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La fabbrica dei sogni: come si crea una serie tv
Luca Bernabei, Amministratore Delegato Lux Vide. Introduce Vito Sinopoli, Direttore Responsabile Bestmovie.it.
Negli ultimi trent’anni le serie TV hanno aperto nuovi orizzonti per l’immaginario di tutto il mondo. Sono diventate argomento di discussione per chiunque, dai più piccoli ai più grandi. Hanno attratto crescenti risorse creative e produttive. Hanno plasmato in modo sempre più incisivo il nostro modo di parlare e pensare, di leggere il presente e prevedere il futuro. Questo fenomeno non nasce a caso: le serie TV sono “sogni” con una complessità narrativa e una potenza di coinvolgimento senza precedenti nella storia, in grado di adattarsi sia alla fruizione frammentata dei nostri tempi, che alla grande varietà dei device di cui oggi disponiamo: dal cellulare al maxischermo domestico. Il segreto di questi “sogni” è soprattutto uno: il duro lavoro di grandi squadre di professionisti… Dietro una serie ci sono almeno 200 tecnici super specializzati, guidati da una persona: il produttore.
Sinopoli: Buonasera dal titolo “La fabbrica dei sogni: come si crea una serie Tv”. Sono Vito Sinopoli, sono l’editore della rivista Best Movie e del sito bestmovie.it, che da vent’anni racconta delle uscite cinematografiche seriali e stasera abbiamo la grande occasione di incontrare Luca Bernabei, amministratore delegato della Lux Vide, qui vi chiedo di fare un caloroso applauso di benvenuto. Lux Vide quest’anno compie trent’anni ma eviterei di usare altre parole e farei andare subito il Reel che vi dà un po’ la dimensione dell’azienda che hanno costruito in questi anni, quindi chiedo alla regia di far partire il Reel.
(REEL)
Molti di voi avranno riconosciuto da Doc a Blanca, da Don Matteo ai Medici, da Leonardo ai Diavoli, sono una storia lunga ma anche di recenti e grandissimi successi. Io la prima domanda che vorrei farti a mio avviso è sempre la prima, quando si narra di un’impresa è: qual è l’origine di questa impresa? Qual è l’intuizione che ha fatto nascere la Lux Vide?
Bernabei: Io innanzitutto volevo sapere se c’era Angela qui. Angela è la guida che ci ha portato a vedere la mostra su Livatino e mi ha detto che voleva venire perché è una fan di Don Matteo. Però non c’è Angela… no scusate poi questa è, noi facciamo questo lavoro perché incontriamo persone come Angela – poi rispondo alla tua domanda subito – che mi ha fatto una fantastica sintesi di quello che è don Matteo. Mi ha detto: in don Matteo prima arriva la misericordia e poi c’è la redenzione. Ed è vero, è così, ha fatto una fantastica sintesi perché noi sappiamo sempre che in ogni puntata della serie più vista di tutti i tempi in Italia, che è don Matteo, tra il quarantaquattresimo minuto e il quarantaseiesimo minuto, don Matteo incontrerà il colpevole e gli darà in qualche maniera un’assoluzione, gli aprirà le strade per un’altra cosa che non è il carcere. E come nasce tutto questo? Nasce da un’intuizione di un uomo, come il Meeting nasce dall’intuizione di un uomo, gli uomini che hanno i sogni. Mio padre, Ettore Bernabei, era un uomo che sognava. Era stato per tanti anni manager, il capo della televisione di stato, della Rai, e ad un certo punto ha pensato, a 72 anni, quando la maggior parte degli uomini decidono di andare in pensione, lui decise di fondare un’azienda. Non aveva i soldi per fare l’imprenditore, per cui raccolse in gruppo di uomini illuminati, che erano degli uomini conosciuti del mondo dell’imprenditoria: Merloni, Falck, Pesenti, dei grandi personaggi, loro sì che avevano i soldi, che credettero in lui. Il suo sogno era fare la Bibbia e pensate, a 72 anni, quindi pensate alla potenza dei sogni, a 72 anni lui riuscì, non essendo mai stato il produttore, che è il mestiere che faccio io adesso, non parlando una parola d’inglese, riuscì ad andare in America e a vendere, a coprodurre con l’America la serie sulla Bibbia. Quindi la Lux, che è una fabbrica di sogni, nasce dal sogno di un uomo, un sogno più grande… ci sono gli americani che hanno una bellissima espressione: a dream larger than life, sono delle persone che sognano delle cose più grandi di una vita. Quindi io penso che questo sia stato il nucleo centrale, nato da un uomo che non pensava di fare qualcosa per sé stesso, non pensava di arricchirsi di fare qualcosa per autocelebrarsi ma pensava, lo ha pensato trent’anni fa, che la televisione aveva bisogno di buoni comunicatori, di comunicatori formati, aveva bisogno di contenuti buoni. E voleva fare una televisione creazionista, creazionista, che si ispirasse a principi non direttamente religiosi, ma dove si raccontava che c’era il bene, c’era il male, l’uomo era al centro di questo e sceglieva tra bene e male. E possibilmente viveva in un luogo che si chiamava creato. Questo è stato il grande insegnamento che io ho avuto da mio padre, cioè quello di pensare a una comunicazione ragionata. Quando facciamo una serie, le serie che tu nominavi prima, non solo quando facciamo Don Matteo o Che Dio ci aiuti ma anche quando facciamo Blanca o Doc, noi ci chiediamo sempre, e lo chiedo sempre ai ragazzi che lavorano con me (che adesso sono tanti, ringraziando Dio): qual è il motivo per cui facciamo questa serie? Quando voi accendete la televisione di casa vostra la sera, se vedete una serie della Lux, sappiate che c’è dentro sempre un contenuto, non nasce mai solo per fare intrattenimento, nasce sempre per farsi fare una domanda.
