo negoziale, possano partecipare ai negoziati per promuovere questo nuovo linguaggio, perché noi donne la pensiamo un po’ diversamente dagli uomini, abbiamo una testa un po’ diversa e possiamo fare la differenza. Possiamo veramente cambiare le cose per raggiungere la pace. Quindi che cosa facciamo in concreto? Ma che cosa facciamo veramente di pragmatico? Bè, prima di tutto ci sono molte cose che facciamo all’interno delle comunità. Come sapete qualche volta si pensa di avere un nemico, si pensa che sia un nemico perché non lo si conosce, ma quando lo si conosce, quando si impara a conoscere questa persona si capisce che è un essere umano, come noi, quindi perché lottare? Quindi questa è una delle cose che facciamo, riuniamo insieme le donne e lavoriamo insieme per cercare di abbattere questi muri tra di noi. E ovviamente formiamo un crescente numero di donne di modo che possano partecipare al tavolo negoziale, possano partecipare al processo decisionale in Israele. Adesso il nostro movimento siede anche nel parlamento, nel senso che è un’associazione che fa lobbyng all’interno del parlamento e partecipiamo alle discussioni e questo per noi è un elemento nuovo. Come sapete c’è la risoluzione 13-25 dell’ONU che è stata promulgata nel 2000 dalle Nazioni Unite, secondo la quale le donne devono essere parte integrante del processo negoziale. E se guardate i successi di pace che ci sono stati nel mondo sono dovuti al fatto che le donne erano presenti al tavolo negoziale. Le donne sono in grado di abbattere i muri. Quindi insieme riusciamo a raggiungere la pace. Qui, nella foto, vedete uno dei nostri eventi, il movimento è stato fondato nel 2014, dopo una guerra. Quindi qui potete vedere molte donne riunite insieme che dicono “Si, adesso stiamo iniziando il cambiamento”. Questa è una marcia che abbiamo organizzato da Gerico a Gerusalemme, qui vedete più di ventimila donne insieme, donne cristiane, ebree, mussulmane. Mille donne palestinesi sono venute dalla Cisgiordania per partecipare a questa marcia, cosa che non era mai successa prima. E abbiamo anche avuto il supporto da Abu Mazen che, ad esempio, ha inviato molte donne per partecipare a questo evento, una cinquantina di donne. Guardate, guardate questa foto sembra una sorta di Esodo, ma è un esodo di pace nel Medio Oriente. Che cosa faremo adesso, quale sarà il nostro prossimo evento? A ottobre, e invito tutti voi a venire in Israele nel mese di ottobre, avremo il Viaggio della Pace. Ancora una volta saremo tutti insieme e faremo un altro passo verso la pace. Grazie mille della vostra attenzione e credetemi, prima o poi la pace la raggiungeremo

ROBERTO FONTOLAN:
Quindi abbiamo sentito con quale energia, con quale forza c’è questo lavoro per un nuovo linguaggio della pace, come diceva Alisa. Ed ora do la parola a Gadir Hani, che fa parte a sua volta di questo movimento Women Wage Peace e viene dalla Palestina, una cittadina arabo-israeliana e ci racconterà la sua parte di impegno in questo movimento. Grazie ancora a Gadir di essere con noi.

