LA COSTITUZIONE COME BENE COMUNE

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In collaborazione con Fondazione per la Sussidiarietà
Augusto Barbera, presidente Corte costituzionale. Introduce Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà

La Costituzione italiana figlia di una cultura democratica e umanitaria, può essere ancora oggi il riferimento per affrontare le svolte storiche che il Paese e il mondo stanno affrontando? Quali sono i suoi principi cardine su cui fare leva e quali sono quelli che possono essere cambiati?

Con il sostegno della isybank, Regione Emilia-Romagna

LA COSTITUZIONE COME BENE COMUNE

LA COSTITUZIONE COME BENE COMUNE 

In collaborazione con Fondazione per la Sussidiarietà 

Venerdì 23 agosto 2024 ore 19:00  

Sala Neri Generali-Cattolica 

Partecipano: 

Augusto Barbera, presidente Corte costituzionale.  

Introduce:  

Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà 

 

Vittadini. – 0:06:25 – Buongiorno, benvenuti a questo incontro in cui ci onora della sua presenza il presidente della Corte Costituzionale, Augusto Barbera, che direi di accogliere con un applauso. Dopo una mia breve introduzione, lasceremo la parola al Presidente, che ci esporrà il lavoro della Corte Costituzionale in questo periodo. 

Mi permetto di dire questo: nel Meeting di quest’anno, come sempre, abbiamo cercato di mixare i temi economici e sociali con quelli istituzionali. Uno dei temi di cui parlavamo in questi giorni era la crescita della povertà e della disuguaglianza in Italia; il fatto che la povertà assoluta affligge un milione e settecentomila famiglie, per lo più nel Mezzogiorno, e che il modello economico rischia dappertutto di produrre non solo scarti ambientali, ma anche scarti umani, come dice Papa Francesco. È tutto il tema dello sviluppo che deve riprendere: non si può vivere con un PIL così piccolo. Il debito pubblico… cosa c’entra tutto questo con il tema della Corte e della politica? Ma perché, nelle democrazie, la politica e le istituzioni sono quelle realtà che rappresentano tutti, che hanno a che fare con questi problemi, che costruiscono delle regole affinché la gente possa vivere meglio. 

Noi nasciamo da una Costituzione che è nata in modo singolare ma anche molto interessante, da realtà che sembravano ideologicamente molto diverse, ma che sono riuscite a dare delle regole che hanno permesso al nostro Paese di crescere. Ma non solo c’era questo: c’era, almeno da quello che ho imparato dai costituzionalisti che ho frequentato, oltre a queste carte scritte, delle realtà partitiche radicate nella classe del popolo che giocavano insieme a queste leggi, che completavano la Corte Costituzionale e che erano fondamentali per assicurare lo sviluppo. Un po’ questo è venuto meno: che ci siano dei partiti che nascano da realtà popolari e che quindi le esprimano, che queste realtà popolari possano poi decidere i loro rappresentanti. E quindi, il tema che noi ci poniamo in questo momento è come—da qui nasce il titolo—come la Costituzione, non solo quella di 70 anni fa, ma quella Costituzione che la Corte rende sempre viva, possa essere uno stimolo per questa ripresa, uno stimolo che valorizzi tutti i tentativi dal basso, quindi valorizzi sicuramente la presenza dello Stato ovunque, un mercato libero, ma anche tutte quelle forze e quelle realtà, quelle formazioni popolari che proprio nell’articolo 2 della Costituzione, pur non ancora espresse in termini di sussidiarietà, completavano il quadro. 

E quindi, più che risposte, noi abbiamo domande: come sia possibile che queste tre forze—Stato, mercato e realtà popolari, formazioni sociali—possano contribuire a rilanciare il Paese, a rilanciare il PIL, a lottare contro le disuguaglianze. Certo che non è compito della Corte fare questo tipo di lavoro, ma certamente come la Corte costruisce e interpreta la Costituzione diventa, come Stato, un modo attraverso cui può avvenire questa vita dei cittadini. 

Allora, abbiamo formulato alcuni temi come provocazione; evidentemente poi il Presidente sarà libero di articolare il suo discorso secondo quello che lui ritiene opportuno per parlarci del lavoro della Corte. Il primo tema è proprio il fatto di una Costituzione che mette al centro la persona umana insieme allo Stato, e che in questa centralità, come dire, ha permesso a un Paese di crescere in democrazia. Ricordavamo in questi giorni, visto che c’era il nostro focus su De Gasperi, il dibattito soprattutto sull’articolo 2, ad esempio, su personaggi come La Pira e Togliatti, che sono riusciti ad articolare una centralità della persona dentro un assetto statale. 

La prima questione è: cosa significa questa difesa della persona oggi nell’attuale posizione della Corte? Il secondo tema legato a questo, visto che queste persone vivono in formazioni sociali, è tutto il lavoro che la Corte Costituzionale ha fatto in modo, secondo me, pionieristico e assolutamente all’avanguardia rispetto a tutti gli altri, proprio rispetto al rilancio dell’articolo 2 sulle formazioni sociali, riprendendo e articolando la riforma costituzionale del 2001 e la sentenza 131 del 2020, che ha valorizzato gli istituti della coprogrammazione e coprogettazione tra l’amministrazione pubblica e il terzo settore. C’è l’idea che lo Stato vive insieme, è partner di queste realtà sociali. Quindi, questo è un secondo tema che ci interessa. 