Sinopoli: Per esprimere qualcosa.
Bernabei: Sì.
Sinopoli: Io volevo chiederti: ma nel concreto cosa fa un produttore? Questa figura fantomatica… con quale criterio scegliete i progetti? Immagino che vengano tantissime persone, anche giovani, a proporvi delle idee, un concetto… come scegliete? E come riconoscete, nel progetto che vi propongono, elementi che possano essere di successo?
Bernabei: C’è una bellissima definizione di produttore che diede un grandissimo produttore americano, che dice: il produttore è il filo invisibile che unisce le perle della collana. E quali sono le perle di questa collana? Qualche volta si pensa che il produttore è solo quello che finanzia ma non è così, il produttore è quello che ha una illuminazione, ha un’idea che vuole raccontare alla gente, e poi trova una perla, che è uno sceneggiatore, e poi trova un’altra perla, che è il regista e poi mette insieme gli attori, i tecnici, lavora alle sceneggiature, ore e ore, centinaia di ore. E dunque messe insieme, tutte queste perle, sono il prodotto che arriva a voi, quando accendete la televisione. Dietro una cosa semplice come Don Matteo, o Blanca o Doc, ci sono centinaia e centinaia, migliaia di ore per preparare quelle sceneggiature che poi andranno girate sul set. Il mio lavoro è di cercare un’idea, di scoprire un libro, rimanerne colpito e di cercare di fare una sceneggiatura. E di trovare le persone che possono far sì che quell’idea diventi un film, di dare entusiasmo, di cercare che quella cosa abbia dei valori dentro. Io credo fortemente nella responsabilità del mio mestiere. C’era un grande filosofo, Karl Popper, che quarant’anni fa, quando nessuno aveva ancora la percezione dei pericoli della televisione, diceva: per fare la televisione ci vorrebbe la patente. Spesso la gente che fa il mio mestiere non ha nessun timore di sconvolgere chi sta dall’altra parte dello schermo. Ecco, qui alla Lux questo timore ce l’abbiamo.
Sinopoli: Quindi dici che c’è una responsabilità?
Bernabei: Fortissima. Che la maggior parte dei miei colleghi non sente. Noi entriamo nelle case della gente, quando entriamo i televisori si accendono, senza nemmeno tanta consapevolezza. Tramite la televisione si cambiano i costumi, si cambia la morale. La televisione è uno strumento meraviglioso, di per sé non è né buono né cattivo, ma noi come comunicatori siamo quelli che fanno diventare quello che realizziamo buono o cattivissimo. È pericolosissima la televisione, io ne ho una percezione… è lo strumento che utilizzo, ci campo e so quanto è pericolosa per chiunque. Anche le persone più avvedute si possono ingenerare dei comportamenti sbagliati perché, dico la cosa più banale, perdonatemi: è molto difficile raccontare un matrimonio che va bene, è molto più semplice raccontare la distruzione di un matrimonio. Raccontare il bene è difficilissimo, ci combattiamo tutti i giorni. Perché il bene non fa rumore, il male fa tantissimo rumore. La battaglia che ognuno di noi fa quando racconta una storia è trovare degli elementi di interesse… poi per carità, tutti i matrimoni sono come dire fonte di… c’è lite, ci sono problemi, c’è fatica, però c’è anche tanto bene. Raccontarlo è sempre difficile, complicato. Noi cerchiamo sempre di fare una visione della vita che dia speranza. Come qui, io sono arrivato al meeting, tu mi hai portato a fare un giro, mi hai mostrato tre mostre e che cosa ho visto io qua dentro, che cosa si respira qua dentro? Qui si respira la speranza. Chi ce la dà la speranza? Quasi più nessuno. Guardate nei giornali, guardate nei telegiornali: il tentativo è toglierci la speranza. Noi cerchiamo sempre di dare la speranza a chi ci guarda. Quello che mi ha insegnato mio padre, che è stato un grande comunicatore, è stato… mi diceva sempre una cosa che se pensate può sembrare banale. Diceva: guarda Luca, devi mandare a letto la gente tranquilla. Non è semplice.