GHADIR HANI:
Benvenuti a tutti, parlerò in arabo, mi chiamo Gadir Hani, sono di San Giovanni d’Acri, che è una città mista, distinta per essere una città antichissima, con monumenti storici e la convivenza fra arabi e ebrei. Sono 18 anni che lavoro nella regione di Negev, nei villaggi arabo-beduini, lavoro nel settore di sviluppo economico-enpowerment delle donne, faccio un lavoro di volontariato in associazioni che sono interessate agli affari della donna, a combattere la violenza contro la donna e anche per lo sviluppo della comunità nell’area di Negev, ho aderito al movimento Women Wage Peace due anni fa, abbiamo aderito al movimento dopo la guerra in Gaza, nella tenda lì ho visto quante donne interessate a cambiare la situazione, che si raggiunga una fine a queste guerre nella regione, poiché tutto quello che succede costituisce una perdita per entrambe le parte e io come una donna arabo-palestinese che vive nello stato israeliano avendo anche rapporti, parenti dall’altra parte che sono anche il mio popolo mi interessava molto svolgere un ruolo come una donna arabo-palestinese che vive in Israele, che in questo movimento, attraverso questo movimento potesse essere in grado di fare un cambiamento. Ho aderito al movimento perché credo che la situazione possa cambiare poiché vivevo in una città mista e, ben consapevole dell’importanza di una vita insieme, possiamo vivere senza che ci sia un legame con la religione o un legame con il conflitto, ma possiamo convivere insieme e parlare e dialogare. Mi sono trasferita 18 anni fa, avevo 22 anni, nella regione di Negev, a quell’epoca sono andata ad abitare, sono andata a lavorare in un villaggio arabo, nel 2000 c’era la seconda Intifada, la situazione per me è stata molto complessa. Vivevo in mezzo a ebrei ma lavoravo con arabi, mi mancava proprio questo rapporto che io ho sempre avuto, avendo avuto delle amicizie, dei rapporti con i vicini ebrei e quindi avevo dei pregiudizi sui rapporti arabo-israeliani, soprattutto per quanto merita il trattamento, le interazioni in questa regione, dove c’è un’economia, una realtà, comunque non mancava questa interazione; c’erano pregiudizi, luoghi comuni presso entrambi le parti. E quando c’era l’Intifada in quella situazione molto complessa mi sentivo male, perché ero già abituata ad una vita diversa, ad avere dei rapporti, del legami con il mio vicino, come questo stesso vicino aveva a che fare e si comportava come un’altra persona come lui. Avevamo dei vicini, durante il mese di Ramadan, facevo l’Iftar insieme, oppure con un vicino cristiano, quando c’era Natale noi risparmiavamo i nostri soldi per decorare l’albero di Natale insieme. E quindi mi mancava proprio questo aspetto della mia vita a Negev. E mi sono incontrata con una signora che poi è diventata il mio capo al lavoro e cercavamo di promuovere riunioni tra donne ebree e donne arabe, cercavamo di acquisire gli elementi comuni delle religioni e utilizzarle per dimostrare quanto siamo vicine. E ciò data la natura del mio lavoro, questo aspetto non ha potuto andare avanti. Poi sono andata a lavorare in una organizzazione arabo-israeliana per promuovere i rapporti tra le due parti e a causa della guerra che c’era abbiamo raggiunto un punto che era proprio difficile di reagire, di mantenere dei rapporti e abbiamo organizzato un workshop per attraversare e superare questo blocco. Poi più avanti ho cominciato a fare parte di organizzazioni e associazioni che erano interessate al rapporto israelo-arabo e c’erano delle scuole dove c’erano degli ebrei e degli arabi. Abbiamo organizzato degli incontri religiosi a cui hanno partecipato uomini di religione e abbiamo cominciato a capire quanto eravamo vicini l’uno all’altro e oggi nel movimento lavoro con le donne arabe nell’area di Negev che non avevano mai in passato delle opportunità di incontrarsi con donne appartenenti ad altre religioni. Ho potuto capire che il cambiamento è graduale e che le donne hanno proprio la disponibilità perché ci sono lì delle città ebree, delle città arabe però comunque ci sono comunque delle interazioni limitate, scambio di parole brevi. Ho capito che comunque c’è l’interesse a conoscere le altre donne. Abbiamo cominciato ad organizzare questi incontri e oggi per le donne che hanno dei parenti a casa, dove alcuni sono morti, e hanno espresso il loro interesse a fare parte di questa azione, vedono proprio di essere in grado di avere tra le loro mani il futuro loro e il futuro dei loro figli. Hanno capito come hanno la responsabilità educando i loro figli a capire l’importanza della pace senza guardare alla religione e come vediamo sui social media e sulla stampa, come il mondo sta procedendo verso il fanatismo e tutto quello che succede utilizzando il nome della religione non è accettabile. E abbiamo anche un’altra risposta, noi siamo in grado di parlare e di dialogare con la parte palestinese presente a Gaza nella Cisgiordania. Quando ci vedono insieme alle nostre sorelle ebree, lavorando insieme per fare una cosa per tutti noi, piano piano cominciano a fare parte del nostro movimento il cambiamento nel mondo arabo, comunque la comunità è un po’ chiusa, la donna non è sempre in grado di prendere la decisione da sola, però cercando di effettuare gradualmente il cambiamento è comunque possibile. Sto dicendo che dobbiamo tutti collaborare: arabi, ebrei, musulmani, drusi, tutte le parti appartenenti a tutte le fazioni e tutte le correnti politiche per creare la pace che ci garantirà un futuro sicuro per tutti noi. Vi ringrazio.

ROBERTO FONTOLAN:
Mi dicono le signore, ordinano, avete capito, il video numero due.