E il terzo è l’equilibrio dei poteri, cioè il fatto che la nostra Costituzione è fatta di un potere legislativo, giudiziario, esecutivo e che proprio questa concezione di persona e formazione sociale porta a sentire una centralità di un Parlamento che non sempre sembra al centro. E quindi ancora, per sollevare temi di attualità, tutta l’articolazione stessa dello Stato, Stato-Regioni, tutto questo tema attuale delle riforme, che interessa anche la popolazione. E quindi legato a questo: qual è la concezione delle riforme? Si possono fare riforme a pezzi o dobbiamo pensare a qualcosa di più articolato? 

Queste domande nascono dalla vita della gente, perché evidentemente la gente deve arrivare alla quarta settimana, deve trovare lavoro, deve trovare la casa, ma se la politica e le istituzioni aiutano questo tipo di intervento, e se soprattutto una Corte che, forse—dico un mio parere personale—ha un’indipendenza che, rispetto a quella di altri Paesi, è veramente un grandissimo valore, può aiutare in questo percorso. Queste sono un po’ le provocazioni che le faccio, Presidente, lasciando poi a lei il compito di articolare come lei crede il suo discorso. Grazie. 

Barbera. – 0:15:06 – Sono io, intanto, che ringrazio per l’onore che mi fa, e per l’onore che fa anche la Corte Costituzionale tramite la mia persona, invitandomi a queste magnifiche giornate del Meeting. Non è la prima volta che vengo. Ammiro l’imponenza dell’organizzazione e la pluralità degli apporti culturali. Veramente, complimenti. Con Vittadini ci conosciamo da tanto tempo. Lui ha una capacità straordinaria, cioè quando interviene, fa saltare gli schemi che ciascuno di noi si è fatto. Mi è capitato altre volte. Per cui devo stare attento. Però è molto stimolante. 

Per esempio, primo punto, la crisi dei partiti. Tu dicevi… non ci sono, c’è la crisi dei partiti popolari che ormai non sono in rappresentanza effettiva dei problemi del Paese. È un problema vero e che riguarda un po’ tutto l’Occidente. E da cosa dipende? Dobbiamo tenere conto che i partiti si sono formati, i partiti su cui abbiamo potuto ragionare e su cui si è contato per tanti decenni, nascono all’interno di, come dicono gli americani, “cleavages”, cioè delle fratture della società. Quindi, i partiti del Novecento si sono formati nella frattura tra borghesia e proletariato. Era il periodo del passaggio dalla società agricola alla società industriale e si sono formati i partiti: di sinistra, che in maniera più o meno rispettosa di determinati principi cercavano di portare avanti gli interessi delle classi lavoratrici, e partiti borghesi che invece volevano mantenere determinati privilegi. Questo era lo schema: i partiti socialdemocratici, il partito laburista da una parte, quello liberale, quello conservatore dall’altra. 

Forse in Italia è stato un po’ diverso perché, essendo l’Italia venuta fuori dal fascismo ed entrata subito dopo nelle tensioni della guerra fredda, c’è stato un partito, la Democrazia Cristiana, che è stato un partito decisamente interclassista, che poi è entrato in crisi nel momento in cui c’è stata la caduta del muro di Berlino e quindi la spaccatura non era più così netta. Ora invece noi ci troviamo, quello era il passaggio: sono cresciuti partiti durante il passaggio dalla società agricola alla società industriale. Adesso ci troviamo di fronte al passaggio dalla società industriale alla società digitale, che è tutta un’altra cosa, e non siamo in grado di capire esattamente quali sono i “cleavages” che contano e su cui è possibile costruire anche delle realtà associative. 

C’è una bipolarizzazione, perché in genere nelle democrazie i partiti si polarizzano da una parte e dall’altra, destra e sinistra, con maggiore o minore nettezza. C’è una tendenza a una bipolarizzazione, chiamiamola così, “etica”, che non è stata ancora molto studiata. È un aspetto che non è stato molto studiato: da una parte chi è per l’etica dei valori, sommariamente parlando, e dall’altra l’etica dei diritti. Etica dei valori: il valore della vita, il valore della famiglia, l’identità nazionale, l’appartenenza a una confessione religiosa, l’appartenenza a comunità territoriali e culturali, le tradizioni. Questo è un polo di questo bipolarismo etico. Il secondo è quello dei diritti, talvolta definito anche i nuovi diritti. 

Il valore della vita da un lato, le decisioni personali sul fine vita dall’altro. La composizione da un lato sostiene che la vita è un valore assoluto e non si può intervenire; dall’altro lato, ricordate Montanelli quando diceva: “Io ho il diritto di poter porre fine alla mia vita quando e come voglio”. E così anche per quanto riguarda la piena disponibilità del proprio corpo, la libera espressione della sessualità, l’identità personale, la fluidità di genere, la piena espansione dei diritti di inclusione per emigrati, immigrati ed emarginati. 