Sinopoli: No, effettivamente no. Io adesso farei vedere una clip, dopodiché ti chiedo l’origine di questa intuizione. Noi abbiamo tre clip che vogliamo far vedere. Di Don Matteo hai già parlato, però la voglio far veder lo stesso e se magari ci racconti qualche aneddoto. E quindi chiedo alla regia la clip di Don Matteo, per cortesia.
(CLIP)
Beh, devo dire che anche questo Don Matteo da quanti anni…
Bernabei: Don Matteo 22 anni.
Sinopoli: 22 anni. Questo innesto di Raoul Bova nuovo… anche il mantenere aggiornata tra virgolette una serie, continuamente… come si riesce? Ho capito che avete tantissimi sceneggiatori ma ci vuole anche un certo…
Bernabei: Sì. Dietro la Lux ci sono tantissime persone perché mio padre ha avuto l’intuizione che andassero formati dei comunicatori, come ti dicevo, Popper che era un filosofo diceva: ci vuole una patente per fare la televisione. Lui ha detto: formiamoli, formiamo questi ragazzi che devono lavorare in televisione. Adesso non son più ragazzi, son diventati uomini. Quindi ci sono decine e decine di sceneggiatori, quelli che sviluppano gli scritti che stanno dietro a queste battute che sembrano divertenti, che sono divertenti ma dietro c’è sempre qualcosa. Ci sono i registi, ci sono… noi abbiamo degli studi dove realizziamo queste opere, abbiamo delle persone che lavorano al montaggio, anche dietro ai colori che noi mostriamo c’è un lavoro, appunto, per dare una sensazione a voi che vedete. Quindi l’importante, noi non diamo mai per scontato che la gente ci voglia guardare, non diamo per scontato nemmeno che la gente voglia guardare don Matteo dopo 22 anni, basta potrebbero dire. Quindi l’idea è rinnovarsi sempre e ci siamo rinnovati anche con Raoul. Portare Raoul Bova in Don Matteo non è stata una cosa semplice, chiaramente. Un grande attore, una star come Raoul Bova, se viene a fare Don Matteo e Don Matteo va male, vuol dire che ha sbagliato lui, non ha sbagliato Don Matteo. Quindi lui è stato da una parte coraggioso, dall’altra Raoul, che è una persona onesta, era in un momento che si cominciava a fare… “Nel mezzo del cammin di nostra vita”, si cominciava a fare delle domande sulla vita, per cui Don Matteo si interfacciava grandemente con la sua necessità di farsi delle domande. Lui mi raccontava questo, stava facendo allora e adesso sta facendo la seconda serie, una serie per Canale 5 che si chiama “Buongiorno mamma”, che è una serie che prende delle posizioni molto forti sul fine vita, io ho capito che lui aveva delle domande dentro di sé e gli ho detto: “Ma tu faresti mai un prete?” Perché io sapevo che Terence Hill era arrivato ormai alla conclusione della sua cosa…
Sinopoli: A una certa età, insomma…
Bernabei: Esatto, a una certa età… e lui inaspettatamente mi disse: beh, ma perché no? Mi interessano questi temi. E allora gli ho promesso di fare Don Matteo ed incredibilmente mi ha detto di sì. Ed è stato come quando ho chiesto ad Elena Sofia Ricci se voleva fare una suora per fare “Che Dio ci aiuti”. C’è dentro qualcosa nelle persone, questo fa parte anche del mio lavoro di produttore, capire che cosa c’è dentro il tuo interlocutore, dentro quello che sta davanti a te. Per cui siamo riusciti a portarlo su quel set però lui mi ha chiesto una cosa, mi ha detto: io lo faccio però a patto che Terence mi deve abbracciare e mi deve dire: adesso lo fai tu don Matteo. Questa cosa, dico, non succederà mai, a chi puoi chiedere… tu sei re, di dare il tuo scettro a un altro? E invece Terence, che è una persona generosa, lo ha fatto ed è stato un momento anche molto bello, molto tenero, molto commovente, di crescita. Quindi dimostra che queste storie vanno al di là di noi, noi siamo tutti elementi… perfino io, sono un ingranaggio di un sistema.