Video

ALISA ESHET MOSES:
Grazie mille. Avete visto delle immagini quindi del nostro movimento, delle donne tutte insieme. Davvero se marciaste con loro sentireste la forza e soprattutto la forza del messaggio che non c’è altra soluzione che la pace. Adesso vorrei raccontarvi qualcosa di me, su di me e come ho aderito a questo movimento. Sono cresciuta nella piccola città che si chiama Ashtod, è una comunità proprio nel sud di Israele che si affaccia sul Mediterraneo e sono la più grande di quattro figli. I miei genitori erano immigrati in Israele, mia madre era nata in Marocco, mio padre era nato in India, quindi come potete capire, Israele raccoglie tantissime persone. Sono cresciuta in una società patriarcale secondo la quale le donne dovevano rimanere a casa, non ricevono un’istruzione, trovarsi un marito e fare i figli e crescerli. Una cultura dove gli uomini sono dominanti e già da bambina ricordo che rifiutavo questo tipo di modello e pensavo già allora che il mondo non poteva essere così, che le donne facevano parte della comunità e che anzi avevano il dovere di cambiare le cose e quindi sono riuscita ad avere un’istruzione, mi sono laureata e ho cominciato a viaggiare da sola in Europa con lo zaino in spalla. Ebbene quelle per me erano le nuove donne e soprattutto, cosa più importante, ho insegnato a mia figlia che le donne possono guidare, possono realizzare cambiamenti nel mondo. Oggi sono a capo di un’organizzazione che si chiama WIZO che cerca di aiutare i bambini e le donne, soprattutto nei casi di abusi, di disagi economici e di violenze. Ritengo che ogni essere umano abbia il diritto di vivere una vita libera e dignitosa, non importa chi si è, quale storia si abbia. Grazie. Quindi senza davvero sapere che cosa stavo facendo credo che quello fu il mio primo collegamento con il futuro movimento di pace delle donne, l’avevo già in nuce nella mia mente quando ero una bambina in fondo. Sono nata in un paese che purtroppo è contrassegnato dalla guerra ogni giorno ed è chiaro per me che in Israele è normale a diciotto anni andare nell’esercito. Io sono andata nell’esercito, mia figlia ha servito nell’esercito ma questo deve finire. Non deve più essere così. Tutto questo quindi come madre di figli mi ha fatto riunire cinquecento donne che hanno dato vita al movimento, women wage peace. Come dicevo poc’anzi siamo composti all’80% da donne ma 20% da uomini ma siamo tutti uguali, facciamo tutto insieme ma ovviamente siamo noi, le donne, responsabili della gestione. A che cosa c’è di speciale in questo movimento? Innanzitutto è un movimento di donne e soprattutto raccoglie una grande varietà e diversità di donne. Non credo che in Israele e nel mondo ci sia un altro movimento che raccolga così tante donne diverse, così tutte insieme quindi davvero raccogliamo nel nostro movimento donne della destra, della sinistra a livello politico, davvero, dovremo brevettare credo questo modello. Ebbene non so chi di voi sia stato in Israele, ma chi c’è stato sa che è molto difficile per così dire riunire le persone, ciascuno ha le sue idee. Ebbene il nostro movimento in questo senso è stato davvero innovatore. Ma rimane moltissimo da fare, è chiaro, nulla è facile, ma è proprio per questo che diciamo che se le donne riusciranno finalmente ad accedere ai centri decisionali, alle sale dei negoziati, la pace avverrà e lasciatemi dire che non sto dicendo che avverrà, sta già avvenendo nel nostro movimento. Io stessa e la mia collega Ghadir siamo amiche per la pelle, amiche vere, sincere anche se possiamo pensarla diversamente per noi l’accordo e la pace sono nelle nostre mani. Ma che cosa ci ha spinto ad unirci a questo movimento? Ebbene nel 2014 tre giovani israeliani furono rapiti e sono stati uccisi e da allora, dopo questa guerra di Zucaitan c’è stato un momento drammatico. Poi il 26 agosto c’è stato il cessate il fuoco e mia figlia allora serviva nell’esercito e mi ricordo che era a di stanza nella striscia di Gaza, mi ricordo che in quel periodo non riusciva a dormire la notte e a un certo punto decisi “basta! Basta! Non ce la faccio più come donna, come madre, come cittadina del mio paese, devo fare qualcosa per cambiare la situazione”. Ebbene tutto ciò deve finire. Non possiamo mandare i nostri figli in guerra. Quindi è giunto il momento, era giunto il momento di cercare di fare qualcosa per riuscire a fare pressione affinché si raggiunga un accordo politico. Stiamo raccogliendo sempre più donne, proprio per fare pressione sul nostro governo e non importa che si tratti di un governo di destra o di sinistra. Noi vogliamo arrivare a sette, otto milioni di donne e ci arriveremo, credetemi. Non potranno più ignorarci, dovranno ascoltare la nostra opinione. Quindi noi non vogliamo imporre delle regole, non vogliamo dire cosa fare o come modificare, se modificare quell’area. Non intendiamo affatto dire chi ha torto o chi ha ragione. Noi vogliamo semplicemente costruire un futuro, guardare al futuro e quindi per favore abbiamo bisogno di un accordo politico che coinvolga entrambe le parti e davvero lanciamo costantemente appelli per questo. A questo punto voglio concludere dicendo “sono pronta per la pace, sono pronta per la pace”. Grazie.

ROBERTO FONTOLAN:
La conclusione di questa parte dell’incontro è con il video numero 3.

Video

ROBERTO FONTOLAN:
Grazie perché abbiamo visto qualcosa per noi di inedito, un nuovo linguaggio per la pace che comincia così, con due persone che hanno loro innanzitutto attraversato il muro. Ora ascolteremo Monsignor Pero Sudar, come dicevo è vescovo ausiliare di Sarajevo, una città con la quale abbiamo sofferto tutti e pianto tutti negli anni 90 e della quale torniamo un po’ oggi a capire qualcosa, vogliamo sapere come è andata avanti questo processo, questa storia, cosa sta succedendo, quali sono i muri che ci sono e qual è il lavoro di monsignor Sudar che ringrazio per essere qui con noi. Ha svolto il seminario minore a Zagabria Dubrovnik e quello maggiore a Sarajevo e dal 1993 è vescovo ausiliare di Sarajevo. Parlerà in italiano così sarà più semplice per tutti voi sentirlo in questa comunicazione. Grazie eccellenza.