Da un lato, la bipolarizzazione è questa: etica dei valori ed etica dei diritti. Non toccare alcuni valori; di fronte ai valori, sviluppare al massimo i diritti. Ora, si può dire che chi segue l’etica dei valori rappresenta la conservazione e, secondo alcuni, il progresso, ma io non ci credo molto, perché è solo una parte della realtà che viene toccata. Perché sono temi che tra loro si intrecciano, talvolta sovrapponendosi, e attraversano sia le formazioni politiche di destra che quelle di sinistra. Uso “già” per dire che si tratta di schemi che vanno sempre più illanguidendosi. 

Un esempio eclatante: nessuno dice che va tutelato il valore della vita sempre e comunque, a prescindere, senza tener conto della volontà dei soggetti, senza tener conto del paziente su come decidere forme e tempi del proprio congedo dalla vita. Ma così è anche per l’ordine della famiglia: è ancora la società naturale di cui parla l’articolo 29 della Costituzione? O, accanto alle famiglie di cui parla l’articolo 29 della Costituzione, bisogna tener conto, come si è tenuto conto, del diritto di una coppia, anche se dello stesso sesso, di dare vita a una comunità di affetti. La soluzione che è stata trovata è una soluzione che riconosce, grazie anche a una sentenza della Corte Costituzionale che poi citerò, queste formazioni sociali, non elevandole però, nonostante ci sia anche un movimento in questo senso, a vere e proprie famiglie nel senso voluto dalla Costituzione. Questo, almeno, è il dibattito politico che c’è stato. 

E così anche va profilandosi un nuovo “habeas corpus”. L'”habeas corpus”, come alcuni di voi ricorderanno, dal 1215 è un istituto che fu conquistato dagli inglesi per cui non si può toccare il corpo di una persona, quindi non si può arrestarlo, non si può perquisirlo, eccetera, se non dietro intervento di un’autorità terza, di un’autorità giudiziaria. C’è adesso la tendenza a costruire un nuovo “habeas corpus”, cioè nel senso che ciascuna persona avrebbe il diritto alla piena disponibilità del proprio corpo, in ogni modo. Sono tutte cose di cui parlerò. 

Quindi c’è questa tendenza di cui parlavo, questo bipolarismo che è proprio di una società che passa, come dicevo, da quella industriale a quella digitale. Teniamo presente che il passaggio dalla società agricola alla società industriale fu un passaggio che si portò dietro sciagure, lutti, e che alla fine si è stabilizzato, ma è stato un passaggio che è durato più di un secolo, e non è stato semplice né facile. Noi siamo appena agli inizi del passaggio dalla società industriale alla società digitale. 

Perché c’entra tutto questo con il riferimento al titolo della nostra conversazione, che è “La Costituzione e i beni comuni”, “La Corte Costituzionale e i beni comuni”? Intendendo per beni comuni che cosa? Ecco, qui mi richiamo al tema del… come sempre, queste sono parole d’ordine, slogan, non so come definirle, questo dell’essenza, dell’essenziale, molto bello. I principi costituzionali costituiscono l’essenza, l’essenziale di un ordinamento. Stando attenti, però, a non far coincidere l’essenza, come diceva Aristotele, con l’accidente, con ciò che è accidentale, nel senso che ciò che è essenziale va conservato e difeso, ciò che invece non lo è può essere adattato o riformato. 

Parlo in maniera un po’ più esplicita: ci sono due parti della Costituzione. C’è la prima parte della Costituzione, che è la parte essenziale, quella dei valori; c’è la seconda parte, che è importante ma che va riformata e rivista. Non a caso è dal 1983 che si tende a riformarla. 1983: inizialmente Spadolini con il decalogo Spadolini, poi la riforma, la commissione Bozzi, sempre 1983, poi la commissione De Mita, poi la commissione Iotti, poi la commissione D’Alema, poi i saggi voluti dal governo Gentiloni, che stamattina ho incontrato, oggi pomeriggio ho incontrato, ho avuto modo di salutare, sempre giovane lo vedo, che fu voluta dal governo Gentiloni. Ecco, tentativi però che ricordano un po’ il gioco dell’oca, per cui si va avanti, eccetera, eccetera, e poi si torna indietro alla casella di partenza. Io auspico che si trovi una soluzione, quale che sia, non quale che sia, cioè la soluzione che è ritenuta più adatta. Si vuole tener fermo il regime parlamentare, però un regime parlamentare effettivo, vero, non il pseudo regime parlamentare che noi abbiamo, l’espressione pseudo è dovuta a Marianini, non la sto inventando io, oppure l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, oppure l’elezione diretta del Capo dello Stato, ma bisogna trovare delle soluzioni appunto, non si può fare il gioco del blocco. 