Sinopoli: Adesso chiedo alla regia di mandare la clip di Doc che è stato questo successo veramente impressionante…
(CLIP)
Devo dire che quando ho saputo che avresti fatto Doc ho avuto qualche dubbio su di te. Nel senso che ho detto: un medical drama, dopo che siamo invasi dagli americani che li fanno benissimo, io e mia moglie ne vediamo tantissimi, ho detto: mah! Sarà certo di questa… poi questa clip qui che hai scelto di portare al meeting, devo dire che rende bene, cioè capisci tutta quella cosa che hai raccontato fino ad adesso, cioè che c’è dietro il desiderio di far emergere il bene che inevitabilmente sono anche domande sulla vita, cui sempre non si può dare magari delle risposte ma si può tentare, si può condividere, si può abbracciare, si può… come è nata questa idea? Perché comunque parte da una storia vera…
Bernabei: Sì. Appunto nasce da una cosa simile a quella che hai detto tu un attimo fa, il responsabile delle serie televisive della Rai ci disse un giorno: in Italia non abbiamo un medical drama nostro, forse voi siete gli unici che potete farlo. E noi, proprio perché avevamo paura, come dicevi tu, di sbagliare, abbiamo cercato qualcosa che ci ispirasse. E abbiamo cercato un bellissimo libro, l’abbiamo cercato tanto, un libro che racconta la storia di Pier Dante Piccioni, un medico, un bravissimo medico, un capo di pronto soccorso, che fa un incidente, un banale incidente, batte la testa, niente di grave, va in coma sei ore, soltanto sei ore. Quando si risveglia però, aveva intorno a sé sua moglie e i suoi figli, non riconosce i suoi figli. Aveva perso la memoria degli ultimi dodici anni e non l’ha mai più riacquistata. Noi abbiamo pensato: questo è uno spunto bello è uno spunto per…perché vedete con le storie, io in un attimo ho raccontato una serie, una serie che funziona, una storia che funziona deve poter essere raccontata in un attimo. In questa serie raccontiamo come Pier Dante ha fatto una battaglia incredibile, perché ha voluto tornare ad essere medico. La legge gli diceva che lui non poteva essere più medico perché aveva perso dodici anni di conoscenze mediche, e lui è tornato a fare lo studente, è tornato a fare gli esami. Questa è una storia bella, è una storia di redenzione. Ecco, che cosa abbiamo fatto noi in tutti questi anni, portando avanti il mandato, il legato di mio padre: fate una televisione per la gente, raccontate il bene, non soltanto il male. Noi in trent’anni abbiamo continuato a raccontare gli eroi. Ma gli eroi che non sono quelli con la E maiuscola, i supereroi, i Superman. Sono gli eroi come Pier Dante, quelli che fanno bene il proprio lavoro, che combattono le proprie battaglie quotidiane. Tu puoi essere santo lì dove sei, se sei un medico, se sei un avvocato, se sei uno spazzino, se sei un infermiere, se guidi l’autobus. Se tu fai bene il tuo lavoro, col tuo sorriso, tutti i giorni, nonostante la fatica di ogni giorno, allora tu cambi il mondo. E queste sono le storie che noi abbiamo continuato a raccontare per trent’anni, e la gente ci pigliava un po’ in giro, perché ci dicevano che eravamo bacchettoni, che raccontavamo le storie dei preti e delle monache, che raccontavamo il bene. E in realtà in questi anni come sai bene la televisione ha raccontato gli antieroi, ha raccontato gli eroi negativi, e in qualche maniera noi eravamo un po’ come dire controcorrente. E pensate che però adesso quello che succede è che tutti chiedono gli eroi, hanno capito che la gente è stufa di antieroi, hanno capito che la gente è stufa di vedere raccontato solo il male, perché certe serie hanno raccontato solo il male. Perché il male è affascinante, ognuno di noi se passa da una strada e vede una finestra aperta, butta dentro un occhio, guarda, ma non perché… ha la curiosità un po’ lubrica e vuole entrare in quella vita, vuole entrare… è più difficile avere una curiosità