S. ECC. MONS. PERO SUDAR:
buongiorno a tutti, è difficile parlare dopo queste due brave donne, di tutto quello che ci hanno raccontato, quello che hanno presentato e detto loro è una vita quotidiana che conta. Quello che dirò io è un po’ teoria però ovviamente si deve fare anche quello. Allora ringrazio cordialmente la professoressa Guarnieri e il dott. Aluigi per l’invito a prendere parte a questo grande evento di cultura e di impegno per la promozione umana. Saluto di cuore il vescovo Francesco, pastore di questa chiesa bellissima a Rimini e tutti gli altri vescovi ma anche tutti voi presenti ed esprimo la mia profonda stima per ognuno di voi e per il contributo che intendete offrire nella prospettiva per un mondo migliore. La mia presentazione è articolata oltre introduzione e conclusione in tre brevi punti, il tema che ci è stato affidato dagli organizzatori del meeting di quest’anno oltre a focalizzare i due concetti chiave, cioè la pace e la convivenza ipotizza che ci possano essere luoghi e circostanze in cui queste due realtà appaiono impossibili. Io credo invece che tutto sia possibile a coloro che sono disponibili a servirsi in modo corretto del grande dono della ragione. Dunque la pace e la convivenza dovrebbero essere possibili per tutti e dovunque. Vorrei sottolineare subito la mia profonda convinzione che la pace e la convivenza nel mondo di oggi sono due realtà legate tra loro in maniera tale che l’una senza l’altra non possa esistere. Se la pace rimane ideale desiderio irraggiungibile significa che l’uomo rifiuta di utilizzare la ragione in modo retto, cioè che sbaglia pensando che la pace possa esistere senza la disponibilità ad accettare e promuovere la convivenza. Ricordiamoci che convivenza significa vita pacifica tra i diversi fondata sulla reciproca disponibilità ad accettarsi e rispettarsi per quello che si è o meglio per quello che ognuno crede e sostiene di essere. Accettare l’altro presuppone infatti il riconoscimento e il rispetto di tutti i suoi diritti. Mi pare che la lunga storia delle guerre in Europa come anche quella breve della pace, cioè gli ultimi 50 anni confermino quanto detto. La riflessione si potrebbe elaborare a lungo ma mi sembra che sia sufficiente ricordare che tutte le guerre nella loro radice avevano e hanno tuttora la pericolosa tentazione di negare e annientare l’identità dell’altro, mentre la pace si nutre tra l’altro del rispetto delle diversità. Basti ricordare che proprio sulla negazione delle diversità e nel tentativo di distruggerla si fondavano le fatali ideologie nel nazismo, del fascismo e del comunismo. È da temere il fatto che gli eventi dei nostri tempi mettano ancora a volta a dura prova la capacità dell’Europa e del mondo intero di riconoscere, accettare e rispettare le differenze di cui sono composti. Nel contesto del tema generale di questo meeting bisogna dire allora che come cittadini europei e anche del mondo siamo gli eredi di lunghe e orribili guerre e di una fragile pace. Di che cosa saranno eredi le generazioni future dipende da che cosa saremo in grado di riguadagnare noi oggi. La pace è un dono che ricevono solo coloro che sono disposti ad accettarlo. Ogni generazione ha dovuto accettare e così pagare il prezzo della propria pace. Mi pare che proprio il rispetto dell’alterità quale condizione della pacifica convivenza sia il prezzo che dobbiamo pagare noi oggi, questo prezzo consiste nell’uso retto della ragione che ci dice che ogni persona è valore supremo e misura di tutto il creato e come tale degna non soltanto del rispetto ma della solidarietà perché solo così può essere e sentirsi libera. Il primo punto: che cosa è la convivenza. Per il nostro tema si presenta dunque decisivo il presunto conflitto tra identità e alterità perché questo conflitto compromette sempre di più drammaticamente il futuro della pace e dell’umanità essendo individuo la persona ha una propria identità che la definisce e la distingue dagli altri. L’identità è un sentimento di appartenenza, ma è anche l’insieme delle realtà con cui la persona si identifica e dei valori per cui essa riconosce se stessa e la propria dignità umana. Però solo grazie agli altri la persona fa esperienza di se stessa e della propria identità. si arriva perciò a comprendere come l’identità si riceva dagli altri e si assegna agli altri; l’identità allora è qualcosa che definisce l’essere umano in senso quasi assoluto, infatti considerato nel contesto sia antropologico sia teologico l’altro risulta essere punto di partenza e di arrivo dell’esistenza umana. Senza l’altro nessun uomo potrebbe nemmeno nascere, una volta nato l’uomo senza gli altri non sarebbe in grado ne di percepirsi, né di svilupparsi e realizzarsi come uomo. Non ci vogliono troppo analisi per accorgersi che la comune presentazione dell’intera tematica dell’alterità risulti in qualche modo schizofrenica. Da una parte è più che evidente che un uomo per essere uomo posto dagli altri essere umani differenti da sé con cui compone la cittadinanza e analogamente le intere comunità e cittadinanze sono necessariamente indirizzate e appoggiate alle altre cittadinanze. Oggi più che mai considerate in questo modo sembra che identità e alterità sono due poli della stessa realtà eminentemente umana, rinata inclinazione o addirittura le necessità di avere e godere la propria identità postula di riconoscerla all’altro o ad ogni altro, riconoscerla a tutti risulta possibile solo nel contesto di una multi cittadinanza che è composta dalla differenze. Come mai e perché allora l’altro e l’alterità così spesso sono presentati e non di rado compresi come una minaccia? Mi pare che anche qui la logica e il sillogismo ci ridono in faccia. Temo che chiunque non voglia essere vittima di un pericoloso seppur raffinato inganno debba avere il coraggio di individuare altrove i veri motivi delle tensioni tra identità e alterità, vale a dire tra gli uomini, le culture, le nazioni e le civiltà. Sono sempre più convinto che una presentazione negativa delle differenze e della multi indole del mondo serva come una nuova ed efficace copertura e maschera per le vecchie e nuove divisioni di interesse del mondo. Il vero motivo sta nella tendenza a tenere in vita uno sconvolgente sistema mondiale che rende possibile la coesistenza pacifica