Ora, perché torno a quel bipolarismo, quel bipolarismo etico, chiamiamolo così per comodità? Perché mentre in altri paesi ci sono delle difficoltà, ad esempio l’espressione “beni comuni” è un’espressione che corre molto negli Stati Uniti d’America in questo periodo: “good constitutionalism”, ed è il tentativo di trovare una forma intermedia tra l’originalismo, cioè tra quelli che dicono che ciò che conta è la Costituzione quale fu approvata, nella forma in cui fu approvata dai padri fondatori, compreso il diritto a portare le armi, e invece l’altra tendenza, l’altra dottrina che tende ad adeguare la Costituzione alla realtà sociale, alla realtà che cambia. Sono problemi che attanagliano molto quel paese e quella letteratura. Il riferimento ai beni comuni tende a trovare dei beni che non sono previsti nella Costituzione scritta alla fine del 1700, e tende a trovare dei beni e li trova in principi generali quali la pace, la giustizia, eccetera, eccetera. Quindi, qualcuno ha detto che c’è anche una tendenza neo-giusnaturalista. 

Noi invece, noi italiani, ma si può dire la stessa cosa anche per la Costituzione tedesca, abbiamo i beni comuni già indicati nel testo costituzionale e attorno a quei beni comuni abbiamo la possibilità anche di superare la sprezza di quel bipolarismo etico di cui parlavo prima. Quali sono questi beni comuni? Beh, il primato della persona, innanzitutto, l’articolo 2: lo Stato in funzione della persona e non, come nel vecchio regime, la persona in funzione dello Stato. I doveri e la responsabilità sociale della persona, quindi una persona che si apre. La sussidiarietà, c’è sempre stata in riferimento all’articolo 2, la lettura della persona in senso appunto di apertura della stessa e quindi in sussidiarietà. Però nel 2001 si è avuta la possibilità, grazie anche all’azione portata avanti dalla Fondazione per la Sussidiarietà, dall’infaticabile Vittadini, di inserire il tema della sussidiarietà nella nostra Costituzione, cioè non faccia lo Stato quello che può fare un privato. E comunque la sussidiarietà è il modo in cui le persone possono manifestare. E dirò anche che ci sono alcune sentenze nostre che hanno ripreso questo tema. 

Stavo continuando a indicare quali sono i principi fondamentali, i beni comuni nostri. Il valore e la dignità del lavoro. La Repubblica Italiana è fondata sul lavoro, articolo 4, il diritto al lavoro. La libera iniziativa privata, ma al contempo la possibilità di porre limiti alla stessa per garantire anche i diritti sociali. Il principio di eguaglianza, il divieto di discriminazione per sesso, razza, religione, articolo 3 della Costituzione. Il ripudio della guerra e la cultura della pace, articolo 11 della Costituzione. L’apertura alle organizzazioni internazionali, sempre l’articolo 11. L’informazione libera e pluralista. Qui sono un po’ esitante perché l’informazione ha dei problemi: da un lato le grandi formazioni che possono condizionare l’informazione, dall’altro lato l’esplosione dell’anarchia dei social che sta inquinando la formazione. I partiti e le autonomie sociali, questi sono i beni comuni della nostra Costituzione, e che rappresentano un ribaltamento dei principi, chiamiamoli beni comuni anche essi, che riguardavano invece lo stato precedente, il regime fascista: la persona in funzione dello Stato, la persona quindi vista come mezzo e non come fine, l’esaltazione del principio gerarchico, la esclusiva funzione familiare della donna, il Partito-Sindacato Unico, la guerra come “igiene del mondo” e rifiuto dei vincoli internazionali. 

Ho trovato interessante il punto nono del Manifesto del Futurismo di Marinetti, che ha alimentato anche il diciannovismo fascista: “Noi vogliamo glorificare la guerra, sola igiene del mondo.” È lì che veniva presa questa espressione: il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle cose per cui si muove il tutto e il disprezzo della donna, Marinetti. Parlando di disprezzo della donna non è il caso; semmai c’era una funzione esclusivamente familiare della donna, prevalentemente familiare della donna. Noi abbiamo ribaltato, sono beni comuni che sono stati ribaltati dalla Costituzione repubblicana e che ci consentono di potere bilanciare questi beni comuni, questi valori con i diritti. 

Quindi, non c’è la bipolarizzazione, almeno per quanto riguarda il nostro testo costituzionale, il nostro ordinamento costituzionale, la distinzione, quel bipolarismo etico di cui parlavo prima: da una parte l’etica dei valori, dall’altra parte l’etica dei diritti. Le due sono entrambe posizioni che tendono a… La Corte Costituzionale Italiana, avrei voluto parlare della Corte, ma non potevo certamente approfittare. Tra l’altro, c’è un enorme timer qui davanti. 

Vittadini. – 0:34:42 – No, ma è indicativo! 

Barbera. – 0:34:43 –  Terribile, enorme! Ma è indicativo! Stavo dicendo, perché abbiamo portato avanti tutta una serie di iniziative e di decisioni importanti sia per l’economia che per la società? Vado velocissimo: per l’economia, per esempio, la recentissima sentenza con la quale si è praticamente eliminata la chiusura corporativa per quanto riguarda i taxi e l’auto da noleggio. Così come, per quanto riguarda la modernizzazione della società civile, vorrei ricordare le sentenze sul doppio cognome; cioè, l’esclusivo riferimento patronimico che faceva parte della tradizione italiana non era più in armonia con la parità tra i coniugi nel matrimonio, con l’uguaglianza uomo-donna, e con la crescente presenza delle donne nella società civile. Di questo non potrò parlare ora, ma cito in particolare, anche come omaggio al nostro Vittadini, due sentenze: la 72 del 2022 e la 191 del 2022, sempre di due anni fa. In queste, ci sono delle importanti affermazioni sul ruolo strategico del terzo settore, e le parole sono state trovate molto interessanti sul volontariato. Cito: “Apertura ai bisogni dell’altro”, che sottolinea la natura relazionale della persona umana. Questa apertura, continuava puntini puntini, dà un senso alla propria esistenza, al valore della persona, aprendosi ai bisogni dell’altro. Qui ci sono due sentenze in cui abbiamo fatto tesoro di questo nuovo valore che è stato evidenziato sulla base dei valori della persona nel 2001, ma comunque rientrava già nella sostanza dei valori costituzionali. 