positiva. E noi in questi anni invece abbiamo continuato a raccontare storie positive e adesso la gente chiede storie positive. C’è un mio amico, che è un ottimo imprenditore, fa della ottima cioccolata, che mi diceva un giorno: io voglio scrivere un libro (è un fantastico manager) raccontando che il Vangelo conviene, io anche da imprenditore applico il Vangelo, la più grande scuola di vita che io abbia mai conosciuta. Questo è un grandissimo manager, viene da delle scuole più importanti al mondo. Ed è vero, nessuno ci racconta più che il bene conviene, che il Vangelo conviene. C’è una tendenza a prenderci in giro e noi un po’ anche ci siamo fatti prendere in giro. Io penso che invece noi possiamo essere testimoni, e voi lo siete qui oggi, questo luogo lo è, questo luogo è una cattedrale che racconta questo, è una cattedrale in mezzo a Rimini che racconta invece che si può ogni giorno regalare un sorriso, io ne ho ricevuti tanti oggi, per quel poco che son stato qui, e ognuno può essere testimone di storie straordinarie. Qui in sala, lì in prima fila è seduta mia moglie, che non voleva avere figli e invece abbiamo sei figli adesso. Prima di incontrare me… quindi voleva pensare alla carriera e invece ha fatto sei figli. Ha avuto anche una carriera, ha avuto sei figli, prima è diventata una professoressa universitaria, è stata la mia maestra di vita, io sono diventato l’uomo che sono perché ho avuto accanto mia moglie e i miei figli, che poi mi hanno fatto crescere assieme a loro che crescevano. E poi ho avuto un grande maestro, che è stato sicuramente mio padre, mi ha insegnato… io ci ho lavorato accanto per trent’anni, non gli ho mai visto fare delle scelte da manager per sé stesso, ha fatto sempre delle scelte per gli altri. Queste sono un po’ le serie della Lux, cerchiamo sempre che siano delle cose per gli altri. E le scelte che lui non ha mai fatto per sé stesso ma sempre per gli altri, hanno reso la Lux la più grande azienda di produzione che c’è in Italia.
Sinopoli: Senti, voglio farti questa domanda. Per anni, oltre che qualcuno pensava che foste una società un po’ bigotta, c’era anche il tema che guardavano però stimando e riconoscendo la vostra grande capacità produttiva, ma in questi anni il cinema è sempre stato insomma il vero protagonista. La serialità, la fiction è sempre stata una cosa un po’ di secondo livello. Però in questi ultimi dieci anni, con una grande accelerazione dalla pandemia in poi, e anche con l’entrata di nuovi attori come Netflix, Amazon, come Disney+, la serialità è tornata totalmente al centro. Anzi, c’è un innamoramento tale della serialità, nella narrativa che si sviluppa, che adesso il cinema sembra quasi una roba troppo concentrata, in due ore. Tu cosa pensi della narrazione della serie Tv in più puntate? Chiaro che lo fai da trent’anni, quindi… però secondo te che cosa finalmente la gente ha scorto, oltre ad avere più offerta e chiaramente ha avuto anche il tempo della pandemia, quindi molta occasione per scoprire…
Bernabei: Io credo che ha scoperto l’uomo. Perché la serie televisiva è più lunga e ti permette di scavare tanto di più. Questa secondo me è il vero segreto. Tu entri nella vita di quei personaggi, li vedi come vivono, pensi che sono come te, li vedi nella loro quotidianità per tanti giorni di seguito. Perché poi questo in fondo, abbiamo bisogno di diventare amici di quelli che vediamo. E questo secondo me è il vero segreto della lunga serialità, la complessità della narrazione, la possibilità di andare dietro, di svelare i retroscena delle vite di tanti uomini diversi…
Sinopoli: Di scavare di più nelle vite dei personaggi, di poter offrire punti di vista che chiaramente concentrati in due ore…
Bernabei: In due ore è più difficile, c’è bisogno di stare più dentro quei personaggi. E poi in qualche maniera quei personaggi ti diventano famigliari, no?