tra coloro che muoiono perché mangiano troppo e coloro che muoiono perché non mangiano abbastanza; tra coloro che hanno tutto e coloro che non hanno niente, e che però vanno tendenziosamente informati a causa di che cosa e di chi sono poveri. Il problema fondamentale del nostro mondo è l’egoismo esagerato che viene praticato sotto le diverse forme dell’ingiustizia, della discriminazione e della menzogna. Per questo e non per il puro fatto della povertà la realtà che viviamo è troppo amara e pericolosa per poter essere curata con la giustizia e verità dosata. Secondo punto: l’identità sasso di inciampo. Presento a questo punto un piccolo ma chiaro ed emblematico esempio visto che certi centri di potere durante la guerra miravano a dimostrare che la guerra in Bosnia ed Erzegovina fosse la conseguenza della indisponibilità e incapacità dei rispettivi popoli a convivere in pace. La chiesa cattolica aprì le scuole inter etniche come segno della propria opposizione ad una ideologia del tutto disumana poiché del tutto indirizzata alla forzata divisione etnica e religiosa. Con queste scuole si voleva incoraggiare ed educare alla convivenza pacifica, è molto significativo che queste scuole siano contestate sia dagli oppositori nostrani sia dai sostenitori internazionali della multi indole dello stato di Bosnia ed Erzegovina. Ai primi non andava bene il fatto che queste scuole fossero frequentate dagli alunni delle diverse nazioni e religioni perché secondo loro veniva offuscata la loro identità etnico nazionale. I sostenitori della multi cittadinanza rimproveravano invece al nostro programma scolastico di incoraggiare le differenti identità dei nostri studenti. Questo duplice e opposto approccio al concetto delle scuole cattoliche per l’Europa dimostra che la questione della multi etnicità ha bisogno di essere chiarita e capita anche a livello cognitivo. Terzo punto: convivenza pacifica. Non c’è dubbio che la domanda più attuale del mondo d’oggi sia quella di se e come sia possibile far vivere in pace gli uomini che appartengono a diversi popoli culture e religioni. Come dovrebbe essere organizzata e strutturata la società, su quali valori fondata la cittadinanza per essere in grado di garantire le condizioni per una convivenza pacifica e prospera? È possibile e con quali presupposti un mondo in cui pacificamente coabitino le legittime identità nazionali etniche e la necessaria identità politico statale? L’attualità per non dire la drammaticità di questa domanda non può essere ridotta solo alle società tradizionalmente composte dai diversi popoli, culture e religioni o alle zone confinanti ma vale sempre di più per l’intera ecumene mondiale. Mi pare evidente che l’indole multi etnica del genere umano e la convivenza tra i diversi non sia un problema reale, vale a dire che non sorge necessariamente dalla natura umana o dalla condotta della gente comune, anzi, l’uomo come si è già accennato per la sua natura è un essere sociale. Egli viene dall’altro, cerca l’altro perché da solo non può e non vuol vivere. È altrettanto evidente che l’uomo di oggi ha bisogno di essere aiutato ed educato a diventare cosciente di questa verità per poterla vivere nei suoi rapporti con gli altri in quanto solo così sarà in grado di essere lui stesso promotore di una società pacifica. Il punto fondamentale di partenza, ma anche d’arrivo, in questo impegno educativo dovrebbe essere la coscienza e l’esperienza che l’alterità e la diversità non sono destinate a un confronto che impoverisce ma a un incontro che arricchisce. La lezione deve essere purtroppo fatta in una lingua semplice, ragionevole, ma convincente per tutti, dato che siamo purtroppo pienamente immersi nella logica dell’egoismo, specialmente noi occidentali, il nuovo ethos della convivenza pacifica non si può raggiungere escludendo e sottovalutando il fatto che l’uomo, pur essendo un essere sociale, è anche un essere egoista. Bisogna allora, allargando gli spazi della razionalità, convincere i ricchi, i potenti, soprattutto i prepotenti, che la solidarietà, la giustizia, la pari dignità sono anche il loro interesse vitale, perché solo così sarà possibile togliere gli argomenti a coloro che sono pronti far sposare le armi potenti con la rabbia dei discriminati e dei poveri. Sembra un vero paradosso che lo stesso egoismo postuli di abbandonare la cultura dell’egoismo esagerato che sta spingendo il mondo a un punto in cui non riuscirà ad esistere più di tanto. I moniti severi e seri che ci giungono dai molti ambiti autorevoli avvertono che il futuro dei potenti e i deboli, dei troppo sazi e degli affamati, dei liberi e di coloro a cui viene imposta la libertà geneticamente modificata, si trovano sulla stessa barca in un mare ormai troppo agitato. Oltre a questa minaccia è da porre in dubbio la moralità di una vita tranquilla vissuta mentre ogni giorno a causa di guerre e povertà muoiono centinaia di migliaia di innocenti. Rimane la domanda: “Chi sarebbe disposto ad apprendere una lezione del genere e con chi scommettere per un mondo più giusto, solidale e libero?”. Dio salvò il mondo per mezzo dell’uomo e continua a salvarlo tramite gli uomini che non si arrendono davanti agli ideali che sembrano impossibili. La storia umana insegna che le migliori idee producono il frutto della realtà solo se e quando sono supportate dal sacrificio e redente dai loro autori. Nella prospettiva della teologia redentrice si potrebbe forse, dovrebbe accogliere il fatto che l’uomo e l’umanità devono redimere le proprie idee migliori come Dio stesso doveva redimere la sua idea migliore, cioè l’uomo. Rimane dunque da sperare e da lavorare affinché Dio trovi abbastanza collaboratori tra gli uomini provenienti da tutte le nazioni, culture e religioni, per poter dare una prospettiva nuova alla sua amata umanità. La cittadinanza può funzionare in quanto multietnica, multiculturale e multi religiosa se l’intera umanità imparerà ad accettare, rispettare e apprezzare tra gli altri valori e virtù, quali l’uomo come supremo e centrale valore, le pari dignità, libertà, giustizia, solidarietà, non soltanto il diritto alla uguaglianza, ma anche il diritto alle differenze pari che nell’ambito delle multi realtà proprio questo diritto verifichi o smentisca l’autenticità e la credibilità di tutti gli