Quindi, questi valori comuni che si trovano già nel testo costituzionale rendono non necessario, come dicevo prima, andare a cercare o trovare al di fuori; hanno consentito alla Corte Costituzionale e al dibattito politico, spererei fino in fondo, di evitare la contrapposizione tra i due poli. Per esempio, per quanto riguarda varie decisioni, ne ricordo alcune più importanti: quella sul fine vita, la più recente, in cui abbiamo richiamato alcuni orientamenti già assunti per quanto riguarda l’interruzione della gravidanza; poi la decisione con cui abbiamo preso posizione sulla gestazione per altri, cioè il cosiddetto “utero in affitto”, per essere più giornalisticamente efficaci; sul riconoscimento del terzo sesso; sulla prostituzione, che da alcuni veniva intesa come diritto della persona; sull’affettività dei detenuti. È un certo numero di sentenze che sono molto interessanti. In base a queste, la nostra Corte è riuscita a sfuggire a una paralizzante bipolarizzazione fra valori e diritti. Il caso più semplice, che ho già mostrato prima, è quello del fine vita: il valore della vita è fondamentale, ma in alcuni casi è possibile agire senza arrivare a pratiche eutanasiche inammissibili. 

Non dobbiamo dimenticare che la Corte Costituzionale, suscitando alcune polemiche, aveva già dichiarato inammissibile un quesito referendario che tendeva invece a estendere pratiche eutanasiche. Quindi, non il diritto a darsi la morte, ma un aiuto a morire o un aiuto nel morire, che sono cose tra di loro certamente diverse, e in cui abbiamo cercato di mettere insieme le due esigenze. Ho visto che c’è stata un’apertura interessante di Monsignor Vincenzo Paglia, responsabile dell’Accademia Pontificia per la Vita, citato dalla stampa dell’8 agosto, che sembra superare posizioni che in passato marcavano la presenza di limiti non negoziabili, e mostra invece interesse a un dialogo volto a individuare uno spazio in cui il Parlamento sia in grado di fare le scelte migliori che tengano conto delle diverse sensibilità, culture e religioni. Quindi, è anche un messaggio per il Parlamento, che sul punto è rimasto fermo. 

Non dobbiamo dimenticare, non voglio fare tutto il discorso di carattere giuridico, che la Corte Costituzionale, che era stata investita della questione, aveva rinviato la decisione per dare tempo al Parlamento di intervenire. Il Parlamento non era riuscito a intervenire, per difficoltà appunto nel trovare degli accordi, e quindi è dovuta intervenire la Corte Costituzionale, che ha trovato in una prima decisione un equilibrio dicendo che il valore della vita è intoccabile, ma che tuttavia in alcuni casi era possibile avere un’assistenza nel tentativo di morire o nel lasciarsi morire. Erano state indicate tre condizioni che non sto qui a ricordare: queste tre condizioni non erano apparse facilmente praticabili; alcune aziende sanitarie locali non riuscivano a orientarsi; alcune regioni avevano tentato di legiferare, tenendo conto che hanno competenze anche in materia sanitaria. Alla fine, c’è stato di nuovo un ricorso alla Corte Costituzionale, che ha adottato la soluzione di cui parlavo. Le tre condizioni che erano state indicate fin dalla prima sentenza erano: un paziente pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli; secondo, che sia affetto da una patologia irreversibile; terzo, che questa sia fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che il paziente ritiene intollerabili, e che sia tenuto in vita da trattamento di sostegno vitale. Questo riferimento al sostegno vitale sembrava essere soltanto quello alle macchine a cui si rimaneva attaccati, e sono sorti dei problemi. Con una sentenza più recente, abbiamo cercato di intervenire estendendo anche le possibilità; certo, con posizioni che possono essere accettate o meno da alcuni. Si è ritenuto che abbiamo fatto dei passi in avanti, ma non si è ottenuto il diritto che veniva richiesto; altri hanno ritenuto che quello stesso passo in avanti fosse comunque non conforme al valore della vita, e abbiamo cercato di operare un bilanciamento tra il valore della vita, che rimane fondamentale, e il diritto del paziente, richiamando alcuni orientamenti che avevamo assunto negli anni precedenti a proposito dell’interruzione della gravidanza. C’era stata una sentenza, la numero 2775, a cui è seguita poi la legge, la tanto conosciuta e sulla quale ci sono state anche delle polemiche, la 194/78. In quella decisione, e anche nella legge che ha dato attuazione, non si parla di un diritto all’interruzione della gravidanza come esercizio di un diritto di libertà, ma si sostiene che, dovendo bilanciare il diritto alla vita del nascituro con il diritto alla salute della madre, si riconosce il diritto all’autodeterminazione terapeutica della madre; quindi, un modo per mettere insieme valori e diritti, che ci è stato utile anche per quanto riguarda il fine vita. 