Sinopoli: Anche perché prima stagione, seconda stagione, terza stagione, quindi…
Bernabei: Piano piano diventano… tu li conosci, li prevedi quello che fanno e poi noi impariamo invece, che li scriviamo, quei personaggi, a giocare, a portare la gente dentro, a spiazzarli… c’è un enorme gioco nella narrazione, la narrazione è un’arte molto complessa, se io racconto un personaggio esattamente come tutti se lo aspettano, poi dopo la gente non guarda più. È come dicevi tu prima: mi chiedevi com’è possibile don Matteo farlo seguire per tredici stagioni, un’enormità. Ogni volta cerchiamo una piccola innovazione, cerchiamo un piccolo cambiamento, mettiamo un personaggio nuovo, cerchiamo di non farci… di non invecchiare con il pubblico che ci guarda, cerchiamo sempre di far sorridere, chi guarda Don Matteo sorriderà, cerchiamo sempre un giallo diverso per far indovinare alla gente il colpevole. Niente mai diamo per scontato un minuto che la gente ci seguirà. E questo secondo me è il segreto di qualsiasi serie televisiva, non sedersi mai sugli allori e cercare sempre dei personaggi forti, comunque. Forti e portatori di forti concetti. Possono essere o portatori di bene o portatori di male, puoi fare il boss come puoi fare…
Sinopoli: Per esempio ne “I Diavoli” hai anche il male ben chiaro, ben definito, anche molto moderno, tutto il tema dell’economia, dei fondi sovrani… e questa è una cosa interessante Perché tutta la cosa che tu hai raccontato, il Reel l’abbiamo visto prima, tuo papà ha avuto questa grande intuizione ed è partito dalla Bibbia. Ma la Bibbia oltre ad essere stata una grande serie di significato, è stata anche una prima grande co produzione internazionale con tantissimi paesi del mondo. Nel vostro DNA c’è anche la co produzione internazionale. Adesso ho citato I Diavoli ma I Medici o Leonardo, per citare le più recenti… questa capacità di incontrare altri paesi su delle storie che sono universali, come continua, continuerà? Avete dei progetti nuovi? Sai, tentiamo anche di capire qualcosa di qualche anticipazione
Bernabei: Ma guarda, ci sono… la Lux ha fatto alcune serie come I Medici, che racconta il Rinascimento, e Leonardo. Perché volevamo fare questo? Perché noi italiani purtroppo siamo molto capaci di denigrarci, invece questo paese ha più del 50% di tutto il patrimonio culturale del mondo. Culturale, storico, ambientale, voglio dire. Qui dentro, in questo paese è nato il Rinascimento, la rinascita della cultura nel 1400 ad un certo punto una famiglia ha cominciato a finanziare la cultura, l’arte, lo spettacolo, e quindi sono nati Leonardo, Botticelli, Michelangelo. Da un puntino al centro dell’Italia si è sprigionata un’enorme ricchezza. Leonardo ha visto l’aeroplano, il sottomarino alla fine del ‘400, come ha dipinto la Gioconda o il Cenacolo. Questa è la grandezza di uomini che hanno il soffio dentro. Questo era interessante raccontarlo e raccontare al mondo. L’Italia piace al mondo, noi italiani piacciamo al mondo. Forse siamo un po’ noi italiani che non ci piacciamo però al mondo l’Italia piace. L’altra serie internazionale come I Diavoli, I Diavoli è una serie che racconta di finanza e va su Sky, noi abbiamo voluto raccontare che la finanza, le logiche economiche superano le logiche degli stati. Non è più la politica che gestisce gli stati ma è l’economia che decide dove vanno le scelte degli anni. E noi abbiamo voluto raccontarlo, questo, in una serie che racconta l’economia. Lo abbiamo fatto con Patrick Dempsey, che è il medico che tutti conoscono per Grey’s Anatomy, il Dottor Stranamore, e Alessandro Borghi. L’idea è sempre che chi guarda una serie della Lux capirà qualcosa sul mondo, possibilmente, capirà qualcosa su sé stesso, sull’arte, la politica, l’economia, sul vivere. È sempre questo il tentativo di lasciare un messaggio con semplicità. Mai predicare, perché poi non siamo predicatori, insomma.
Sinopoli: Chiedo alla regia di mandare l’ultima clip.
(CLIP)
Ti confesserò un’altra cosa, dopo averti detto che cosa ho pensato quando mi hai detto di Doc. Quando mi hai detto che avresti fatto una serie su una poliziotta cieca ho detto: vabbè, ormai è andato, cioè, ormai dopo trent’anni non ha più niente… e invece l’ho vista e l’ho trovata moderna, dove il tema dell’handicap in maniera come dire… sì certo, con una narrativa drammatica ma interessante. E poi mi ha colpito anche, e volevo chiederti perché io sono sempre molto attento al binomio cinema/musica… in questa serie la musica è una componente fondamentale. Ho bisogno di capire come è nata l’idea, il tema dell’handicap e la musica.