altri diritti. La situazione mondiale dimostra che la famosa global-governance non è in grado, di comunque non da sola, di creare il clima adatto per una multi cittadinanza, occorre un forte e comune impegno del mondo del sapere, della cultura, dell’organizzazione non governative e soprattutto delle religioni, oserei sostenere che la gente comune protetta da ideologie abusive sarebbe capace e disposta a vivere e promuovere il valore della multi cittadinanza, però la gente ha bisogno di essere liberata dalla paura educata ed incoraggiata da tutte le autorità, quelle religiose per prime; sono convinto che la promozione della multi cittadinanza oggi sia il servizio alla pace per eccellenza alla promozione della dignità umana, al progresso dell’intera umanità; lo postula l’autenticità e la credibilità delle stesse religioni: se secondo del libro il libro dell’Apocalisse lo stesso Regno dei Cieli è composto, come si dice da una moltitudine immensa di ogni nazione, razza popolo e lingua, l’annuncio cristiano non può non tener conto della convivenza in un mondo in cui essa diventa sempre di più la condizione della sua stessa sopravvivenza. Trovandomi nella città assediata di Sarajevo, dalla gente contaminata dall’odio, mi è diventato chiaro che la convivenza pacifica nella forma della multi cittadinanza sarà possibile solo se troviamo il modo e il coraggio di educare le nuove generazioni in modo da aiutarle a conoscere la propria identità e a riconoscere e a cercare quella degli altri; ecco perché le scuole cattoliche per l’Europa sono state concepite come multietniche, multiculturali e multi religiose, e nello stesso tempo il loro programma scolastica insiste sul valore positivo dell’identità culturale etnico-nazionale di ogni alunno e sul proprio affetto per la patria comune; la prova che nonostante le ingiustizie storiche e i grandi crimini dell’ultima guerra ci sia ancora materia prima in un paese in cui una persona semplice si toglie la vita dopo aver visto la strage dei suoi vicini di casa, strage commessa in condizioni di guerra dai suoi stessi connazionali, prima di togliersi la vita su un pezzo di carta aveva scritto, nel modo semplice come è semplice la nostra gente, di non poter vivere più perché non ha più nessuno con cui bere il caffè… per intenderci bene, nel villaggio sono rimasti tutti gli appartenenti alla sua nazione e alla sua religione come prima della guerra, a lui dunque non era venuta a mancare la gente ma l’umanità, cioè l’autentico sentimento umano; ecco perché considero un crimine contro l’umanità il fatto che la stessa comunità internazionale vale a dire, Stati Uniti, con la scusa di imporre la pace nel nostro paese, ma nei fatti per tutelare i propri interessi, ha imposto un sistema politico con cui ha condannato a morte la stessa possibilità di convivenza pacifica in Bosnia ed Erzegovina, luogo esemplare dell’incontro di popoli, culture e religioni esistenti non solo in Europa. Conclusione: nonostante o proprio a causa del fatto che non sono pochi coloro che sostengono la cittadinanza multietnica, sia utopia interculturale e certi circoli di sommi intellettuali profetizzano una nuova Lepanto, mi pare che sia un dovere umano l’impegno per smascheramento delle forze e delle alleanze che cercano coscienti o meno del pericolo di servirsi della diversità del mondo per imporre le contrapposizioni e gli scontri, una caratteristica del mondo dell’uomo credente, tra le altre, è anche quella di preferire di impegnarsi per un progetto umano e pacifico anche quando è sicuro del suo fallimento, piuttosto che per un disumano a cui fosse garantito il successo; la cittadinanza multietnica non può essere illusione condannata a fallire, anzi, dev’essere un’occasione, un progetto da realizzare; il mio paese era un esempio del fatto che la stessa vita, spesso quella più dura, è in grado di creare da sé la multi-indole della cittadinanza come frutto di una indistruttibile voglia e necessità dell’essere umano di vivere per sopravvivere, e sopravvivere per vivere; può sembrare, però non lo è, un gioco di parole, ma della vita. La logica e l’onestà intellettuale ci costringono a considerare la diversità nella forma della multi cittadinanza come valore in sé, infatti se l’uomo come individuo va riconosciuto non solo come valore ma come, cito, “culmine della scala dei valori terreni”, Cardinal Martini, anche la diversità è valore perché l’uomo è soggetto e unico fautore della realtà etnica e multietnica; tutte le due realtà esistono per il bene della persona e del suo pacifico e prospero incontro con le altre parole, questo sillogismo analogamente vale anche per l’incontro delle diverse nazioni, culture e religioni; perciò la cittadinanza multietnica non può essere contrapposta ai diritti fondamentali della persona o viceversa, al contrario, la tutela dei diritti fondamentali della persona, quelli nazionali, culturali, religiosi, postula la società multiculturale come unica forma in cui far vivere e funzionare la complessità e la ricchezza della vita umana, infatti la multi-cittadinanza diventa una ricchezza se e quando le singole identità vengono considerate come valori, la sintonia di queste due realtà è l’unica condizione per garantire la pace e la convivenza nel mondo di oggi. Concludo citando le parole pronunciate al termine della consegna dei diplomi di maturità di quest’anno dal miglior alunno della generazione della nostra scuola a Tusla. Sottolineo che si tratta di un giovane cresciuto in una famiglia musulmana osservante, tra altre cose lui disse, cito: “Quattro anni fa ero nel pericolo di fare un grande sbaglio che molti giovani di questa città fanno, cioè di non iscrivermi in questa scuola; durante gli ultimi quattro anni sono stato esposto a tante idee radicali, però ha vinto quella che è in ogni uomo, c’è qualcosa che merita attenzione e rispetto e che prima di dare un giudizio sul altro bisogna mettersi nei suoi panni: durante gli ultimi quattro anni che sono stati i più belli della mia vita, l’esempio dei professori più che le loro parole mi hanno trasmesso i valori che sono diventati parte di me stesso, ecco perché non dimenticherò e non tradirò le mie radici che sono in questa scuola.” Fine della citazione, e fine del ribaltamento di questa bella lingua italiana! Grazie.