Ci sarebbero tante altre decisioni di cui parlare rapidamente: gestazione per altri, il cosiddetto “utero in affitto”. Riporto una frase che è scolpita con chiarezza in più sentenze: la 272 del 2017, la 33 del 2021, la 79 del 2022. La pratica della maternità surrogata, virgolette, “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane.” Quindi, è una chiusura netta alla gestazione per altri. Senza distinguere, non ci è stato posto il problema, ma senza distinguere, mi pare sulla base di questi principi, tra la gestazione come frutto di una contrattazione sul mercato e invece quella per solidarietà. Però attenzione! È stato deciso: questa posizione della Corte, ripetuta in più sentenze, più volte. Però altrettanto deciso è stato l’invito della Corte al Parlamento perché si faccia carico dei diritti dei bambini e delle bambine, figli e figlie di coppie omosessuali. Secondo una scelta che spetta al legislatore realizzare, la riscrittura delle condizioni per il riconoscimento, una nuova tipologia delle adozioni, non essendo le attuali tipologie di piena utilità in questo caso. Lo abbiamo detto in più occasioni: quindi, da un lato il no alla gestazione per altri, ma dall’altro lato non è possibile non riconoscere i diritti dei bambini. 

Leggo qui quello che ho scritto: i valori della persona tutelati dall’articolo 2 della Costituzione, “La Repubblica riconosce i valori e i diritti della persona”, richiedono sia il divieto di questa intollerabile pratica, quella della gestazione per altri, sia il perseguimento del migliore interesse dei figli. “The best interest”, come si dice nella Convenzione internazionale sui diritti dei fanciulli; ce n’è più di uno. Quindi, un invito al Parlamento a occuparsi di questa condizione e non lasciare il tutto al disordine dei vari uffici dei comuni in materia. Ma attenzione, anche a costo di far slittare qualche secondo, a non cadere in una distorsione ottica. Attenzione, a non cadere in una distorsione ottica. La Corte, con questi richiami al Parlamento, ha inteso riconoscere un diritto del minore ad avere un inserimento negli affetti propri di un nucleo familiare; non ha inteso né, appunto, riconoscere, come l’avevo già detto prima, la gestazione per altri come compatibile con i valori costituzionali, né ha inteso riconoscere, questo non è nemmeno chiaro a volte, un diritto come diritto costituzionale alla genitorialità o un diritto a procreare, che sono diritti meritevoli di tutela e collegati al pieno sviluppo della persona, ma non sono suscettibili di realizzazione a ogni costo e senza limiti. Non a ogni costo e senza limiti. Quindi, utilizzando tutti gli strumenti, eccetera. 

C’è stata per esempio una decisione, qui vedo sentenze 389, invece un’ordinanza 389 del 1988 che ha affermato questo principio a proposito del padre del compagno di una madre che aveva deciso di interrompere la gravidanza e che si è rivolta al giudice per poter interrompere quella decisione. Lì c’è stata la possibilità di affrontare… Vado velocemente. 

Altra decisione: l’affettività in carcere. Affettività in carcere: è una sentenza recentissima, di poche settimane fa, la 10 del 2024, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di un articolo della legge sull’ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, il partner dell’unione civile o la persona stabilmente convivente senza il controllo a vista del personale di custodia. Non è un vero e proprio diritto soggettivo, quindi azionabile, però abbiamo detto in maniera netta e chiara che è in contraddizione con l’articolo 27 della Costituzione, uno dei beni comuni della nostra Costituzione, per cui le pene non possono consistere, cito tra virgolette la norma costituzionale, “in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Chiudo le virgolette. Altra decisione molto utile inserita in questo contesto di decisioni eticamente sensibili. Qui siamo indietro di tre anni: le sentenze del 2019. Prostituirsi è tollerato, è lecito fino a quando la legge non lo preveda come proibito o reato, ma non può essere considerato un diritto costituzionale; non può essere considerato un diritto a libera disponibilità del proprio corpo. 

Da dove nasce tutto questo? Perché, se no, sembra quasi un discorso astruso. C’era un imputato di una Corte d’appello meridionale, la Corte d’appello di Bari che era stato accusato di sfruttamento e agevolazione della prostituzione. E la Corte d’Appello aveva sollevato il dubbio che fosse incostituzionale tutto questo, perché dice: se si tratta di un aiuto all’esercizio di un diritto costituzionale, perché deve essere reato? Infatti, sappiamo che nella nostra Costituzione, nel nostro ordinamento costituzionale, anche ciò che è lecito, se non è un diritto costituzionale, non ha la tutela costituzionale. La nostra decisione è nel senso chiaro e fondamentale di dire che non si tratta di un diritto fondamentale della persona alla libera disponibilità del proprio corpo, come si voleva far credere; non è un aspetto della libertà di autodeterminazione, ma è un’attività lecita fino a quando il legislatore non dovesse intervenire. Tuttavia, se il legislatore dovesse intervenire, non si potrebbe ritenere che questo vada a toccare uno dei principi costituzionali o dei beni costituzionali di cui parlavamo. 