Bernabei: L’idea nasce da un bellissimo libro che racconta la storia di una detective cieca. E questa cosa ci ha colpito. Siamo sempre alla ricerca di storie nuove per raccontare anche la diversità e questa serie forse non sarebbe stata possibile fino a qualche anno fa. E allora abbiamo cominciato ad andare sempre in controtempo, perché quando ho pensato questa serie… avete visto che è molto colorato, tutto, quando noi lavoriamo a una serie, e questa era una serie delicata perché parlavamo di disabilità, cominciamo a raccogliere testimonianze. Per cui abbiamo parlato con uno dei ciechi più famosi al mondo, che è Andrea Bocelli. E lui ci ha detto una cosa meravigliosa, ci ha confidato questo: la gente pensa che io vedo nero. Non è vero. Io vedo a colori, coloratissimo. Magari i miei colori sono completamente sbagliati, ma io vedo a colori. Allora questa cosa ci ha cominciato a colpire, abbiamo cominciato a realizzare questa serie in maniera super colorata. Bianca si immagina il mondo super colorato, si immagina una nave, un enorme cargo porta container, lo immagina tutto rosa, magari sbagliato ma… e abbiamo voluto raccontare anche la possibilità che nella disabilità, anche lì ci sia una speranza. Perché qual è il concetto profondo di Blanca? Siamo tutti un po’ disabili, ognuno di noi la mattina, quando si sveglia, prende la sua carrozzella invisibile, ci sale sopra ed esce di casa. Ognuno di noi ha un punto di sofferenza, un punto di lotta, ha una debolezza. C’è chi la nasconde, e chi non la nasconde ormai più. E abbiamo voluto raccontare la storia di una che la sua debolezza la affronta, la combatte. E che cosa succede a un cieco, che cosa succede a una persona che non vede? Tutti gli altri sensi esplodono, la vista non c’è però l’udito è pazzesco, il tatto è incredibile. Questo permette a Blanca di fare bene il suo mestiere, perché se si mette una cuffia e ascolta dei rumori, lei capisce più di noi umani. E allora la bellezza è stata raccontarla con la musica, la musica Funky. Blanca è una serie funky, c’è una fortissima influenza musicale. Abbiamo raccontato il colore, la vita e il suono. Il suono è stato… abbiamo speso tantissimi soldi per il suono di questa serie, per mettere delle musiche meravigliose alla vita, Blanca vuol essere un inno alla vita. E alla fine di tutto questo abbiamo dato vita a un personaggio che è quasi un cartone animato, è un eroe che ha dei superpoteri incredibili però tutti quanti avrebbero pensato che lei non avrebbe più nessun potere, era finita, non potendo vedere. Credo che questa sia la storia di ognuno di noi, ogni giorno combattiamo con le nostre debolezze e per questo io ho voluto molto bene alla serie Blanca, che è stato un grandissimo successo di Rai 1, come Doc, che avete visto prima, è stata la serie più vista, pensate, degli ultimi quindici anni. Quindi, come dice quel mio amico, il Vangelo conviene, si possono raccontare delle belle storie, emozionando la gente e portandoli là dove nessuno avrebbe mai pensato. Ci sono voluti trent’anni di esperienza, anche noi abbiamo battuto la testa, abbiamo fatto i nostri fallimenti, c’è voluta la passione e i sogni di mio padre, c’è voluta anche l’attesa.
Sinopoli: Cioè?
Bernabei: Quel signore qua, che è stato l’ispiratore di tutto questo, un giorno un ragazzo gli fece, mi ha colpito questa cosa che ho letto di recente, un ragazzo gli fece una domanda sui sogni e lui disse: a me i sogni non piacciono tantissimo, mi interessa di più l’attesa, nell’attesa ci sono più dati, c’è più certezza. Ecco, noi abbiamo… in fondo forse ha ragione. C’è stata tanta attesa, l’attesa di avere pazienza, di aspettare che questa televisione che facciamo, che può sembrare banale (ci prendevano in giro perché facevamo Don Matteo) arrivasse piano piano nel cuore della gente. E adesso la gente aspetta le serie della Lux. Ecco, questo è stato il valore dell’attesa, di rimanere coerenti. La Lux ha una linea editoriale, noi facciamo un prodotto per la famiglia, che non fa quasi più nessuno al mondo. Purtroppo neppure più Disney fa un prodotto per la famiglia, chissà che direbbe il fondatore di Disney, magari, non so se gli piacerebbe questa Disney, magari sì, non lo so. Noi facciamo un prodotto per le famiglie e basta: chi guarda i nostri prodotti può essere un bambino, una coppia, una giovane coppia, una signora di ottant’anni. Noi cerchiamo di raccontare alle famiglie.