ROBERTO FONTOLAN:
Abbiamo qualche breve minuto, brevissimo, prima di avviarci, prima di concludere questo nostro incontro e mi ha chiesto la parola Ghadir perché vuole dire qualcosa al nostro vescovo Sudar

GHADIR HANI:
Ringrazio Sua eccellenza per l’intervento, inizio dall’ultimo punto del suo testo: è molto importante parlare degli ideali nella nostra vita, la scorsa volta abbiamo sentito di un incontro di religiosi e appartenenti alle tre religioni, un incontro interreligioso a Firenze, è molto facile predicare mentre dobbiamo tradurre questi in atti concreti e vista la difficoltà, l’identità, ebbene, ognuno di noi ha molteplici identità, io sono araba, musulmana, palestinese, donna, minoranza in un paese, queste sono le mie varie identità, ma la domanda è: dove queste mie identità si incontrano con altre identità? Qui sta l’opportunità per cercare i punti, i denominatori comuni. Le diversità sono dentro casa, per esempio, dentro la stessa casa, nella mia stessa famiglia abbiamo orientamenti politici diversi, e questo è normale, ma il punto sta nell’impedire che ciò diventi ostacolo per collaborare; dunque non devo cercare cosa che fa di te mio rivale, e questa è la caratteristica del nostro movimento: il mio orientamento politico mi appartiene, l’ho lasciato nel mio paese, mentre qui espongo l’orientamento del nostro movimento per dire siamo tutte uguali, simili, io, Alisa, gli altri membri siamo fianco a fianco, per questo incoraggiamo donne appartenenti a tutti gli orientamenti politici perché più cresce il nostro numero più potremo farci sentire, ognuno di noi è un messaggero della propria identità a prescindere da questa identità, ognuno di noi è messaggero, dunque mi rivolgo a ognuno di voi: uscite da questa sala, chiediamo tutti, ognuno: cosa posso fare io per vivere in pace con chi mi sta vicino, mio fratello, il mio vicino, il mio amico, come posso vivere in pace con le altre persone diverse da me, il punto comune da scoprire per vivere in pace? Infine, noi donne abbiamo un ruolo molto incisivo da svolgere: la donna ha una grande influenza nella sua casa, nel suo contesto, la donna oggi mette l’ego da parte per parlare con il “noi”, pertanto, le donne hanno e avranno un impatto notevole. Un altro esempio molto semplice, ad Haifa l’anno scorso ci furono molti incendi dai villaggi arabi, dove la leadership era islamica radicale hanno invitato tutti gli abitanti di Haifa a pernottare da noi quando la città era minacciata da incendi, invitando gli abitanti di Haifa a venire da noi. Questo messaggio per dire che vogliamo possiamo vivere insieme per dire che siamo responsabili noi del nostro futuro, a prescindere dagli estremisti presenti in tutti gli orientamenti, centri culturali, centri religiosi; dobbiamo vederci come esseri umani, persone umane, ognuna di queste persone può dare un suo contributo per una vita comune e per la pace tra di noi. Grazie.