Per quanto riguarda le droghe, il discorso è un po’ più complicato. Voi sapete che nel 1993 c’è stato un referendum che ha inciso su alcuni articoli del Testo Unico sulle droghe, in particolare l’articolo 72, che diceva: “È vietato l’uso personale di sostanze stupefacenti e psicotrope di cui alle tabelle 1, 2, 3 e 4.” Questo è stato abrogato in quella consultazione referendaria, quella del 1993. Di conseguenza, non c’è dubbio che sia lecito anche assumere droghe pesanti. Però c’è chi ritiene che si tratti di un modo migliore per combattere la diffusione delle droghe, cioè attraverso la liberalizzazione, e chi invece ritiene che sia il riconoscimento di un diritto di libertà. La Corte Costituzionale non ha avuto modo di occuparsi di questa questione direttamente, quindi non posso affermare nulla se non che riterrei difficilmente ascrivibile ai principi costituzionali, ai principi di libertà della Costituzione, riconoscere come diritto costituzionale quello di assumere droghe. Sappiamo che sono un reato, mantenuto come tale, poiché quel referendum non travolse la parte relativa alle sanzioni penali. Anche chi ritiene che questo sia il riconoscimento di un diritto di libertà, il cosiddetto “right to do wrong” come dicono in America, non credo che sarebbe accettato. Non c’è, infatti, una sentenza apposita della Corte Costituzionale che lo confermi. 

Passando all’identità personale, l’ultimo dei temi. Non sono stati sollevati dubbi, anche questa è una questione recentissima, nei confronti dell’articolo 1 della legge dell’82, nella parte in cui non prevede il riconoscimento anagrafico del genere non binario, né maschile né femminile. L’eccezione è stata dichiarata inammissibile, il che significa, sul piano tecnico, che non si è entrati nel merito, poiché l’eventuale introduzione di un terzo genere nello stato civile presupporrebbe necessariamente un intervento legislativo di sistema nei vari settori dell’ordinamento e per i numerosi istituti attualmente regolati con logica binaria. Quindi, non siamo entrati nel merito. Ma attenzione, tutto rimane lì; non siamo entrati nel merito. Mentre ci sono state alcune dichiarazioni in alcuni editoriali di un giornale che non cito, in alcuni casi allarmati perché ci sarebbe stata un’apertura al terzo genere, in altri casi soddisfatti perché noi avremmo escluso l’apertura. In realtà, né l’una né l’altra cosa: ci siamo soltanto limitati a dire che è una competenza del Parlamento, che è il primo interprete della sensibilità sociale, e sarà affidata alla sua discrezionalità politica farsi carico di questo significativo disagio individuale e sociale, che ha qualche punto di riferimento anche negli articoli 3 e 32 della Costituzione. 

Il metodo di lavoro: come siamo giunti a queste conclusioni? Ci sono sempre le discussioni, ma siamo giunti sempre a conclusioni unanimi. Qual è il metodo di lavoro della Corte che ha consentito di mettere insieme, il punto fondamentale che ho detto all’inizio, i valori e i diritti, quindi sfuggendo alla bipolarizzazione? Questo è un punto che intendo sottolineare perché è il punto chiave del mio discorso. È stato possibile perché, in vari modi, intanto perché c’è l’attitudine all’ascolto reciproco e non c’è nessuna pressione dall’esterno. Questo lo diceva anche Giorgio Vittadini, e gli sono grato. A differenza di altre Corti costituzionali, non esiste la possibilità di influenzare la Corte dall’esterno per come è composta: cinque giudici nominati dal Capo dello Stato, non sulla base di partiti, ma sulla base di una valutazione delle competenze. Il Capo dello Stato effettua queste nomine, e cinque giudici sono espressi dalle magistrature: tre della Corte di Cassazione, uno dal Consiglio di Stato, e uno dalla Corte dei Conti, che sono espressioni di quelle magistrature. Quindi, non sulla base di criteri politici, ma sulla base di una valutazione interna. 

Per quanto riguarda il Parlamento, è prevista una maggioranza così alta che soltanto l’accordo fra più gruppi parlamentari può consentire l’elezione di un giudice. Questo è un aspetto positivo per quanto riguarda la composizione della Corte, però porta anche a qualche inconveniente, cioè il fatto che è difficile trovare un accordo. E noi, da tempo, torno a ripetere qui, siamo in attesa che venga eletto il giudice che sostituirà l’ex presidente Sciarra, che già da novembre scorso avrebbe dovuto essere sostituito. A differenza di quanto accade in altri paesi, abbiamo visto cosa è successo nella più antica e gloriosa delle Corti costituzionali, la Corte Suprema degli Stati Uniti. Essendo la sua composizione legata al Presidente e quindi all’orientamento del Presidente, qualche problema c’è, c’è stato e c’è. Noi, per fortuna, non abbiamo questa possibilità. 