Sinopoli: Senti, mi sembra di capire che comunque creare una serie Tv di qualità, bella, sia complessa. Perché non basta un’intuizione, dicevi prima: tantissime persone, migliaia, centinaia di lavoro… quindi vuol dire un lavoro in team, un lavoro insieme. Diciamo, c’è un mondo intorno a noi che normalmente ti dice che tu devi avere un’intuizione, devi essere bravo… molto individualista. Lavorare insieme è così difficile in Lux? Che metodo avete, che avete in questi anni verificato, che è possibile per il giovane che entra a lavorare con voi, così come per quello che lavora da tanti anni?
Bernabei: Innanzitutto tantissima competenza, enorme competenza e tantissima professionalità, da noi arrivano i migliori. Perché bisogna essere così per essere in questo mondo. I migliori sono anche quelli che hanno più determinazione, più voglia di fare qualcosa di bello, un forte senso del bello, e io lotto tantissimo, la disarmonia. Noi cerchiamo sempre l’armonia, di tentare di essere sempre insieme, il gruppo che lavora per fare qualcosa, come qua dentro per fare questa cosa meravigliosa ci sono tremila volontari, noi cerchiamo sempre di mettere insieme dei gruppi di lavoro. I gruppi che fanno la serie sono fatti di sceneggiatori, registi, produttori come me…e noi ci mettiamo attorno a un tavolo per capire come andare a raccogliere l’attenzione della gente, interessandoli, colpendoli in una maniera nuova. E i primi appassionati dobbiamo essere noi. Adesso vedrete, tra poco sta per uscire una nuova serie della Lux su Canale5…
Sinopoli: Oh, finalmente un’anticipazione!
Bernabei: Esatto. Su canale5 e si chiama “Viola come il mare”, uscirà alla fine di settembre, ve la consiglio, con Francesca Chillemi e Can Yaman, un bellissimo ragazzone turco. E lì racconta… è una storia particolare, una giornalista che lavora a Palermo. E abbiamo voluto raccontare la meraviglia di Palermo. Palermo è una città bellissima, che è stata… oh bravi, ci sono anche i palermitani, facciamo un applauso a Palermo che è una città meravigliosa! Ecco, non parleremo della mafia, perché ci siamo tutti stufati della rappresentazione della Sicilia come la mafia. La Sicilia ha tante altre cose molto più belle. Ecco, anche qui cerchiamo di raccontare un po’ il bello, cerchiamo una consolazione, cerchiamo di fare quello che fate qui, di dare una speranza alla gente. Se voi vedrete Viola come il mare, vedrete un’altra cosa che vi darà un po’ di speranza e vi farà sorridere, continuando a mantenere quella che è la missione di mio padre, fare un prodotto per le famiglie, raccontare il bello e raccontare la possibilità di tutti di farcela. Ognuno di noi ha una possibilità di farcela, facendo bene quel piccolo pezzo di vita, quel piccolo pezzo di mondo, coltivando bene quel piccolo pezzo di mondo che gli è stato affidato.
Sinopoli: Io volevo… siamo alla fine, volevo ringraziarti per la testimonianza sincera che ci hai dato, anche ringraziarti per l’affezione che ci hai testimoniato a tuo padre, che non è banale e che ha dato origine all’azienda ma ha suscitato in te anche il desiderio di essere, e si vede, un bravo uomo che ha utilizzato le doti e i talenti che aveva per continuare l’opera ma per svilupparla come ci hai testimoniato quando ci hai detto per esempio che Blanca è una serie sulla diversità che forse qualche anno fa… quindi anche dentro la realtà. Quindi ti volevo ringraziare molto e sono molto contento che tu abbia accettato l’invito del Meeting, quindi un grande applauso davvero da tutti noi.
Bernabei: Permettermi di dedicare questo meraviglioso applauso che porterò nel cuore, credetemi, tutta la vita, tutta la vita, permettermi di dedicarlo a mio padre, che è in cielo in questo momento, a Ettore, che ha amato terribilmente la vita, ha sognato fino al giorno in cui è andato in cielo, a 95 anni, mi ha messo dentro questa voglia di sognare, di fare imprese impossibili che fanno accapponare la pelle, insomma, imprese incredibili, presto ne vedrete delle altre su Netflix, su Amazon… non smettiamo mai di continuare a sognare e vi ringrazio per questa bellissima serata che porterò nel cuore con tutti voi, vi ho sentito veramente vicini. Io faccio il mio lavoro per cercare di portare una goccia di serenità nelle case di tutti voi e spero di continuare a riuscire a farlo.
Sinopoli: Utilizziamo gli ultimi trenta secondi proprio perché, come ci ha testimoniato Luca Bernabei, non diamo per scontato niente, anche questo evento è potuto accadere all’interno del Meeting.