ROBERTO FONTOLAN:
Allora, anche Alisa ha una parola

ALISA ESHET MOSES:
Noi viviamo queste realtà tutti i giorni, non dobbiamo mai dimenticare che la guerra è in Medio Oriente e le donne, un nuovo linguaggio per la pace e per tutti, queste sono le parole chiave, vedete questo braccialetto azzurro? Ebbene, questo braccialetto serve a ricordarci ogni giorno da quando ci alziamo a quando andiamo a dormire, quando andiamo al lavoro che abbiamo qualcosa da fare; questa è la nostra missione, la pace; ebbene, quando lo toglierò dal mio braccio è perché avremo la pace, voglio darvelo affinché anche ricordarvelo ogni giorno, questa è la lotta quotidiana per la pace, e quindi lo potrete togliere solo quando finalmente avremo la pace.

ROBERTO FONTOLAN:
Penso che abbiamo potuto gioire tutti insieme nell’aver ascoltato queste esperienze, le esperienze di questo movimento, le esperienze di queste scuole cattoliche per l’Europa, che sono contestate in parte, come ci ha ricordato Sua Eccellenza, perché porre dei fatti nuovi crea sempre un problema diverso, porre un gesto di pace in una condizione in cui è tanto più facile accontentarsi del conflitto, è tanto più immediato quasi più comodo sedersi dentro l’ostilità perché il cammino per la pace, il lavoro per la pace, è appunto un lavoro, un impegno, e come ci ha ricordato adesso Alisa, è un po’ il senso di questo braccialetto azzurro, ricordarsi che tutti i giorni noi siamo messaggeri ogni momento come diceva Ghadir, siamo messaggeri. Il fatto di esserci potuti trovare qui oggi e ascoltare queste due meravigliose esperienze, sottolineo questa cosa che mi ha colpito di quello che diceva Monsignor Sudar, l’uso della ragione rende possibile la pace, che è stata l’inizio del suo intervento, io ho trovato bellissima quest’espressione e penso che sia questo il cuore di questa attività educativa delle scuole interetniche, a tutti è possibile usando la ragione, essere messaggeri di un linguaggio nuovo e di un linguaggio che porta le persone a incontrarsi e a volersi bene come abbiamo visto fisicamente nei nostri occhi; questi gesti sono possibili, è possibile gioire insieme di questi gesti, di queste opportunità in questo Meeting, anche perché siamo tutti impegnati a contribuire a poiché questa realtà possa continuare, che questa nostra realtà, questa nostra occasione possa continuare a vivere nel tempo come fa da trentotto anni. E quindi l’idea di chiedere a tutti un impegno anche economico per sostenere questo Meeting è proprio per poter continuare a vivere gesti come questo, troverete nei vari padiglioni le postazioni “dona ora” ed è con questo appello, con questo invito che chiudo il nostro incontro di oggi, ringraziando i nostri ospiti per i loro bellissimi messaggi di oggi, ricordo per chi volesse avremo una sessione di domande e risposte con il pubblico con Alisa e Ghadir questa sera alle diciotto e quarantacinque allo spazio muri, intanto vi auguro buon proseguimento di giornata e un grande grazie per la vostra presenza qui.

ALISA ESHET MOSES:
Abbiamo qui dei musulmani degli ebrei e dei cristiani allo stesso tavolo, lo vedete possiamo fare tutto, possiamo ottenere tutto.

Data

23 Agosto 2017

Ora

11:15

Edizione

2017
Categoria
Incontri