Il secondo motivo per cui siamo giunti a quella conclusione è perché, da tempo, il metodo di lavoro che ci siamo imposti è appunto quello del bilanciamento fra diritti e valori, prima ancora che esplodesse la questione costituzionale. Il terzo motivo è perché abbiamo distinto tra ciò che, lo dicevo prima, è mera liceità di un comportamento, che quindi spetta al legislatore decidere se è lecito o illecito, e ciò che invece è il riconoscimento costituzionale, che è molto più significativo. 

L’ultimo punto: abbiamo sempre cercato la collaborazione con il Parlamento. Non sempre ci siamo riusciti, ma per lo più ci siamo riusciti, nel senso che, come ho detto in altre occasioni, noi siamo i custodi della Costituzione, ma ho sottolineato che non siamo noi gli interpreti esclusivi della Costituzione. Vogliamo che anche le rappresentanze democraticamente elette non siano in disaccordo con noi, se non proprio in pieno accordo. Ci siamo riusciti spesso, qualche volta in qualche occasione, come ad esempio nel caso relativo al fine vita e al riconoscimento dei minori, non ci siamo riusciti. 

Un’ultima cosa, purtroppo, che ho sollecitato anche da… C’è un riferimento eccessivo ai diritti. Diritti, diritti, diritti. Per cui ci vengono in continuazione sottoposte delle questioni. Il punto di riferimento è l’articolo 2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce i diritti inviolabili della persona, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità.” Per una certa interpretazione, che opera dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso, si tratta di diritti non espressamente sanciti dalla Costituzione ma che possono essere ricavati come interpretazione dalla Costituzione stessa. Però, quello che noi sottolineiamo è che, è vero, si possono riconoscere dei diritti sulla base dei valori della persona, ma sono anche i valori della persona un limite al riconoscimento di nuovi diritti. Gli esempi che facevo prima possono essere utili. Ed infine, molto utilizzato l’articolo 2 della Costituzione, un invito che farei anche ai miei colleghi costituzionalisti e all’opinione pubblica è di tenere conto che non esiste soltanto l’articolo 2, ma esiste anche il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di carattere economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza e impediscono il pieno sviluppo della persona.” Tutto questo, per quanto sforzi siano fatti, non è possibile farlo attraverso l’attività giudiziaria. C’è stato qualche tentativo, ogni tanto c’è qualche riferimento, ma in una struttura democratica, per esempio all’inizio si era proposto il problema di attuare mediante le sentenze il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione, ma non è possibile. Questo è un compito che spetta al potere politico, ma se così è, il potere politico deve essere un potere capace di decidere, capace di programmare e di non limitarsi ad amministrare il presente. Deve essere un potere che sia in grado di costruire sulla base di quei valori che sono fissati nella Costituzione. Ma spesso questo compito spetta al potere politico. Qui il tema delle riforme costituzionali, che è aperto da tanto tempo e su cui non posso dire nulla come Presidente della Corte Costituzionale. Sono obbligato a fermarmi qui e ringrazio per l’attenzione. 

Vittadini. – 1:05:55 – Io ringrazio molto il professor Barbera perché, come abbiamo ripetuto tante volte, uno degli scopi del Meeting è conoscere. Anche argomenti difficili, come quelli che lui ha toccato e che certe volte sono caldi nella discussione. Capire qual è la logica secondo cui si muove la Corte Costituzionale, quindi il nostro ordinamento, secondo me non chiude ma apre il tema a quello che lui ha accennato più volte: il ruolo della politica. Perché mi sembra che la Corte, in quello che lui ha detto, abbia colpito il punto, ossia che ha legiferato nell’assenza di una decisione politica e ha stimolato una decisione politica. 

Che vuol dire, tornando all’inizio, che abbiamo un organo che non si sostituisce alla politica, ma chiede alla politica di arrivare a delle sintesi, anche compromissorie, e di fare il suo mestiere. Quindi, personalmente, sono stato colpito perché è come se fosse stato chiarito un aspetto di questa, diciamo, tripartizione dei poteri che i nostri costituenti hanno dato e che forse oggi deve essere ripresa, anche con l’ardimento di toccare argomenti su cui non si è immediatamente d’accordo, cercando quel compromesso che fecero all’inizio. Mi sembra, infatti, che la Corte stia suggerendo questo: “Politica, riprenditi il tuo mestiere. Non mandarci tutto, ma riprenditi il tuo mestiere di esercitare un potere popolare tale per cui si arrivi a risolvere queste questioni.” 

È l’auspicio anche nostro, perché la presenza che stiamo facendo, i Meeting, la fondazione di sostenibilità, tutte le realtà che sono qui, riflettono l’idea di una democrazia dove la gente possa decidere, lavorare e decidere. Quindi, ringrazio infinitamente il professor Barbera, che è riuscito a rendere comprensibile per tutti un argomento così difficile e a renderlo anche molto piacevole. Grazie. 

Barbera. – 1:08:26 – Grazie a voi. 

 

 

Data

23 Agosto 2024

Ora

19:00

Edizione

2024

Luogo

Sala Neri Generali-Cattolica
Categoria
Incontri

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